focus

The economy of Francesco – IV parte

di Farneti,
Ferrazzano, Vespignani

Punto 8 – Un’economia dove la finanza è amica e alleata dell’economia reale e del lavoro e non contro di essi

Complessivamente, nel 2021, la Ricchezza nel Mondo ha toccato i 463.600 miliardi di Dollari (+ 9,8% rispetto al 2020), mentre la Ricchezza per adulto è aumentata, ma a un Tasso di crescita inferiore (+8,4%).
Per quanto ci si voglia dare delle spiegazioni razionali, legate alle capacità, all’intelligenza degli uomini, è, tuttavia, immorale ritenere lecito che nel 2021, secondo le stime di Credit Suisse, circa la metà della Ricchezza globale (45,8%) sia nelle mani di appena l’1,1% della Popolazione, che un altro 39,1% si concentri nell’11,1% degli Abitanti della Terra e che la restante quota sia spartita per il 13,7% in un 1/3 di essi e per appena l’1,3% in oltre la metà degli Abitanti del Pianeta.
Significa, in altre parole, che a fronte di 88 mln di Persone, pari all’incirca agli abitanti della Germania, che dispongono di 2,4 mln. di Dollari ciascuno, vi è oltre la metà della Popolazione del Pianeta che deve vivere con poco più di 1.000 Euro l’anno, ovvero ogni ricco in un giorno può spendere quanto per 6 poveri deve bastare in un anno (Grafico 26 – Vedere anche Grafico 6 del Punto 12).

Questa Ingiustizia sociale, invece di attenuarsi, a partire dal 2009, ha conosciuto un’accelerazione, rispetto all’arco temporale 1987-2009.
Negli anni 2011-2021 (La disuguaglianza non conosce crisi, Oxfam Italia gennaio 2023), i Miliardari hanno raddoppiato la propria ricchezza in termini reali: l’incremento è stato 6 volte superiore rispetto a quello registrato dal 50% più povero della Popolazione. In altri termini, per ogni 100 Dollari di incremento della Ricchezza globale netta 54,40 Dollari sono andati all’1% più ricco e 0,70 al 50% più povero e, quindi, in tale periodo, l’1% più ricco ha accumulato una ricchezza 74 volte superiore a quella del 50% più povero (Grafico 27).

A questa ingiustizia sociale ed etica si aggiunge un fenomeno, la Finanza, che non solo accentua il divario di chi sta benissimo e di chi sta malissimo, ma che si rivela anche un pericolo, che da un momento all’altro potrebbe deflagrare.
L’Economia reale e quella finanziaria dovrebbero essere le due facce di una stessa medaglia. Pertanto, le industrie, l’agricoltura, i servizi che costituiscono la prima, dovrebbero trovare nella seconda, rappresentata dalla moneta, dalla Borsa, dal mercato dei capitali, il mezzo con cui funzionare. In sintesi, l’Economia finanziaria dovrebbe esprimere il valore di quella reale.
L’eccessiva finanziarizzazione dell’Economia produce anomalie persistenti, poiché nei mercati si formano ricchezze cui non corrisponde un controvalore effettivo rappresentato da lavoro e capitale di impresa.
Se ci si riferisce ad un arco temporale che va dal 1980 al 2020, si può notare come negli Stati Uniti, ad esempio, si sia passati da un Mercato finanziario che era la metà di quello reale ad un ribaltamento dei rapporti ed ora il peso di quello finanziario è una volta e mezzo quello reale (Tabella 26).

Assume, quindi, minor peso l’Economia reale, che rappresenta beni misurabili e concreti, ascrivibili ad un periodo ben preciso, mentre quella finanziaria, basata sul rischio, sulla scommessa, sul futuro, cresce. Quest’ultima è un’Economia, in un certo senso, virtuale, probabilistica, che potrebbe deprezzarsi o aumentare a dismisura, perché gioca sulle aspettative di come si svilupperanno i mercati reali.
Nasce, in tal modo, la speculazione che accresce le diseguaglianze. Thomas Piketty, ne “Il Capitale nel 21esimo secolo”, afferma che inevitabilmente quella sparuta minoranza dei più ricchi nel mondo è destinata ad essere ancora più ricca, perché il Tasso di rendimento del capitale è superiore a quello di crescita (PIL), mentre la stragrande maggioranza dei più poveri sarà sempre più indigente, per lo stesso motivo.
Il Paese trainante nella economia sono gli USA (Global Wealth Report 2022 Credit Suisse, pag.38). Prendendo a riferimento tale economia, nel 2021 si nota che la ricchezza delle più importanti aree geografiche è a livelli inferiori agli USA e paragonabili a quelli raggiunti dagli Stai Uniti nel 2016 per quel che concerne l’Europa, nel 1908 per la Russia, nel 1954 per quanto riguarda l’America Latina, nel 2005 per la Cina, che però nell’arco di 21 anni (2000-2021) è riuscita a colmare 80 anni di crescita americana.
Appare chiaro dal Grafico 28 come la crescita finanziaria sia aumentata negli ultimi 20 anni ad un ritmo superiore a quella reale, fino a divaricarsi da essa intorno al 2010, mentre anche il debito delle famiglie ha cominciato a incrementarsi più velocemente.

