Pace e cura del creato: le priorità del Papa sono adeguate ai tempi che viviamo. Francesco si preoccupa tanto di salvare il mondo dalla distruzione quanto di convertire le persone a Cristo. Sfortunatamente, non tutti i cattolici condividono questo punto di vista.
La scorsa settimana Papa Francesco ha partecipato alla Giornata Mondiale della Gioventù Cattolica di Lisbona (dal 2 al 6 agosto) dove ha incontrato un milione e mezzo di giovani cattolici provenienti da tutto il mondo (200 Paesi), soprattutto dall’Europa (una sorta di Woodstock cattolica del Papa, inventata da Giovanni Paolo II negli anni ‘80; la prossima sarà a Seul nel 2027; questa volta hanno partecipato anche 700 vescovi e 10 mila sacerdoti; tre vescovi ucraini hanno accompagnato 500 giovani). Il suo appello principale ai giovani “che volete cambiare il mondo e lottate per la giustizia e per la pace” è stato per la pace in Ucraina e nel mondo. “Accompagniamo con il pensiero e con la preghiera coloro che non sono potuti venire a causa di conflitti e di guerre. Nel mondo sono tante. Pensando a questo continente, provo grande dolore per la cara Ucraina, che continua a soffrire molto”, ha detto. Ha parlato anche del suo “sogno della pace”: “Amici, permettete a me, anziano, di condividere con voi giovani un sogno che porto dentro: è il sogno della pace, il sogno di giovani che pregano per la pace, vivono in pace e costruiscono un avvenire di pace. Attraverso l’Angelus mettiamo nelle mani di Maria, Regina della pace, il futuro dell’umanità. E, tornando a casa, continuate, per favore a pregare per la pace. Voi siete un segno di pace per il mondo, una testimonianza di come le nazionalità, le lingue e le storie possono unire anziché dividere. Siete la speranza di un mondo diverso. Grazie di questo. Avanti!”.
Secondo Francesco, “in questo frangente storico le sfide sono enormi, i gemiti dolorosi. Stiamo vedendo una terza guerra mondiale a pezzi” (ne aveva parlato esplicitamente per la prima volta in un’intervista a La Repubblica il 13 aprile 2017). Come ha sostenuto nell’Angelus del 27 marzo 2022 riferendosi alla guerra in Ucraina: “Dobbiamo convertire lo sdegno di oggi nell’impegno di domani. (…) Di fronte al pericolo di autodistruggersi, l’umanità comprenda che è giunto il momento di abolire la guerra, di cancellarla dalla storia dell’uomo prima che sia lei a cancellare l’uomo dalla storia” (riprendendo quanto espresso nell’enciclica Pacem in Terris, promulgata da Giovanni XXIII l’11 aprile 1963). È urgente creare occasioni di incontro e di pacificazione, perché “è molto difficile sostenere i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una possibile “guerra giusta”. Mai più la guerra!” (Fratelli tutti 258). In un altro passo dell’enciclica Fratelli tutti, Francesco ha scritto: “La guerra è un fallimento della politica e dell’umanità”, invocando un artigianato della pace che coinvolga tutti, perché la riconciliazione è “un compito che non dà tregua e che esige l’impegno di tutti”.
Alla GMG Francesco non ha condannato la Russia1, un fatto ampiamente sottolineato dal New York Times. Nelle settimane scorse il Papa ha inviato il cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana e arcivescovo di Bologna, a Kiev, Mosca e Washington per lavorare per la pace in Ucraina. Finora Zuppi ha ottenuto l’impegno concreto ad affrontare alcuni tra i dossier più spinosi, a cominciare dallo scambio di prigionieri e dalla situazione dei bambini di nazionalità ucraina che attualmente si trovano in territorio russo (finora ne sono stati rimpatriati circa 400). La prossima tappa di Zuppi, come ha ufficializzato lo stesso Papa, sarà Pechino per proseguire quella che ha definito “un’offensiva di pace”. Francesco sta anche pensando di “nominare un rappresentante permanente che funga da ponte tra le autorità ucraine e russe”. Scopo della mediazione offerta dalla Santa Sede è quello di favorire un clima che permetta alle parti di attivare meccanismi che possano incentivare le soluzioni umanitarie, creando i presupposti per un più largo confronto diplomatico.
