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Quando il gioco si fa duro

di Paola
Boffo

di Paola Boffo –

Di orario di lavoro, Stato imprenditore, conflitto sociale, modello di sviluppo

È proseguito questa mattina il confronto del Governo con le forze sociali per la discussione sul decreto in uscita questa settimana. Il segretario della CGIL Landini ha considerato positivo il confronto avuto ieri sera, soprattutto “sulla misura finalizzata alla ricapitalizzazione delle imprese” e ha “riaffermato la necessità di avviare un tavolo progettuale sulle politiche industriali e più in generale dello sviluppo”.

La ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo, ha proposto nel nuovo decreto una misura che potrà prevedere una rimodulazione dei contratti collettivi aziendali e territoriali, e quindi una ipotesi di riduzione dell’orario di lavoro a parità di salari, che consenta anche la conversione di una parte delle ore in percorsi di formazione finanziati da un apposito fondo presso il Ministero del lavoro. Dalla riunione con le rappresentanze imprenditoriali è però emerso che non di riduzione dell’orario si tratta, ma di una sua rimodulazione, come la stessa ministra ha dovuto specificare, e come scrivo più sotto, ovvero di una riduzione dell’orario in azienda.

Si tratterebbe, in ogni caso, di una misura (temporanea) che potremmo definire di buon senso, da ultimo proposta dalla task force istituita dal Ministro per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione in accordo con il Ministero della Salute per valutare e proporre soluzioni tecnologiche data driven e affrontare l’emergenza sanitaria, sociale e economica legata alla diffusione del virus SARS-CoV-2 sul territorio italiano, ed in particolare dal gruppo di lavoro per l’impatto economico, che procede alla stima dell’impatto dell’emergenza COVID-19 sulla produzione industriale italiana a livello combinato di regione-settore e alla stima degli impatti diretti ed indiretti sulla finanza pubblica[1].

Nella relazione del gruppo di lavoro, pubblicata il 14 aprile scorso, infatti, si indica al punto 4) “La necessità di garantire il distanziamento, assieme alla difficoltà di svolgere il lavoro utilizzando protezioni (guanti, mascherine, etc.) suggeriscono una riduzione sostanziale dell’orario di lavoro – con i lavoratori organizzati in turni. Tale riduzione dovrebbe avvenire a salario invariato con un contributo dello Stato (si noti che questo costa meno allo Stato della cassa integrazione a zero ore)”.

La task force propone anche altro, come il fatto che la riapertura va effettuata per Sistemi Locali del Lavoro (SLL), non per settori d’attività, poiché le attività economiche sono collegate da relazioni Input-Output, con filiere interconnesse che è difficile isolare verticalmente, e che tengono conto degli spostamenti tra casa e lavoro, da migliorare, permettendo un controllo più preciso rispetto a classificazioni amministrative del territorio (es. comuni, province, regioni). Per aprire un SLL è condizione indispensabile che le strutture sanitarie locali, sia ospedaliere che di sorveglianza attiva sul territorio, raggiungano livelli minimi di resistenza allo stress causato dall’epidemia. Per gli ospedali l’indicatore proposto è il tasso di occupazione dei posti letto in terapia intensiva (rapporto tra numero persone in terapia intensiva e numero posti letto disponibili che, tenendo conto dell’evoluzione della malattia e dei tempi lunghi di degenza dei pazienti Covid, non deve superare il 50%). Per il sistema di sorveglianza sul territorio, rivolto ad evitare nuovi focolai epidemici, gli indicatori proposti sono: (a) il numero di tamponi giornalieri effettuabili (in rapporto alla popolazione), come misura della capacità di identificazione precoce dei positivi; e (b) il numero di addetti ai servizi di sorveglianza sul territorio (in rapporto alla popolazione), come misura della capacità di gestione dell’isolamento dei casi e dell’interruzione delle catene di contagio.

Non sono ancora noti i criteri che guideranno l’adozione della misura di riduzione dell’orario di lavoro, che dipenderanno anche dall’accordo con i sindacati e la parte padronale. Una quota delle ore ridotte dovranno essere dedicate dai lavoratori a iniziative formative a spese dello Stato. Questo, se da un lato potrebbe rispondere alla necessità di riconversione delle conoscenze e delle competenze nell’ottica di una transizione “verde” e digitale dell’economia e dei modelli produttivi, potrebbe significare che i lavoratori saranno comunque impegnati, da casa, per la formazione, che invece dovrebbe svolgersi durante l’orario di lavoro.

Troppo moderno e avanzato arrivare alla liberazione dal tempo di lavoro ? È una cosa che suscita “scandalo” e può passare solo se c’è il Covid-19 ?