Se si va a guardare la distribuzione della ricchezza finanziaria nel mondo, si comprendono meglio anche i rapporti di forza esistenti tra le diverse aree geografiche. Circa i 2/3 di essa è concentrata tra USA (43,3%) ed Europa (21,2%). Poco meno del restante terzo è nelle mani dell’Asia (14,3% in quelle cinesi). Solo le briciole sono appannaggio di America Latina (2,1%) e Africa (0,9%) – Grafico 29.

Punto 9 – Un’economia che non sa valorizzare e custodire le culture e le tradizioni dei popoli, tutte le specie viventi e le risorse naturali della Terra

Natura, Culture, Tradizioni popolari ed Economia. Forse potrebbe sembrare poco attinente mettere in relazione i primi tre aspetti citati con l’Economia. Eppure, come il sapere è circolare, si può anche ritenere che tutti i fenomeni lo siano e che siano così fortemente interrelati tra di loro che non sia possibile pensare che uno solo sia ininfluente sugli altri, ma che anzi il battito d’ali di una farfalla in Brasile, a séguito di una catena di eventi, può provocare una tromba d’aria nel Texas.
Per molto tempo l’uomo bianco ha ritenuto la propria cultura superiore a tutte le altre sviluppatesi nel Mondo e tale presunzione gli ha dato l’autorità di dominare il Pianeta, spesso sopprimendo tali diverse culture o non ritenendole degne di esistere, se non, tutt’al più, nel caso in cui si fossero adeguatosi ai suoi propri standard e alla propria cultura.
Ogni creatura ha il diritto di vivere sulla Terra, per il fatto stesso che esiste su di essa e non è detto che anche uomini ancora allo stato della pietra non possano insegnare qualcosa al progredito uomo occidentale.
L’IUCN (International Union for the Conservation of Nature, Organizzazione non governativa (ONG) internazionale con sede in Svizzera) nel 2021 ha pubblicato The role of Indigenous peoples and local communities in effective and equitable conservation, in cui esaminando e raffrontando gli esiti di 169 pubblicazioni (che hanno riguardato zone del Mondo riportate nel successivo Grafico 30) che si sono occupate su come diverse forme di politiche possano influenzare la conservazione della natura, con una particolare attenzione al ruolo svolto dalle Popolazioni indigene e dalle comunità locali, è giunta alla conclusione che si possono ottenere migliori risultati per un’efficace azione a lungo termine della conservazione della biodiversità  quando le Popolazioni indigene e le Comunità locali svolgono un ruolo centrale sul processo decisionale per la loro tutela o quando le istituzioni locali hanno un’influenza sostanziale nella governance. Ciò diventa possibile solo quando si rafforzino il ruolo, le capacità e i diritti delle Popolazioni indigene e delle Comunità locali, rispettandone tradizioni e saperi. Il 56% degli interventi controllati internamente (da Indigeni e comunità locali) ha riscosso esiti positivi, contro il 16% circa di quelli eterocontrollati. Sono le Comunità indigene e locali che conoscono i territori che sanno preservarli e che possono ostacolare lo sfruttamento delle risorse, in particolare da parte delle multinazionali, che strappa alla natura aree per trasformarle in agricole o per estrarre materie prime, rompendo gli equilibri e arrecando danni incalcolabili al Pianeta.

