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Il coronavirus porta l’unione Europea in terapia intensiva

di Ramon
Luque

di Ramon Luque, dell’Esecutivo della Sinistra Europea – L’Unione Europea, e se vogliamo l’Europa, si trova a un bivio. All’incrocio decisivo. Se resiste all’assalto della crisi di coronavirus non sarà più la stessa che abbiamo conosciuto e se non lo supera, non sopravviverà.

Il motivo è molto chiaro: ai difetti strutturali della sua costruzione e successivo ampliamento, alla distruzione che l’attacco neoliberista ha comportato dalla crisi precedente alle basi stesse che davano senso alla sua nascita, alle tendenze centrifughe recenti ecc. ora si aggiunge una crisi sanitaria globale con un impatto imprevedibile sulle economie di tutti i paesi membri senza eccezioni.

E tutto ciò a tempo di record, solo un paio di mesi. Il tempo di reazione, è ora, è adesso. Sono tempi politici per felini, cioè lo scenario peggiore per un elefante: l’Unione Europea.

Che il coronavirus e un mondo pandemico porteranno una società nuovo in direzioni ancora oggi inesplorate o imprevedibili, è già un luogo comune di sociologi, politologi, economisti…

Non mi addentro in questo (avremo un sacco di tempo) e voglio concentrarmi sulla risposta politica e quindi economica, per la crisi globale che si avvicina. Quello che ha dato (o meglio non ha dato) la Commissione, gli organismi europei (BCE, Consiglio principalmente) e gli Stati.

L’incomprensione del carattere della crisi: ecco, per me, la ragione fondamentale per le esitazioni iniziali e l’incoerenza delle decisioni europee. Perché, in effetti questa è una crisi economica che non ha precedenti nelle sue caratteristiche, insolita e terribile se si vuole. Non è crisi del debito, né di inflazione, né da deficit commerciale o pubblico, nemmeno da una recente guerra commerciale.

È una crisi nuova: è una crisi economica globale e colpisce tutte le economie del mondo in misura e con impatti maggiori o minori, a causa del confinamento o simili, sia sulla domanda (nessun reddito) che sull’offerta (non si verifica poiché non vi è alcun consumo). Questo spiega perché sono saltato certi dogmi neoliberali: abbiamo bisogno dello Stato che immetta soldi nelle aziende (banche centrali) e anche nello Stato (il governo), in modo da dare ossigeno alle famiglie per evitare un focolaio sociale senza precedenti, prologo per alcuni di conseguenze politiche catastrofiche per lo status quo.

Che la Banca centrale europea rettificasse, in meno di una settimana, il suo diniego iniziale a fornire credito e lo situasse in 700 miliardi di euro e che il sacrosanto Patto di stabilità saltasse per aria, rivela l’entità della crisi nei primi giorni della diffusione del coronavirus nell’Europa meridionale.

Ora sappiamo già che non è abbastanza. Il dibattito (in pochi giorni ulteriori – di nuovo il ritmo felino di questi tempi politici), è ora se l’UE si sta attrezzando con i meccanismi reali per affrontare la crisi in arrivo. Bene, ancora una volta ha solo guadagnato tempo. O meglio: l’ha perso. Poco più di 500.000 milioni di euro per circa 450 milioni di abitanti e 27 paesi, significa non affrontare questa crisi (è necessario solo guardare le misure della Cina, della Federal Reserve degli Stati Uniti, delle misure del governo del Gran Bretagna). Sembra una toppa e un rinvio del vero dibattito: il ruolo di una banca centrale che rifiuta di esserlo. Che continua ciecamente di fronte al carattere di questa crisi.

Il governo spagnolo ha lanciato l’idea di un nuovo piano Marshall, questa volta con noi stessi e, in questo contesto, l’idea degli eurobond. Per quanto riguarda quel Piano, non ci sono gli USA disposti a ricominciarlo, non c’è altra possibilità che sia la BCE l’organismo, qualunque sia lo strumento tecnico. È il dibattito che non potranno mettere a tacere misure economiche che aiuteranno appena a raggiungere la fine dell’estate in paesi come Italia, Spagna, Francia o Portogallo.

Liquidità agli Stati ora! Tutta l’artiglieria ora! (in espressione tecnica fortunata).

Stavamo parlando di un vero bivio per l’Europa. Possiamo Per parlare anche di un dilemma quasi esistenziale: fondi per salvare la distruzione sociale ed economica dell’Unione o fondi, mesi dopo e più ingenti, per affrontare la sua ricostruzione. Però allora non c’è già nessuna UE. Scegliamo e scegliamo bene: scegliamo l’Europa per liquidare il progetto neoliberista che la può distruggere. E facciamolo presto.

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