A pochi giorni dal vertice del Consiglio Europeo su energia e finanza, è stata varata dalla Commissione la bozza definitiva di ‘tassonomia verde’ delle fonti energetiche, per il rilancio delle rinnovabili con il label per investimenti sostenibili.
Si tratta di una classificazione delle attività economiche divisi in sei obiettivi di mitigazione e adattamento dei cambiamenti climatici, che secondo l’UE possono contribuire in modo significativo alla transizione ecologica, orientando gli investimenti finanziari, secondo un regolamento in vigore da luglio 2020, ma ancora privo degli atti delegati con i criteri tecnici per le varie attività. Fra queste finalità anche lo sviluppo dell’economia circolare, la tutela delle risorse idriche, il controllo dell’inquinamento, la protezione della biodiversità.
Per ottenere il bollino verde, l’attività economica deve essere compatibile con almeno uno degli obiettivi e non interferire con altri, oltre a salvaguardare garanzie sociali minime, così da indirizzare gli investimenti green in modo effettivamente attendibile verso fonti alternative a quelle fossili, o climalteranti. Si parla di un giro di affari che nel 2020 ha sfiorato i 223mld.€, senza però la trasparenza adeguata a comprendere la coerenza fra proposte e destinazione delle risorse.
La tassonomia dovrebbe descrivere i criteri sostenibili per le rinnovabili nei settori dell’automotive, della logistica, della bioenergia ed altri ancora, con marcatori di livello di 100gr di CO2 per Kw/h per tutti gli investimenti in produzione energetica.
A sorpresa, fra le più consolidate risorse solari ed eoliche, le pressioni lobbistiche hanno fatto rispuntare nella controversa approvazione del documento anche il gas e niente meno che il nucleare, sotto l’etichetta “di transizione”, tali cioè da permettere il pieno affrancamento dal carbone nelle scadenze fissate dal Green Deal europeo per la neutralità delle emissioni di CO2 entro il 2050.
Il vicepresidente della Commissione UE, Dombrovski, ha sostenuto che le conclusioni dell’ECOFIN in questo senso sono state orientate dalla necessità di un mix-energetico sostenibile anche in termini di stabilità.
La necessità di calmierare i prezzi delle materie prime, stemperando così le polemiche degli scorsi mesi, ha convinto molti ministri a caldeggiare l’ipotesi anticipata già lo scorso ottobre, con alcune limitazioni delle centrali a gas, fissata a 270gr di CO2 per Kw/h, oltre ad un nuovo regolamento sulle centrali atomiche entro il 2022.
Si tratta insomma dell’ennesimo compromesso inclusivo, che amplia la tassonomia finora estesa a 13 settori, sebbene la Polonia con altri dieci governi abbia già minacciato di porre il veto, qualora le due nuove proposte venissero a mancare.
È soprattutto l’Europa centro-orientale infatti, insieme a Francia e Finlandia a guidare il fronte nucleare; mentre la Germania del nuovo cancelliere socialdemocratico Scholz si prepara a spegnere gli ultimi reattori proprio nel 2022, prevedendo un incremento del fabbisogno di gas.
La Commissaria all’Energia, Kadri Simson, è intervenuta promuovendo piccole centrali modulabili come panacea, incentrata sullo sviluppo tecnologico e sull’innovazione, alla luce delle crisi climatica e sanitaria in corso. A questo proposito, la commissaria UE ha proposto una suddivisione in tre categorie delle centrali atomiche: fornitura di carburante, generazione energetica e trattamento rifiuti. Si stima un costo intorno ai 50mld.€ per il prolungamento della vita dei reattori nucleari attualmente in funzione fino al 2030; mentre sono di circa 400mld.€ gli investimenti necessari a nuove capacità produttive dopo il 2050.
Con molto scalpore qualche giorno fa nel dibattito si è inserito anche il Ministro alla Transizione Ecologica italiana, Cingolani, dichiarando come sia “necessario un ripensamento dell’approccio al nucleare per maggiore autonomia da paesi terzi e per una stabilità durevole della decarbonizzazione”.
In direzione ostinata e contraria vanno invece le posizioni di Austria, Germania, Portogallo e Lussemburgo, che hanno minacciato ricorsi alla Corte Europea di Giustizia se la tassonomia definitiva dovesse includere anche l’energia atomica, dopo la creazione di una “coalizione anti-nucleare” alla Cop26 di Glasgow a cui si è aggiunta la Spagna.
