Dal 13 marzo 2013 ad oggi, Jorge Mario Bergoglio ha operato costantemente in favore della pace e della riconciliazione tra i popoli, cercando di portare da Roma fino alle periferie del mondo un messaggio di speranza, fratellanza, giustizia sociale e solidarietà. Secondo il papa, la globalizzazione che caratterizza il nostro tempo dovrebbe essere “solidale” e “rispettosa” delle differenze tra i popoli, invece è una “globalizzazione dell’indifferenza” che alimenta “guerre”. In un passo dell’enciclica Fratelli tutti, Francesco ha scritto: “La guerra è un fallimento della politica e dell’umanità”, invocando un artigianato della pace che coinvolga tutti, perché la riconciliazione è “un compito che non dà tregua e che esige l’impegno di tutti”.
Papa Francesco e la guerra ucraina
“Fermatevi!”, “la guerra è una pazzia”, fermate la guerra ha ripetuto più volte Jorge Maria Bergoglio dal 24 febbraio scorso, da quando le armate russe hanno invaso l’Ucraina, scatenando morte e distruzioni. Ha detto di voler andare a Mosca ad incontrare di persona Vladymir Putin, una richiesta fatta attraverso il Segretario di Stato Parolin dal ventesimo giorno di guerra, senza aver ricevuto alcuna risposta. “Ho voluto fare un gesto chiaro che tutto il mondo vedesse e per questo sono andato dall’ambasciatore russo [presso la Santa Sede]. Ho chiesto che mi spiegassero, gli ho detto “per favore fermatevi”. Poi ho chiesto al cardinale Parolin, dopo venti giorni di guerra, di fare arrivare a Putin il messaggio che io ero disposto ad andare a Mosca. Certo, era necessario che il leader del Cremlino concedesse qualche finestrina. Non abbiamo ancora avuto risposta e stiamo ancora insistendo, anche se temo che Putin non possa e voglia fare questo incontro in questo momento. Ma tanta brutalità come si fa a non fermarla? Venticinque anni fa con il Ruanda abbiamo vissuto la stessa cosa”, ha detto in una recente intervista al direttore e vicedirettore de Il Corriere della Sera. Successivamente, il Cremlino ha fatto sapere che al momento Putin non era disponibile a incontrarlo.
Per spiegare le cause della guerra, nella stessa intervista, Bergoglio ha indicato che “l’abbaiare della Nato alla porta della Russia” avrebbe indotto Putin a reagire male e a scatenare il conflitto. “Un’ira che non so dire se sia stata provocata, ma facilitata forse sì”.
Sulla questione della fornitura di armi all’Ucraina da parte delle nazioni occidentali, una questione che spacca il mondo cattolico e quello pacifista, Bergoglio non si è espresso in modo netto, ma la sua dottrina ha avuto sempre al centro il rifiuto della corsa agli armamenti. “Non so rispondere, sono troppo lontano, all’interrogativo se sia giusto rifornire [di armi] gli ucraini. La cosa chiara è che in quella terra si stanno provando le armi. I russi adesso sanno che i carri armati servono a poco e stanno pensando ad altre cose. Le guerre si fanno per questo: per provare le armi che abbiamo prodotto. Così avvenne nella guerra civile spagnola prima del secondo conflitto mondiale. Il commercio degli armamenti è uno scandalo, pochi lo contrastano. Due o tre anni fa a Genova è arrivata una nave carica di armi che dovevano essere trasferite su un grande cargo per trasportarle nello Yemen. I lavoratori del porto non hanno voluto farlo. Hanno detto: pensiamo ai bambini dello Yemen. È una cosa piccola, ma un bel gesto. Ce ne dovrebbero essere tanti così.” Un gesto concreto di nonviolenza attiva e di resistenza civile, quello richiamato da Francesco.
Bergoglio ha anche tenuto a differenziarsi in modo netto dal patriarca Kirill, capo della Chiesa ortodossa russa (incontrato di persona da Bergoglio nel corso del suo viaggio a Cuba nel 2016, il primo incontro tra un papa e un patriarca della Chiesa Ortodossa russa dal Grande Scisma che divise il cristianesimo in rami orientali e occidentali nel 1054): “Ho parlato con Kirill 40 minuti via zoom. I primi venti con una carta in mano mi ha letto tutte le giustificazioni alla guerra. Ho ascoltato e gli ho detto: di questo non capisco nulla. Fratello, noi non siamo chierici di Stato, non possiamo utilizzare il linguaggio della politica, ma quello di Gesù. Siamo pastori dello stesso santo popolo di Dio. Per questo dobbiamo cercare vie di pace, far cessare il fuoco delle armi. Il Patriarca non può trasformarsi nel chierichetto di Putin.”
Successivamente, la Chiessa Ortodossa russa ha parlato di “fraintendimenti” tra Kirill e Bergoglio, il quale avrebbe “travisato la sua conversazione” e usato “un tono sbagliato” nel riferirla. La guerra in Ucraina ha messo a dura prova le relazioni tra il Vaticano e la Chiesa Ortodossa russa1 e ha causato una spaccatura tra i cristiani ortodossi nel mondo2.
Da anni Bergoglio ha parlato di “una terza guerra mondiale a pezzetti, sparsa un po’ ovunque”, in riferimento alle guerre in Afghanistan, Siria, Yemen, Iraq, Africa. “Ci sono in ogni pezzettino interessi internazionali.” Ne aveva parlato esplicitamente in un’intervista a La Repubblica il 13 aprile 2017: “Penso che oggi il peccato si manifesti con tutta la sua forza di distruzione nelle guerre, nelle diverse forme di violenza e maltrattamenti, nell’abbandono dei più fragili. A farne le spese sono sempre gli ultimi, gli inermi. Mi viene solo da chiedere con più forza la pace per questo mondo sottomesso ai trafficanti di armi che guadagnano con il sangue degli uomini e delle donne. Il secolo scorso è stato devastato da due guerre mondiali micidiali, ha conosciuto la minaccia della guerra nucleare e un gran numero di altri conflitti, mentre oggi purtroppo siamo alle prese con una terribile guerra mondiale a pezzi.”3.
La guerra in Ucraina, “crudele e insensata come ogni guerra, ha una dimensione maggiore e minaccia il mondo intero, e non può non interpellare la coscienza di ogni cristiano e di ciascuna Chiesa.” Per cui, “dobbiamo chiederci: cosa hanno fatto e cosa possono fare le Chiese per contribuire allo «sviluppo di una comunità mondiale, capace di realizzare la fraternità a partire da popoli e nazioni che vivano l’amicizia sociale» (Enc. Fratelli tutti, 154)? È una domanda a cui dobbiamo pensare insieme.”, ha affermato nel discorso alla plenaria del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani.