Fin dall’inizio dell’epidemia ho pensato che per il futuro sarebbe necessaria una settimana lavorativa di quattro giorni, di cui uno in smart working, o anche di più se il lavoro lo consente. Contemporaneamente penso a un reddito di base, sempre più necessario quando c’è l’evidenza che tanti “lavoretti” o lavori precari o anche dipendenti, diminuiscono o finiscono all’improvviso per una crisi di questo genere.

Su questo ultimo tema, invece, sebbene il movimento cinque stelle si fosse avvicinato all’ipotesi di estensione del reddito di cittadinanza per far fronte alla perdita di reddito di un’ampia platea di cittadini cui non spetta nessuno dei regimi di ammortizzatori sociali già in campo o introdotti dal Decreto 17 marzo 2020, n. 18 (Cura Italia), nella riunione di maggioranza tenutasi nella serata del 4 maggio, l’ala destra (Italia Viva e il PD, almeno il suo responsabile economico Marattin) ha bloccato il cosiddetto “reddito di emergenza” per farne un contributo più basso, transitorio, da erogare dai Comuni invece che da parte dell’Inps, con tutte le problematiche sostanziali e le enormi difficoltà procedurali che questo comporterebbe, a fronte di una macchina già organizzata, anche se da migliorare, a disposizione dell’Inps. (Ne parla bene Roberto Ciccarelli sul Manifesto di oggi qui).

I renziani sono pure contrari all’ingresso dello Stato nel capitale delle imprese, che pure è prospettato: questa mattina Conte stesso su Huffington Post dice che “In un sistema economico che funziona, lo Stato deve assumere una veste più dimessa di quella di uno ‘Stato regolatore’. Ma non escludo, nel contesto che stiamo vivendo, che lo Stato possa assumere, con prudenza e attenzione, un ruolo più attivo. Non penso a un piano di nazionalizzazioni che richiama epoche passate, ma possiamo arricchire il ventaglio dei sostegni alle imprese, in alcuni casi anche attraverso capitale, finanziando direttamente l’impresa per facilitare investimenti produttivi e consentire il consolidamento dell’organismo societario.”

Nei giorni scorsi si è levata la voce di Carlo Bonomi, presidente in pectore di Confindustria ha detto “Lo Stato faccia il regolatore, stimoli gli investimenti. Per esempio questo sarebbe il momento per rilanciare con più risorse il piano Industria 4.0 visto che a questa crisi sopravviverà chi investirà. Ma si fermi lì. Non abbiamo bisogno di uno Stato imprenditore, ne conosciamo fin troppo bene i difetti” e poi “Il Governo agevoli quel confronto leale e necessario in ogni impresa per ridefinire dal basso turni, orari di lavoro, numero giorni di lavoro settimanale e di settimane in questo 2020″, “da definire in ogni impresa e settore al di là delle norme contrattuali“. (ANSA).

È giusto e sano avere un capo del padronato ben schierato e nemmeno governativo, per avere più chiari i termini del confronto, che ha ben avviato Marta Fana qui.

Il Governo pare si stia muovendo anche per una ricapitalizzazione fino a 5 milioni di finanziamenti a fondo perduto per le piccole e medie imprese, mentre per le aziende più grandi, invece, si interverrà tramite Cassa depositi e prestiti. Ma al di là delle provviste finanziarie è urgente lavorare per un cambiamento di modello economico, industriale, organizzativo, già impostato (almeno in teoria) dal Green deal europeo, ma reso ancora più urgente da tutte le evidenze portate alla luce dalla pandemia. E soprattutto per far fronte al disastro sociale per una quota crescente della popolazione, anche su scala globale. Su questo siamo in fortissimo ritardo.


[1] Il sottogruppo per l’impatto economico procede alla stima dell’impatto dell’emergenza COVID-19 sulla produzione industriale italiana a livello combinato di regione-settore e alla stima degli impatti diretti ed indiretti sulla finanza pubblica.

Obiettivi

  • Stimare l’impatto dell’emergenza COVID-19 sulla produzione industriale italiana a livello combinato di regione-settore.
  • Stimare gli impatti diretti ed indiretti sulla finanza pubblica.

Attività

  • Usare le tabelle input-output (I/O) regionali a frequenza mensile (o alla frequenza più alta disponibile) e fare esperimenti con degli shock selezionati ad-hoc (e.g. 5%, 10%, 15%, della produzione industriale pre-shock etc.) sia a livello regionale che settoriale.
  • Usare serie storiche regionali, che esistono sia a frequenza giornaliera (o settimanale) sia a frequenza mensile, per studiare le cross-correlazioni con la produzione industriale ed estrarre un fattore (componente principale) che possa predire con anticipo gli andamenti della produzione industriale a livello regionale.
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