di Tommaso Chiti – La crisi sanitaria dell’epidemia da Covid-19 sembra allentare la morsa sull’Europa e molti paesi si preparano alla cosiddetta ‘fase due’, verso la riapertura graduale delle attività economiche e dei luoghi pubblici.
I provvedimenti restrittivi di distanziamento sociale non hanno tuttavia mai riguardato quegli “impieghi essenziali”, legati alla sanità, alla logistica, alla grande distribuzione, alla protezione civile, ecc. che in alcuni casi sono stati salutati come “eroi” – con tanto di flash-mob quotidiani di applausi e dediche, specialmente ai medici d’urgenza. In molti casi è stata davvero riscoperta tutta l’importanza dei mestieri anche più umili, soprattutto in termini di servizi alla persona.
Questo eroismo, dedicato anche a lavoratori precari o a breve termine, è tuttavia risuonato tanto ipocrita quanto inutile, specialmente per chi si è trovato suo malgrado ad operare senza dispositivi di protezione adeguati o in condizioni di rischio aggravate dall’epidemia. Una simile retorica non basta certo a riconoscere piena dignità ad addetti, che soffrono spesso politiche di tagli lineari, esternalizzazioni, delocalizzazioni, sfruttamento e sempre più precarietà, oltre alla compressione dei diritti sindacali in virtù dello stato d’emergenza.
La durata di un mese circa, che in media ha riguardato le chiusure aziendali e degli esercizi commerciali fa contare ingenti perdite sugli introiti.
Già da molte parti si levano voci sulle ricadute di una nuova recessione, specialmente in termini di esuberi e di contrazione dei posti di lavoro. Uno studio della Fondazione di Vittorio mostra in proposito come già dalla fine del 2019 il saldo fra assunzioni e cessazioni risulti negativo in Italia, ma al tempo stesso le aziende abbiano fin qui reagito in modo difensivo alle minacce della pandemia, diminuendo i rapporti di lavoro attivati nel primo bimestre dell’anno corrente – si stimano -44 mila posti a tempo indeterminato; -100 mila nelle assunzioni a termine; -48 mila in somministrazione -, che sommati alle altre tipologie (apprendistato, stagionali e intermittenti) danno una diminuzione di circa -205 mila nuovi rapporti di lavoro attivati rispetto allo stesso bimestre del 2019. A primo impatto insomma vengono colpiti impieghi transitori, scarsamente qualificati o tutelati, così da preservare le competenze produttive più strategiche per le aziende.
Non a caso molti paesi, soprattutto Italia e Spagna, hanno sancito fra i provvedimenti d’emergenza anche il blocco dei licenziamenti, senza però mitigare con questo la minaccia delle organizzazioni padronali di imminenti esuberi, dovuti alle pessime previsioni economiche, nel caso in cui non si fosse riaperto quanto prima. Simili ricatti sul lavoro paradossalmente proprio in stati più liberisti hanno invece assunto un carattere più conciliante.
È il caso della Lufthansa, che negli ultimi giorni chiede un intervento di risanamento pubblico dopo la perdita di circa 1mld di euro nell’ultimo trimestre e rischi di ricadute sui lavoratori a basso reddito, dato che i ricollocamenti annunciati come risposta alla crisi non escludono la necessità di riduzione dei costi aziendali e quindi degli esuberi. Altro caso è quello registrato nella IBM, che ha tagliato i compensi dei collaboratori per l’80% fino alla fine della crisi, lasciando come alternativa soltanto l’esubero per il ricorso agli ammortizzatori sociali.
Come già evidenziato, altrettanto vulnerabili sono addetti inquadrati come lavoratori temporanei o liberi professionisti, con gli interinali che rappresentano quasi il 70% dei posti tagliati.