La critica di Papa Francesco alla globalizzazione neoliberista
In Europa, per ora, Papa Francesco è stato l’unico leader politico al potere che ha apertamente e lucidamente denunciato i mali della globalizzazione neoliberista, la sua insostenibilità dal punto di vista ambientale, sociale e umano (si vedano l’esortazione Evangelii gaudium, l’Enciclica sulla cura della casa comune Laudato Si’ del 2015 e l’Enciclica Fratelli Tutti. Sulla fraternità e l’amicizia sociale del 2020), mettendo al centro i temi ecologici e ambientali, della sostenibilità e insieme della giustizia sociale4.
Francesco parte dalla considerazione che il cambiamento climatico a cui stiamo assistendo (dallo scioglimento delle calotte polari, con il conseguente innalzamento del livello dei mari, la salinizzazione del terreno e delle acque, il rilascio di metano e anidride carbonica con l’accumulazione dei gas serra), unito ad un modello economico che concentra le ricchezze e mortifica i più poveri, sta portando ad un disastro di tipo ambientale e sociale senza precedenti.
Nell’ultimo decennio, un quarto di miliardo di persone nel mondo sono sfollate all’interno dei loro Paesi, principalmente a causa di tempeste, ondate di calore, siccità, incendi, inondazioni, altri eventi climatici estremi o carestie. Il cambiamento climatico non è un problema futuro, ma un problema attuale: secondo i rapporti ONU-IPCC dobbiamo ridurre le emissioni di gas a effetto serra fino allo zero netto entro la metà di questo secolo per avere una ragionevole possibilità di limitare il riscaldamento globale a 1,5° centigradi (contro i +3,5° previsti per la fine del secolo se non si interviene) e quindi evitare di subire i crescenti danni derivanti dall’innalzamento del livello del mare, inondazioni, ondate di calore estremo (in terra e in mare) e siccità che ostacoleranno gravemente gli sforzi per combattere la povertà, aumentare il tenore di vita e migliorare la prosperità dell’umanità.
Circa il 72% della superficie terrestre è coperta dagli oceani. Più di 500 milioni di persone, circa il 10% della popolazione mondiale, vivono in aree costiere a meno di dieci metri sul livello del mare. Quasi 2,4 miliardi di persone, circa il 40% del totale, vivono a meno di 100 km dalla costa. Negli ultimi 40 anni, l’innalzamento del livello del mare è stato causato in gran parte dallo scioglimento dei ghiacciai e dalla dilatazione termica degli oceani (più l’acqua è calda, più si espande e occupa spazio). L’aumento del livello del mare provoca l’erosione delle coste, inondazioni, la risalita dell’alta marea negli estuari e nei sistemi fluviali, la contaminazione delle riserve d’acqua dolce e delle colture alimentari, la perdita delle spiagge dove nidificano le tartarughe e il dislocamento delle pianure costiere e delle paludi. Circa due terzi delle città con più di 5 milioni di abitanti si trovano in zone minacciate dall’innalzamento del livello del mare e nella generalità dei casi sono state progettate senza tenere conto di quanto, e quanto in fretta, possa salire l’acqua nelle nuove condizioni determinate dai cambiamenti climatici in atto. Secondo uno studio pubblicato su Nature Communications, terre che attualmente ospitano 300 milioni di persone saranno inondate almeno una volta all’anno entro il 2050, a meno che le emissioni di carbonio non vengano significativamente ridotte e le difese costiere rafforzate. Il governo indonesiano ha deciso di spostare la sua capitale nel Borneo, perché Giacarta, con i suoi 30 milioni di abitanti, sprofonda nelle acque ed è fortemente soggetta ai terremoti.
Papa Francesco ha stigmatizzato quattro dimensioni negative della globalizzazione economica:
- la negazione dell’umano attraverso l’affermazione dell’idolo del denaro;
- il consumismo sfrenato che riduce l’essere e la sua relazione sociale alla figura del produttore e consumatore (negandone la libertà);
- l’economia dell’esclusione che riduce la figura umana a una funzione, scartabile quando non necessaria;
- l’ideologia dell’assoluta autonomia dei mercati.
Per questo sollecita la governance internazionale ad intraprendere azioni concrete per arginare gli aspetti distruttivi della globalizzazione, a cominciare dalla povertà estrema, provocati in larga misura dalle economie e dagli attori economici più forti, Paesi ricchi ed emergenti e global corporations5.
Francesco ha sintetizzato la sua critica contro i poteri economici, l’iniquità globale e “l’idolo denaro che regna invece di servire, tiranneggia e terrorizza l’umanità” in un discorso ai partecipanti al terzo incontro mondiale dei movimenti popolari (5 novembre 2016) nel corso del quale ha affermato: “Chi governa allora? Il denaro. Come governa? Con la frusta della paura, della disuguaglianza, della violenza economica, sociale, culturale e militare che genera sempre più violenza in una spirale discendente che sembra non finire mai. Quanto dolore e quanta paura! C’è un terrorismo di base che deriva dal controllo globale del denaro sulla terra e minaccia l’intera umanità. Di questo terrorismo di base si alimentano i terrorismi derivati come il narco-terrorismo, il terrorismo di Stato e quello che alcuni erroneamente chiamano terrorismo etnico o religioso. Ma nessun popolo, nessuna religione è terrorista! È vero, ci sono piccoli gruppi fondamentalisti da ogni parte. Ma il terrorismo inizia quando hai cacciato via la meraviglia del creato, l’uomo e la donna, e hai messo lì il denaro. Tale sistema è terroristico. Nessuna tirannia si sostiene senza sfruttare le nostre paure. Questa è una chiave! Da qui il fatto che ogni tirannia sia terroristica. E quando questo terrore, che è stato seminato nelle periferie con massacri, saccheggi, oppressione e ingiustizia, esplode nei centri con diverse forme di violenza, persino con attentati odiosi e vili, i cittadini che ancora conservano alcuni diritti sono tentati dalla falsa sicurezza dei muri fisici o sociali. Muri che rinchiudono alcuni ed esiliano altri. Cittadini murati, terrorizzati, da un lato; esclusi, esiliati, ancora più terrorizzati, dall’altro. È questa la vita che Dio nostro Padre vuole per i suoi figli? La paura viene alimentata, manipolata. Perché la paura, oltre ad essere un buon affare per i mercanti di armi e di morte, ci indebolisce, ci destabilizza, distrugge le nostre difese psicologiche e spirituali, ci anestetizza di fronte alla sofferenza degli altri e alla fine ci rende crudeli.”
