Con Biden gli Stati Uniti sono tornati a reclamare il loro tradizionale ruolo di Paese leader del “mondo libero”, ma la democrazia americana continua a non godere di buona salute. In molti Stati, il Partito Repubblicano, ancora egemonizzato dal conservatorismo etno-nazionalista bianco di Trump e dei trumpisti, sta mettendo sotto attacco il diritto di voto, con l’obiettivo di creare le condizioni per riprendere il controllo del Congresso nelle elezioni di midterm del 2022 e di ricandidare Donald J. Trump alle elezioni presidenziali del 2024.
La “terra dei liberi”?
Quando il presidente degli Stati Uniti Joe Biden dice che “L’America è tornata” e il suo team di politica estera cerca di unire le democrazie del mondo – il cosiddetto “mondo libero” – contro una marea autoritaria crescente, questi obiettivi riflettono la convinzione, raramente messa in discussione dagli americani, che gli Stati Uniti siano in una posizione unica (il cosiddetto “eccezionalismo americano”) per svolgere questo ruolo di leadership. L’argomento più forte a favore di questa visione è essenzialmente negativo: nessun’altra democrazia ha un potere economico o militare sufficiente per esercitare una “leadership” decisiva (comunque la si voglia definire), e nessun’altra democrazia vuole davvero svolgere questo compito.
Per coloro che sono fautori di questa visione ideologica del “destino” americano, il termine “mondo libero” si riferisce a quegli Stati che sono strutturati sulla base di una serie di istituzioni liberali: diritti individuali, tolleranza, responsabilità attraverso elezioni libere ed eque, Stato di diritto, libertà di espressione e simili. Esercitare la “leadership“, a sua volta, significa essere un modello attraente da emulare per gli altri o essere in grado di fare scelte politiche intelligenti, implementarle con successo e convincere gli altri a seguire l’esempio.
Il problema è che gli Stati Uniti da tempo non sono più un buon modello per altri Stati liberali. Agli americani piace chiamare il loro Paese la “terra dei liberi” (land of the free), ma gli Stati Uniti hanno il più alto tasso di carcerazione al mondo, quasi il doppio di quello della Russia1. Il Paese si colloca solo al 28° posto nella classifica dell’Indice di progresso sociale. L’indice annuale della democrazia del settimanale di centro-destra The Economist ha declassato gli Stati Uniti dalla categoria di “piena democrazia” a “democrazia imperfetta” nel 2017 e da allora li ha mantenuti in questa condizione. Per affluenza alle urne gli USA sono solo al 26° posto nel mondo e la fiducia del pubblico nel governo è a livelli storicamente bassi. Ancora oggi, il 25% di tutti gli americani e il 53% dei repubblicani crede che Trump abbia vinto le elezioni del 2020 e che sia il “vero presidente” e quasi la metà di tutti i repubblicani afferma che era appropriato che i legislatori statali provassero a spostare i voti elettorali a Trump negli Stati in cui Biden ha vinto. I repubblicani che rifiutano la menzogna dell’elezione rubata, come la repubblicana Liz Cheney, sono stati rimossi dalle posizioni di leadership nel partito.
L’attacco dei Repubblicani al diritto di voto
Dopo aver perso le elezioni presidenziali del 3 novembre 20202, i Repubblicani (GOP) hanno scatenato un crescente attacco al diritto di voto in America che, per ora, i Democratici non sono stati in grado di contrastare. I Repubblicani hanno alimentato per mesi le accuse di frode elettorale di Trump, che il risultato delle elezioni presidenziali (non di quelli per la Camera dei Rappresentanti e il Senato, però) sia stato “rubato”. Trump continua a dominare la politica del GOP e ad affermare che la sua sconfitta sia stata frutto di brogli elettorali di massa3, una bugia ripetutamente rigettata dai tribunali. Le discussioni speciose hanno comunque creato un esercito di elettori che credono erroneamente che la diffusa frode elettorale sia un vero problema4. Ciò, a sua volta, ha apparentemente fornito ai Repubblicani un pretesto per promuovere e far approvare riforme restrittive del diritti di voto in diversi Stati, assecondando e alimentando i timori dei bianchi che la crescente popolazione non bianca – afroamericana, latinos, asiatica – stia usurpando il loro dominio.
L’attacco dei Repubblicani al diritto di voto viene portato su due fronti:
- la presentazione da parte dei Repubblicani nei Congressi statali di oltre 18 Stati di più di 400 progetti di legge che hanno l’obiettivo di limitare l’accesso al voto, giustificandoli con il contrasto alla frode da parte degli elettori, ma che sono visti dalla maggior parte degli analisti come volti alla “soppressione del diritto di voto” di sezioni della popolazione – afroamericani, latinos, giovani, anziani, persone con disabilità – che tendono a votare democratico5;
- il ridisegno dei distretti elettorali statali sulla base dei dati demografici del censimento nazionale del 2020 forniti dal Census Bureau; ogni 10 anni, la costituzione richiede agli Stati di ridisegnare le mappe sia per i seggi congressuali che per quelli legislativi statali, affidando questo potere ai Congressi degli Stati che dovrebbero concludere questo processo entro la fine del 2021; i Repubblicani raggruppano i loro elettori in determinati distretti (creandosi delle maggioranze), mentre disperdono gli elettori democratici tra gli altri (condannandoli ad essere minoranza per i prossimi 10 anni).
Inoltre, è importante sottolineare che il Census Bureau ha annunciato a fine aprile i totali di ripartizione che determinano quali Stati guadagnano e perdono seggi al Congresso federale. Colorado, Montana, Oregon, North Carolina e Florida guadagneranno tutti un seggio e il Texas ne aggiungerà due. California, Illinois, Michigan, New York, Ohio, Pennsylvania e West Virginia perderanno tutti un seggio. Modifiche che sono potenzialmente destinate ad incidere negativamente sulla maggioranza democratica alla Camera dei Rappresentanti già alle elezioni di midterm del 2022.
Il presidente Biden e i Democratici hanno condannato fermamente queste manovre dei Repubblicani, ma finora non sono stati in grado di fermarle6. Hanno presentato due progetti di legge federali (già approvati dalla Camera):
- il For the People Act che garantirebbe la registrazione automatica e nello stesso giorno dell’elettore, porrebbe limiti alla manipolazione dei distretti elettorali e ai finanziamenti elettorali delle grandi lobby, e ripristinerebbe i diritti di voto per le persone con condanne penali;
- il John Lewis Voting Rights Advancement Act, una misura intitolata al deputato e attivista democratico della Georgia morto nel 2020 che autorizzerebbe nuovamente le protezioni dei diritti di voto stabilite nell’era dei diritti civili, ma eliminate dalla Corte Suprema nel 20137.
Ma, anche se i Democratici controllano entrambe le Camere del Congresso a Washington – ma, alla Camera dei Rappresentanti la loro maggioranza è di soli 9 voti e il Senato è diviso 50-50, con la vicepresidente Harris che dà la maggioranza ai Democratici, mentre due senatori democratici conservatori, Joe Manchin del West Virgina e Kyrsten Sinema dell’Arizona8, tendono a votare con i Repubblicani -, non possono approvarli, perché non hanno abbastanza voti per sbarazzarsi dell’ostruzionismo (filibustering), un’arcana regola del Senato che richiede 60 voti per far avanzare la legislazione, evitando che la minoranza (41 senatori su 100) possa bloccare la legislazione.
Per approvare il For the People Act Biden e i democratici dovrebbero convincere dei senatori repubblicani ad unirsi a loro9. Tuttavia, data la continua presa di Trump sul GOP, qualsiasi senatore repubblicano che si unisse ai democratici nel sostenere il For the People Act probabilmente finirebbe la sua carriera politica.
Una resa dei conti sull’ostruzionismo si è profilata nei primi 100 giorni dell’amministrazione Biden, ma durante i prossimi mesi è chiaro che è inevitabile una resa dei conti che si sbarazzi della procedura. Se il Senato non abroga o modifica la regola dell’ostruzionismo e non approva le riforme sui diritti di voto, i Democratici sono destinati a perdere il controllo della Camera e probabilmente del Senato alle prossime elezioni di midterm (novembre 2022) e forse per una generazione10, con anche l’angosciante concreta prospettiva della ricanditatura di Donald Trump alle elezioni presidenziali del 2024.
Sulla base dei dati demografici del censimento nazionale del 2020, entro la fine del 2021 gli Stati devono completare il processo di ridisegno delle linee distrettuali (i collegi elettorali). Sono i legislatori statali che hanno il potere di tracciare le nuove mappe destinate a rimanere in vigore per il prossimo decennio. Servirebbe una legge federale che fissasse nuovi limiti per impedire la pesante manipolazione delle mappe dei distretti per tornaconto di parte. Anche se probabilmente è già troppo tardi per istituire commissioni di riorganizzazione indipendenti per quest’anno, i Democratici potrebbero ancora approvare nuove regole per imporre processi di ridisegno trasparenti, prevenendo la più grave manipolazione partigiana, il cosiddetto gerrymandering11.