Si fa presente che l’ONU (2022) parla al plurale dei Popoli Indigeni, definendoli “Eredi e praticanti di culture e modi unici di relazionarsi con le persone e l’ambiente. Hanno mantenuto caratteristiche sociali, culturali, economiche e politiche distinte da quelle delle Società dominanti in cui vivono”. Essi, sparsi in 70 Paesi del mondo, raggiungono 370 milioni di unità (meno del 5% della popolazione mondiale).
Gli Indigeni dell’Amazzonia, ad esempio, oggetto negli ultimi anni di un vero Genocidio, avvenuto per impadronirsi dei loro territori e deforestarli, procurando un danno enorme a tutto il Pianeta di cui la Foresta amazzonica è il vero polmone, sono stati custodi di un habitat importantissimo, grazie anche all’accumulo di tanti saperi relativamente alla botanica e alla zoologia che ha permesso loro di sopravvivere e anche di curarsi, rivelandosi utili anche alla farmacopea occidentale, oltre a integrare la conoscenza di un Mondo come quello della Foresta amazzonica.
La prestigiosa rivista americana Scientific American, nel 2011, per cinque categorie di risorse naturali (minerali, combustibili fossili, biodiversità, risorse alimentari e acqua), ha elaborato le previsioni circa l’esaurimento o la scomparsa, estrapolando i dati delle serie storiche, a partire dal 1975.
Riguardo ai Minerali, si prevede l’estinzione entro il 2030 dell’Indio (utilizzato nelle TV a schermo piatto); dell’Argento, sempre più utilizzato per i rivestimenti dei prodotti di maggiore consumo, perché uccide i microbi, se non soggetto a riciclaggio; dell’Oro, a causa della crescita della sua domanda, quale bene rifugio. Invece, per il Rame, utilizzato in quasi tutte le componenti delle infrastrutture (dai tubi alle apparecchiature elettriche), si prevede un’estinzione un po’ più in là nel tempo (2044), e per il Petrolio entro il 2050.
Per quel che riguarda la Biodiversità, la Scientific American calcola che tra gli animali il 18% dei mammiferi, il 10% degli uccelli e il 30% degli anfibi sono in via di estinzione, mentre le piante sono a rischio per l’8%.
Riguardo alle Risorse alimentari, i Pesci sono gli animali a maggior rischio, mentre, a causa dell’innalzamento delle temperature, si prevedono due effetti opposti per i raccolti agricoli, l’uno negativo per India, Messico e in parte USA, l’altro positivo per Cina e Russia, ritenendo che, nel 2080, lo scenario agricolo mondiale sarà globalmente molto diverso rispetto a quello odierno.
Infine, le Risorse idriche, a causa dello scioglimento dei ghiacciai a ritmi anche di mezzo metro/anno di spessore, andranno sempre più scemando: la contrazione del ghiaccio dell’Himalaya, ridurrà la portata dei grandi fiumi, quali il fiume Giallo, lo Yangtze, il Mekong e il Gange, quella dei ghiacciai delle Alpi porterà alla fine del secolo alla scomparsa del Rodano.
Molti Paesi africani (Etiopia in testa) chiedono da tempo di accedere alle acque del Nilo per far fronte alla siccità, mentre desta preoccupazione la perdita di portata di alcuni fiumi (il Giordano -95%) e laghi (quello di Aral, a causa di dissennati programmi agricoli, ha perso il 75% della sua acqua compromettendo tutto il suo habitat) e il forte inquinamento di altri (Danubio).
Scendendo ora più in dettaglio, qui di seguito si porrà l’accento su tre elementi essenziali alla vita dell’uomo, Acqua, Foreste, Terre agricole, per evidenziare a che tipo si sfruttamento e di speculazioni siano soggette, con conseguenze estremamente rilevanti per il Pianeta.
Acqua. Dei circa 1.400 milioni di km3 (https://www.ingenio-web.it/articoli/sos-acqua-i-consumi-e-la-necessita-di-una-gestione-sostenibile-delle-risorse-idriche/) di Acqua presenti sul Globo, la quasi totalità (97%) è salata. Dei restanti 42 milioni km3 circa, solo lo 0,3%, pari a circa 0,1 milioni di km3, è Acqua dolce di superficie ed effettivamente utilizzabile, la restante parte è trattenuta nei ghiacciai, nelle nevi permanenti, nelle profondità̀ della terra e nell’atmosfera.
L’Agricoltura con un assorbimento di Acqua pari al 70-72% del totale, è il primo utilizzatore di questo prezioso elemento, che solo per l’8-10% assume impieghi pubblici e domestici e per il restante 20-22% quelli industriali. La crescita delle terre coltivabili (+12% negli ultimi 50 anni), che dovrà ancora aumentare per sopperire ai bisogni di una Popolazione in crescita, acuisce sempre di più il problema legato alla mancanza di Acqua che diventerà una risorsa sempre maggiormente contesa.
La distribuzione delle Risorse nei continenti evidenzia una concentrazione di questo bene nelle Americhe, che dispongono di poco meno della metà dell’Acqua di superficie. Ciò che, però, è importante riguarda la quantità pro capite di Acqua annua (comprendente tutti i tipi di usi, domestico, agricolo e industriale), che a fronte di 15.970 litri/anno a livello mondiale, si differenzia fortemente nell’ambito delle diverse zone geografiche: si passa dagli appena 701 l/anno del Nord Africa, agli 80.000 dell’Oceania. L’Asia (7.389 l/anno pro capite) e l’Africa (9.093) sono i continenti meno fortunati, ovvero quelli più poveri, quelli da cui, ogni giorno partono Migranti alla ricerca di una sorte migliore nelle parti più ricche del Globo (Tabella 27).