Il divario tra i popoli e le attuali forme di democrazia si allarga sempre più come conseguenza “dell’enorme potere dei gruppi economici e mediatici che sembrano dominarle”, mentre “i falsi profeti sfruttano la paura e la disperazione, vendono formule magiche di odio e crudeltà o di un benessere egoistico e una sicurezza illusoria.”
Per Papa Francesco le disuguaglianze sono il prodotto di cause strutturali che rimandano proprio alla globalizzazione neoliberista: “Sappiamo che finché non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri, rinunciando all’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e aggredendo le cause strutturali della inequità, non si risolveranno i problemi del mondo e in definitiva nessun problema. L’inequità è la radice dei mali sociali, il futuro dell’umanità non è solo nelle mani dei grandi leader, delle grandi potenze e delle élite. E’ soprattutto nelle mani dei popoli; nella loro capacità di organizzarsi ed anche nelle loro mani che irrigano, con umiltà e convinzione, questo processo di cambiamento.”
Francesco propone un “progetto-ponte dei popoli” in alternativa al “progetto-muro del denaro”. “Coloro che costruiscono muri finiranno prigionieri dei muri che hanno costruito, mentre coloro che costruiscono ponti andranno avanti.” Un progetto che deve mirare allo “sviluppo umano integrale”. Per Francesco, oggi il mondo non sta perseguendo questo tipo di sviluppo, perché vive in una condizione di atrofia e paralisi morale basata sulla “cultura dello scarto”. “Dobbiamo aiutare a guarire il mondo dalla sua atrofia morale. Questo sistema atrofizzato è in grado di fornire alcune “protesi” cosmetiche che non sono vero sviluppo: crescita economica, progressi tecnologici, maggiore “efficienza” per produrre cose che si comprano, si usano e si buttano, inglobandoci tutti in una vertiginosa dinamica dello scarto. Ma questo mondo non consente lo sviluppo dell’essere umano nella sua integralità, lo sviluppo che non si riduce al consumo, che non si riduce al benessere di pochi, che include tutti i popoli e le persone nella pienezza della loro dignità, godendo fraternamente la meraviglia del creato. Questo è lo sviluppo di cui abbiamo bisogno: umano, integrale, rispettoso del creato, di questa casa comune.”
Il mercato da solo non garantisce lo sviluppo umano integrale e l’inclusione sociale. Abbiamo una sorta di supersviluppo dissipatore e consumistico che contrasta in modo inaccettabile con perduranti situazioni di miseria disumanizzante, mentre non si mettono a punto con sufficiente celerità istituzioni economiche e programmi sociali che permettano ai più poveri di accedere in modo regolare alle risorse di base.
La dignità umana dipende dal lavoro e per Francesco “chi, per manovre economiche, per fare negoziati non del tutto chiari, chiude fabbriche, chiude imprese lavorative e toglie il lavoro agli uomini, compie un peccato gravissimo” (Udienza Generale del 15 marzo 2017). Chi licenzia e delocalizza per fare più profitto non è un buon imprenditore, anzi “non è un imprenditore, ma è uno speculatore, un commerciante. Oggi vende la sua gente, domani vende la dignità propria.” Quindi, per il Papa “una malattia dell’economia è la progressiva trasformazione degli imprenditori in speculatori. L’imprenditore non va assolutamente confuso con lo speculatore, sono due tipi diversi. Lo speculatore è una figura simile a quella che Gesù nel Vangelo chiama mercenario, per contrapporlo al buon pastore. Vede azienda e lavoratori solo come mezzi per fare profitto, usa azienda e lavoratori per fare profitto, non li ama. Licenziare, chiudere, spostare l’azienda non gli creano alcun problema, perché lo speculatore usa, strumentalizza, mangia persone e mezzi per il profitto. Quando l’economia è abitata da buoni imprenditori le imprese sono amiche della gente. Quando passano nelle mani degli speculatori, tutto si rovina. E’ un’economia senza volti, astratta, spietata. Dietro le decisioni dello speculatore non ci sono persone, e quindi non si vedono le persone da licenziare e tagliare.” (Discorso di Papa Francesco all’Ilva di Cornigliano, 27 maggio 2017).
Per rafforzare il potere contrattuale del lavoro nei confronti sia del capitale sia del potere politico, secondo Francesco, serve un nuovo protagonismo del sindacato con un rilancio della sua capacità di fare rappresentanza, di creare una solidarietà collettiva tra i lavoratori e di riaffermare la sua funzione di tutela dei diritti. Il movimento sindacale per continuare a svolgere il suo ruolo essenziale per il bene comune dovrebbe rilanciare quelle che in un discorso ai delegati al congresso della CISL (28 giugno 2017) Papa Francesco ha definito come le sue vocazioni più vere: “la profezia” e “l’innovazione sociale”. “Il sindacato è espressione del profilo profetico della società. Il sindacato nasce e rinasce tutte le volte che, come i profeti biblici, dà voce a chi non ce l’ha, denuncia il povero “venduto per un paio di sandali” (cfr. Amos 2,6), smaschera i potenti che calpestano i diritti dei lavoratori più fragili, difende la causa dello straniero, degli ultimi, degli “scarti”. … il movimento sindacale ha le sue grandi stagioni quando è profezia. Ma nelle nostre società capitalistiche avanzate il sindacato rischia di smarrire questa sua natura profetica, e diventare troppo simile alle istituzioni e ai poteri che invece dovrebbe criticare. Il sindacato col passare del tempo ha finito per somigliare troppo alla politica, o meglio, ai partiti politici, al loro linguaggio, al loro stile. E invece, se manca questa tipica e diversa dimensione, anche l’azione dentro le imprese perde forza ed efficacia. Questa è la profezia. … I profeti sono delle sentinelle, che vigilano nel loro posto di vedetta. Anche il sindacato deve vigilare sulle mura della città del lavoro, come sentinella che guarda e protegge chi è dentro la città del lavoro, ma che guarda e protegge anche chi è fuori delle mura. Il sindacato non svolge la sua funzione essenziale di innovazione sociale se vigila soltanto su coloro che sono dentro, se protegge solo i diritti di chi lavora già o è in pensione. Questo va fatto, ma è metà del vostro lavoro. La vostra vocazione è anche proteggere chi i diritti non li ha ancora, gli esclusi dal lavoro che sono esclusi anche dai diritti e dalla democrazia.”