A metà aprile, Chuck Schumer, il leader democratico al Senato, aveva fissato per agosto la scadenza per l’approvazione da parte dei Democratici del loro ampio disegno di legge sui diritti di voto, che avrebbe imposto il voto anticipato, la registrazione automatica e lo stesso giorno, tra le altre misure. Ron Klain, capo dello staff di Biden, aveva affermato che la Casa Bianca sosteneva questo sforzo. Ma, il 23 giugno, sotto la presidenza del vicepresidente Kamala Harris, un voto procedurale del Senato sull’opportunità di avviare il dibattito sul For the People Act si è concluso come previsto con uno stallo 50-50 lungo le linee di partito. “Ogni singolo repubblicano del Senato ha appena votato contro l’inizio del dibattito – l’inizio del dibattito! – sulla legislazione per proteggere i diritti di voto degli americani”, ha detto con rabbia Schumer12. “Ancora una volta, la minoranza repubblicana al Senato ha lanciato un blocco partigiano su una questione urgente qui al Senato degli Stati Uniti. Una questione non meno fondamentale del diritto di voto”. Tre membri democratici della Camera dei rappresentanti e del Black Congressional Caucus – Joyce Beatty (Ohio), Hank Johnson (Georgia) e Sheila Jackson Lee (Texas) – sono stati arrestati nel mese di luglio per aver protestato fuori dal Senato contro il ritardo dei legislatori nell’approvazione della legislazione per proteggere i diritti di voto. Così, agosto è arrivato, la legge non è stata nemmeno discussa e il Congresso è ora in vacanza. La finestra temporale per i Democratici di avere il maggior impatto con la loro legislazione si sta rapidamente chiudendo.
Attualmente, gli elettori registrati come repubblicani costituiscono solo circa il 25% dell’elettorato americano e quella percentuale sembra diminuire sulla scia della disgraziata uscita di Trump. Ma, le regole costituzionali ed elettorali da decenni operano a favore dei Repubblicani, dato che gli Stati rurali repubblicani come il Wyoming (con circa 575 mila abitanti) ottengono due senatori proprio come quelli densamente popolati ed urbanizzati come la California (con quasi 40 milioni), e dato che gli Stati repubblicani hanno distretti che eleggono i membri della Camera che sono manipolati, dando loro circa 19 seggi in più rispetto a quelli che avrebbero senza manipolazioni. Ora, a questo squilibrio si aggiungono le leggi statali post-Trump che hanno reso o stanno rendendo più difficile votare per gli elettori con propensioni per i Democratici e più facile per le legislature statali dominate dai Repubblicani manipolare i conteggi dei voti.
Ammesso che i Democratici riescano ad approvare il John Lewis Voting Rights Advancement Act, l’efficacia di questa nuova legge dipenderebbe da un Dipartimento di Giustizia attivista, disposto a bloccare i cambiamenti statali nelle leggi elettorali che sopprimono i diritti di voto, e da una Corte Suprema attivista, disposta a sostenere tali decisioni del Dipartimento di Giustizia. Difficile pensare che queste due cose possano avvenire. Sotto Trump il Dipartimento di Giustizia è stato completamente soggetto ai desideri del presidente, mentre la Corte Suprema ha visto la nomina di tre relativamente giovani giudici conservatori e si è già schierata con gli Stati repubblicani, approvando (30 giugno) le misure sostenute dai Repubblicani in Arizona che una corte inferiore aveva deciso che gravassero in modo sproporzionato sugli elettori neri, latini e nativi americani13. Inoltre, una nuova legge federale sui diritti di voto non sarebbe in grado di annullare la recente ondata di leggi sulla soppressione e repressione degli elettori degli Stati repubblicani.
Secondo un osservatore acutamente critico come Robert Reich, parte della spiegazione per una mancata energica reazione dei Democratici all’attacco dei Repubblicani al diritto di voto “risiede in un gruppo esterno che ha quasi la stessa influenza sul Partito Democratico come su quello Repubblicano, e che non è particolarmente entusiasta della riforma elettorale: gli interessi dei ricchi che finanziano entrambi i partiti. Una democrazia più solida renderebbe più difficile per i ricchi mantenere basse le tasse e alti i profitti. Così, mentre i suprematisti bianchi hanno fomentato i timori dei bianchi sull’usurpazione del loro dominio da parte dei non bianchi, i ricchi americani hanno speso ingenti somme in donazioni per campagne e lobbisti per impedire alla maggioranza di usurpare il proprio denaro”.
L’evoluzione del Partito Repubblicano
Il conservatorismo etno-nazionalista di Trump ha ormai permeato interamente il Partito Repubblicano. Già nel 2018, i candidati repubblicani per i governatorati in Florida e Georgia avevano condotto due delle campagne più esplicitamente razziste degli ultimi decenni e (seppure di poco) avevano vinto.
Con Trump e i trumpiani si è completato lo spostamento degli elettori bianchi conservatori del sud dal Partito Democratico verso il Partito Repubblicano, iniziato negli anni ’60 – per la prima volta tentato dal candidato alla presidenza Barry Goldwater nel 1964 e poi praticato con la “strategia del sud” da Richard Nixon nel 1968 e 1972 con il supporto di Strom Thurmond, il famigerato senatore segregazionista della Carolina del Sud – allorquando il Partito Democratico è diventato più liberale progressista e ha approvato la legislazione sui diritti civili14.
La presidenza di Trump è stata anche il prodotto finale dell’evoluzione del Partito Repubblicano durata oltre un quarto di secolo (avviata dall’ex presidente della Camera, Newt Gingrich, e da personaggi come Pat Buchanan e il conduttore di talk-show radiofonici Rush Limbaugh nei primi anni ’90) che lo ha portato da essere l’aggregatore politico di un blocco conservatore di interessi sociali diversificati all’essere lo strumento politico di una fazione della destra radicale che ha messo da parte la componente moderata (dei McCain e dei Bush Sr.) per perseguire l’idea di conquistare il potere assoluto e rendere l’America uno Stato monopartitico governato da persone dedite ai tagli fiscali per i ricchi e le grandi corporations, alla deregolamentazione di lavoro e ambiente, alla soppressione del voto delle minoranze e alla saturazione dei tribunali federali con giudici disposti ad annullare il contratto sociale dell’era del New Deal/diritti civili.
Un movimento radicale che crede che la libertà – definita principalmente come uno Stato “leggero” senza tasse punitive sui ricchi – sia più importante della democrazia, che la democrazia (con le sue regole consuetudinarie e norme scritte) minacci la libertà, permettendo a molti di derubare i pochi. Trump ha portato alle estreme conseguenze questo progetto, passando gran parte dei suoi anni di presidenza a estendere i poteri dello Studio Ovale a scapito delle altre istituzioni statali e ad infrangere le norme e le tradizioni che hanno definito a lungo la democrazia americana.
Trump ha anche accentuato l’identità del Partito Repubblicano attorno al nazionalismo bianco, che considera uomini, donne e bambini dalla pelle scura parte di una umanità degradata e come tale privi di qualsiasi valore intrinseco e indegni di protezione. Trump ha paragonato uomini, donne e bambini centro-americani immigrati a parassiti che vogliono “infestare il nostro Paese“. Lo si è potuto vedere quando il suo fidato collaboratore, Stephen Miller, ha dipinto i migranti come minacce, non candidati all’asilo quanto piuttosto all’incarcerazione.
Il 3 novembre 2020 gli americani hanno votato, oltre che per eleggere il presidente, anche per 35 seggi senatoriali, per il rinnovo della Camera dei Rappresentanti e di alcuni governatorati statali15. I Democratici speravano che sarebbero stati puniti i deputati e i senatori repubblicani che hanno permesso che prendessero piede quelle modalità autoritarie e anti-democratiche di gestione del potere che hanno caratterizzato gli anni di Trump. Biden è stato in grado di ottenere i voti necessari degli elettori con elevati livelli di istruzione dei sobborghi (ad Atlanta, Detroit, Milwaukee, Philadelphia e Phoenix), ma molti di questi elettori, tradizionalmente repubblicani, hanno votato in modo disgiunto, votando per un candidato repubblicano al Senato e alla Camera. Nonostante Biden abbia guadagnato voti tra gli elettori bianchi non istruiti nel Midwest rurale, i guadagni dei candidati democratici al Congresso sono stati minimi.