Papa Francesco ha sfidato l’Europa a riprendere il suo ruolo di pacificatore e costruttore di ponti. “Sogno un’Europa, cuore dell’Occidente, che impieghi i suoi immensi talenti per dirimere i conflitti e accendere lampade di speranza. Un’Europa capace di ritrovare il suo cuore giovanile, guardando alla grandezza del tutto e al di là delle sue immediate necessità. Un’Europa inclusiva di popoli e persone, senza rincorrere ideologie”. Secondo Francesco, l’Europa dovrebbe dirottare i soldi spesi per gli armamenti e usarli per promuovere l’istruzione e finanziare una legislazione favorevole alla famiglia per aiutare a invertire il calo del tasso di natalità aggravato dai costi proibitivi degli alloggi per le giovani coppie.
Ha inoltre esortato l’Europa a raccogliere la sfida di “accogliere, proteggere, promuovere e integrare” i migranti, sia per motivi umanitari che come mezzo per contrastare la diminuzione della popolazione. Francesco si è dichiarato estremamente preoccupato per la questione dei migranti specie nei lager del Nord Africa, che ha definito un cimitero ancora più grande del Mediterraneo. “È criminale lo sfruttamento dei migranti nei lager del nord Africa. Vi raccomando la lettura di Hermanito “Fratellino”, il libro di un migrante che per venire dalla Guinea in Spagna ha impiegato tre anni perché torturato, sfruttato e schiavizzato. Si può leggere in due ore ma ne vale la pena. C’è il dramma prima di imbarcarsi. Save Humans sta facendo un lavoro per riscattare i migranti che erano stati lasciati a morire nel deserto tra Libia e Tunisia. Il Mediterraneo è un cimitero, ma il cimitero più grande è il nord Africa”. Il Papa sarà a Marsiglia per “Rencontres Méditerranéennes” (17-24 settembre), per prendere parte alla sessione conclusiva del festival ecumenico e interreligioso dei Paesi affacciati sul Mediterraneo.
Papa Francesco è oggi uno dei più forti sostenitori di coloro che sono costretti a fuggire dalle loro terre a causa di conflitti, persecuzioni e altre avversità, mentre esorta ripetutamente ad “accogliere, proteggere, promuovere e integrare” rifugiati e migranti, in modo che possano vivere in pace e dignità. Il riferimento evangelico è Matteo 25, dove dice: “Ero nudo, avevo fame, avevo sete, ero forestiero”, mentre gli aspetti pratici di questa chiamata sono realizzati dal Dicastero della Santa Sede per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, creato nel 2016 e diretto dallo scalabriniano padre Fabio Baggio, che opera in rete con varie organizzazioni cattoliche, tra cui Caritas Internationalis, Caritas Italia, Commissione cattolica internazionale per le migrazioni (ICMC), il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati, la Comunità di Sant’Egidio, le Conferenze episcopali nazionali e le parrocchie.
Papa Francesco ha ripetutamente esortato la Chiesa cattolica (1,3 miliardi di fedeli) ad essere come un ospedale che va sul campo e guarisce le persone. Chiede di costruire ponti, superare le barriere e lasciare la propria zona di comfort e raggiungere gli altri. Incoraggia tutti coloro che hanno la possibilità di andare a vedere e toccare con mano le tragedie umane che sono dietro l’angolo. Chiede una governance globale per aiutare quelle persone che sono in movimento, a causa di conflitti, clima o economia.
