I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi. Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica.
Così recita l’art.17 della costituzione, facente parte del Titolo I – rapporti civili.
In queste ore è stato più volte citato per commentare l’introduzione nel nostro codice penale dell’art. 434-bis, per ora solo per decreto1, approvato dal Presidente della Repubblica, in attesa quindi di approvazione da parte delle camere; per commentarlo e definirne l’inutilità.
La critica si appunta sulla genericità della fattispecie di reato che nella sua definizione permette di reprimere ogni sorta di manifestazione, ‘consiste nell’invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, commessa da un numero di persone superiore a cinquanta, allo scopo di organizzare un raduno’ come recita l’articolo. Il ministro dell’interno intervistato dal Corriere della Sera si sente offeso dal sospetto di voler generalizzare l’oggetto dell’azione repressiva, salvo che l’offesa viene da gran parte dei costituzionalisti e dei giuristi2.
Detto questo, l’idea è che il fenomeno dei Rave debba essere gestito con un dispositivo penale così duro, ricorrendo alla leva penale per gestire un fenomeno di natura sociale e culturale. L’affermazione del ministro che ci si vuole allineare alla legislazione degli altri paesi europei è del tutto falsa, ignora da un lato l’articolazione dei dispositivi utilizzati anche in termini amministrativi ad esempio in Francia e Gran Bretagna, dall’altra la specificità dell’ordinamento costituzionale italiano e del codice penale che offre strumenti per individuare comportamenti illegali. Per non parlare della situazione tedesca, in particolare della città di Berlino definita come la patria dei Rave dove tutta la valenza culturale e sociale di questi eventi si può esprimere e dispiegare. Qui sta il punto, la cultura, il movimento complesso che nei decenni ha prodotto i rave3 viene visto come fenomeno da reprimere, con esso l’intreccio di culture e comportamenti, giovanili e non, che ne fanno parte.
In sintesi come dice Susanna Ronconi in un suo post su Facebook “Eccoli qua, rave crime. Punire le culture e le aggregazioni dei giovani a colpi di pena minima 3 anni massima 6 e norme di ‘prevenzione’ del codice antimafia. Sorpresa? No, affatto, la destra è quella che governa la società a colpi di codice penale, e in particolare alcuni soggetti e alcuni gruppi sociali. Dallo stato sociale allo stato penale, lo diciamo da decenni.”
Lo spettro di questioni di cui si parla, sotteso alla discussione sui rave, riguarda gli spazi di relazione sociale, gli spazi di costruzione ed espressione di movimenti culturali, strettamente correlati alle profonde e crescenti diseguaglianze economiche, sociali e territoriali che caratterizzano il nostro paese, con tutto il suo portato di contraddzioni.
Del resto stiamo parlando dell’art. 5 di un decreto, quindi di un provvedimento che dovrebbe rispondere a criteri di urgenza e di eccezionalità, che c definisce i suoi obiettivi come segue: Misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonché in materia di entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di obblighi di vaccinazione anti SARS-COV-2 e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali. Quale sia l’urgenza e l’omogeneità, che dovrebbero motivare e caratterizzare i contenuti di un decreto, ognuno lo può giudicare.
Il dispositivo penale come strumento principe del governo della società si è espresso negli ultimi decenni, non solo nel nostro paese, nella cosiddetta ‘guerra alla droga’ che notoriamente ha fatto la fortuna delle mafie, delle reti criminali che gestiscono la produzione e la circolazione a livello globale delle diverse sostanze; nel nostro paese ha contribuito a gonfiare la popolazione reclusa. Popolazione reclusa che suscita l’attenzione di un giorno quando qualcuno si suicida nella propria cella; ma la soluzione si sa è ‘più carcere per tutti’ come direbbe un noto personaggio.
Il carattere sostanzialmente ideologico, irrazionale e per nulla fondato su analisi scientifiche della realtà, che sta dietro alla guerra sulla droga, lo ritroviamo per intero nei provvedimenti di questo primo atto legislativo del governo Meloni. Non solo negli articoli di carattere penale, su rave ed ergastolo ostativo, ma anche e soprattutto nell’articolo relativo ai provvedimenti amministrativi relativi alla pandemia Covid-19.