I Democratici moderati hanno accusato la sinistra interna di essere la vera responsabile della debacle parlamentare per aver agitato parole e temi come “socialismo”, “Medicare for all” e “definanziare la polizia” (slogan del movimento Black Lives Matters), mentre la Ocasio-Cortez ha sostenuto che la causa era da identificarsi nella piattaforma eccessivamente moderata del partito. Difficile far coabitare centristi (come il senatore del West Virgina Joe Manchin o quella dell’Arizona Kyrsten Sinema o quello del Montana Jon Tester) e progressisti (come Sanders e Ocasio-Cortez) all’interno dello stesso partito. A causa di un sistema elettorale federale basato sulla rappresentanza statale e di distretto e non direttamente sul voto popolare, e del gerrymandering, per vincere le elezioni i Democratici non solo devono vincere avendo una sorta di super maggioranza a livello nazionale, ma devono adattare il loro messaggio politico ai diversi contesti territoriali. I centristi moderati, la corrente maggioritaria del Partito Democratico, pensano di dover correre a destra per ottenere la super maggioranza, per catturare gli elettori di centro-destra dei sobborghi che essenzialmente sono benestanti e repubblicani. Ma, correndo a destra, non solo si finisce per abbracciare politiche neoliberiste distruttive per la coesione del Paese, si mette a repentaglio l’entusiasmo della stessa base popolare democratica delle lower-middle e working classes. Il partito è bloccato in questo dilemma, e i centristi non sono disposti ad affrontarlo, perché hanno una storia intrinseca di attacchi alla sinistra che risale alla Guerra Fredda.
I Democratici puntavano a togliere la maggioranza ai Repubblicani al Senato (che era di 53 a 47), cercando di guadagnare almeno 3 seggi. Invece, i risultati del 3 novembre hanno portato ad un rapporto di forze favorevole, anche se non definitivo – 50 a 48 – per i Repubblicani. Mitch McConnell, il leader repubblicano al Senato, che ha perseguito una linea improntata all’ostruzionismo più totale durante la presidenza Obama e ha appoggiato le scelte di Trump, è stato rieletto e non ha pagato alcun prezzo politico.
Per il controllo del Senato sono diventate cruciali le elezioni per i ballottaggi dei due seggi senatoriali della Georgia il 5 gennaio 2021. La vittoria (in parte inaspettata) dei candidati democratici ha portato ad un controllo del Senato da parte del Partito Democratico, grazie al voto della vicepresidente Harris, consentendo a Biden di combattere le “grandi battaglie del nostro tempo” di cui ha parlato mentre delineava sei priorità chiave: il coronavirus, l’economia, l’assistenza sanitaria, “la battaglia per ottenere la giustizia razziale e sradicare il razzismo sistemico“, la crisi climatica e “la battaglia per ripristinare la decenza, difendere la democrazia e dare a tutti in questo Paese una giusta possibilità”.
Alla Camera, dove i Democratici avevano conquistato un’ampia maggioranza nel 2018 (232 contro 197) e puntavano ad ampliarla, hanno mantenuto il controllo (222 contro 213), nonostante importanti sconfitte in Florida, Nord Carolina, New York e Minnesota. Se nelle file dei democratici si è irrobustita l’ala progressista (con figure come Cory Bush, Jamaal Bowman, Ritchie Torres, Mondaire Jones, etc.), in quelle dei repubblicani si è ampliata l’ala della destra più radicale (con figure come Madison Cawthorn, Marjorie Taylor Greene e Laureen Boebert). Se il Senato rimane bloccato dal filibustering gestito dai Repubblicani e Biden continuerà ad avere le mani legate, la Camera controllata dai Democratici diventerà sempre più insoddisfatta e intollerante, alimentando così la ribellione nell’ala sinistra del partito, soprattutto proveniente da Stati molto progressisti come California e New York.
Per Biden una delle questioni cruciali sarà la futura evoluzione politica di Trump e del Partito Repubblicano. Durante la sua presidenza, Trump ha rimodellato a sua immagine il Partito Repubblicano e per quattro anni i repubblicani gli hanno assicurato la loro incrollabile lealtà. Lo hanno protetto dagli impeachment, hanno tacitamente approvato quando al confine con il Messico i bambini sono stati separati dai genitori e messi in gabbie, e hanno guardato dall’altra parte mentre gli americani che protestavano pacificamente venivano gasati per dare a Trump un’opportunità fotografica.
Le elezioni del 3 novembre 2020 hanno dimostrato che Trump e il trumpismo, il movimento politico-sociale radicale che lo aveva portato alla presidenza nel 2016 e sostenuto durante i 4 anni di presidenza, sono ormai una parte fondamentale della società americana con cui dover fare i conti. Trump ha ottenuto circa 74 milioni di voti (il secondo più alto totale nella storia americana), pari al 47,2% dei voti a livello nazionale, vincendo in 25 Stati su 50, inclusi Florida e Texas. Ha dimostrato di avere una presa straordinaria su vasti territori (i red States) e una connessione viscerale con milioni di sostenitori che ha prodotto una devozione quasi simile a un culto di una religione della sfiducia e del risentimento verso lo Stato, tutto ciò che è pubblico, la politica mainstream (regole basilari della democrazia, partiti, istituzioni, stampa, organizzazioni di rappresentanza, cultura accademica), la globalizzazione, e i valori tradizionali americani come il fair play istituzionale, il pragmatismo, lo Stato di diritto e la libertà di stampa.
Ciò nonostante Trump è stato sconfitto, diventando uno dei soli quattro presidenti nell’era moderna a non avere vinto un secondo mandato. Non è riuscito a espandere il suo sostegno elettorale oltre la sua base adorante e, francamente, non si è neanche sforzato di farlo, rimanendo un presidente deliberatamente divisivo. Il malcontento, la rabbia, l’odio e la paura (della globalizzazione, del declino economico, delle disuguaglianze, delle discriminazioni razziali, della “sostituzione” della popolazione bianca, etc.) con cui hanno convissuto la maggior parte degli americani dopo la crisi finanziaria nel 2008 e che hanno portato Trump al potere nel 2016 non sono scomparsi. La sensazione di milioni di cittadini americani (soprattutto uomini bianchi appartenenti alla classe lavoratrice e all’America rurale) di essere stati abbandonati, lasciati fuori e soli, ignorati o liquidati come “deplorevoli” è ancora forte.
Secondo il Brookings Institute, Biden ha conquistato 477 contee grandi, urbane, suburbane e densamente popolate che rappresentano il 70% dell’economia americana, mentre la base elettorale di Trump comprende 2.497 contee che rappresentano solo il 30% e che sono più bianche e meno istruite, comprendono soprattutto piccole città e aree rurali in difficoltà. Finché gli americani bianchi poveri avranno poche speranze di una vita migliore, continueranno a cercare un leader come Trump, anche se poi realmente, a parte il razzismo, la xenofobia anti-immigrati, lo sdoganamento di una comunicazione unpolitically correct e il bigottismo religioso, Trump non ha avuto nulla da offrire a loro. La prova è stata la riforma fiscale voluta da Trump che ha rappresentato l’ennesimo regalo a favore dei ricchi e delle grandi corporations e poco o nulla ha inciso sulla condizione economica del ceto medio e delle working classes bianche. Finché non si affronteranno le profonde fratture e disuguaglianze che si sono create nella politica e società americana negli ultimi decenni, è assai probabile che gran parte dell’America rossa e del blocco sociale radical-conservatore che Trump è arrivato a dominare, anelerà un suo ritorno. Trump continuerà a essere la figura dominante nel movimento radical-conservatore anche negli anni a venire. Il trumpismo potrebbe finire per avere lo stesso effetto trasformativo sul conservatorismo americano del reaganismo. I precedenti che Trump ha stabilito, i dubbi che ha seminato e le affermazioni che ha fatto rimarranno.
Trump rimarrà una figura profondamente polarizzante e potrebbe candidarsi di nuovo nel 2024, parlando delle stesse teorie del complotto sulla frode elettorale e sulle elezioni che gli sono state rubate nel 2020. Questo significa che la frattura politica della società americana, che non è solo ideologica, ma anche frutto di una divisione di classe e di una polarizzazione rurale-urbana, potrebbe diventare più profonda e più a lungo termine. Con il Partito Repubblicano e una grossa fetta degli elettori dalla sua parte, Trump – come leader de facto dell’opposizione, tweeter freelance, star di talk show o barone dei media – continuerà ad attirare enormi livelli di attenzione e sostegno, che utilizzerà per pressare ed indebolire i democratici, svergognare pubblicamente deputati e senatori repubblicani per spingerli a combattere Biden su tutto, e per lanciare lo stesso messaggio stizzoso, controfattuale, noi-contro-gli-esperti-e-tutti-gli altri che ha diffuso nei quattro anni di presidenza. Tra l’altro è importante sottolineare che i sei Stati altalenanti che hanno dato a Biden le elezioni del 2020 – Pennsylvania, Michigan, Wisconsin, Georgia, Arizona e Nevada – hanno tutti dei Congressi controllati dai repubblicani e la maggior parte ha governatori repubblicani. Sono queste legislature che promulgano le leggi che influenzano più direttamente la maggior parte degli americani – bloccando le misure per combattere il Covid-19, privando i voti delle minoranze e dei giovani elettori, ridisegnando i distretti elettorali statali, rinnovando gli assalti all’autonomia sessuale e riproduttiva e, in generale, ripristinando l’egemonia maschile bianca tradizionale.