Una Chiesa aperta a tutti
Il primo giorno della sua visita in Portogallo, Francesco ha affermato che la Chiesa cattolica ha bisogno di una “purificazione umile e continua” per affrontare le “grida angosciate” delle vittime di abusi sessuali da parte del clero. Nel corso della consueta conferenza stampa in aereo di ritorno da Lisbona a Roma, Francesco ha ribadito la “tolleranza zero” contro la “peste tremenda” degli abusi sui minori. A Lisbona ha incontrato un gruppo di 13 vittime, dopo che sei mesi fa è stato reso pubblico un rapporto in cui si parla di varie migliaia di casi di abusi sessuali nella Chiesa portoghese (almeno 4.815 minori in 70 anni). “Abbiamo parlato di questa tremenda peste. L’abuso è come “mangiare” una persona. Parlare con le persone abusate è una esperienza dolorosa. Ma mi fa bene, mi aiuta a farmi carico della questione. Dallo scandalo di Boston la Chiesa ha preso coscienza che non si potevano seguire strade evasive, ma che si doveva prendere il toro per le corna. Due anni e mezzo fa c’è stata la riunione dei presidenti delle Conferenze episcopali, dove sono state fornite anche delle statistiche ufficiali sugli abusi. È un fenomeno grave, grave. Tolleranza zero. E i pastori che non lo hanno fatto devono farsi carico di questa responsabilità. Esorto che siano aperti. Ora il processo nella Chiesa portoghese va bene e con serietà. Si sta cercando la realtà. A volte i numeri finiscono per essere aumentati. Sono al corrente di come vanno le cose e questo mi dà una certa tranquillità”. Allargando il discorso anche ad altri tipi di abusi: nel mondo del lavoro con lo sfruttamento dei bambini, l’abuso delle donne, le menomazioni sessuali delle bambine (l’escissione della clitoride) in molti Paesi, ha sostenuto che “bisogna eliminare la cultura dell’abuso e convertirsi”.
Francesco sostiene che “la Chiesa non può avere porte, tutti possono entrare“, anche se deve virare sulla difensiva – richiamando le leggi che regolano la vita interna della Chiesa e definiscono compiti e poteri dei chierici – se gli si fa notare che donne e omosessuali non hanno accesso a tutti i diritti e sacramenti (le donne non possono diventare sacerdoti attraverso il sacramento dell’ordinazione e le coppie dello stesso sesso non possono contrarre matrimonio). “Sono due punti di vista diversi. La Chiesa è aperta per tutti, ma c’è una legislazione che regola la vita dentro. Se uno non può ricevere [alcuni] sacramenti, non vuol dire che la Chiesa sia chiusa. Ognuno incontra Dio per la propria vita nella Chiesa. E la Chiesa è madre e guida tutti per la propria strada. Tutti. E poi ognuno, nella preghiera, con il catechista va avanti. Gli omosessuali? Il Signore parla di tutti, ammalati, giovani e anziani, buoni e cattivi. Ma spesso non si capisce questo inserimento nella Chiesa come madre. La si pensa come una ditta che per entrare devi fare le cose in un modo specifico. Cosa diversa è la ministerialità, che è il modo di portare avanti il gregge. La cosa importante è la pazienza, accompagnare ognuno passo a passo verso la propria via di maturazione. La Chiesa è madre e riceve tutti e ognuno segue la propria strada”.
Da tempo, Francesco ha criticato come “ingiuste“ le leggi che criminalizzano l’omosessualità o discriminano le persone LGBTQ+, affermando che Dio ama tutti i suoi figli così come sono2 e invitando i vescovi cattolici che sostengono le leggi in alcune parti del mondo (67 Paesi, 11 dei quali possono imporre o impongono la pena di morte) ad accogliere le persone LGBTQ+ nella Chiesa. “Essere omosessuali non è un crimine [ma un peccato], ha detto in un’intervista, e i vescovi devono cambiare il loro atteggiamento per riconoscere la dignità di tutti. “Questi vescovi devono fare un processo di conversione”, aggiungendo che dovrebbero usare “tenerezza, come ha fatto Dio, per ciascuno di noi”. In ogni caso, le persone gay devono essere trattate con dignità e rispetto.
Il fatto è che la Chiesa insegna che le donne non possono diventare sacerdoti perché Gesù scelse solo uomini come suoi apostoli. Allo stesso tempo, la Chiesa non consente il matrimonio tra persone dello stesso sesso e nemmeno la benedizione per le coppie dello stesso sesso, ma Francesco sostiene la legislazione civile che conferisce diritti alle coppie dello stesso sesso in settori come pensioni, assicurazione sanitaria ed eredità. La Chiesa insegna che l’attrazione per lo stesso sesso non è peccaminosa, ma gli atti tra persone dello stesso sesso lo sono.