Rilevante oltre allo specifico del provvedimento è la comunicazione, le motivazioni che lo giustificano e lo supportano, che negano ogni pretesa di scientificità alla gestione della pandemia realizzata con successo nel nostro paese4. Non siamo in presenza di una critica ad alcune sue modalità- peraltro espressa da più esperti nei momenti più duri della pandemia- che però non ne delegittima l’impianto complessivo e soprattutto la funzione dello strumento vaccinale, si tratta invece di una delegittimazione sostanziale della campagna di vaccinazione, che nella comunicazione del primo ministro non viene neppure citata.
Si evidenzia quindi la necessità di costruire un dibattito pubblico, processi e strumenti di condivisione della conoscenza, che permettano ad ogni persona, ad ogni gruppo sociale di conoscere e comprendere la propria condizione e le sue cause; costruzione che è assieme condizione, strumento e conseguenza del conflitto sociale, della sua organizzazione, in una dialettica continua.
La mistificazione della realtà, il suo ribaltamento, la diffusione di fake news, come si usa dire oggi, è contigua, richiede la repressione del conflitto sociale ovvero di quella dialettica tra conflitto e presa di coscienza che è opposta alla manipolazione della rabbia sociale, basata sulla passivizzazione dei diversi strati sociali, ognuno isolato nella propria condizione. Non è semplice contrastare questa forma di governo della società, il panorama globale non ci induce certo all’ottimismo; ne è un esempio l’esito delle elezioni brasiliane, che altrove viene analizzato in un altro articolo di questo numero della rivista, con la rimonta di Bolsonaro nelle ultime settimane di campagne elettorale. Esso ci mostra come la precarietà della condizione dei diversi strati della società, cerchi un riferimento in dispositivi autoritari nella garanzia di poter scaricare su altri la propria incertezza esistenziale, sentendosi rassicurare dalla punizione feroce di adeguati capri espiatori. La vittoria di misura di Lula non cambia la sostanza del problema, ma indica la problematicità del percorso che come presidente del Brasile deve intraprendere; altrettanto complesso e ben più difficoltoso è la definizione di un percorso dei movimenti sociali, delle organizzazioni politiche , delle culture antagoniste e critiche nel nostro paese.
L’analisi ristretta ai primi provvedimenti del governo di destra-centro rimanda quindi nel suo allargarsi al prendere in considerazione lo stato della formazione sociale italiana, una impresa da far tremare i polsi, compito che – come abbiamo detto più volte- può essere assunto non da un singolo soggetto, ma da una rete, entro un sistema di relazioni articolate anche conflittuali, nel quale le differenze siano giocate su tutti i terreni dello scontro sociale, politico ed istituzionale, senza l’esclusione pregiudiziale di alcun terreno.
Torniamo infine alle forme del conflitto, frammentato nel nostro paese, che paga la distanza delle organizzazioni tradizionali dai sui contenuti e dalle sue forme più radicale, che il governo a sua volta ha tutta l’intenzione di reprimere. Forme di aggregazione si realizzano attorno a poli dello scontro caratterizzate da particolare consapevolezza della propria condizione nel contesto più generali, capaci di organizzare la propria lotta e le relazioni attorno ad essa come la GKN o i lavoratori della logistica.
I provvedimenti che si prospettano da parte di questo governo, vedi il cosiddetto reddito di cittadinanza, non faranno che acuire le condizioni di disagio sociale, povertà e vera e propria miseria. Non possiamo che augurarci che a questo corrisponda una capacità di organizzazione autonoma dei soggetti sociali, di messa in campo di forme di cooperazione solidale. Ciò che non ci possiamo aspettare è che tutto avvenga in totale assenza di comportamenti tacciabili di illegalità. La storia del conflitto sociale del nostro paese lo dimostra ampiamente, che ha conosciuto anni di duro scontro sociale, a cui peraltro le forze in difesa dell’ordine costituito hanno risposto con le forme criminali che abbiamo conosciuto; anni di conflitto sociale da cui sono scaturite le principali riforme progressive del nostro paese. La dialettica del conflitto sociale non è mai riducibile ad una sola dimensione o a sue forme ideali. La stagione del cosiddetto ‘autunno caldo’ si concluse con un provvedimento di amnistia e indulto verso le decine di migliaia di persone coinvolte in vario modo in episodi di scontro duro -tipico era il reato di violenza e resistenza a pubblico ufficiale- o di violazione della proprietà privata, prodotto dei ‘raduni’ di allora.