Allo stesso tempo, è anche possibile che emerga un nuovo leader più giovane, un politico più capace, più disciplinato sul piano politico-organizzativo e con un messaggio ideologico più inclusivo (ad esempio, meno esplicitamente razzista e sessista, più “pro-lavoratore” e pro-classe media). Figure come i senatori Ted Cruz, Tom Cotton, Marco Rubio, Josh Hawley o Lindsey Graham, o il deputato texano Dan Crenshaw, o il governatore della Florida, Ron DeSantis, un fedele alleato di Trump, o l’ex vicepresidente Mike Pence o Mike Pompeo, l’ex Segretario di Stato di Trump, o ancora Nikki Haley, l’ex ambasciatrice all’ONU. Oppure, la base trumpiana potrebbe spostarsi completamente verso i teorici della cospirazione, i vigilantes armati, un rinato Ku Klux Klan. Si potrebbe entrare in uno scenario pericoloso in cui l’incapacità del governo Biden di implementare delle policies o la rabbia dei repubblicani per i tentativi del governo Biden di farlo, non farà che intensificare la già viziosa polarizzazione del Paese, riducendo ulteriormente le possibilità di cooperazione e, possibilmente, portando alla violenza.
Infine, è assai improbabile che si apra una battaglia interna per la direzione futura del Partito Repubblicano tra la fazione radicale guidata da Trump e quei pochi leader rimasti della componente centrista-moderata – come Mitt Romney, senatore per lo Utah – sopravvissuti in silenzio agli anni di presidenza di Trump. Questi moderati, però, potrebbero decidere di (o essere costretti ad) abbandonare il partito e fare un’alleanza bipartisan con Biden in cambio di incarichi governativi e di un riformismo molto, molto moderato. Se i repubblicani moderati devono gestire il difficile rapporto con l’ala della destra radicale trumpiana, Biden deve gestire il complesso rapporto con l’ala democratico-socialista di Sanders, Ocasio-Cortez e Warren, e un accordo bipartisan con i repubblicani moderati potrebbe dare a Biden i voti sia alla Camera sia al Senato per far passare alcune riforme (seppure molto moderate) o il piano di investimenti nelle infrastrutture.
L’attacco al diritto di voto da parte degli Stati controllati dai Repubblicani
In 23 Stati degli USA – tra cui Arkansas, Florida, Idaho, Iowa, Kentucky, Louisiana, Michigan, Montana, North Carolina, North Virginia, Oklahoma, South Carolina, Tennessee, Texas, Utah – i Repubblicani detengono il governatorato e il controllo del Congresso, dando al Partito un potere quasi totale per far avanzare le sue politiche. Nel 2021, i Repubblicani hanno usato questo potere per spingere in modo aggressivo la loro agenda sociale conservatrice, mirando all’accesso all’aborto, ai diritti dei transgender, al controllo delle armi e al diritto di protesta in luogo pubblico, nonché alle leggi di voto. La Costituzione conferisce poco potere al livello federale nel campo della legislazione sul voto, riservando le competenze quasi esclusivamente agli Stati. Secondo il Brennan Center for Justice, a metà maggio 14 Stati avevano emanato 22 leggi restrittive del diritto di voto. A metà luglio gli Stati sono diventati 18 e le leggi 30. Questo, anche se c’è da dire che almeno 25 Stati hanno promulgato 54 leggi con disposizioni per ampliare l’accesso al voto16.
I Congressi statali controllati dai Repubblicani stanno rendendo più facile possedere una pistola che votare, ha detto Schumer. Stanno rendendo più difficile votare in anticipo, più difficile votare per posta, più difficile votare dopo il lavoro. Stanno rendendo un crimine dare cibo o acqua agli elettori che aspettano in lunghe file. Stanno cercando di rendere più difficile per gli afroamericani e i latinos che frequentano una chiesa di votare di domenica. E in realtà stanno rendendo più facile per giudici non eletti e commissioni elettorali partigiane ribaltare i risultati di un’elezione, aprendo la porta a un demagogo di tipo trumpiano, forse lo stesso Trump, per cercare di sovvertire le elezioni nello stesso modo in cui Trump ha provato a fare nel 2020.
Il primo Stato ad approvare leggi restrittive del diritto di voto è stata la Georgia, dopo che lo Stato ha registrato un’affluenza record alle elezioni di novembre 2020 e ai ballottaggi al Senato federale del gennaio 2021, comprese le impennate tra gli elettori neri e di altre minoranze. Il 25 marzo il governatore repubblicano Brian Kemp ha firmato17 una legge che Biden ha definito “Jim Crow nel 21° secolo“, un riferimento al sistema di segregazione razzista che è rimasto in vigore per 100 anni dopo la guerra civile (1865-1965)18. La legge impone nuove e radicali restrizioni all’accesso al voto nello Stato che rendono più difficile il voto per corrispondenza e danno al legislatore statale più potere sulle elezioni19. Richiede agli elettori di presentare le informazioni sull’identità sia con una richiesta di voto per corrispondenza che con il voto stesso. Limita l’uso delle urne elettorali per il voto in absentia, consente sfide illimitate alle qualifiche di un elettore, riduce il periodo di ballottaggio da nove a quattro settimane e riduce significativamente la quantità di tempo a disposizione degli elettori per richiedere un voto per corrispondenza. Una misura nella legge vieta di fornire cibo o acqua alle persone in fila per votare (introdotta anche in Arkansas).
I legislatori Repubblicani del Texas hanno usato il parafulmine dell'”integrità elettorale” per introdurre almeno 49 progetti di legge con disposizioni di voto restrittive nel 2021 (29 cercavano di creare nuove barriere al voto creando o potenziando anche le sanzioni penali ad esse collegate), il numero più alto di qualsiasi Stato negli Stati Uniti. In particolare, il Congresso statale controllato dai Repubblicani ha deciso di approvare il disegno di legge omnibus, noto come SB7, che rende più difficile votare in uno Stato già famigerato per essere il luogo dove è più difficile votare a livello nazionale. L’SB7 elimina misure come il voto drive-through e limita le ore del voto anticipato. Dà anche potere agli osservatori/scrutatori partigiani delle votazioni, alimentando preoccupazioni per le tattiche di intimidazione in uno Stato con una lunga storia di vigilantismo razzista.
I due repubblicani che hanno messo insieme l’SB7, il senatore Bryan Hughes e il deputato Briscoe Cain, hanno definito il disegno di legge “uno dei progetti di riforma elettorale più completi e sensati” nella storia dello Stato. Greg Abbott, il governatore repubblicano del Texas, ha detto che lo avrebbe firmato. I legislatori Democratici del Texas hanno organizzato una protesta, abbandonando le aule parlamentari dello Stato, nel tentativo di bloccare l’approvazione di questa e altre leggi restrittive20. Hanno detto anche che ricorreranno in tribunale (fino alla Corte Suprema, se necessario), mentre anche imprese locali, Camere di Commercio e alcune delle principali società nazionali – tra cui Etsy, American Airlines, Warby Parker, Microsoft e molte altre – hanno invitato i membri del Congresso del Texas ad opporsi a qualsiasi cambiamento che renderebbe più difficile votare. I Repubblicani si sono scrollati di dosso tali obiezioni.
Joe Biden ha condannato come “sbagliato e non americano; nel 21° secolo, dovremmo rendere più facile, non più difficile, votare per ogni elettore idoneo”. Secondo il presidente, il disegno di legge del Texas “attacca il sacro diritto di voto“, in particolare tra le minoranze. Le modifiche, infatti, potrebbero limitare in modo sproporzionato il diritto di voto dei texani anziani e diversamente abili, nonché degli elettori di colore e degli abitanti delle città. L’SB7 impone una pesante revisione del sistema elettorale in Texas, che interessa quasi ogni area del codice elettorale, ma che in particolare prende di mira a eliminare o limitare fortemente pratiche di voto specifiche che si sono verificate in luoghi specifici dove gli elettori democratici sono in maggioranza.