Dall’inizio del suo pontificato, Francesco ha cercato di rendere la Chiesa più accogliente e meno condannante, compresi i membri della comunità LGBTQ+, ma senza cambiare gli insegnamenti che esortano coloro che hanno attrazione per lo stesso sesso a essere casti. Francesco ha promosso una serie di riforme da quando è diventato papa 10 anni fa, tra cui l’attribuzione di più ruoli alle donne, in particolare nelle posizioni vaticane di alto rango (ha nominato una donna, suor Nathalie Becquart, a un ruolo chiave nel Dicastero per i Vescovi, uno degli uffici curiali più influenti), ma deve trovare un delicato equilibrio tra l’appello a credenti più progressisti e il turbamento dei conservatori. Con dispiacere dei conservatori tradizionalisti, Francesco – il primo papa gesuita, il primo papa delle Americhe e il primo a prendere il nome di Francesco, in emulazione di Francesco d’Assisi, il santo medievale noto per la “santa povertà” – ha dimostrato nei 10 anni del suo pontificato che la Chiesa è un’istituzione il cui leader può affrontare apertamente questioni irrisolte, piuttosto che respingerle come fuori dal campo della discussione. Ha chiarito che una ricerca umile e personale del modo giusto di vivere la propria vita si adatta bene al cattolicesimo del ventunesimo secolo anche per chi, come lui, si trova all’apice dell’istituzione. Francesco ha fatto sembrare ovvio l’imprevisto più e più volte, anche portando il suo talento per il non convenzionale nelle attività quotidiane del Vaticano (soprattutto per quanto riguarda la Banca Vaticana e la Curia Romana). Ha concentrato l’azione del suo pontificato sulle questioni che per lui sono una questione di fede: rispettare e proteggere la dignità di ogni persona umana; essere buoni custodi di tutte le forme di vita (cioè prendersi cura delle persone e di tutto il creato); difendere la libertà di religione; promuovere la comprensione reciproca e l’amicizia tra persone di diverse fedi; lavorare per l’unità dei cristiani; dialogare con coloro che sono percepiti come nemici; promuovere la pace nel mondo e l’eliminazione delle armi e della guerra.
L’immagine di Francesco come “Papa del popolo” ha suscitato e suscita risentimento tra i cattolici tradizionalisti, che amavano Giovanni Paolo II per la sua popolarità, conquistata mantenendo una linea incrollabile sulla dottrina cattolica. La volontà di Francesco di abbracciare fraternamente altri leader religiosi, tra cui l’arcivescovo di Canterbury e Ahmed el-Tayeb, il Grande Imam di al-Azhar, e la sua apertura diplomatica alla Cina, in netto contrasto con l’anticomunismo di Giovanni Paolo II alla fine della Guerra Fredda, ha anche alimentato il loro scontento. Forse più che altro, però, i tradizionalisti sono urtati dall’abitudine di Francesco, nelle interviste (richiedendo un sostegno e una cura per le “coppie ferite”) e negli incontri faccia a faccia (con una coppia gay, con persone trans), di distinguere tra insegnamento della Chiesa (la dottrina cattolica) e pratica pastorale, un approccio che suggerisce che la Chiesa deve riesaminare il suo approccio alle questioni sessuali, non solo l’omosessualità, ma anche il matrimonio e il sesso al di fuori del matrimonio. I tradizionalisti sono intervenuti in modo aggressivo nel promuovere un fronte anti-Francesco, attraverso trasmissioni televisive, libri e interviste di potenti cardinali. Sembrano profondamente preoccupati per il calo della pratica religiosa e per quella che alcuni hanno definito la “crisi della fede” che almeno il mondo occidentale sembra vivere. Pertanto, ritengono che la massima priorità del papa dovrebbe essere quella di concentrarsi su questioni puramente di fede o religiose.