I tempi oggi sono diversi, purtroppo verrebbe da dire, non si tratta di mettere le mani avanti da parte di chi il conflitto sociale lo vuole produrre, sta di fatto che le mani avanti le mette il governo. Ci aspetta una lunga traversata nel deserto, per fortuna costellato di oasi e percorsi carovanieri.
Roberto Rosso
- La disposizione è contenuta nell’art. 5 del D.L. 162/2022 (Norme in materia di occupazioni abusive e organizzazione di raduni illegali) pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 31 ottobre 2022, che recita come segue:
Art. 5 Norme in materia di occupazioni abusive e organizzazione di raduni illegali
1. Dopo l’articolo 434 del codice penale è inserito il seguente: «Art. 434-bis (Invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica). – L’invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica consiste nell’invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, commessa da un numero di persone superiore a cinquanta, allo scopo di organizzare un raduno, quando dallo stesso può derivare un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica.
Chiunque organizza o promuove l’invasione di cui al primo comma è punito con la pena della reclusione da tre a sei anni e con la multa da euro 1.000 a euro 10.000.
Per il solo fatto di partecipare all’invasione la pena è diminuita.
È sempre ordinata la confisca ai sensi dell’articolo 240, secondo comma, del codice penale, delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato di cui al primo comma nonché di quelle utilizzate nei medesimi casi per realizzare le finalità dell’occupazione.».
2. All’articolo 4, comma 1, del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, dopo la lettera i-ter), è aggiunta la seguente: «i-quater) ai soggetti indiziati del delitto di cui all’articolo 434-bis del codice penale».
3. Le disposizioni del presente articolo si applicano dal giorno successivo a quello della pubblicazione del presente decreto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.[↩] - Il pericolo è la vaghezza della norma, come dice Vittorio Manes, docente di diritto penale a Bologna, che parla di “reato simbolico, vago e sproporzionato rispetto agli altri del codice”, un reato “utopistico se si pensa che possa disincentivare il fenomeno che si vorrebbe colpire perché qualsiasi raduno può diventare un pericolo per l’ordine pubblico, o la stessa incolumità pubblica”. E che vuole “punire chi semplicemente partecipa e non organizza o promuove l’assembramento”. Insomma “un esempio dell’utilizzo simbolico del diritto penale, una sorta di norma manifesto carica però di effetti punitivi molto severi e con profili di dubbia costituzionalità“: https://www.repubblica.it/politica/2022/11/01/news/rave_party_norma_costituzione-372559011/?ref=RHLF-BG-I0-P1-S3-T1[↩]
- https://www.agenziax.it/index.php/rave-new-world. Qual è stata l’ultima controcultura? Come mai dopo la stagione dei rave non si è più affermata una spinta creativa capace di unire migliaia di persone?
Nell’arco di un trentennio la scena dei rave e del movimento free tekno ha forgiato nei circuiti underground generi musicali innovativi come jungle, grime, dubstep. Nonostante la natura utopica, questa cultura pirata, tra azione diretta, neotribalismo e cyberpunk, si è concretizzata in un crogiolo di istanze politico-esistenziali, unendo in una danza collettiva sognatori di comunità liberate, sperimentazione artistica, lotte per i diritti dei gay e controvertici.
Rave new world raccoglie le testimonianze e gli spunti più interessanti degli studiosi e dei protagonisti a livello internazionale, offrendo al lettore un’inedita panoramica storica che include le numerose idee realizzate, i punti critici e le possibili prospettive dell’ultima delle controculture.
Questa nuova edizione aggiornata, per prevenire le criticità legate al consumo di stupefacenti, include un capitolo sulle pratiche di “riduzione del danno”, utilizzate da decenni in club e rave europei e ancora oggi considerate illegali in Italia.[↩] - https://www.repubblica.it/cronaca/2022/11/02/news/una_bugia_il_primato_di_morti_dellitalia_gli_scienziati_smentiscono_la_premier-372560498/?ref=RHLF-BG-I372579042-P2-S1-T1 [↩]