In Michigan, dopo che Trump ha perso per un pelo uno degli Stati chiave dove c’è stata un’affluenza record, i Repubblicani hanno deciso di muoversi per attuare ampie restrizioni per limitare l’accesso alle urne. Ad aprile hanno annunciato l’intenzione di utilizzare una manovra procedurale poco usata e antidemocrarica per aggirare un veto del governatore democratico e promulgare una legge elettorale che contiene pesanti restrizioni al voto. Vogliono approfittare di una stranezza prevista dalla legge del Michigan che consente agli elettori di inviare un disegno di legge al legislatore se poco più di 340 mila elettori firmano una petizione chiedendo loro di accoglierla. A questo tipo di disegni di legge non può essere posto il veto dal governatore21.
Le proposte repubblicane includono misure incredibilmente restrittive del diritto di voto, anche se ritardate rispetto ad altre misure che gli Stati stanno prendendo in considerazione. Un disegno di legge vieta al Segretario di Stato del Michigan non solo di inviare le domande di voto per corrispondenza a tutti gli elettori, ma impedisce anche di fornire un link su un sito web statale a una richiesta di voto per corrispondenza. Un’altra proposta non consente agli elettori di utilizzare le urne per il voto in absentia dopo le 17.00 del giorno prima del giorno delle elezioni. Una misura diversa richiederebbe agli elettori di fare una fotocopia del proprio documento d’identità (che negli USA non è obbligatorio) e di inviarlo per posta per votare.
Riuscire ad approvare nuove restrizioni del diritto di voto è urgente per i Repubblicani perché stanno per perdere uno dei loro più potenti vantaggi nella legislatura statale. Un decennio fa, i Repubblicani hanno manipolato i confini dei distretti elettorali in modo tale da garantire virtualmente che avrebbero ottenuto la maggioranza dei seggi. Quella manipolazione, chiamata gerrymendering, ha permesso ai repubblicani di controllare la legislatura dal 2011. Ma nel 2018, gli elettori hanno approvato a stragrande maggioranza una misura elettorale per privare i legislatori della loro capacità di ridisegnare i distretti, dando il potere a una commissione indipendente. Con la commissione destinata a disegnare nuovi distretti entro la fine dell’anno, le nuove restrizioni potrebbero essere l’ultimo tentativo dei Repubblicani di distorcere le regole di voto per dare loro un vantaggio nelle elezioni. Inoltre, sempre nel 2018, gli elettori hanno approvato a stragrande maggioranza un emendamento costituzionale per espandere il voto per corrispondenza nello Stato, un diritto che ora i Repubblicani stanno cercando di limitare se non di annullare con le loro riforme.
Un cittadino un voto, ma ognuno con un peso diverso: il meccanismo del Collegio Elettorale Nazionale
Nel 2016, Donald J. Trump è diventato il 45mo presidente degli Stati Uniti vincendo nel Collegio Elettorale Nazionale, ma essendo stato sconfitto nel voto popolare per circa 2,8 milioni di voti, con solo il 46,4% (nel 2000 George W. Bush vinse le presidenziali in un modo simile). Il meccanismo del Collegio Elettorale Nazionale conferisce un potere sproporzionato agli Stati rurali più piccoli, che sono quasi invariabilmente poco popolati e conservatori. Ogni Stato riceve un numero di grandi elettori pari al numero dei membri della Camera dei Rappresentanti provenienti da quello Stato, più due aggiuntivi (come due sono i senatori di ogni Stato a prescindere dalla popolazione), in questo modo il potere di voto effettivo degli Stati più piccoli viene triplicato. La Clinton è stato il quarto candidato – dopo Samuel Tilden (1876), Grover Cleveland (1888) e Al Gore (2000) – a perdere il collegio elettorale vincendo il voto popolare.
Nel 2016, Trump ha rovesciato l’establishment neoconservatore repubblicano (battendo 16 rivali nelle primarie e riuscendo nell’impresa già tentata dal businessman miliardario Ross Perot nel 1992 e nel 1996 con un terzo partito) e fatto una campagna elettorale anti-globalizzazione all’insegna di slogan come America first! (già utilizzato dal’anti-globalista e nazionalista di destra Pat Buchanan negli anni ’90 e soprattutto dal movimento filo-nazista americano negli anni immediatamente precedenti all’entrata degli USA nella Seconda Guerra Mondiale), “fare di nuovo grande l’America” (già utilizzato da Reagan nella campagna del 1980) e “riportare in America i posti di lavoro che ci hanno rubato”, raccogliendo voti di maschi bianchi bene educati appartenenti ai ceti medi alti attratti dalla promessa di una riduzione del carico fiscale, di operai bianchi impoveriti e impauriti, di giovani disoccupati, di lavoratori con un background di immigrazione terrorizzati dalla concorrenza sul mercato del lavoro da parte di nuovi immigrati.
A portare Trump alla Casa Bianca è stata la sua immagine di paladino delle middle and working classes e della middle America, e i voti degli (ex) operai bianchi del Michigan, Pennsylvania e Wisconsin (dove Trump ha vinto, rispettivamente, per 10.705 voti, 44.292 voti e 22.748 voti, ossia per un totale di 77.744 voti che gli hanno dato la maggioranza nel Collegio Elettorale Nazionale) sono stati decisivi, rendendo irrilevanti i milioni di voti della Clinton negli Stati di New York e California. “Tutte le decisioni verranno prese nell’interesse dell’America. Commercio, immigrazione: farò ogni scelta tenendo conto dei nostri, i vostri interessi. Siete stati dimenticati troppo a lungo. Io non lo farò. America First!”
Alle elezioni di midterm del 2018, Trump aveva condotto in prima persona una campagna elettorale all’insegna del noi-contro-loro, costruita sui temi della paura dell’immigrazione, del nazionalismo, del protezionismo economico e culturale, e delle contrapposizioni razziali, nel tentativo di salvare il controllo repubblicano del Congresso per i restanti due anni del suo mandato. L’affluenza record (31 milioni di votanti in più dei 114 milioni del 2014) ha dimostrato la sua capacità di infiammare la sua base e di galvanizzare l’opposizione. I Democratici avevano vinto il voto popolare a livello nazionale di oltre l’8% alle elezioni per la Camera (secondo il Brookings Institution, i distretti in cui hanno vinto i Democratici producono oltre il 60% del PIL americano) e hanno avuto 11 milioni di voti in più a quelle per il Senato, nelle quali però i Repubblicani hanno potuto uscire complessivamente vincenti perché uno Stato rurale conservatore quasi disabitato, come il Wyoming – circa 575 mila abitanti – ha la stessa rappresentanza – due seggi – della progressista California, dove vivono 39 milioni di persone.
Un sistema elettorale sbilanciato che, grazie al Collegio Elettorale Nazionale (previsto dall’articolo 2 della Costituzione) per le elezioni presidenziali, dà un potere sproporzionato alla parte perdente in termini di numero dei voti dei cittadini. L’esistenza del Collegio Elettorale Nazionale è frutto del compromesso politico raggiunto tra i 13 Stati originari che costituirono l’Unione nata con la Costituzione del 1787. Questi Stati si unirono a condizione che fosse istituito un governo presidenziale espressione paritaria delle entità statali componenti. All’origine quel compromesso tenne insieme Stati grandi e piccoli (addirittura con un conteggio che ponderava gli schiavi meno dei bianchi) e, dopo la Guerra Civile, ha consentito la riunificazione del Paese purché gli Stati perdenti della Confederazione continuassero a pesare come quelli nordisti, a mantenere l’autonomia statale prevista in Costituzione ed a preservare il meccanismo doppio, popolazione (il voto popolare) e Stati, nelle elezioni presidenziali. Per cui, il sistema elettorale presidenziale è fondato sulle scelte maggioritarie Stato per Stato e il presidente non rappresenta solo i cittadini americani, ma ancor più gli Stati.
Quando gli americani votano per il presidente, in realtà votano per un rappresentante del partito di quel candidato che diviene un grande elettore. I grandi elettori sono 538 e votano per il presidente a nome del popolo del loro Stato. Ad ogni Stato viene assegnato un certo numero di questi grandi elettori (minimo 3), in base al numero di distretti congressuali che hanno (ossia del numero dei rappresentanti alla Camera, riflettendo solo in parte la distribuzione della popolazione), più due voti aggiuntivi che rappresentano i seggi del Senato dello Stato. Washington DC riceve tre voti elettorali, nonostante non abbia una rappresentanza elettorale al Congresso.