Riferendosi alla sola Acqua potabile, secondo le ultime stime riportate da World Health Organization (STATE OF THE WORLD’S DRINKING WATER, 2022), risulta che nel mondo, al 2020, il 74% della Popolazione mondiale (+ 12 p.p. rispetto al 2000) aveva accesso in loco ad Acqua potabile proveniente da una fonte sicura, disponibile quando necessario e priva di sostanze chimiche e contaminazioni di origine fecale. Ma esiste ancora 1/6 della Popolazione che usufruisce appena di un servizio idrico di base e, pur avendo accesso ad Acqua potabile, deve compiere un viaggio di andata e ritorno non superiore ai 30 minuti (compreso il periodo di coda) per approvvigionarsene.
A questa percentuale occorre aggiungere un altro 10% che per attingere Acqua sicura impiega un tempo, tra viaggio e code, di oltre 30 minuti (4%), oppure deve procurarsela da un pozzo non protetto (5%) o, infine, captarla direttamente da un fiume, ruscello, lago, stagno, ecc. (2%) – Grafico 31.

Legenda:
Acqua di superficie: acqua potabile proveniente direttamente da un fiume, diga, lago, stagno, ruscello, canale o canale di irrigazione.
Non migliorato: Acqua potabile acqua da un pozzo scavato non protetto o sorgente non protetta.
Servizio limitato: Acqua potabile acqua da una fonte migliorata fonte, per la quale tempo di raccolta supera i 30 minuti per un viaggio di andata e viaggio, comprese le code.
Servizio di base: Acqua potabile da una fonte, a condizione che tempo di raccolta non sia più di 30 minuti per un viaggio di andata e ritorno, comprese code.
Gestito in modo sicuro: Acqua potabile proveniente da una fonte migliorata che accessibile in loco, disponibile quando necessario e libera da contaminazione di sostanze chimiche e di origine fecale.

Ma questo 74% di Popolazione che gode di un servizio di Acqua potabile sicuro e confortevole, che arriva là dove essa occorre (casa, ospedali, ecc.) dove è ubicato? Soprattutto in Europa e America del Nord dove forme di approvvigionamento non sicure e di difficile reperimento sono del tutto trascurabili.  In Asia, America Centrale e Meridionale e Africa, invece, la situazione è molto diversa. Si passa dall’Africa subsahariana, dove nel 2020 solo il 30% della Popolazione (+13 p.p. percentuali rispetto a 20 anni prima) usufruisce di un vero servizio di Acqua potabile, al Nord Africa e Asia Occidentale con il 79% (+11% rispetto al 2020). Nell’Africa subsahariana per approvvigionarsi di acqua la Popolazione deve spostarsi affrontando percorsi di andata, ritorno con code superiori ai 30 minuti (36%) o inferiori a tale tempo (13%) o addirittura deve accontentarsi dell’Acqua di pozzi (16%), o di fiumi, ruscelli, laghi, ecc. (7%). Anche Asia Centrale e Meridionale presentano una situazione molto insoddisfacente, sebbene a livelli più contenuti, rispetto a quella dell’Africa subsahariana e solo il 38% versa in condizioni molto difficoltose, quali quelle precedentemente descritte, contro il 62% che gode di acqua potabile controllata (Grafico 32).

