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Quanto costerebbe non fare la transizione ecologica?

di Massimo
Serafini

È già stato scritto tutto sul merito dell’inaccettabile proposta della Commissione Europea sulla tassonomia, con la quale l’Europa ha deciso che il gas e il nucleare sono energie assimilabili alle vere rinnovabili. La mancanza di un vero dibattito, almeno in Italia, e di un’informazione diffusa su una questione così importante come la decisione di quali siano le fonti energetiche utili alla transizione ecologica e quindi da finanziare con risorse pubbliche la dice lunga sul carattere poco democratico della proposta. Perché lamentarsi poi se l’idea stessa di Europa perde consensi nei popoli, ritornano i nazionalismi e dilaga l’astensionismo?

A ciò che è stato già scritto si può aggiungere un’ulteriore precisazione che rende ancora più inaccettabile la proposta europea. Risorse pubbliche, ecco le due paroline magiche che chiariscono perché si sia insistito tanto per inserire gas e nucleare nella tassonomia: mettere le mani sulle risorse pubbliche stanziate dal NextGenerationUE, sottraendole alle vere rinnovabili.

Sono però inconsistenti le ragioni portate dalle lobby delle imprese energetiche, queste sì molto coinvolte nel processo decisionale, per giustificare la scelta fatta. Da mesi la tesi che viene sostenuta è che non è possibile affidarsi solo al sole e al vento, fonti intermittenti e quindi non programmabili, perché si metterebbe in crisi la stabilità della rete elettrica, causando frequenti interruzioni del servizio. Detta così appare una cosa scontata e vera. In realtà chi la sostiene dimentica di aggiungere che per assolvere questa funzione stabilizzante durante i picchi di domanda non serve costruire nuove centrali, perché bastano e avanzano quelle già installate. Ed allora perché insistono? Semplicemente per mettere mano sulle risorse pubbliche e quindi prolungare la vita al vecchio modello energetico fossile o nucleare e quindi ritardare il decollo di quello rinnovabile.

Questa questione della stabilità della rete elettrica viene spesso usata anche per sostenere l’impossibilità di coprire il 100% del fabbisogno di elettricità e calore con le fonti rinnovabili. Un argomento senza fondamento che in Italia negli anni ’90 del secolo scorso ha ritardato gli investimenti nelle rinnovabili. Qualcuno, quando oggi si stupisce del caro bollette – ovviamente attribuito ai costi della transizione ecologica – dovrebbe ricordare l’approvazione del decreto sblocca centrali che incatenò di fatto il Paese al metano. Poi su questa questione di assimilare alle vere rinnovabili fonti che non lo sono, l’Italia ha fatto scuola, visto che per anni ha dedicato i pochi soldi destinati alle vere rinnovabili per finanziare l’energia prodotte dagli inceneritori di rifiuti che il Cip6 equiparava a quella prodotta dal sole e dal vento. Riproporre oggi gli stessi argomenti, stabilità della rete e impossibilità delle rinnovabili di coprire il 100% del fabbisogno, soprattutto farlo come Europa, è inaccettabile. In particolare lo è per il nostro Paese questa questione della stabilità della rete. Abbiamo un grande patrimonio idroelettrico, una fonte rinnovabile non intermittente e quindi programmabile, con cui si potrebbe garantire, quando ci sono picchi di domanda e mancano sole e vento, la stabilità della rete. Per capirci basterebbe che Enel, proprietaria dell’idroelettrico italiano lo usasse anziché tenerlo fermo, come fanno gli spagnoli ad esempio nell’isola di Hierro, dove con due turbine eoliche pompano l’acqua dall’oceano nel cratere di un vulcano spento e facendola ricadere producono il 100% del fabbisogno elettrico dell’isola.

La posta in gioco è molto alta. Scegliere di dissipare risorse pubbliche investendole in gas e nucleare mette in discussione gli obiettivi strategici di lotta al cambiamento climatico, quelli al 2030 e soprattutto quello decisivo al 2050 col quale ci si impegna a contenere l’aumento delle temperature in un grado e mezzo.