Per vincere la presidenza è necessaria una maggioranza di 270 dei voti grandi elettori. I grandi elettori vengono assegnati quasi sempre (ad eccezione di Maine e Nebraska che hanno adottato il “metodo del distretto congressuale“) con un sistema winner-takes-all, per cui il candidato con il maggior numero di voti in uno Stato ottiene tutti i voti dei grandi elettori di quello Stato. Ciò significa che un candidato ha bisogno di un solo voto in più di qualsiasi altro candidato per conquistare tutti i grandi elettori dello Stato. Ad esempio, nel 2016, Trump ha battuto la Clinton in Florida con un margine di appena il 2,2%, ma ciò ha significato che ha ottenuto tutti i 29 voti del Collegio Elettorale Nazionale cruciali della Florida.
Per come è strutturato, questo sistema favorisce una sovrarappresentanza della minoranza rurale, che è geograficamente dispersa sul territorio, seppure concentrata soprattutto negli Stati centro-meridionali (originariamente gli Stati schiavisti) con bassa densità di popolazione, prevalentemente repubblicana, cristiana, anziana, bianca e senza un diploma universitario (e spesso alleata con la classe media suburbana bianca), rispetto alla crescente e diversificata (per classe sociale, genere, cultura, fede religiosa ed etnia) maggioranza che vive nelle piattaforme urbane e metropolitane e che è prevalentemente democratica, ha un maggiore livello di istruzione ed è più giovane.
Il Wyoming ha un voto per il Collegio Elettorale Nazionale ogni 193 mila persone, mentre la California un voto ogni 718 mila persone. Ciò significa che ogni voto elettorale in California rappresenta oltre il triplo di persone rispetto a uno nel Wyoming. Queste disparità si ripetono in tutto il Paese.
E’ quindi un sistema che è costantemente a rischio di perdere legittimità agli occhi dei cittadini, considerando anche che entro il 2040, il 70% degli americani vivrà nei 15 Stati più fortemente urbanizzati, con circa il 40% in soli 5 Stati che saranno rappresentati solo da 10 senatori. Il che significa che, se il sistema non verrà modificato, il 30% degli americani eleggerà 70 dei 100 senatori.
Tuttavia, tutte le volte che sono state avanzate proposte per eleggere il presidente con il voto diretto dei cittadini e riequilibrare la composizione del Senato, le iniziative sono state bocciate da un Senato che non vuole spogliarsi delle sue prerogative. D’altra parte, per modificare con un emendamento la Costituzione – ma l’unico articolo immodificabile della Costituzione è quello che prevede che ogni Stato non può essere privato del diritto di avere due senatori – occorre l’iniziativa dei due terzi di entrambi i rami del Congresso e per ratificarlo il voto dei tre quarti degli Stati, condizioni che molto probabilmente non potranno essere mai raggiunte.
Molti osservatori ritengono che le polarizzazioni e le fratture tribali e politico-culturali nella società americana che Trump ha personalmente evocato, favorito e cavalcato durante la sua presidenza come nessun presidente ha mai fatto da prima dell’era dei diritti civili, arrivando a fomentare il tentativo di colpo di Stato del 6 gennaio 2021 da parte dei suoi fedeli “patrioti”, dureranno sicuramente a lungo.
Trump aveva trasformato le elezioni presidenziali del 3 novembre 2020 in una sorta di referendum su sé stesso e le sue distopie politiche. Si è autodescritto come un “nazionalista” e ha demonizzato i Democratici, accusando che “l’agenda democratica produrrà un incubo socialista, riducendo l’America come il Venezuela”. Ma, Biden, attento a non ripetere gli errori della Clinton nel 2016, ha profuso la sua attenzione sul trio di Stati della “rust belt” che avevano dato la vittoria a Trump: Pennsylvania, Wisconsin e Michigan. Ha ricostruito il “blue wall” del Midwest che Trump aveva in parte abbattuto nel 2016, ma ha anche colto le opportunità per cambiare il panorama elettorale tradizionale, vincendo in bastioni repubblicani come Arizona e Georgia.
Biden ha detto di voler essere “un presidente che non cerca di dividere, ma di unire“, di voler “restaurare l’anima dell’America, ricostruire la spina dorsale della nazione, la classe media, e rendere di nuovo l’America rispettata nel mondo“. “Per fare progressi, dobbiamo smetterla di trattare i nostri avversari come nostri nemici. Non siamo nemici. Siamo americani.” Un appello che deve fare i conti con le profonde disuguaglianze economiche e sociali presenti nella società americana e con il fatto che il “popolo di Trump” ha dimostrato di essere vivo e pronto a resistere e combattere in vista delle elezioni del 2022 e 2024, con il rischio che la presidenza del centrista moderato Biden si riveli solo una tregua temporanea.
- Gli Stati Uniti sono caratterizzati da un’estesa criminalizzazione di comportamenti che in altri Paesi sono trattati a livello amministrativo e non penale. Criminalizzazione che colpisce ovviamente i poveri e le minoranze, dato che le due condizioni tendono a sovrapporsi. Tra le altre cose, in alcuni Stati degli USA essere carcerati o aver subito una condanna penale comporta anche la perdita del diritto di voto, pur avendo già scontato la pena. Si tratta di un meccanismo utilizzato dai repubblicani soprattutto in Florida, uno Stato in bilico e influente nel conteggio dei delegati elettorali per le elezioni presidenziali (grazie ad un risultato abbastanza dubbio questo Stato fu decisivo nella vittoria di Bush figlio su Gore. In Florida i repubblicani avevano approvato una legge che escludeva queste persone dal voto (e parliamo di alcune centinaia di migliaia di persone). Un referendum popolare ha bocciato la legge restituendo a questi cittadini il diritto di voto, ma i repubblicani hanno trovato uno stratagemma legale per non dare seguito al referendum. Per poter riacquisire il diritto di voto i condannati devono liquidare il costo delle procedure giudiziarie derivanti dalle loro condanne. In molti casi lo Stato non è in grado nemmeno di definire a quanto ammontino e gran parte di questi condannati appartengono agli strati più poveri e quindi non sarebbero in grado di farvi fronte. L’ex sindaco di New York Michael Bloomberg, repubblicano ostile a Trump, ha raccolto fondi per coprire queste spese e ridare il diritto di voto a questi cittadini e allora i repubblicani hanno aperto un’azione legale per cercare di bloccarlo.[↩]
- Il 3 novembre 2020 gli elettori americani hanno espresso il loro voto in massa (circa 160 milioni di votanti, oltre 20 milioni in più del 2016 e pari a più del 65,5% degli aventi diritto, la più alta percentuale dal 1908) in un clima teso, consapevoli di dover fare una scelta carica di conseguenze riguardo al futuro delle proprie vite, del Paese e del mondo. Joseph R. Biden è stato dichiarato presidente eletto dai media mainstream solo nella tarda mattinata di sabato 7 novembre, dopo diversi giorni di conteggio dei voti, quando i principali organi di informazione hanno assegnato la Pennsylvania e i suoi 20 voti elettorali all’ex vicepresidente. Subito dopo l’assegnazione della Pennsylvania, i media hanno annunciato che Biden aveva sconfitto Trump anche in Arizona e Nevada, dandogli un totale di 290 grandi elettori contro i 214 di Trump (il conteggio finale è stato 306 a 232). Biden ha ottenuto oltre 81 milioni di voti popolari (51%, circa 14 milioni in più della Clinton nel 2016), contro i 74 milioni (47,2%) di Trump (circa 11 milioni in più del 2016, migliorando anche la sua posizione tra gli elettori latini e afroamericani). Il presidente in carica si è rifiutato di ammettere ufficialmente la sconfitta, dopo aver prematuramente proclamato vittoria (alle 2 di notte del 4 novembre) e poi avviato delle azioni legali tese a fermare il conteggio dei voti postali e per e-mail, affermando, senza fornire prove, che erano “illegali”, frutto di una frode di dimensioni gigantesche. La forte mobilitazione di democratici e repubblicani ha determinato un’ondata di votazioni anticipate e per posta (oltre 101 milioni). Proprio grazie allo scrutinio del voto postale, Biden ha ribaltato il risultato del voto in presenza e vinto in Wisconsin, Michigan, Pennsylvania, Arizona e Georgia. Trump ha sostenuto che l’elezione gli veniva “rubata” e ha cercato di ottenere riconteggi e di aprire una battaglia legale per cercare di arrivare ad un giudizio della Corte Suprema (controllata da una maggioranza di giudici di orientamento conservatori nominati da maggioranze senatoriali repubblicane). Anche se alcuni dei leader repubblicani e dei media conservatori (come Fox News e The New York Post, controllati dalla famiglia Murdoch) avevano cominciato a prendere le distanze da lui, Trump ha attivato manovre legali che avrebbero potuto impedire a 5 Stati (Wisconsin, Michigan, Pennsylvania, Arizona e Georgia) di certificare il voto