Legenda:
Acqua di superficie: acqua potabile proveniente direttamente da un fiume, diga, lago, stagno, ruscello, canale o canale di irrigazione.
Non migliorato: Acqua potabile acqua da un pozzo scavato non protetto o sorgente non protetta.
Servizio limitato: Acqua potabile acqua da una fonte migliorata fonte, per la quale tempo di raccolta supera i 30 minuti per un viaggio di andata e viaggio, comprese le code.
Servizio di base: Acqua potabile da una fonte, a condizione che tempo di raccolta non sia più di 30 minuti per un viaggio di andata e ritorno, comprese code.
Gestito in modo sicuro: Acqua potabile proveniente da una fonte migliorata che accessibile in loco, disponibile quando necessario e libera da contaminazione di sostanze chimiche e di origine fecale.

L’altra variabile che distingue l’accesso all’Acqua potabile è determinata dal vivere in aree urbane o rurali.
A livello globale, nel 2020, la copertura dei servizi di Acqua potabile gestiti in sicurezza è pari solo al 60% nelle zone rurali contro l’86% di quelle urbane. Ma tale dato assume valori molto diversi tra Aree geografiche e all’interno dei singoli Paesi (ad esclusione, ovviamente, di Europa e Nord America, dove, come già rilevato, la copertura del servizio riguarda pressoché l’intera superficie dei Continenti).
Se si considerano le 3 componenti che definiscono una gestione sicura dell’Acqua potabile (accessibilità, disponibilità e qualità) grandi sono le differenze: la quasi totalità dei Paesi offre livelli di servizi più elevati nelle aree urbane. Il gap tra campagna e città, all’interno del medesimo Paese può raggiungere, riguardo all’accessibilità, anche il 50-60% (Etiopia, Lesotho, Gambia, Zimbawe), mentre la disponibilità registra un divario minore, raggiungendo un picco intorno al 30% in Madasgascar, Repubblica del Congo, Ciad, Nigeria. Infine, il delta tra qualità dell’acqua in zone urbane rispetto a quelle rurali si attesta tra il 50% e il 60% in Ruanda, Madagascar, Georgia, Nicaragua. I Paesi Africani, come visto, si trovano in cima a questa triste graduatoria, che presenta un’ulteriore ingiustizia: l’onere della raccolta dell’acqua da fonti situate fuori sede grava principalmente su donne e bambini (Grafico 33).

Un’altra doverosa considerazione riguarda il fatto che una grande fetta della popolazione del Mondo utilizza Acqua non controllata e che quindi potrebbe essere contaminata da batteri, virus, ecc. di diverso tipo, aumentando così la probabilità di malattie ed epidemie, in zone già esposte a tali rischi: si tratta del 40% della Popolazione dei Paesi meno sviluppati e del 41% di quelli in via di sviluppo e senza sbocco sul mare (Grafico 34).

Foreste. Secondo i dati FAO (Forest Resources Assessment, 2020) nel 2020 le Foreste ricoprivano il 31% del Mondo per una superficie di 4,06 mld. di ha, concentrata in 5 Paesi, Federazione Russa (20%), Brasile (12%), Canada (9%), USA (8%) e Cina (5%): circa la metà si sviluppa ai tropici. Globalmente, 424 milioni di ha di foresta sono destinati principalmente alla conservazione della biodiversità (Grafico 35).

Sul Pianeta 1,11 mld di ha di Foresta primaria, ovvero formata da piante autoctone, in cui l’attività umana è pressoché inesistente, si situa per la maggior parte (61%) in 3 Paesi, Brasile, Canada e Federazione Russa.
Il 18% delle Foreste del mondo sono ubicate in aree protette, in particolare, circa 1/3 di quelle del Sud America e circa ¼ di quelle Africane e dell’Asia (Grafico 36).

Tutto questo Patrimonio boschivo è oggetto di una Deforestazione continua e inesorabile, sebbene il Tasso, dal 1990 sia in calo, (FAO, Global Forest Resources Assessment 2020), essendo passato da 7,8 mln ha/anno nel decennio 1990-2000 a 5,2 in quello successivo e a 4,7 nel periodo 2010-2020, grazie a un’attenuazione del fenomeno e al rimboschimento e/o alla crescita naturale. Nell’ultimo ventennio il Saldo tra rimboschimenti e deforestazione è stato a vantaggio di quest’ultima (+5 mln di ha per quinquennio). Va sottolineato che la maggior parte dell’Incremento forestale (93%) è da addebitarsi alla rigenerazione naturale, mentre rallenta la superficie forestale piantata (Grafico 37).

