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Facciamo il punto, transizioni e policrisi

di Roberto
Rosso

Negli ultimi tre articoli1  l’argomento erano le conferenze il cui oggetto riguarda la crisi climatica, la biodiversità ed il collasso degli ecosistemi, la contaminazione delle matrici ambientali da parte elle materie plastiche ed infine la desertificazione. Nell’arco di poche settimane si sono svolte anche le tre conferenze di ordine strategico, i Brics, il G20 ed il G7.

Riprendendo l’ultimo articolo “Le tre conferenze strategiche e le quattro conferenze su crisi climatica, ecologica, ambientale e sui processi globali di contaminazione delle matrici ambientali, non sembrano minimamente in grado di affrontare, coordinandosi globalmente, queste convergere di processi di crisi e di degrado che generano punti critici e punti di svolta le cui conseguenze già oggi abbiamo imparato a conoscere, ma andranno ben oltre la nostra esperienza attuale. Il divario tra le conoscenze e le tecnologie prodotte -che conoscono un loro sviluppo esponenziale, loro punti critici e punti di svolta- e i processi reali di governo delle società e della formazione sociale globale nel suo complesso è stupefacente e segnala l’assenza di una soggettività politica, culturale e sociale di colmare questo divario, attivando condivisione diffusa delle conoscenze e processi di cooperazione.”

Il punto da riprendere è il divario tra le conoscenze e le tecnologie prodotte (…) e i processi reali di governo delle società e della formazione sociale globale.

Esso può essere considerato il macrotema che attraversa, in modo più o meno evidente, tutta la produzione dello scrivente sulle pagine di questa rivista. Esso viene declinato in un contesto descritto dalla figura delle transizioni gemelle quelle ecologico-climatica quella tecnologico-digitale, mentre i processi reali in corso possono venire riassunti sotto il termine -un vero e proprio neologismo- della policrisi ovvero l’intreccio -inestricabile e sempre meno prevedibile nel suo svolgimento- dei le processi di crisi, vale dire trasformazioni in corso che si manifestano come rotture e non come cambiamenti graduali negli assetti sociali, economici, politici e culturali esistenti, nella forma ormai acquisita delle gerarchie e della configurazione della cosiddetta globalizzazione neoliberista, in un contesto di competizione e conflitti crescenti, militarizzazione che si esprime in guerre potenziale attuali.  Business as  usual, si potrebbe dire, è il modo con cui il sistema capitalistico si evolve sin dalla sua nascita, il modo con cui è stato partorito; tuttavia tutto appare in dimensioni e modalità che superano ogni orizzonte vissuto dall’umanità in precedenza –non fosse altro per la semplice dimensione che questa umanità ha raggiunto avviandosi al raggiungimento dei dieci miliardi di persone sulla faccia del globo– soprattutto per la complessità dei rapporti sociali di produzione, dei processi di riproduzione che coinvolgono, come non mai, l’insieme delle forme di vita, la vita sulla terra nelle manifestazioni e relazioni assieme più intime ed estese. La sproporzione più drammatica ed evidente è tra la potenza trasformativa e produttiva raggiunta dall’insieme delle conoscenze, delle tecnologie e dei processi produttivi e l’orizzonte catastrofico che si manifesta sempre più concretamente nello scorrere del presente, nelle crisi che nessuno governa. Lo sviluppo di quelle che marxianamente possiamo definire come forze produttive assume un quindi un duplice carattere per il quale possiamo usare, generalizzandolo, il termine di dual use che si applica solitamente a quelle tecnologie che vengono utilizzate sia nell’ambito militare che in quello per così dire civile. Parliamo di generalizzazione in quanto le medesime tecnologie producono tanto effetti positivi quanto negativi, tanto possono essere utili per preservare la vita, ridurre le diseguaglianze quanto agire all’opposto. Il caso più evidente è quello delle biotecnologie, un campo di conoscenze in vertiginoso sviluppo, che sono in grado di comprendere e penetrare sempre più profondamente e finemente le forme di vita,  la loro struttura le loro relazioni; un patrimonio di conoscenze e strumenti di intervento che intanto permettono di comprendere come si manifesta il collasso sempre più diffuso degli ecosistemi a causa dei processi di antropizzazione in dialettica con il riscaldamento globale e la crisi climatica conseguente. A fronte di questo sta l’ampio spettro di nuove produzioni che le biotecnologie stanno generando, il cui sviluppo è ovviamente guidato da logiche di profitto ed ha un particolare rapporto con la crisi degli ecosistemi e per lo più non è quello della loro riproduzione, ma della loro sostituzione con filiere artificiali di riproduzione di forme di vita. L’affermazione appena fatta si riferisce ad una realtà dalle mille sfaccettature, ognuna delle quali richiede di essere presa in considerazione ed analizzata -su questo esistono contributi che cercheremo di riportare o quanto meno riassumere e citare- tuttavia il prodotto finale ad oggi è quello di innestare nuovi processi produttivi, occasioni di profitto nell’avanzare della crisi ecologica globale, senza operare efficacemente nell’invertirne il procedere. Un caso emblematico è quello del consumo di carne, del consumo di risorse naturali che questo implica, la sua impronta ecologica, concetto e misura, è bene ricordarlo, che si applica a qualsiasi attività umana. Il problema che si pone del contenuto proteico dell’alimentazione umana ovviamente si colloca nel contesto delle condizioni generali di riproduzione delle popolazioni nelle diverse regioni del globo, contesto ecologico-climatico, così come sociale, economico e demografico, aspetti tra loro inestricabilmente interrelati. La contraddizione comunque è forte e palese ed ha stimolato la nascita della biotecnologia della cosiddetta carne artificiale, che nasce come la realizzazione di una nuova famiglia di prodotti da mettere sul mercato, la cui articolazione possibile in termini di costo, qualità e diffusione è tutta da comprendere, mentre evidenti sono i problemi di regolamentazione, in base a premesse di ordine generale ed in specifico sugli effetti di una tale alimentazione; pensiamo  già oggi, alle differenti qualità nutritive delle carni a seconda della tipologia dell’allevamento. Mi scuso con chi inorridisce al solo citare il regime di alimentazione carnivoro. L’insieme delle filiere agroalimentari costituisce un fattore centrale nei processi di antropizzazione quindi nella rottura degli ecosistemi, nell’emissione dei gas climalteranti, nella contaminazione delle matrici ambientali, rispecchiando nella loro articolazione le diseguaglianze sociali, le differenze e le gerarchie nei consumi e nella qualità della vita.