Il problema di fondo con cui Francesco deve confrontarsi è quello della “stanchezza” dell’attuale Chiesa, “un sentimento piuttosto diffuso nei Paesi di antica tradizione cristiana, attraversati da molti cambiamenti sociali e culturali e sempre più segnati dal secolarismo, dall’indifferenza nei confronti di Dio, da un crescente distacco dalla pratica della fede — e qui c’è il pericolo che entri la mondanità [dalla quale, secondo Francesco, si genera il clericalismo dei preti e dei laici che dà falsamente l’impressione che siano “superiori, privilegiati, posti ‘in alto’ e quindi separati dal resto del popolo santo di Dio”]. E ciò è spesso accentuato dalla delusione o dalla rabbia che alcuni nutrono nei confronti della Chiesa, talvolta per la nostra cattiva testimonianza e per gli scandali che ne hanno deturpato il volto, e che chiamano a una purificazione umile e costante, a partire dal grido di dolore delle vittime, sempre da accogliere e da ascoltare. Ma, quando ci si sente scoraggiati — e ciascuno di voi pensi in quale momento ha provato scoraggiamento —, il rischio è quello di scendere dalla barca, restando impigliati nelle reti della rassegnazione e del pessimismo”. Una Chiesa stanca, scoraggiata, rassegnata e mondana è una Chiesa “in pensione dallo zelo apostolico” in cui tristemente i sacerdoti si trasformano in “funzionari del sacro” e “mestieranti dello spirito”. L’invasione della “mondanità spirituale” nella vita della Chiesa, secondo Francesco (che riprende le riflessioni del teologo Henri de Lubac, Meditazione sulla Chiesa, Milano 1965), rappresenta una delle tentazioni “gentili” più pericolose per la Chiesa stessa perché “riduce la spiritualità all’apparenza” mentre la disconnette dal Vangelo, per cui finiscono per prevalere mediocrità, abitudinarietà, ricerca del potere, dell’influenza sociale, della vanagloria e del narcisismo, ma anche un’intransigenza dottrinale e un estetismo liturgico. Prevale una sorta di formalismo ipocrita e cinico che ha l’apparenza della religiosità e persino dell’amore per la Chiesa, ma cerca invece la gloria umana e il benessere personale.
Invece, secondo Francesco, lo zelo apostolico dev’essere ravvivato, riconquistato, ri-editato per “farci servi del Popolo di Dio e non padroni, lavare i piedi ai fratelli e non schiacciarli sotto i nostri piedi”. Non “chierici di Stato”, ma pastori del popolo. La Chiesa deve praticare “la spiritualità del ricominciare” per “gettare nuovamente con entusiasmo le reti per la pesca”, per “risvegliare l’inquietudine per il Vangelo”, per allietare il mondo “con la consolazione e la gioia del Vangelo”.
Un compito di nuova evangelizzazione che per Francesco richiede di fare tre scelte, ispirate al Vangelo:
- anzitutto, occorre “prendere il largo”, essere magnanimi e non pusillanimi. “Bisogna lasciare la riva delle delusioni e dell’immobilismo, prendere le distanze da quella tristezza dolciastra e da quel cinismo ironico che a volte ci assalgono dinanzi alle difficoltà”. Francesco parla di “recuperare la speranza matura”, quella “che viene dopo il fallimento o la stanchezza”, per passare “dal disfattismo alla fede”. Occorre tanta preghiera di adorazione (rimanere in silenzio davanti al Signore) per superare la tentazione di portare avanti una “pastorale della nostalgia e dei lamenti” e per essere “animati da un unico desiderio: che il Vangelo raggiunga tutti”. La Chiesa è chiamata a immergere le sue reti “nel tempo che viviamo, a dialogare con tutti, a rendere comprensibile il Vangelo, anche se per farlo possiamo rischiare qualche tempesta”;
- “portare avanti insieme la pastorale, tutti insieme”. Puntare sulla relazione: ”la Chiesa è sinodale, è comunione, aiuto reciproco, cammino comune”. “Sulla barca della Chiesa ci dev’essere spazio per tutti: tutti i battezzati sono chiamati a salirvi e a gettare le reti, impegnandosi in prima persona nell’annuncio del Vangelo. E non dimenticate questa parola: tutti, tutti, tutti”. La Chiesa non può essere una dogana, per selezionare chi entra e chi no. “Tutti, ciascuno con la sua vita sulle spalle, coi suoi peccati, così com’è, davanti a Dio, così com’è davanti alla vita… Tutti, tutti. Non mettiamo dogane nella Chiesa. Tutti”. Con i sacerdoti e i consacrati che devono “coinvolgere, con slancio fraterno e sana creatività pastorale, i laici” per trasformare la Chiesa in una “rete di relazioni” umane, spirituali e pastorali. “Se non c’è dialogo, se non c’è corresponsabilità, se non c’è partecipazione, la Chiesa invecchia. … Nella Chiesa ci si aiuta, ci si sostiene a vicenda e si è chiamati a diffondere anche fuori un clima di fraternità costruttivo”;
- “diventare pescatori di uomini”, non per fare proselitismo, ma per “annunciare il Vangelo che interpella”. Aiutare le persone “a risalire da dove sono sprofondate, salvarle dal male che rischia di farle affogare, risuscitarle da ogni forma di morte”. Senza fare “proselitismo, ma con amore”. “Ci sono tante oscurità nella società di oggi, anche qui in Portogallo, da tutte le parti. Abbiamo la sensazione che sia venuto a mancare l’entusiasmo, il coraggio di sognare, la forza di affrontare le sfide, la fiducia nel futuro; e, intanto, navighiamo nelle incertezze, nella precarietà soprattutto economica, nella povertà di amicizia sociale, nella mancanza di speranza. A noi, come Chiesa, è affidato il compito di immergerci nelle acque di questo mare calando la rete del Vangelo, senza puntare il dito, senza accusare, ma portando alle persone del nostro tempo una proposta di vita, quella di Gesù: portare l’accoglienza del Vangelo, invitare alla festa, in una società multiculturale; portare la vicinanza del Padre nelle situazioni di precarietà, di povertà che crescono, soprattutto tra i giovani; portare l’amore di Cristo dove la famiglia è fragile e le relazioni sono ferite; trasmettere la gioia dello Spirito dove regnano demoralizzazione e fatalismo”.