Se il governo di Roma ha pianificato aiuti per circa 3 miliardi destinati a quasi 2,5 milioni di lavoratori, raggiungendone però poco più di 300 mila; da Madrid il governo spagnolo ha stanziato circa 200 miliardi per l’estensione delle indennità di disoccupazione anche a quegli inquadramenti che non raggiungono i contributi necessari. In Francia invece 900 mila aziende hanno messo circa 8 milioni di dipendenti in cassaintegrazione.
Nelle ultime settimane la Confederazione Europea dei Sindacati (ETUC) sta portando avanti un osservatorio sulle misure rivendicate dalle organizzazioni aderenti nei diversi paesi membri dell’UE. A partire dal Manifesto conclusivo del congresso sindacale di Vienna a fine 2019, la CES rivendica l’importanza dei valori di solidarietà, equità, giustizia e coesione sociale per il superamento della crisi.
Oltre alla caduta del tabù imposto dai criteri del Patto di Stabilità – con il superamento del rigoroso rapporto deficit/PIL – è stato concordato di fronteggiare l’emergenza anche facendo ricorso ad ingenti aiuti di stato. Il mercato dunque non può regolarsi da solo, specialmente in casi di necessario rallentamento – se non proprio chiusura – degli scambi, dato che questi non esauriscono l’intera sfera dei soggetti e dei rapporti socioeconomici.
A ridosso della festa del Primo Maggio la Confederazione Mondiale del Lavoro e l’Unione sindacale Internazionale hanno perciò ribadito la centralità del Dialogo Sociale, attraverso una serie di proposte per le tutele occupazionali. Assoluta priorità è stata dedicata alla sicurezza sul posto di lavoro e degli impieghi, sia in termini di misure sanitarie, che in termini di salvaguardia dei rapporti di lavoro.
Oltre ai dispostivi di protezione individuale, alle turnazioni sui luoghi di lavoro per ridurre assembramenti e corsi di formazione sulla sicurezza; un capitolo rilevante è stato dedicato a schemi di riduzione delle ore lavorate, con provvedimenti simili a quel sistema ‘SURE’ proposto dalla Commissione Europea, per sostenere con ammortizzatori sociali le ore di assenza obbligata.
La segmentazione dei rapporti di lavoro, in una miriade di tipologie di contratti e di tutele sindacali anche all’interno degli stessi paesi membri dell’UE, rischia di minare l’efficacia di provvedimenti ombrello, difficilmente adattabili a tutte le tipologie di impiego. D’altro canto, la tendenza in settori economici dove la centralità della manodopera è compromessa in modo strutturale dalla meccanizzazione oppure dalla digitalizzazione delle compravendite – crescenti sul web invece che nei centri di grande distribuzione – impone anche la necessità di ricollocamento di addetti verso comparti a maggiore intensità di lavoro, come la sanità, l’istruzione, l’agroalimentare e la logistica.
Diventa perciò dirimente uno schema di sostegno al lavoro davvero universale, che passa per il rilancio del pilastro sociale dell’Unione Europea, ritenuto il carattere davvero qualificante delle condizioni di vita nell’area, rispetto al solo mercato unico.
La pandemia infatti sta mettendo alla prova gli assetti principali del modello socioeconomico e produttivo delle nostre società; e per certi versi rappresenta una rottura, che permette di rimettere in discussione le modalità di lavoro, formazione e protezione sociale.
Così, la preminenza di pilastri europei legati al Mercato Unico, all’Unione Doganale e alla centralità del Patto di Stabilità e Crescita, oltre ad essere stati fortemente condizionata dall’emergenza, non esaurisce la risma di cardini essenziali a tenere insieme questa UE senza un Dialogo Sociale, fatto di cooperazione e rispetto reciproco, al centro di una ricostruzione fondata sulla crescita inclusiva.
Approfondimenti:
https://www.etui.org/About-Etui/News/What-happened-in-March-2020-on-collective-bargaining.
https://www.etuc.org/en/trade-unions-and-coronavirus.
https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/QANDA_20_572.