e rispettare il termine legale dell’8 dicembre per la scelta dei grandi elettori del Collegio Elettorale Nazionale. D’altra parte, un capovolgimento di soli 81 mila voti in quattro stati, su oltre 150 milioni a livello nazionale (cioè circa lo 0,05%), avrebbe consegnato ancora una volta la vittoria di Trump al Collegio. Nonostante le elezioni presidenziali siano state, secondo funzionari federali e statali, le “più sicure nella storia americana“, senza alcuna prova che i voti siano stati compromessi o alterati, il leader della maggioranza al Senato Mitch McConnell e altri politici repubblicani hanno dato il loro sostegno a questi tentativi di Trump di contestare l’esito delle elezioni, rifiutandosi di riconoscere Biden come presidente eletto per alcune settimane in modo da ostacolare anche il processo di transizione. D’altra parte, dalla “elezione rubata” (Bush vs. Gore) del 2000 in poi, ogni presidente è stato considerato illegittimo da una crescente percentuale dei sostenitori del partito avversario, da George W. Bush a Donald Trump, passando per Barack Obama. Di fatto, Trump ha tentato di portare avanti in modo caotico un apparente colpo di Stato per rovesciare il risultato elettorale, incitando il tragico assalto da parte dei suoi fedeli “patrioti” al Campidoglio di Washington il 6 gennaio 2020.[↩]
- Per la destra repubblicana tre sarebbero stati i principali strumenti attraverso i quali i democratici avrebbero falsificato il voto: la manipolazione del voto postale, che negli Stati Uniti è largamente diffuso; l’ammissione al voto di immigrati clandestini che in realtà non potrebbero votare; meccanismi tali da consentire a molti elettori di esercitare i loro diritti elettorali in due Stati diversi. Nessuna di queste accuse è stata supportata da informazioni credibili.[↩]
- Le bugie di Trump sulle elezioni hanno alimentato l’attacco al Campidoglio degli Stati Uniti da parte dei suoi sostenitori il 6 gennaio (un vero e proprio tentativo di colpo di Stato, nel corso del quale sono stati uccisi due poliziotti). Il 28 maggio, i Repubblicani del Senato hanno usato l’ostruzionismo (filibustering) per bloccare la formazione di una commissione indipendente, in stile 11 settembre, per indagare su quella rivolta.[↩]
- Le tattiche per la sistematica “soppressione del diritto di voto” implentate dagli Stati, soprattutto del Sud, rendono l’esercizio del diritto di voto nelle zone abitate da afro-americani e da altre minoranze sempre più difficile. Una sorta di percorso a ostacoli e di battaglia contro la burocrazia: dalle rigide leggi sulle carte d’identità con foto alla chiusura dei seggi elettorali, dalla riduzione dei tempi di votazione alla limitazioni alla registrazione, fino all’eliminazione dalle liste elettorali di determinate categorie di cittadini, come i carcerati e i condannati per reati penali. In alcuni Stati repubblicani viene manipolata anche la distribuzione dei seggi elettorali all’interno dei distretti. Nelle zone benestanti, tendenzialmente a favore del GOP, i seggi sono numerosi, mentre in quelle più povere che votano per i Democratici sono pochi. In questo modo si creano file di ore che tendono a scoraggiare gli elettori. Questo meccanismo funziona anche perché negli USA si vota in un giorno lavorativo (il primo martedì, dopo il primo lunedì di novembre) e molti non si possono permettere di perdere il salario di una giornata per votare. Tutto questo accade perché nel 2013 un verdetto della Corte Suprema ha eliminato una parte del Voting Rights Act del 1965, che stabiliva il divieto per gli Stati di adottare norme che ostacolano il diritto di voto senza l’approvazione del governo federale, in base alla dubbia logica che non fosse più necessario perché gli Stati con una storia di soppressione dei voti neri non lo facevano più. Da allora, molti governi locali hanno introdotto leggi discriminatorie che hanno reso sempre più complicate le operazioni di voto e che colpiscono milioni di americani, soprattutto se afro-americani. Si noti che entro 24 ore dalla sentenza, il Texas annunciò che avrebbe implementato una rigorosa legge sulla carta d’identità con foto, e presto seguirono Mississippi e Alabama.[↩]
- A marzo, Biden ha emesso un ordine esecutivo relativamente modesto, ma potenzialmente significativo, ordinando alle agenzie federali di ampliare l’accesso al voto. Ha creato un ruolo di alto livello alla Casa Bianca incentrato sui diritti di voto, ha utilizzato due avvocati con esperienza nel campo dei diritti civili per ruoli di primo piano presso il Dipartimento di Giustizia, che è responsabile dell’applicazione di alcune delle leggi federali sui diritti di voto più importanti.[↩]
- A causa della decisione della Corte Suprema del 2013 nel caso storico Shelby County contro Holder, i luoghi con una storia di discriminazione nel voto non devono più far approvare le loro mappe dei distretti elettorali dal governo federale per la prima volta dal 1965. Nel 2019, la Corte Suprema ha anche affermato per la prima volta che non c’era nulla che i tribunali federali potessero fare per fermare anche la più eccessiva manipolazione dei distretti, dando ai legislatori statali il via libera per essere ancora più aggressivi. È una mancanza di supervisione che potrebbe incoraggiare i legislatori a tentare di disegnare distretti che potrebbero diluire l’influenza degli elettori di minoranza. [↩]
- La senatrice Kyrsten Sinema ha scritto sul Washington Post: “L’ostruzionismo costringe alla moderazione e aiuta a proteggere il Paese da oscillazioni selvagge“.[↩]
- Sette sono i senatori che potrebbero votare con i democratici, sfidando la linea del partito pro-Trump, ma non basterebbero per battere il filibuster, anche se 50 democratici restano uniti.[↩]
- Da notare che il senatore democratico della West Virginia Joe Manchin ha annunciato in un editoriale sulla Charleston Gazette-Mail ai primi di giugno la sua opposizione al For the People Act e anche alla fine del filibuster. Ha cercato, senza successo, di mediare con i Repubblicani per fare approvare una sua versione del For the People Act che includeva 15 giorni di votazione anticipata e registrazione automatica degli elettori, vietava il gerrymendering di parte e introduceva l’obbligo del documento d’identità.[↩]
- Il gerrymandering si riferisce alla manipolazione dei confini dei distretti elettorali realizzata in modo da proteggere gli interessi consolidati, limitare l’impatto del voto delle minoranze e massimizzare l’influenza dell’elettorato bianco e rurale per i repubblicani. E’ un sistema che è stato inventato dal padre fondatore e vice presidente Elbridge Gerry all’inizio del XIX secolo, per cui i politici si scelgono gli elettori, anziché essere gli elettori a scegliere i politici.[↩]
- I Repubblicani hanno sostenuto che il For the People Act violerebbe i diritti degli Stati e che sono necessarie misure statali per fermare le frodi, anche se non ci sono prove di problemi diffusi. Mitch McConnell, il leader della minoranza repubblicana, ha respinto il disegno di legge come una “presa di potere di parte” nel suo discorso al Senato.[↩]
- La sentenza 6-3, con i giudici conservatori della Corte nella maggioranza, ha stabilito che le restrizioni sulla raccolta anticipata delle schede da parte di terzi e sulla possibilità di votare per absentia non violavano il Voting Rights Act, una legge federale del 1965 che proibisce la discriminazione razziale nel voto. I tre giudici liberali della Corte hanno dissentito dalla decisione, che è stata scritta dal giudice conservatore Samuel Alito. La decisione è arrivata mentre molti Stati stanno attuando una serie di restrizioni al voto sostenute dai repubblicani. Il caso riguardava una legge dell’Arizona del 2016 che ha reso reato fornire il voto anticipato completato da un’altra persona ai funzionari elettorali, ad eccezione dei familiari o degli operatori sanitari. Gli attivisti della comunità a volte si impegnano nella raccolta delle schede per facilitare il voto e aumentare l’affluenza alle urne. La raccolta delle schede è legale nella maggior parte degli Stati, con limitazioni variabili. I critici repubblicani chiamano la pratica “raccolta elettorale“. L’altra restrizione in questione era una politica dell’Arizona di vecchia data che scarta le schede votate di persona in un distretto diverso da quello a cui è stato assegnato un elettore. In alcuni luoghi, i seggi elettorali non sono i più vicini alla loro casa. La sentenza ha rappresentato una vittoria per il Partito Repubblicano dell’Arizona e il procuratore generale repubblicano dello stato, Mark Brnovich. Avevano impugnato una sentenza del 9th US Circuit Court of Appeal con sede a San Francisco che aveva ritenuto illegali le restrizioni. Il “semplice fatto che ci sia una certa disparità di impatto non significa necessariamente che un sistema non sia ugualmente aperto o che non dia a tutti uguali opportunità di voto“, ha scritto Alito. In un feroce dissenso, il giudice liberale Elena Kagan ha definito la sentenza “tragica“, osservando che arriva quando gli Stati stanno erigendo nuove barriere al voto, persino vietando l’erogazione dell’acqua agli elettori in fila. “Quindi la Corte decide questo caso del Voting Rights Act in un momento pericoloso per l’impegno della nazione verso la parità di cittadinanza. Decide questo caso in un’era di restrizione dei diritti di voto, quando troppi stati e località stanno limitando l’accesso al voto in modi che prevedibilmente priverà i membri dei gruppi minoritari di pari accesso alle urne“, ha scritto Kagan.[↩]
