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Macron: meno diritti, più subordinazione

di Claire
Vivès

di Claire Vivès, sociologa – traduzione di Giuseppe Cugnata –

Il 1° novembre 2019 sono entrate in vigore le prime disposizioni della riforma del governo in materia di indennità di disoccupazione, che ridurranno i diritti dei lavoratori in misura inaudita. L’obiettivo primario di tali riforme è quello di realizzare un risparmio economico. Secondo un meccanismo tradizionale della previdenza sociale, il debito di un’istituzione viene organizzato in modo da limitarne le entrate tributarie, per poi affermare che la situazione finanziaria catastrofica minaccia la sua esistenza e costringe a drastici risparmi. Sebbene la strategia sia nota, ciò non deve portare ad un’omissione dell’analisi di questa riforma, che rappresenta un colpo violento alla protezione dei lavoratori contro la disoccupazione e che è perfettamente significativa nella versione di Macron dello stato sociale: risparmio individuale piuttosto che solidarietà, subordinazione piuttosto che emancipazione.

In Francia, indennità di disoccupazione non è mai stata coperta in senso stretto dal sistema di previdenza sociale, poiché il rischio di disoccupazione è coperto dal 1958 da un’istituzione dedicata al suo indennizzo: l’Unédic. L’attuale riforma allontana ulteriormente il funzionamento dell’indennità di disoccupazione dai due principi che in origine hanno strutturato la previdenza sociale: universalità e solidarietà.

La prima conseguenza delle misure del governo sarà quella di restringere l’accesso all’indennità di disoccupazione. Una delle tante menzogne dell’esecutivo è stata quella di sostenere che questa riforma avrebbe contribuito all’universalizzazione della copertura della disoccupazione. Macron, quando era candidato, aveva promesso di aprire i diritti alla disoccupazione al di là dei soli salariati, coprendo anche i lavoratori autonomi vittime del fallimento della loro azienda. Al contrario, in seguito alla riforma, sempre meno persone in cerca di lavoro saranno coperte. Esiste effettivamente una disposizione che prevede la concessione di un’indennità forfettaria ai lavoratori autonomi, ma le condizioni sono talmente restrittive che il numero di beneficiari sarà paradossale (Unédic stima che 30.000 persone saranno ammissibili ogni anno su una popolazione target di 3,3 milioni di persone). Oltre a questa misura di facciata, la riforma organizza metodicamente un massiccio inasprimento delle condizioni di ammissibilità. Sarà ora necessario aver versato contributi più a lungo (6 mesi invece di 4) su un periodo più breve (24 mesi invece di 28).

Questa mancanza di universalità dell’indennità di disoccupazione è strettamente legata ad un’altra tendenza: l’indennità di disoccupazione è sempre di più contributiva e sempre meno solidaristica. Questa tendenza non è nuova, ma è rafforzata dalla riforma. Il legame tra la durata e l’importo dei contributi e la durata e l’importo delle prestazioni sta diventando sempre più stretto. Per giustificarlo, il governo avanza il principio presentato come incontestabilmente giusto: “a pari lavoro, pari diritto”. Ciò va di pari passo con l’analisi che il governo fa della disoccupazione: attualmente in Francia non vi è alcun problema di disoccupazione e i dipendenti avrebbero la possibilità di scegliere tra contratti a tempo determinato e contratti a tempo indeterminato. L’esecutivo è ovviamente l’unico a fingere di crederci, ma ricordiamoci che ci sono quasi 6 milioni di disoccupati se includiamo coloro che lavorano durante il mese ma che vorrebbero lavorare di più. Pertanto, in queste condizioni, le nuove norme accentuano il fatto che coloro che hanno avuto un buon lavoro hanno buone indennità in caso di disoccupazione, mentre coloro che hanno avuto un cattivo lavoro avranno cattive indennità. L’assicurazione contro la disoccupazione funziona sempre più spesso come veicolo di risparmio individuale. Questo aumento della contributività non è specifico dell’indennità di disoccupazione e invade la previdenza sociale, laddove i diritti sono conservati in “conti individuali” che devono essere stati precedentemente finanziati nel corso del periodo di occupazione. Questa logica è al centro dell’annunciata riforma pensionistica basata su un sistema a punti. Inoltre, le stesse persone che sono penalizzate dalla riforma dell’indennità di disoccupazione perché non hanno un lavoro stabile saranno vittime della riforma in senso contributivo delle pensioni e riceveranno una piccola pensione.