L’entrata in vigore è infatti fissata per il 1 gennaio 2022, con Stati Membri e Parlamento Europeo in grado di avanzare obiezioni solo nell’arco di quattro mesi successivi; e soltanto mediante una maggioranza qualificata di 15 paesi o due terzi dei deputati europei, per il rigetto della proposta.
Ma fra gli attori economici, come la United Nations Principles for Responsible Investment (PRI), network di investitori internazionali, cresce il malumore per l’inserimento delle due fonti anomale che “comprometterebbero seriamente la tassonomia ed il suo ruolo di caratterizzazione su base scientifica, in linea con gli obiettivi UE sulla transizione energetica”.
Fra le voci contrarie anche Sebastien Godinot, economista del WWF e membro della Piattaforma di Finanza Sostenibile dell’UE, che ha affermato l’importanza di non cedere a ricatti e prepotenze, fornendo appunto “un regolamento tassonomico basato sulla scienza, che escluda il gas fossile, il nucleare e l’agricoltura industriale. Altrimenti, la credibilità della tassonomia è rovinata”.
Per questo, pochi giorni fa attivisti di Greenpeace Belgio hanno portato davanti ai palazzi della Commissione e del Consiglio europeo un gigantesco dinosauro per protestare contro la possibile inclusione del gas fossile e del nucleare nell’elenco degli investimenti sostenibili. Il Taxonosaurus Rex “simboleggia le scelte sorpassate e dannose che l’Unione Europea potrebbe adottare sulla spinta di alcuni stati membri” spiega Greenpeace, ricordando che i piani della Commissione Ue “di includere il gas fossile, il nucleare e gli allevamenti intensivi nella tassonomia sono stati oggetto di critiche severe anche da parte di alcuni stati membri (non l’Italia, ndr), gruppi finanziari, agenzie dell’Onu e ambientalisti, nonché del Gruppo di esperti tecnici della stessa Commissione che aveva redatto le raccomandazioni iniziali della proposta”.
Il rischio è che ancora una volta la volontà popolare e i relativi referendum sui beni comuni vengano disattesi da decisioni elitarie per la mercificazione delle risorse, sulla base di priorità geo-politiche, riproponendo lo spettro del ‘green-washing’.
In questo contesto si inserisce la campagna promossa dalla Sinistra Europea su “Alternative al Green Deal Capitalista in Europa”, che considera la crisi climatica il più grande fallimento dell’economia di mercato, incapace di realizzare una transizione energetica.
A spiegare le posizioni del manifesto è intervenuta in una recente intervista Lavinia Steinfort, ricercatrice del Transnational Institute (TNI), soprattutto sulla questione dell’aumento dei prezzi energetici, emblematico di come la mercificazione delle risorse e la gestione geopolitica del loro approvvigionamento abbiano ricadute deleterie sulle popolazioni.
“I profitti delle compagnie multiutility dipendono dai sussidi pubblici – spiega la ricercatrice – quindi nel momento in cui il denaro pubblico smette di fluire alle società private, queste smettono di investire, con un conseguente massiccio deficit per il settore. E questo accade perché i governi spendono soldi per attirare gli investimenti privati e non per costruirsi un settore energetico sostenibile.”
È ormai evidente come la liberalizzazione del mercato abbia trasformato il settore energetico in Europa in un oligopolio, dominato da cinque grandi produttori di energia che schiaccia i piccoli produttori cooperativi e le esperienze di municipalizzazione.
A questa deriva si contrappongono infatti alternative pubbliche, come la (ri)municipalizzazione dei servizi essenziali, una giusta transizione verso la democrazia energetica e la trasformazione della finanza, su cui dovrebbe intervenire anche la tassonomia verde dell’UE.
Perciò si rende necessario il recupero dei sistemi energetici dal mercato, così che lavoratori e residenti possano co-determinare la politica climatica ed energetica.
Una prospettiva che rischia di restare un miraggio di fronte alla manomissione artefatta della tassonomia da parte della Commissione UE; e soprattutto finché la concorrenza e i prezzi vantaggiosi resteranno decisivi per l’azione sul clima, derubricando una transizione ecologica a tutti gli effetti a chimera ideologica.
Info:
https://euobserver.com/climate/153776.
https://www.european-left.org/campaigns/alternatives-to-the-capitalist-green-deal-in-europe/.