Le destre politico-religiose reazionarie e Papa Francesco
Nell’ultimo decennio, a più riprese in Europa ed altrove abbiamo avuto la nascita e crescita di contro-movimenti e leader populisti reazionari, nazionalisti bianchi e xenofobi che hanno cercato di spostare l’assetto democratico verso forme autoritarie e post-democratiche (su questo tema si veda il nostro articolo qui). Leader e movimenti che hanno la pretesa di detenere il monopolio della volontà popolare (“au nom du peuple”), di rivendicarne una rappresentanza esclusiva, occupando l’intero spettro politico, di destra, di centro e di sinistra, contro tutte le altre espressioni politiche (contro i “rappresentanti”, il ceto politico, i partiti, le istituzioni rappresentative, il pluralismo), ritenute lontane dal “Paese reale”, dalla “gente”, dal “popolo”, facendo leva su una forma oppositiva di pensiero di tipo binario che dipinge il mondo in modo manicheo, in termini di Noi-Voi/Loro, di opposizione tra popolo (forte, sano, fiero, autentico, “cristiano”, etc.) ed élites (economiche, intellettuali, mediatiche e, soprattutto, politiche) dipinte come disoneste, corrotte, “senza fede”, inadeguate, incapaci ed impotenti.
Il Noi di questi contro-movimenti reazionari viene costruito attorno ad un senso comune che, in un equilibrio fondato sul contrasto, unisce individualismo (un “individualismo di massa”), soggettivizzazione narcisista (l’appello all’unicità dell’“individuo”, spogliato tuttavia di ogni relazione che non sia quella utilitaristica), conservatorismo tradizionale (con forti elementi di machismo e di aspettative patriarcali sui corpi delle donne e sui loro diritti riproduttivi) e anche principî dell’ortodossia e del fondamentalismo religioso, combinando un’aspirazione (anche radicale) alla libertà privata con l’ossessione identitaria in negativo, che diventa ricerca dell’identico a sé stessi, e forme di dispotismo pubblico.
Il tradizionalismo eurasiatico di Vladimir Putin, la democrazia cristiana di Orbàn (si veda il nostro articolo qui), il giudeo-cristianesimo di Trump (si vedano i nostri articoli qui e qui)6, il pentecostalismo della prosperità di Bolsonaro (si vedano i nostri articoli qui e qui), il cattolicesimo populista di Salvini, il nazionalismo indù di Narendra Modi (si vedano i nostri articoli qui e qui), l’integralismo salafita jahadista (si vedano i nostri articoli qui e qui) e sciita (vedi nostro articolo qui) del mondo musulmano e il fondamentalismo buddhista in Asia (si vedano i nostri articoli qui e qui), tutti parlano di una reazione religiosamente infusa alla governance secolare.
Ciò che è stato eroso negli ultimi decenni non sono semplicemente i valori democratici o liberali, ma si è diffuso in modo crescente anche un atteggiamento di sospetto verso il secolarismo e le élite secolari che lo propagano. Questo processo ha avuto inizio con l’ascesa dell’evangelismo americano alla fine degli anni ’70 che non solo ha portato ai successi politici dei neoconservatori negli USA, ma anche ad una ben finanziata espansione missionaria globale in America Latina e in Africa (la piattaforma giornalistica Open Democracy stima che le chiese evangeliche americane hanno speso almeno 50 milioni di dollari per finanziare campagne e azioni in Europa negli ultimi 10 anni). Chiese e fedeli evangelici (circa 600 milioni nel mondo) si sono moltiplicati non solo negli Stati Uniti, ma anche in Brasile, Nigeria, Corea del Sud, Argentina, Perù, Colombia, Guatemala, Sud Africa e in molti Paesi europei.
Oggi, il fenomeno del fondamentalismo religioso investe tutti i Paesi in un modo o nell’altro anche perché tutte le religioni hanno i loro fondamentalisti: ci sono fondamentalisti cristiani, musulmani, indù, ebrei, buddhisti e così via. Tutti hanno un ruolo politico fortemente reazionario e tutti stanno crescendo dal punto di vista numerico. Tutti credono di essere i detentori della verità assoluta, mentre tutti gli altri sono eretici, miscredenti o addirittura frutto del lavoro del diavolo stesso. Sono tutti abituati a seminare divisioni tra le persone che vivono nelle società locali e nel mondo.
Nei Paesi ricchi stiamo assistendo contemporaneamente allo sviluppo di due fenomeni: le vecchie Chiese consolidate, come la Chiesa Cattolica, stanno vivendo una fase di apparente declino (messe deserte, chiese abbandonate per carenza di sacerdoti e pastori, seminari vuoti), specialmente in Europa e nel Nord America, mentre stanno emergendo e crescendo “nuove Chiese” (questo anche in America Latina e in Africa), basate su un’adesione più ortodossa e fondamentalista agli insegnamenti originali (alla “vera religione”).
Le Chiese conservatrici e fondamentaliste continuano ad acquisire nuovi membri perché offrono ai credenti intense esperienze emotive, una specifica guida morale, un sentimento di appartenenza ad un gruppo esclusivo, rituali soddisfacenti, certezza del paradiso (in cielo e/o in terra) ed impegno entusiasta. Queste nuove Chiese sono delle imprese molto redditizie per coloro che le fondano, ma alle persone che si rivolgono a loro offrono speranza in una vita migliore e una fuga dall’inferno in cui molto spesso si trovano a vivere7.
In Europa (ed altrove), sempre più frequentemente il fondamentalismo religioso tende ad allearsi con il fondamentalismo politico, spesso apertamente razzista e suprematista bianco, che rivendica le “radici cristiane” del proprio Stato-nazione e utilizza la religione come uno strumento per disciplinare società che si ritiene abbiano perso i loro tradizionale baricentro morale. In America, votando Trump nel 2016, secondo Ben Howe, “gli evangelici hanno scelto il potere politico sui valori cristiani”. Stephen K. Bannon, un cattolico reazionario diventato lo stratega “nero” di Trump, ha avuto come sponda per i suoi disegni politici e culturali globali la fazione reazionaria all’interno della Chiesa Cattolica che fa capo al cardinale americano Raymond Leo Burke (uno dei maggiori oppositori della linea politica e dottrinale di Papa Francesco su temi come la comunione ai divorziati risposati, l’eternità dell’inferno, il sacerdozio femminile e il celibato sacerdotale). Ha anche cercato di dare vita ad una “scuola di gladiatori per guerrieri della cultura” nell’antico monastero di Trisulti (in provincia di Frosinone), una “Academy for the Judeo-Christian West” in cui formare leader e attivisti politici cattolici conservatori. Un piano per ora naufragato tra le polemiche e ricorsi legali dato che il ministero ha revocato la concessione per irregolarità e inadempenze, mentre il cardinale Burke si è dimesso dalla carica di presidente onorario del soggetto promotore, il Dignitatis Humanae Institute, nel giugno 2019 e ha preso le distanze da Bannon.
