di Tommaso Chiti – Mentre da settimane la pandemia di Covid-19 colpisce duramente anche l’Europa, per l’ennesima volta nel giro di dieci anni i paesi membri dell’UE sono invischiati in un vortice di negoziazioni diplomatiche, nel tentativo di elaborare una risposta comune, per il superamento della crisi sanitaria e delle conseguenti ricadute socioeconomiche.
In attesa della definizione del bilancio pluriennale da parte della Commissione, che deve tenere conto di un altro fatto straordinario come la BrExit; la predominanza della dimensione intergovernativa nelle decisioni dell’Unione, ripropone come per la crisi dei debiti sovrani del 2010 schieramenti contrapposti fra governi rigoristi del nord ed un fronte più collettivista, questa volta esteso oltre l’area mediterranea, anche verso l’Europa centro-orientale e le repubbliche baltiche.
Il primo, timido segnale di presa in carico della questione è arrivato circa un mese fa con le dichiarazioni del Presidente della commissione per lo sviluppo regionale del Parlamento Europeo, Younous Omarjee della Sinistra Europea (GUE/NGL), sostenendo che “l’Europa deve mostrare solidarietà in questo momento. La politica di coesione è intrinsecamente legata alla solidarietà e ora più che mai deve essere all’altezza della sfida”.
Con questa affermazione l’eurodeputato si riferiva alla proposta di modifica dei regolamenti per l’accesso ai Fondi Europei di Sviluppo Regionali e al Fondo Europeo per Affari Marittimi e la Pesca, oltre all’estensione del Fondo di Solidarietà anche per fronteggiare la crisi dei sistemi sanitari pubblici. Questo pacchetto da 37 mlrd. di euro nell’ambito della politica di coesione ha fatto leva sulla rimozione dell’obbligo di restituzione dei prefinanziamenti per i fondi strutturali. Una prima risposta quindi, denominata “Corona Response Investment Initiative“, diretta ai sistemi sanitari, alle PMI e ai mercati del lavoro, che ha raccolto circa 8mlrd. dal bilancio previsionale dell’UE e 29mlrd. dai Fondi strutturali.
Come già in passato, accanto alle misure prettamente comunitarie si sono susseguite poi proposte di carattere intergovernativo, fra le quali le più dibattute attualmente sul tavolo dei negoziati restano i ‘Coronabond’ o l’aggiornamento del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES).
Al di là delle alchimie burocratiche e dei diversi meccanismi finanziari è dirimente però il movente politico della condivisione della crisi, quanto della mutualizzazione degli strumenti per superarla.
Di fondamentale importanza specialmente in situazioni di estrema difficoltà, generate da una globalizzazione dei problemi dalle ricadute fortemente inique, diventa quindi la riscoperta di quei principi come la sussidiarietà, che possano richiamare ad un’appartenenza comune.
Al centro di questo approccio è il Titolo VII con l’art.222 del Trattato sul Funzionamento dell’UE sulla cosiddetta “clausola di solidarietà”, secondo la quale “l’Unione e gli Stati membri devono agire congiuntamente in uno spirito di solidarietà […] mobilitando tutti gli strumenti a disposizione […] per fronteggiare attacchi terroristici, calamità naturali o disastri dolosi”.
Il fatto che al secondo e terzo comma venga ribadita la necessità di un coordinamento fra Stati membri nell’ambito del Consiglio, rimanda inesorabilmente alla sovranità della contrattazione fra soci, con quote di maggioranza o minoranza, spesso in termini di risorse finanziarie. Nell’area Euro simili rapporti di forza hanno da sempre approfondito il divario fra stati in surplus della zona ‘core’ dell’Unione Monetaria – Germania, Paesi Bassi e Finlandia- e stati invece periferici aggravati da deficit cronici.
Non a caso già nel 2010, con il programma di ‘Bilanciamento dei Pagamenti’ e del ‘Six Pack’ approntati dalla Commissione UE, fu proprio la preminenza del Consiglio ad eccepire ad un simile approccio, virando invece verso meccanismi contrattuali come il Fiscal Compact, poi EFSM, gestiti da vettori finanziari artefatti, afferenti al diritto privato e spesso con sede in paradisi fiscali come il Lussemburgo. Già perché diversi componenti ‘core’ dell’area Euro non hanno mai abdicato al loro status di sede finanziaria tanto accogliente quanto competitiva rispetto a paesi più intransigenti sull’evasione fiscale.