Ce lo possiamo permettere? È irritante fare continuamente i conti sui costi della transizione ecologica, ripetendo minacciosamente che farla costerà lacrime e sangue. Il quesito va capovolto: quanto costerebbe non farla? Il tempo è scaduto e se non si mette mano ora all’insostenibilità del modello capitalistico la conseguenza sarebbe l’ingovernabilità dei cambiamenti climatici. Non si metterebbe in discussione cioè solo la qualità della vita della piccola parte dell’umanità privilegiata che abita l’occidente del pianeta, ma la vita di tutti, umani e viventi non umani, privilegiati e poveracci. Catastrofismo ambientalista? Semplicemente è ciò che da quasi vent’anni dice la scienza a cominciare dal Nobel Giorgio Parisi, quando avverte che il dogma dell’eterna crescita è incompatibile con la sostenibilità ambientale e sociale.

Questa è la posta in gioco ed è per questo che è vietato sbagliare, come invece fa la Commissione Europea proponendo di allungare la vita al vecchio modello energetico fossile e nucleare. Fermare questa scelta dissennata però non è per nulla semplice.

Le popolazioni sono poco informate sulla drammaticità della situazione climatica. Fanno fatica a capire che anche il dramma del Covid affonda, come il caos climatico, le sue radici nella insostenibilità di questo sistema capitalistico. È inaccettabile che i grandi giornali e le principali televisioni occultino l’attualità del rischio legato ai mutamento climatico per proteggere le imprese energetiche fossili e nucleari che probabilmente li finanziano. Passata la settimana dei titoloni durante la Coop 28 di Glasgow, il cambiamento climatico è sparito dalle prime pagine, tanto che la tragedia che ha colpito le Filippine non ha meritato che miseri trafiletti. La denuncia della disinformazione a cui sono sottoposti i popoli in tutta Europa carica gli ambientalisti e tutti coloro che vogliono una vera transizione ecologica di una grande responsabilità: essere capaci di promuovere una forte campagna di controinformazione, senza la quale non è possibile fermare questa porcheria decisa a Bruxelles. È del tutto evidente che senza una popolazione informata e sottratta al senso comune che viene offerto dai grandi giornali non saremo in grado di modificare i rapporti di forza e quindi di influire su queste sconsiderate decisioni. Serve però unità di intenti e fantasia. Non ci si può sottrarre a una valutazione delle difficoltà che spesso incontriamo anche fra coloro che lottano per un nuovo modello energetico rinnovabile e poco bisognoso di energia. Non si può cioè tacere sul fatto che una svolta nelle politiche energetiche del paese e più in generale dell’Europa è stata sottoposta a un percorso ad ostacoli dai tanti comitati e spesso anche dagli stessi ambientalisti che si opponevano ad ogni insediamento eolico o solare, con il brillante risultato di bloccare quelli speculativi e sbagliati, ma anche quelli giusti. Il risultato è che oggi il percorso autorizzativo di un impianto eolico, ma anche solare, può durare dai sei agli otto anni. Ce lo possiamo permettere? Controinformazione dunque, quella già cominciata a Civitavecchia, dove l’assurda proposta dell’Enel di sostituire la centrale a carbone con una turbogas ha consolidato un’opposizione che unisce un fronte molto ampio di forze che va dalla Camera del lavoro della Cgil alla Confindustria locale, dalle associazioni ambientaliste al movimento dei Friday for future, dagli artigiani alle autorità portuali, dal sindaco della città alla giunta regionale. Una maggioranza sociale che non dice solo no, ma che propone di sostituire il carbone che nel 2026 chiuderà, solarizzando il porto della città e soprattutto sfruttando il vento con la proposta di costruire tante turbine eoliche galleggianti a trenta chilometri dalla costa. Un progetto che porta non solo tanta energia pulita e rinnovabile, ma anche molta occupazione. Un’iniziativa che è possibile replicare in molti territori, come si propone di fare Legambiente insieme a un vastissimo schieramento associativo, con l’obiettivo di costruire una grande manifestazione nazionale fissata il 12 febbraio prossimo. Un appuntamento nazionale da intendere come punto terminale di tante mobilitazioni territoriali sull’esempio di quella che si è saputo costruire a Civitavecchia.

Massimo Serafini

fonti energetiche, PNRR, tassonomia europea
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