In Europa, i gruppi reazionari e antieuropeisti che, a partire dalla Polonia (si veda il nostro articolo qui), da anni cercano di egemonizzare il tradizionalismo cattolico per trasformarlo nel collante ideologico delle destre politiche europee8, hanno trovato a Roma Papa Francesco, fautore di una Chiesa “povera, per i poveri”, del superamento del neoliberismo, di una “economia che uccide” – “Il mercato non può risovere tutto, benché a volte vogliano farci credere questo dogma di fede neoliberale. Si tratta di un pensiero povero, ripetitivo, che propone sempre le stesse ricette di fronte a qualunque sfida si presenti.” – e della “cultura dello scarto” (per cui le persone sono prima ridotte a “risorse”, cioè a strumenti per il profitto, poi trasformate in “esuberi” del tutto inutili e, infine, in “scarti”), del dialogo con l’Islam (dopo la rottura provocata da papa Benedetto XVI con il “discorso di Ratisbona”) sia sunnita (con la visita ad Ahmed al-Tayyed, grande imam di al-Azhar) sia sciita (con la visita al grande ayatollah Sayyid al-Sistani a Najaf) ed anche con la Cina (e per questo apertamente criticato dal Segretario di Stato USA, Mike Pompeo), difensore delle popolazioni indigene dell’Amazzonia, dei migranti e di un’Europa solidale9, laica e attenta alla salvaguardia dei diritti inalienabili di ogni individuo nei confronti di ogni potere.
Politici ed intellettuali conservatori/reazionari hanno scatenato contro di lui una lotta (accusandolo anche di eresia e di proteggere preti e cardinali accusati di pedofilia, un tema spinoso che Bergoglio ha affrontato qui) che vuole colpire nella sua persona tutta la Chiesa post-conciliare “accogliente e misericordiosa”, un’agenzia dispensatrice di spiritualità e non solo di precetti morali. Per i reazionari risulta scandaloso un papa che non condanna gli omosessuali, dicendo “chi sono io per giudicare un gay?” e che per quando riguarda le persone LGBTI afferma: “Dio è Padre e non rinnega nessuno dei suoi figli. E lo stile di Dio è vicinanza, misericordia e tenerezza. Lungo questa strada troverai Dio. … La Chiesa è madre e convoca tutti i suoi figli. Prendiamo ad esempio la parabola degli invitati alla festa: i giusti, i peccatori, i ricchi e i poveri, eccetera. Una Chiesa selettiva, di “sangue puro” non è la Santa Madre Chiesa, ma piuttosto una setta.”
Il carisma apostolico di Papa Francesco è un ostacolo alla deriva fondamentalista-cristiana del conservatorismo e nazionalismo perché Francesco propone un modello sociale alternativo, il vangelo della carità e degli ultimi, la costruzione di ponti al posto dei muri, la globalizzazione della “fraternità” e fratellanza umana del “buon samaritano” e di San Francesco, il dialogo tra la sfera secolare e quella religiosa, il multilateralismo nelle relazioni internazionali, la critica al capitalismo finanziario, la salvaguardia ambientale. Un messaggio apostolico che non accetta passivamente il mondo quale è, sollecitando cattolici e non cattolici, Stati, classi dirigenti e forze sociali a trasformarlo in una dimensione più umana, gettando un ponte tra i valori tradizionali dell’umanesimo del cattolicesimo sociale e quelli dell’umanesimo dell’Illuminismo centrato sulla triade libertà, uguaglianza e fraternità.
- L’11 aprile il Vaticano aveva annunciato che stava valutando la possibilità di prolungare di un giorno il viaggio del papa in Libano dal 12 al 13 giugno in modo che potesse incontrare Kirill il 14 giugno a Gerusalemme. Ma, Francesco in seguito ha deciso di non farlo.[↩]
- Kirill ha dato la sua piena benedizione all’invasione russa dell’Ucraina, una posizione che ha diviso la Chiesa Ortodossa che nel mondo ha 260 milioni di fedeli (100 milioni in Russia), isolando il patriarcato di Mosca, e scatenato una ribellione interna che secondo teologi e accademici non ha precedenti. Kirill è uno stretto alleato di Putin e vede la guerra come un baluardo contro un’Occidente che considera decadente, in particolare per l’accettazione dell’omosessualità. Lui e Putin condividono una visione del “Russkiy Mir“, o “mondo russo“, che collega l’unità spirituale e l’espansione territoriale mirata a parti dell’ex Unione Sovietica. Ciò che Putin vede come una restaurazione politica, Kirill vede come una crociata. In Russia, quasi 300 membri ortodossi di un gruppo chiamato Preti Russi per la Pace hanno firmato una lettera di condanna degli “ordini omicidi” eseguiti in Ucraina. L’Ucraina ha circa 30 milioni di credenti ortodossi, divisi tra la Chiesa Ortodossa ucraina del Patriarcato di Mosca e altre due Chiese ortodosse, una delle quali è la Chiesa Ortodossa ucraina autocefala o indipendente. L’Ucraina ha un significato viscerale per la Chiesa Ortodossa russa perché è vista come la culla della civiltà della Rus’, un’entità medievale dove nel X secolo i missionari bizantini ortodossi convertirono il principe pagano Volodymyr. Kirill, che rivendica l’Ucraina come parte indivisibile della sua giurisdizione spirituale, aveva già interrotto i legami con Bartolomeo, il patriarca ecumenico di Istanbul che agisce come il primo tra pari nel mondo ortodosso e sostiene l’autonomia della Chiesa Ortodossa ucraina. Altri leader ortodossi che hanno criticato la guerra includono il patriarca Teodoro II di Alessandria e di tutta l’Africa, il patriarca Daniele di Romania e l’arcivescovo Leone di Finlandia.[↩]
- Una “guerra mondiale combattuta a pezzi” alla quale anche l’Italia partecipa attivamente da tempo, nonostante l’articolo 11 della Costituzione dichiari che: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.” La Costituzione è chiara: ammette la sola guerra difensiva che si giustifica unicamente per resistere a una aggressione esterna, consumata sul territorio italiano. Non prevede l’invio di truppe fuori dei confini nazionali, questo (apparente) divieto è stato messo in crisi già nel 1949, con l’adesione dell’Italia al Patto NATO che prevede l’obbligo di assistenza militare fra gli Stati contraenti, sul presupposto che ogni attacco armato contro uno di essi “sarà considerato quale attacco diretto contro tutte le parti” (articolo 5 del Trattato). Da allora in poi il divieto costituzionale della guerra ha finito per essere disatteso e bypassato attraverso l’escamotage semantico dell’”intervento umanitario”, una dottrina sostenuta da Tony Blair alla fine degli anni ’90. Pertanto, oggi l’Italia, oltre ad essere un importante Paese produttore, consumatore e fornitore di armi, è anche un co-protagonista sui campi di battaglia attraverso l’impegno di oltre 6 mila soldati in 36 missioni in 23 Paesi con un costo annuale di circa 1 miliardo di euro.[↩]