Il Parlamento Europeo da domani sarà riconvocato in assemblea plenaria per “votare ogni soluzione preparata dalla Commissione”, come sostiene il suo Presidente Sassoli.
Lo stesso qualche giorno fa ha poi ricordato come occorra “la creazione di un fondo per la ripresa economica per condividere i costi della ripartenza (dato che) il bilancio dell’Unione europea ha dei limiti e non sarà sufficiente. Non è solo questione di solidarietà, ma di convenienza per tutti, viste le profonde interconnessioni delle economie europee. Il crollo di un paese avrebbe inevitabilmente conseguenze drammatiche su tutti gli altri. In questo contesto la risposta dell’Eurogruppo deve essere commisurata alla sfida.”
La comparazione delle ricorrenti crisi dell’UE e dei pachidermici tentativi di sopravvivenza sembra finora accantonare concetti di mutualizzazione e soprattutto di solidarietà, come principi guida di risoluzione di diseguaglianze crescenti.
Eppure, anche durante simili shock asimmetrici – che colpiscono cioè in modo diverso i vari stati membri, come si nota per il contagio da Covid-19, maggiormente diffuso in Italia, Spagna e Francia – non mancano ‘amarcord’ di proposte già accantonate.
Ne è un esempio il programma SURE, cioè il supporto provvisorio per la mitigazione dei rischi da disoccupazione durante un’emergenza, proposto dalla Commissione Von der Leyen come una sorta di cassa integrazione europea, con prestiti garantiti dall’UE per l’assistenza finanziaria fino a 100mlrd. di euro.
Una proposta in questo senso era emersa proprio nel 2009 nell’ambito del European Economic Recovery Program con schemi di mobilità o indennità parziali, per fronteggiare gli squilibri sui mercati del lavoro fra paesi con tassi di disoccupazione fortemente diversi, mediante l’istituzione di ammortizzatori sociali di portata europea.
SURE sembra piuttosto una sorta di anticamera temporanea con regimi di riduzione dell’orario lavorativo, che consentono alle aziende in difficoltà economiche di ridurre temporaneamente l’orario di lavoro dei loro dipendenti, ai quali viene erogato un sostegno pubblico al reddito per le ore non lavorate, anche per lavoratori autonomi.
A parte l’analogia con le misure del EERP, per la prima volta la UE interviene su indennità ed assistenza invece che sulle politiche attive come nel 2010, considerata anche la situazione sensibilmente diversa. Allora le bolle speculative erano concentrate in certi settori, finendo per contagiare poi crediti bancari ed infine fondi previdenziali e debiti sovrani, con una pandemia che travolse comparti in fase di riconversione, o di privatizzazione, come per il settore sanitario, con sistemi pubblici poi ulteriormente depauperati dai programmi di austerity e che oggi soffrono la pressione dovuta alla pandemia.
Ancora una volta assistiamo dunque a squilibri strutturali proprio fra paesi che condividono il più alto grado di integrazione nel processo di Unione Europea. Il rischio nel medio-lungo periodo è una tendenza di tipo strutturale per il blocco dei flussi in entrata ed uscita dal lavoro, a causa di mercati stagnanti ed in fase recessiva.
L’effetto di ‘spill-over’, data l’interdipendenza fra mercati integrati e la loro condivisione della politica monetaria, si scontra con un assetto incompleto degli stati dell’Eurozona, deficitaria di una politica fiscale comune, proprio per la riluttanza degli stati membri a cedere competenze su ambiti di forte interesse nazionale, come la previdenza sociale.
Già nel 2012 dai sindacati europei si levava il monito riguardo alla “minaccia per l’Eurozona (che) non viene dall’instabilità finanziaria ma dalla potenziale instabilità sociale e politica, derivata dalla depressione economica in cui sono stati spinti i paesi dell’Europa Meridionale, dopo aver registrato tassi di disoccupazione mai visti prima della Grande Recessione” (De Grauwe 2012, ETUI Paper, pp.34).
Mentre oggi capi di stato e di governo, fra i quali il premier italiano Conte si affrettano a definire questa crisi ‘profondamente diversa’ da quella di dieci anni fa, a segnare il passo ancora una volta sono proprio l’assenza di solidarietà, che accomuna paesi europei uniti prevalentemente da crisi croniche.
Approfondimenti:
https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=CELEX%3A12016E222
https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/QANDA_20_572
https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/ip_20_459