L’apertura di Francesco alla rivisitazione, e persino alla revisione, degli insegnamenti della Chiesa – e ai disaccordi che la prospettiva suscita – può essere lo sviluppo più consequenziale del suo pontificato, quello che lo distingue davvero dai suoi predecessori. Giovanni Paolo II e Benedetto XIII hanno costantemente represso tutti i tentativi da parte di teologi, preti e fedeli di promuovere, proporre e introdurre delle innovazioni negli insegnamenti della Chiesa, limitando la loro capacità di scrivere e insegnare. Hanno fatto prevalere una stanca ortodossia. Papa Francesco non ha smantellato il progetto dei tradizionalisti, si è solo allontanato da esso. Riconosce che i decreti papali formali hanno un’influenza limitata e che l’atto individuale di coscienzioso esame di coscienza su questioni morali urgenti è la sostanza della vita religiosa, come lo è della vita in generale. E, per la maggior parte, ha rifiutato di rispondere alle provocazioni di coloro che insistono per il contrario.
Prenderci cura della casa comune
Nel corso di un incontro con docenti e studenti all’Università Cattolica Portoghese (fondata dai Gesuiti 56 anni fa), Francesco li ha esortati a “cercare e a rischiare“, ad essere “pellegrini nella vita e anche nello studio, nella professione, nel lavoro”. Ha ammesso di sognare “che la vostra generazione divenga una generazione di maestri. Maestri di umanità. Maestri di compassione. Maestri di nuove opportunità per il pianeta e i suoi abitanti. Maestri di speranza. E maestri che difendano la vita del pianeta, minacciata in questo momento da una grave distruzione ecologica”. Dobbiamo riconoscere l’urgenza drammatica “di prenderci cura della casa comune”, di ridurre le disuguaglianze tra ricchi e poveri, lottare per la pace e la giustizia. Tuttavia, secondo Francesco, “ciò non può essere fatto senza una conversione del cuore e un cambiamento della visione antropologica alla base dell’economia e della politica. Non ci si può accontentare di semplici misure palliative o di timidi e ambigui compromessi. In questo caso «le vie di mezzo sono solo un piccolo ritardo nel disastro» (Lett. enc. Laudato si’, 194). Non dimenticatelo: le vie di mezzo sono solo un piccolo ritardo nel disastro. Si tratta invece di farsi carico di quello che purtroppo continua a venir rinviato: ossia la necessità di ridefinire ciò che chiamiamo progresso ed evoluzione. Perché, in nome del progresso, si è fatto strada troppo regresso”.