Le conferenze citate in apertura hanno messo in evidenza, oltre all’incapacità di arrivare ad accordi sostanziali, in grado di mettere in campo forme efficaci di cooperazione rispetto ad obiettivi condivisi, le diverse condizioni in cui si trovano le diverse regioni del globo, diversi modi con cui si manifestano i processi globali di trasformazione. Il fallimento sostanziale delle quattro conferenze climatico-ambientali si riassume nella mancanza o inadeguatezza radicale nei trasferimenti di risorse finanziarie, scientifiche e tecnologiche necessarie quanto meno mitigare gli effetti delle crisi sui paesi più poveri e comunque necessarie in tutti i paesi ad operare le transizioni, le vere e proprie inversioni di rotta in grado di allontanare orizzonti catastrofici sempre più incombenti. Tali trasferimenti sarebbero resi possibili solo da un regime di cooperazione globale che è in contraddizione totale col regime di competizione che regola i rapporti internazionali e con la logica di profitto che governa tutte le regioni del globo, nei diversi regimi politici che le governano. Domina quindi il regime di accumulazione capitalistica, che ben conosciamo, nelle forme in cui progressivamente si sta evolvendo; i dispostivi di governo della dimensione monetaria e finanziaria sono cruciali, sono sempre nel cuore delle crisi, con le ondate progressive di finanziarizzazione delle economie, oggi si acuisce la competizione sui sistemi di regolazione dei pagamenti e delle monete in cui vengono regolati, questi a loro volta influenzano i gradi di libertà dei diversi paesi di operare nel commercio internazionale di  acquisire le risorse necessarie al loro sviluppo, inteso nella sua accezione più generale.

L’assenza di un quadro di cooperazione globale è un fattore essenziale nel limitare la capacità dei singoli paesi o coalizione di paesi di governare efficacemente e progettare la propria traiettoria di trasformazione e sviluppo; ognuno si sente minacciato dai paesi con cui compete anche a partire dalle posizioni più forti. Ne sono una manifestazione le esternazioni del presidente eletto degli Stati Uniti Donal Trump, che minaccia ritorsione contro qualunque soggetto metta in discussione l’egemonia del dollaro. E’ in corso una spasmodica ricerca da parte delle maggiori potenze e coalizioni di una propria utopica totale autonomia, che si manifesta comunque in una estrema precarietà stante la radicalità delle transizioni-trasformazioni in atto.

Possiamo allora tornare alla contraddizione tra  straordinaria potenza delle conoscenze, delle tecnologie, delle capacità produttive e l’inefficacia nel contrastare le crisi globali in atto a partire da quelle climatico-ecologiche-ambientali, una contraddizione che classicamente si definisce come contraddizione tra sviluppo delle forze produttive e rapporti di produzione, salvo che mentre si acuiscono il divario e le forme della contraddizione non è alle viste, una sintesi, una risoluzione ad un livello più alto in termini di rivoluzione, di liberazione dell’umanità.

Una condizione quella attuale che produce per lo più spaesamento, difficoltà a riconoscersi in un destino comune che non sia la delega totale a una qualche forma di potere, di promessa salvifica o molto più semplicemente e prosaicamente ad una promessa di privilegio relativo rispetto ad altri, visti come i dannati della terra, da respingere risolutamente lontano dalle nostre case e strade, territori e città. Una forma di spaesamento e inadeguatezza a fronte della complessità degli eventi che ci coinvolgono che produce la variabilità estrema nel tempo delle forme di aggregazione del consenso che tende ad assumere forme regressive e difensive, in assenza di orizzonti trasformativi di cui essere protagonisti.

Possiamo allora produrre ottime descrizioni delle svolte conservative e reazionarie che investono le nostre ‘società democratiche’ senza essere capaci di scavare fondo nella complessità delle trasformazioni che coinvolgono, rinunciando a percorrerne i nessi che possono connettere le condizioni fortemente differenziate tra loro in cui viviamo incapsulati. Uno sforo di analisi, immaginazione politica e mobilità del punto di osservazione è sempre più necessario.

Roberto Rosso

  1. https://transform-italia.it/no-future-future-now/ https://transform-italia.it/tre-conferenze-ununica-crisi-i-veri-confini-del-mondo/ https://transform-italia.it/sepolti-nel-deserto-sotto-una-piramide-di-plastica/ []
biodiversità, Crisi Climatica, desertificazione, immaginazione politica, policrisi, transizione
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