Per comprendere appieno chi sono i lavoratori interessati dalla riforma e la portata delle sue conseguenze, dobbiamo considerare i cambiamenti nell’occupazione. Lo sviluppo del lavoro atipico ha portato allo sviluppo di una disoccupazione atipica. A partire dagli anni 2000, la quota di contratti a tempo determinato e interinale nel lavoro retribuito è rimasta stabile. D’altra parte, è diminuita la durata dei contratti a breve termine. Di conseguenza, ci sono sempre più lavoratori che sono contemporaneamente o, successivamente in un periodo di tempo molto breve, disoccupati e dipendenti. In termini di reddito, ciò si traduce in un’integrazione di risorse costituite sia dal salario che dalle indennità di disoccupazione (e anche dal bonus per attività per alcune persone). L’indennità di disoccupazione, che inizialmente doveva essere un reddito sostitutivo in caso di perdita del posto di lavoro, è, per un numero crescente di beneficiari, un reddito integrativo per i dipendenti che svolgono lavori discontinui. La domanda che ci si pone da molti anni è: l’esistenza di un reddito complementare rende accettabili questi lavori scarsamente retribuiti e ne consente lo sviluppo? Rispondere a questa domanda non è facile, ma il governo non ha avuto problemi, soprattutto dato lo sviluppo della cura. Per l’esecutivo, l’assicurazione contro la disoccupazione sarebbe la causa dello sviluppo dell’insicurezza del lavoro… e la soluzione sarebbe principalmente quella di penalizzare i destinatari che accumulano salari e indennità.

Senza discutere in maniera troppo approfondita la questione, notiamo solo l’ipocrisia che c’è nel fingere di combattere la precarietà dopo aver attuato una serie di riforme del codice del lavoro che hanno flessibilizzato il ricorso al lavoro precario. La riforma contiene due strumenti principali. Primo strumento: l’introduzione di un bonus / malus secondo il principio “inquini / paghi”. I contributi delle imprese sono approssimati in funzione del costo che generano per l’indennità di disoccupazione. In questo campo, come nelle questioni ecologiche, l’idea che sarebbe sufficiente pagare per avere il diritto di inquinare/fare contratti brevi è discutibile. Soprattutto, in questo caso specifico, l’eccessiva contribuzione è irrisoria sia in termini di numero di imprese interessate (solo le imprese con più di 11 dipendenti in 7 settori di attività, sapendo che alcune vedranno i loro contributi approssimati al ribasso) che di livello (aumento massimo inferiore all’1%). Secondo strumento: riduzioni dei diritti per i beneficiari di indennità che lavorano. Questi ultimi sono ora accusati di fare un uso strategico delle compensazioni quando sono state adottate misure per molti anni proprio per incoraggiarli a farlo allentando le condizioni per il cumulo di prestazioni e stipendi. Va notato che, nonostante questi incentivi, questi lavoratori non si trovano nella lussuosa situazione denunciata dal governo, poiché, combinando stipendio e indennità, guadagnano in media 1240 euro al mese. Per combattere questi “grandi”privilegi, la riforma prevede di modificare le modalità di calcolo dell’indennità, eliminando il riferimento alla retribuzione e calcolando il reddito sull’insieme del periodo di tempo in cui si è lavorato. La conseguenza di questo nuovo metodo di calcolo è molto chiara: ridurrà l’ammontare delle prestazioni e penalizzerà qualsiasi periodo non lavorato, inducendo così chi cerca lavoro ad accettare qualsiasi impiego. In altre parole, la riforma combatte la precarietà rendendola più precaria.

Per concludere, l’esito della riforma è perfettamente prevedibile. Questa riforma si rivolge sia al gruppo più precario di persone in cerca di lavoro che al gruppo più preario di lavoratori. Nel suo studio sull’impatto della riforma, Unédic ha già sottolineato che i giovani sarebbero i più colpiti perché, più di altri, si alternano tra occupazione e disoccupazione. In generale, escludendo un certo numero di lavoratori dal risarcimento e/o riducendo l’importo dei loro diritti, si avrà l’effetto di impoverire le famiglie che, se non fossero già povere, rischiano di diventarlo. Si rafforzerà anche la subordinazione dei disoccupati e dei lavoratori precari al mercato del lavoro e, in questo senso, peserà su tutti i lavoratori.

Claire Vivès, sociologa

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