Ha esortato i giovani studenti universitari ad avere “il coraggio di sostituire le paure coi sogni: non amministratori di paure, ma imprenditori di sogni!” e perciò a lavorare per lo sviluppo di quella che definisce una “ecologia integrale” che consenta di trovare nuove modalità d’intendere l’economia, la politica, la crescita e il progresso (si vedano l’esortazione Evangelii gaudium, l’Enciclica sulla cura della casa comune Laudato Si’ del 2015 e l’Enciclica Fratelli Tutti. Sulla fraternità e l’amicizia sociale del 2020, nonché si veda The Economy of Francesco e la ricerca pubblicata su Transform Italia qui, qui, qui, qui e qui) che siano alternative al modo di produzione capitalistico3. “Voi siete la generazione che può vincere questa sfida: avete gli strumenti scientifici e tecnologici più avanzati ma, per favore, non cadete nella trappola di visioni parziali. Non dimenticate che abbiamo bisogno di un’ecologia integrale, abbiamo bisogno di ascoltare la sofferenza del pianeta insieme a quella dei poveri; abbiamo bisogno di mettere il dramma della desertificazione in parallelo con quello dei rifugiati; il tema delle migrazioni insieme a quello della denatalità; abbiamo bisogno di occuparci della dimensione materiale della vita all’interno di una dimensione spirituale. Non creare polarizzazioni, ma visioni d’insieme”.
Da questo punto di vista, il cristiano è chiamato a rendere la fede credibile attraverso le scelte. “Perché se la fede non genera stili di vita convincenti non fa lievitare la pasta del mondo. Non basta che un cristiano sia convinto, deve essere convincente; le nostre azioni sono chiamate a riflettere la bellezza, gioiosa e insieme radicale, del Vangelo. Inoltre, il cristianesimo non può essere abitato come una fortezza circondata da mura, che alza bastioni nei confronti del mondo”.
Alessandro Scassellati
- In passato, Papa Francesco ha affermato che l’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca è stata “forse in qualche modo provocata“, ricordando una conversazione nel periodo precedente la guerra in cui era stato avvertito che la NATO “abbaiava alle porte della Russia“. In un’intervista alla rivista dei gesuiti La Civiltà Cattolica, realizzata nel maggio 2022 e pubblicata il 14 giugno 2022, il pontefice ha condannato la “ferocia e la crudeltà delle truppe russe” mettendo però in guardia contro quella che ha definito una percezione fiabesca del conflitto tra il bene e il male. “Dobbiamo allontanarci dal solito modello di Cappuccetto Rosso, per cui Cappuccetto Rosso era buono e il lupo era quello cattivo“, ha detto. “Sta emergendo qualcosa di globale e gli elementi sono molto intrecciati“. Francesco ha aggiunto che un paio di mesi prima della guerra ha incontrato un capo di Stato, che non ha identificato ma descritto come “un uomo saggio che parla poco, un uomo davvero molto saggio… Mi ha detto che era molto preoccupato per come la NATO si stava muovendo. Gli ho chiesto perché, e lui ha risposto: “Stanno abbaiando alle porte della Russia. Non capiscono che i russi sono imperiali e non possono avere alcuna potenza straniera che si avvicini a loro’”. Ha aggiunto: “Non vediamo tutto il dramma che si sta svolgendo dietro questa guerra, che forse è stata in qualche modo provocata o non prevenuta” “Fermatevi!”, “la guerra è una pazzia”, fermate la guerra ha ripetuto più volte Francesco dal 24 febbraio 2022, da quando le armate russe hanno invaso l’Ucraina. Ha detto di voler andare a Mosca ad incontrare di persona Vladymir Putin, una richiesta fatta attraverso il Segretario di Stato Parolin dal ventesimo giorno di guerra, ma il Cremlino ha fatto sapere che al momento Putin non era disponibile ad incontrarlo.[↩]
- Nel luglio del 2013, durante la sua prima conferenza stampa a bordo dell’aereo pontificio, alla domanda di un giornalista su una presunta “lobby gay” in Vaticano, rispose genialmente con un’osservazione ormai famosa: “Se qualcuno è gay e cerca il Signore e ha una buona volontà, allora chi sono io per giudicarlo?” – e ha dato il tono a un pontificato il cui obiettivo ha enunciato in interviste e discussioni tanto quanto attraverso encicliche e altri documenti formali.[↩]
- Papa Francesco ha stigmatizzato quattro dimensioni negative della globalizzazione capitalistica: (1) la negazione dell’umano attraverso l’affermazione dell’idolo del denaro; (2) il consumismo sfrenato che riduce l’essere e la sua relazione sociale alla figura del produttore e consumatore (negandone la libertà); (3) l’economia dell’esclusione che riduce la figura umana a una funzione, scartabile quando non necessaria; (4) l’ideologia dell’assoluta autonomia dei mercati.[↩]