- Si pensi ai programmi di ampio riformismo “neoroosveltiano” della “Great Society” e della “War on Poverty” lanciati nel 1964 dal presidente Lyndon B. Johnson, insieme con i finanziamenti alle scuole elementari e all’istruzione superiore e con il Civil Rights Act, che ha bandito la discriminazione nell’istruzione, nel lavoro e negli alloggi pubblici. Nel 1965 vennero poi istituiti i programmi Medicare per gli anziani over 65 e Medicaid per i poveri e approvato il Voting Rights Act, mentre il Fair Housing Act, venne approvato, seppure a fatica, nell’aprile del 1968. In questi quattro anni sono stati istituiti anche i programmi Head Start, Food Stamps, Model Cities, Community Action Program, e venne elevato il salario minimo e potenziata la copertura del Social Security. La Grande Società auspicata da Johnson avrebbe dovuto fare leva su una combinazione di crescita economica, affermazione della giustizia sociale e libero sviluppo della personalità. Gli anni dell’amministrazione Johnson sono stati interpretati da molti influenti osservatori-partecipanti – come l’economista John Kenneth Galbraith (1967) e il senatore Edmund Muskie – come l’inizio di un’era socialdemocratica di prosperità agiata in un Paese diventato sempre più inclusivo. Nel 1960 la spesa per la politica estera (comprensiva delle spesa militare) rappresentava il 53,7% del budget federale USA e la spesa sociale il 22,3%, mentre nel 1974 agli affari esteri andava il 33% e alla spesa sociale il 31%. Sempre di più la legittimazione del potere dello Stato e del governo è dipesa dalla sua capacità di redistribuire a tutti i benefici del Fordismo e di trovare i modi di offrire su grande scala, ma in maniera umana e sollecita, un adeguato servizio sanitario, una casa e un servizio scolastico-formativo. Gli insuccessi qualitativi hanno causato innumerevoli critiche, ma alla fine è stato il fallimento quantitativo a provocare i problemi più seri. L’incapacità di fornire dei beni collettivi in modo adeguato è dipesa dalla scarsa accelerazione o stagnazione della produttività del lavoro nel settore delle imprese (industriali e dei servizi) che non ha consentito al welfare state keynesiano di rimanere sostenibile e vitale sul piano finanziario/fiscale.[↩]
- Vedi il fascicolo in cui sono stati raccolti da Franco Ferrari gli articoli che sono stati pubblicati sul sito di Transform! Italia durante la campagna elettorale, fino al suo esito finale.[↩]
- Queste leggi espandono l’accesso al voto anticipato e per corrispondenza, facilitano la registrazione degli elettori e ripristinano i diritti di voto agli americani con condanne passate, tra le altre misure. Molti degli stati in cui il voto è già relativamente più accessibile sono gli stessi che promuovono politiche per rafforzare ulteriormente l’accesso al voto, approfondendo un divario nazionale tale che la promessa del diritto di voto dipende sempre più da dove gli americani vivono. Più di 900 disegni di legge con disposizioni espansive sono stati presentati in 49 stati nelle sessioni legislative del 2021.[↩]
- Le immagini lo hanno mostrato mentre firmava la legge guardato da sei uomini bianchi, nonostante le critiche secondo cui la legislazione si aggiunge alla soppressione e repressione (inasprendo le pene anche per piccoli errori) degli elettori contro le comunità nere i cui voti hanno aiutato i Democratici a vincere lo Stato e i suoi due seggi al Senato degli Stati Uniti nelle elezioni del 2020.[↩]
- Il primo Congresso degli Stati Uniti iniziò il suo lavoro nel 1790 limitando l’ammissibilità per la naturalizzazione alle persone libere e bianche. Il suffragio era un diritto solo per gli uomini bianchi detentori di una proprietà. D’altra parte, la contrapposizione fra due padri fondatori come Thomas Jefferson e Alexander Hamilton esprimeva il sogno di una repubblica di piccoli proprietari WASP individualisti e gelosi della propria libertà di fronte al crescente potere della potenza finanziaria e presto industriale rappresentata da New York e dietro di cui si celava l’incombente capitalismo del vecchio padrone coloniale. La Convenzione Costituzionale aveva stabilito di contare le persone tenute schiave in ragione di tre quinti di una persona libera. Solo con il XIV emendamento della Costituzione, ratificato nel 1868, fu stabilito che la cittadinanza per diritto di nascita si applicava anche ai neri. Questo quando i primi schiavi africani erano stati fatti sbarcare nell’agosto 1619, un anno prima dell’arrivo dei “Padri Pellegrini” della Mayflower a Cape Cod, e la schiavitù venne abolita solo nel 1865 con il XIII emendamento, approvato dopo la conclusione di una Guerra Civile che ha causato 620-750 mila morti tra i soldati sui campi di battaglia e per malattie, con un numero imprecisato morti di civili. Ma, le leggi Jim Crow, emanate a livello statale e locale nel sud, egemonizzato dal Partito Democratico, tra il 1877 e il 1964, privarono la popolazione nera dei diritti civili e politici, istituzionalizzando e legittimando la segregazione razzista. Altri 30 anni passarono prima che la Corte Suprema decidesse che la cittadinanza per diritto di nascita si applicasse a una persona di origine asiatica, mentre solo con l’Indian Citizenship Act del 1924 venne stabilito che tutti gli indigeni nati negli Stati Uniti sono cittadini. Il sitema segregazionista razzista Jim Crow non ha avuto solo un peso decisivo sul piano politico e dei diritti civili, ma anche su quello economico. Basti pensare che le riforme economiche del New Deal hanno sono state centrate sul lavoro effettivamente più stabile che era solo per i white e blue collars workers bianchi maschi, poiché i settori economici – come l’agricoltura e il lavoro domestico – in cui i lavoratori afroamericani e le donne erano prevalenti, sono rimasti in gran parte esclusi dalle protezioni del lavoro del New Deal , come il Social Security Act del 1935. Un prezzo imposto dai legislatori democratici del sud del “Jim Crow South” per il loro sostegno alla legge.[↩]
- La legislazione autorizza il Congresso statale, attualmente dominato dai Repubblicani, a nominare la maggioranza dei membri del consiglio elettorale statale di cinque persone. Tale disposizione priva il Segretario di Stato della Georgia, Brad Raffensperger, un repubblicano che si è opposto a Trump dopo le elezioni, del suo ruolo di presidente del consiglio. Il disegno di legge crea un meccanismo per cui il consiglio può spogliare i consigli elettorali locali del loro potere.[↩]
- I membri democratici della Camera dei rappresentanti del Texas hanno anche lasciato lo Stato il 12 luglio per Washington, DC, privando la Camera del quorum richiesto per approvare le leggi. Questi rappresentanti statali hanno portato un messaggio urgente al Congresso, sottolineando la necessità di approvare le protezioni elettorali federali, tra cui il For the People Act e il John Lewis Voting Rights Advancement Act. Tuttavia, il governatore Greg Abbott ha promesso di continuare a convocare sessioni speciali, se necessario, fino al ritorno dei legislatori nello Stato.[↩]
- I Repubblicani hanno ripetutamente usato questa scappatoia per evitare il veto negli ultimi decenni per aggirare l’opposizione della governatrice Gretche Whitmer e dell’ex governatore del GOP Rick Snyder. Dal 1987, il gruppo anti-aborto Right to Life la ha utilizzata per promuovere iniziative volte a vietare l’utilizzo di fondi pubblici per pagare l’aborto dei beneficiari dell’assistenza sociale, richiedere il consenso dei genitori prima che un minore possa abortire, definire la nascita legale e richiedere alle donne di acquistare un’assicurazione sanitaria per un aborto, soprannominata “assicurazione stupro“. Inoltre, i Repubblicani hanno inferto un duro colpo ai sindacati quando hanno utilizzato la procedura nel 2016 per abrogare la vigente legge sui salari dello Stato.[↩]
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Un saggio illuminante ma che ci getta in una preoccupante situazione di attesa impotente?