- Jorge Mario Bergoglio viene dall’Argentina dove lui e altri gesuiti negli anni ’70 hanno trasformato la “teologia della liberazione” in “teologia del popolo”, epurandola dei riferimenti alla lotta di classe marxista. La “teologia della liberazione” è stato un movimento cattolico progressista promosso negli anni ’60 e ’70 in Brasile sulla base delle aperture del Concilio Vaticano II dal teologo ed ex francescano Leonardo Boff e dal vescovo Hélder Cámara, che era solito dire: “Se do da mangiare ai poveri, mi dicono che sono un santo, ma se chiedo perché i poveri sono affamati e stanno così male, mi dicono che sono un comunista”. La teologia della liberazione rifiutava il tradizionale ruolo della Chiesa come baluardo della reazione e insisteva invece su una “opzione preferenziale per i poveri“. Ebbe un forte sviluppo in tutta l’America Latina – in Brasile (Ruben Alves, Frei Betto, Leonardo Boff, Hélder Cámara), Colombia (con Camilo Torres Restrepo, il padre guerrillero morto in combattimento nel 1966), Nicaragua (con Ernesto Cardenal, successivamente tra i protagonisti della rivoluzione sandinista), El Salvador, Cile, Perù (con il teologo Gustavo Gutiérrez che pubblicò il volume Hacia una teologìa de la liberaciòn nel 1969) ed Argentina – dopo la Conferenza di Medellín dei vescovi latinoamericani del 1968. Le dichiarazioni della Conferenza aprirono nuovi orizzonti nell’espansione della nozione di “liberazione” teologica per includere un processo umanizzante positivo e per attaccare le strutture politiche, sociali ed economiche che avevano tenuto poveri ed oppressi milioni di latinoamericani. Impegnandosi con la pedagogia rivoluzionaria di Paulo Freire (perseguitato ed esiliato dalla dittatura del 1964), il Movimento per l’istruzione di base (MEB) è stato il primo tentativo cattolico di una pratica pastorale radicale tra le classi popolari brasiliane. Il MEB mirava non solo a portare l’alfabetizzazione ai poveri, ma ad aumentare la loro consapevolezza e ad aiutarli a prendere il controllo della propria storia. Molti dei movimenti popolari brasiliani che negli ultimi decenni hanno fatto notevoli progressi per la giustizia sociale sono in larga misura il prodotto dell’attività di base dei cristiani impegnati: la confederazione sindacale radicale (CUT), il movimento dei contadini senza terra (MST), le associazioni dei quartieri poveri – e la loro espressione politica, il Partito dei Lavoratori. Il PT era nato nel periodo della “riapertura democratica” dalle organizzazioni sindacali sorte a seguito della spinta all’industrializzazione voluta dal regime militare. Ma, altre forze sociali iniziarono a fondersi attorno a quel “nuovo sindacalismo“: i movimenti per la riforma agraria e dei quartieri urbani poveri, i gruppi cattolici di base ispirati alla teologia della liberazione, ossia il tipo di organizzazioni la cui radicalizzazione negli anni ’60 aveva provocato il colpo di stato militare. Nell’aprile del 1964, i militari presero il potere per salvare la “civiltà cristiana occidentale” dal “comunismo ateo” – in breve, per difendere l’oligarchia dominante minacciata dall’ascesa dei movimenti sociali sotto il presidente eletto, João Goulart. La dittatura è stata rapidamente approvata dalla Conferenza episcopale del Brasile nel giugno 1964: “ringraziando Dio, che ha risposto alle preghiere di milioni di brasiliani e liberato dal pericolo comunista, siamo grati ai militari, che, a grave rischio per la propria vita, sono insorti nel nome dei supremi interessi della nazione.” Un sentimento che tuttavia non è stato condiviso da molti attivisti e sacerdoti cattolici, molti dei quali sono stati tra le prime vittime della repressione del regime. Alcuni di loro si sono radicalizzati e nel 1967-68 un ampio gruppo di domenicani, tra cui il giovane Frei Betto, decisero di sostenere la resistenza armata e aiutare i movimenti clandestini come l’ALN (Azione per la Liberazione Nazionale) – un gruppo di guerriglieri fondato da un ex leader del Partito Comunista brasiliano, Carlos Marighella – nascondendo i suoi membri o aiutando alcuni di loro a fuggire dal Paese. Frei Betto, altri preti e laici cattolici furono arrestati, torturati e imprigionati nei primi anni ’70, mentre Boff, Cámara e la Chiesa della liberazione rivolta ai più poveri sono stati accusati di far sembrare Gesù un po’ come Che Guevara. Sono stati combattuti, marginalizzati e ridotti al “silenzio ossequioso” dalle gerarchie vaticane (la Congregazione per la Dottrina della Fede) durante i 34 anni dei pontificati di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, e ora la Chiesa Cattolica si trova a competere con una aggressiva miriade di chiese e pastori evangelici (soprattutto neo-pentecostali) in grado di articolare con successo una narrazione basata sul millenarismo, sulla guarigione miracolosa, sull’invocazione dei demoni e l’esorcismo e, soprattutto, sulla “teologia della prosperità”, secondo la quale alla ricchezza corrisponde la benedizione divina che avalla la fede e l’operato del beneficiato. Negli ultimi anni, il cosiddetto “movimento di rinnovamento carismatico” della Chiesa cattolica ha preso in prestito alcuni caratteristiche di intrattenimento dei servizi pentecostali, con la Canção Nova o movimento Canzone Nuova, rivolto ai giovani con spettacoli negli stadi e programmi radiofonici. Ma, questa “pentecostalizzazione” ha anche spostato la Chiesa cattolica nella direzione di un fondamentalismo e di una politica conservatrice che sempre più gioca a favore degli evangelici.[↩]
- Nel suo messaggio al presidente del comitato esecutivo del World ’Economic Forum di Davos nel 2018, Papa Francesco ha esortato i potenti della terra ad avere consapevolezza della gravità della situazione e ad agire con coraggio, responsabilità e lungimiranza per costruire un sistema condiviso di governance globale. “A livello di governance globale, siamo sempre più consapevoli che c’è una crescente frammentazione tra Stati e Istituzioni. Stanno emergendo nuovi attori, come anche una nuova competizione economica e accordi commerciali regionali. Anche le tecnologie più recenti stanno trasformando i modelli economici e lo stesso mondo globalizzato che, condizionato da interessi privati e dall’ambizione del profitto a tutti i costi, sembra favorire l’ulteriore frammentazione e l’individualismo invece di facilitare approcci che siano più inclusivi. Le ricorrenti instabilità finanziare hanno portato nuovi problemi e gravi sfide con cui i governi devono confrontarsi, come la crescita della disoccupazione, l’aumento di diverse forme di povertà, l’aumento del divario socio-economico e le nuove forme di schiavitù, spesso radicate in situazioni di conflitto, migrazione e diversi problemi sociali. A ciò si associano alcuni stili di vita un po’ egoisti, caratterizzati da un’opulenza ormai insostenibile e spesso indifferente nei confronti del mondo circostante, soprattutto dei più poveri. Si constata con rammarico un prevalere delle questioni tecniche ed economiche al centro del dibattito politico, a scapito di un autentico orientamento antropologico. L’essere umano rischia di essere ridotto a semplice ingranaggio di un meccanismo che lo tratta alla stregua di un bene di consumo da utilizzare, così che — lo notiamo purtroppo spesso — quando la vita non è funzionale a tale meccanismo viene scartata senza troppe remore. In tale contesto è essenziale salvaguardare la dignità della persona umana, specialmente offrendo a ognuno opportunità vere di sviluppo umano integrale e attuando politiche economiche che favoriscano la famiglia. La libertà economica non prevalga sulla concreta libertà dell’uomo e sui suoi diritti, il mercato non sia un assoluto, ma onori le esigenze della giustizia. I modelli economici, dunque, devono rispettare un’etica di sviluppo integrale e sostenibile, basata su valori che pongano al centro la persona umana e i suoi diritti. Dinanzi a tante barriere di ingiustizia, di solitudine, di sfiducia e di sospetto che vengono ancora erette ai nostri giorni, il mondo del lavoro, di cui voi siete attori di primo piano, è chiamato a fare passi coraggiosi perché “trovarsi e fare insieme” non sia solo uno slogan, ma un programma per il presente e il futuro. Solo attraverso una ferma risoluzione, condivisa da tutti gli attori economici, possiamo sperare di dare una nuova direzione al destino del nostro mondo. Così, anche l’intelligenza artificiale, la robotica e altre innovazioni tecnologiche devono essere impiegate in modo da contribuire al servizio dell’umanità e alla protezione della nostra casa comune invece che per l’esatto opposto, come purtroppo prevedono alcune stime. Non possiamo rimanere in silenzio dinanzi alla sofferenza di milioni di persone la cui dignità è ferita, né possiamo continuare ad andare avanti come se la diffusione della povertà e dell’ingiustizia non avesse una causa. Creare le giuste condizioni per consentire a ogni persona di vivere in maniera dignitosa è un imperativo morale, una responsabilità che coinvolge tutti. Rifiutando una cultura dello “scarto” e una mentalità dell’indifferenza, il mondo imprenditoriale ha un potenziale immenso per produrre un cambiamento sostanziale aumentando la qualità della produttività, creando nuovi posti di lavoro, rispettando le leggi sul lavoro, combattendo la corruzione pubblica e privata e promuovendo la giustizia sociale, insieme alla giusta ed equa condivisione dei profitti. C’è una grande responsabilità da esercitare con saggio discernimento, poiché le decisioni prese saranno fondamentali per modellare il mondo di domani e quello delle generazioni future. Pertanto, se vogliamo un futuro più sicuro, un futuro che incoraggi la prosperità di tutti, è necessario mantenere la bussola sempre puntata verso il “vero Nord”, rappresentato dai valori autentici. È questo il tempo di prendere misure coraggiose e audaci per il nostro amato pianeta. È questo il momento giusto per tradurre in azione la nostra responsabilità di contribuire allo sviluppo dell’umanità.”[↩]
- I tradizionalisti e reazionari religiosi della Christian Right – “born again christians” o fondamentalisti evangelici (circa un quarto della popolazione adulta americana) e integralisti cattolici uniti in un “ecumenismo dell’odio” -, di norma bianchi (il 64% dei cattolici, il 58% dei protestanti e l’80% degli evangelici bianchi hanno votato per Trump nel 2016), in gran parte credenti nel creazionismo della Bibbia che interpretano alla lettera come se fosse un testo scientifico alternativo all’evoluzionismo darwiniano. Sono nostalgici di un’era in cui le discriminazioni legate al colore della pelle, al bckground etnico e al genere erano salde, e sono convinti che alla base dei problemi della società attuale ci sia il disordine morale. Combattono contro la modernità ed esprimono un suprematismo religioso che sostiene la necessità teocratica di sottomettere lo Stato alla Bibbia, il che è una logica non distante da quella che muove il fondamentalismo islamico. Sono portatori di una visione del mondo in cui le bestie nere sono la democrazia liberale, la libertà individuale, la diversità, l’equità, il relativismo culturale, l’immigrazione (non bianca), il politically correct, il materialismo, l’aborto, la procreazione assistita e l’omosessualità. Per questo ritengono che sia necessario combattere una “guerra culturale” e politica per riaffermare valori conservatori tradizionali riguardo ai ruoli familiari considerati appropriati, al rispetto delle gerarchie, all’identità nazionale, all’omogeneità culturale e al liberalismo economico. Negli ultimi decenni questi tradizionalisti e reazionari religiosi che costituiscono il nocciolo duro dell’America profonda, l’America che tiene nel comodino la Bibbia insieme alla pistola e si oppone fermamente alle politiche di welfare del governo, si sono sentiti dei perseguitati perché hanno perso la maggior parte delle battaglie sociali e culturali – la secolarizzazione ha sempre più permeato la società, l’aborto è diventato un diritto costituzionale con la sentenza Roe vs Wade della Corte Suprema nel 1973, i matrimoni omosessuali sono stati legalizzati dalla Corte Suprema, l’uso terapeutico della marijuana è diventato legale in oltre 35 Stati – e ora ritengono che sia rimasta loro una battaglia da combattere per arginare il cambiamento, quella contro l’immigrazione e la diversità culturale in generale. Gli evangelici bianchi sono stati in modo schiacciante a favore del muro di confine con il Messico di Trump, che alcuni predicatori hanno equiparato alle fortificazioni della Bibbia. Per questi tradizionalisti radicali Trump (che è un presbiteriano non praticante, un pluri-bancarottiere ed un due volte divorziato che si è vantato di aver aggredito sessualmente le donne), per quanto sia un essere umano imperfetto (“an imperfect vessel”), è lo “strumento di Dio”, una sorta di moderno Ciro, l’imperatore persiano del VI secolo aC non credente nella Bibbia che divenne tuttavia uno strumento per adempiere alla volontà di Dio, conquistando Babilonia e consentendo agli ebrei di tornare liberi in Israele. Trump ha dato loro la vicepresidenza – Mike Pence dell’Indiana è un ultraconservatore creazionista, nominalmente un cattolico che frequenta una mega-chiesa evangelica e che ha stretti rapporti con figure (come i fratelli multimiliardari Charles e David Koch o Robert e Rebekah Mercer) a capo di grandi interessi economici e che finanziano politici di orientamento reazionario. Appena insediato, Trump ha anche cancellato le protezioni garantite dall’amministrazione Obama agli studenti transgender delle scuole pubbliche che consentivano loro di usare i bagni corrispondenti alla loro attuale identità sessuale. Soprattutto, alla Corte Suprema ha prima nominato tre giudici conservatori: Neil McGill Gorsuch, Brett Kavanaugh e Amy Coney Barrett, i quali contribuiranno a plasmare in senso conservatore la Corte per i prossimi decenni (con particolare attenzione alla questione dell’aborto, attraverso la revisione della sentenza Roe vs. Wade). La nomina della Barrett ha sbilanciato il rapporto di forze della Corte, portando per la prima volta dagli anni ’30 la maggioranza conservatrice a 6-3 ed elevando a 7 il numero dei giudici di fede cattolica.[↩]
- Prima di abbracciare le posizioni politiche di esponenti reazionari come Bolsonaro, per anni l’evangelismo brasiliano ha promosso una pratica religiosa apolitica condita con posizioni apertamente neoliberiste, meritocratiche e reazionarie con una aperta celebrazione della prosperità e del “pensiero positivo”: con la fede, il duro lavoro, l’autodisciplina, il comportamento corretto e il sostegno comune, i credenti possono migliorare sé stessi, la propria condizione spirituale e materiale e dimostrare la loro fede pagando la decima all’organizzazione pastorale che li aiuta. La ricchezza sarebbe il segno di una benedizione divina che premia la fede del soggetto col benessere, il successo economico-sociale e la salute. Povertà, malattia, infelicità e miseria sono, al contrario, segno del fallimento individuale e della maledizione divina, per cui è necessaria la conversione e il discepolato nei confronti di coloro che sono esaltati da Dio con la ricchezza. Tipicamente, le chiese neo-protestanti sono anche società finanziarie poco trasparenti, che rendono milionari i loro capi ministri.[↩]
- Il governo del partito Diritto e Libertà (PiS), al potere dal 2015, guidato da di Kaczyński, fa leva su una politica sociale e di welfare tesa a difendere e rafforzare la famiglia e i valori tradizionali (ad esempio, con il cosiddetto Programma 500+), ed è attivamente appoggiato dalla Conferenza nazionale dei vescovi della Chiesa cattolica (con i suoi giornali, radio e parroci), attestata su posizioni conservatrici che si basano sulla celebrazione di un sistema morale ancora patriarcale, al cui centro c‘è l’ossessione per la famiglia, la riproduzione, il controllo della sfera sessuale. Marek Jedraszewski, arcivescovo di Cracovia, uno tra i massimi esponenti della Conferenza episcopale polacca, ha paragonato la comunità e la cultura LGBTQI alla “peste nera”: “Non esiste più un’epidemia e piaga rossa [la dittatura comunista], ma ne sta nascendo una nuova, quella creata dalla cultura LGBT e delle bandiere arcobaleno, minaccia per i valori e la solidità sociale e familiare della nostra nazione”. Chiesa cattolica e media di destra demonizzano i membri della comunità LGBTQI come “pedofili“, una “minaccia per la nazione“, praticanti di “bestialità” e “vampiri“. Inoltre, la Chiesa cattolica polacca celebra il culto del nazionalismo polacco, al punto da organizzare recite del rosario “per la salvezza della Polonia e del mondo” in diversi punti lungo i confini del Paese il 7 ottobre, anniversario della battaglia di Lepanto, che nel 1571 vide la Lega Santa cattolica guidata da papa Pio V, dal doge veneziano Sebastiano Venier e dalla Spagna infliggere alla flotta dell’Impero Ottomano la sua prima sconfitta, salvando così l’Europa dall’invasione islamica. Dopo il 1989, alla Chiesa sono stati restituiti i beni espropriati dal regime comunista (2.300 chilometri quadrati di terre) con l’esenzione in perpetuo dal pagamento delle tasse. Da allora la Chiesa è diventata il principale speculatore immobiliare del Paese.[↩]
- Il primo ministro ungherese Viktor Orbàn ha messo in atto una lotta contro la politica dei rifugiati dell’Unione Europea, sostenendo che questa rappresenta una minaccia per l’identità culturale cristiana della nazione e potrebbe portare a una “conquista islamica” del continente. I populismi reazionari e razzisti “fioriscono proprio nell’egoismo, che chiude in un cerchio ristretto e soffocante e che non consente di superare la limitatezza dei propri pensieri e guardare oltre”, ha ammonito Papa Francesco che nel suo primo viaggio si era recato a Lampedusa l’8 luglio 2013, e poi a Lesbo nel 2016, al culmine del dramma migratorio dei siriani, e aveva inviato un messaggio all’élite politica europea tornando a Roma con un gruppo di profughi siriani sul suo aereo. Ritornando a Lesbo nel dicembre 2021, Francesco ha detto che l’Europa non ha ascoltato le lezioni della storia e il Mediterraneo è diventato un “mare desolato di morte” dove sono affondate le barche dei contrabbandieri piene di disperati. “Per favore, fermiamo questo naufragio della civiltà“, ha aggiunto, deplorando la decisione adottata da molti Paesi dell’UE di costruire muri lungo i loro confini per tenere fuori i rifugiati. Davanti alla presidente della Grecia, il papa ha detto: “Chiedo a ogni uomo e donna, tutti noi, di superare la paralisi della paura, l’indifferenza che uccide, il cinico disprezzo che condanna a morte con nonchalance chi si trova ai margini”.[↩]