Emerge chiaramente come Sud America e Africa siano i 2 continenti in cui maggiore sia la Deforestazione e dove il Reddito pro capite è mediamente più basso che negli altri Paesi. E’ proprio in essi che le Multinazionali e spesso i governi degli stessi Paesi lucrano sulla materia prima legno, puntando sul differenziale esistente tra i costi di approvvigionamento estremamente bassi (un boscaiolo congolese è pagato 1 $ al giorno) e i prezzi di vendita vigenti nei remunerativi mercati degli Stati sviluppati.
Data la sua grande importanza, si riporta nel Grafico 38 lo scempio che si è fatto della Foresta amazzonica, che tra il 2000 e il 2019 ha perduto 244.000 Km3 di Massa arborea.

L’Asia e l’Europa, invece, hanno iniziato politiche di rimboschimento, che, pur non compensando le perdite globali, tuttavia, mirano a ristabilire gli equilibri.
Terre agricole. Alla necessità di conservare e incrementare il Patrimonio forestale, impedendo e/o limitando il taglio degli alberi, l’incremento demografico – da poco siamo diventati 8 mld di abitanti – contrappone, di converso, un aumento della domanda di Materie prime (alimentari, energetiche, mangimi, ecc.). Si è così creata una corsa alla terra, attraverso acquisizioni di terreni su larga scala (LSLA), che determinano conseguenze economiche e sociali, incidendo anche sul paesaggio e sulla vita di chi per millenni vi ha vissuto. Difatti, la sicurezza alimentare diventa sempre più importante per i Paesi e oggetto anche di speculazione da parte dei grandi investitori (Multinazionali in testa), che detenendo i mezzi di sostentamento possono lucrare ed esercitare il proprio potere su chi non ne dispone a sufficienza.
L’Accaparramento di terre avviene spesso con accordi segreti che conferiscono “agli attori potenti (investitori privati, governi dei Paesi ospitanti o autorità locali) l’opportunità di arricchirsi a spese delle Popolazioni locali, che spesso non sono adeguatamente consultate o compensate” (FOCSIV, volontari nel Mondo – I Padroni della terra, 2022).
Il fenomeno dell’Accaparramento di terre viene testimoniato da quanto emerge dalla Banca dati Land Matrix (FOCSIV, volontari nel Mondo – I Padroni della terra, 2022) e dalle informazioni provenienti dai siti che monitorano il fenomeno: a marzo 2021 – considerando sia le operazioni concluse, che quelle  in negoziazione e fallite – le terre accaparrate in tutti i settori (compreso quello minerario), a livello sia transnazionale che nazionale (ovvero da investitori della stesso Paese, come accade soprattutto in Brasile e, ancor più, nella Federazione Russa, non riportata nel grafico), ammontano a 91,7 mln. di ha. Tali Accaparramenti sono concentrati, in particolare, in America Latina, con il Perù in testa (16,2 mln di ha) e, in misura minore in Asia (Indonesia e Papua Nuova Guinea soprattutto) e Africa (l’Accaparramento di terre in Sud Sudan, Mozambico, Liberia e Madagascar è stato pari a circa 1/3 di quello avvenuto nel solo Perù) – Grafico 39.

I primi 5 Paesi che operano simili accaparramenti sono tutti occidentali, Canada (10,8 mln. di ha), USA e Svizzera (entrambe con 8,8 mln. di ha), Giappone (7,9 mln. di ha), Gran Bretagna (6,1 mln. di ha). In seconda battuta si trovano i Paesi emergenti, le nuove economie, di Brasile, Cina, India, Malesia, Singapore, a cui si aggiunge un altro Paese occidentale, la Spagna (Grafico 40).

 Contemplando il solo caso dell’Accaparramento di terre a fini agricoli, risulta che tra il 2000 e il 2021 si sono stipulati 1.865 accordi, per una superficie totale di 33 mln. di ha (circa lo 0,25% – l’1% del totale di terra agricola presente sul Pianeta).  Il fenomeno è stato molto elevato tra il 2000 e il 2013 e, in particolare, tra il 2006 e il 2013, mentre negli ultimi 10 anni ha riguardato solo 3 mln di ha (circa 1/10 del totale) appartenenti ai seguenti Paesi, ordinati in modo decrescente: Indonesia, Ucraina, Russia, Brasile, Papua Nuova Guinea, Argentina, Filippine, Etiopia, Myanmar, Sud Sudan e Ghana, mentre i Paesi investitori potrebbero essere così classificati:

  • Ex potenze coloniali e ad alto reddito – Regno Unito e Olanda;
  • Grandi soggetti economico-politici, Cina e Stati Uniti, sebbene questi ultimi siano meno rilevanti di altri soggetti ormai affermatisi come epicentri mondiali del fenomeno;
  • Paesi storicamente importanti per investimenti internazionali, operati – per così dire – per conto terzi (Paesi del Golfo, Singapore, Svizzera, Libano, ecc.);
  • Paesi considerati chi più chi meno paradisi fiscali, che stanno avanzando nella graduatoria degli Stati investitori, quali Cipro (al 4° posto), le Isole Vergini britanniche (all’8° posto) e Hong Kong (al 9° posto), utilizzati dagli investitori internazionali per effettuare queste operazioni di accaparramento;
  • Paesi chiave per il sistema agro-alimentare regionale come Brasile e Malesia.

Va rilevato che di questi 33 mln. di ettari di terre (i cui investimenti sono stati osteggiati dall’85% delle comunità locali) solo il 40% è stato utilizzato (si pensi che la metà circa degli investimenti in jathropa, per la produzione di biocarburanti, per esempio, è stato abbandonato) – Grafico 41.

Sono cresciuti gli accordi non conclusi (anche a causa di progetti non adeguatamente preparati) e nell’ultimo decennio i Fallimenti degli investimenti fondiari sono diventati sempre più frequenti e rilevanti, compresi tra il 25% e il 50% del totale.
Paesi maggiormente coinvolti in tali Fallimenti sono il Madagascar e i Paesi dell’Africa subsahariana (80% degli accordi falliti), l’Etiopia (25%), il Mozambico (27%), la Tanzania (39%), il Senegal (42%), il Ghana (28%) e lo Zimbabwe (23%).
Le cause di tali Fallimenti sono ascrivibili a diversi fattori, sia di natura ambientale che economico-finanziaria, oltre che per scarse competenze tecniche, nonché perché gli investimenti sono stati effettuati per scopi meramente speculativi (con rischi d’investimento decisamente inferiori, rispetto a quelli finanziari), piuttosto che come investimenti produttivi (con rischi decisamente maggiori) – (GRAIN,2018; Nolte, 2020; Burnod et al., 2013; Oldenburg & Neef, 2014).
Un altro aspetto da sottolineare riguarda la Tipologia di colture, orientata verso le cosiddette “cash”, “boom” o “flex crops” che producono maggiore redditività per l’esportazione (soia, olio di palma, canna da zucchero e albero della gomma in testa), a discapito, quindi, di quelle principalmente o strettamente alimentari, quali cereali da granella e tuberi, che invece contribuirebbero al sostentamento delle Popolazioni locali.
Il Cambiamento di indirizzo produttivo orientato verso colture da esportazione o non alimentari (biomasse e biocarburanti) determina il più delle volte un peggioramento dell’autonomia alimentare e anche della quantità e qualità di alimenti disponibili per i residenti nel territorio.
Ma qual è stato il beneficio per le Popolazioni locali e indigene di questo aumento della superficie coltivabile? Pressoché inesistente. A fronte della perdita di terreni che garantivano una Economia, anche se di sussistenza, comunque in grado di alimentare le Popolazioni indigene, non si è ottenuta nemmeno una contropartita in termini di lavoro, poiché è stata occupata appena lo 0,5% della Forza lavoro nazionale, spesso sottopagata e con contratti temporanei.
In genere, i rapporti con i piccoli agricoltori, specie nell’Africa subsahariana, sono critici e l’occupazione che si crea per i locali nelle LSLA, generalmente è scarsa, perché a  bassa intensità di lavoro: si passa  dal miglior rapporto occupati per ettaro delle colture intensive, quali l’orti-floricoltura, (tuttavia di appena 2 occupati\ha) a quello bassissimo relativo ai grandi investimenti fondiari semi o totalmente meccanizzati (1 occupato per 7 ha in Asia Meridionale; 1 occupato per 100 ha in America Latina). Solo poche colture sono in grado di generare realmente occupazione, come l’olio di palma (che potenzialmente potrebbe creare 1 milione di posti di lavoro), la canna da zucchero (che potrebbe crearne 300.000) o l’albero della gomma (che ne potrebbe creare 200.000). Anche dell’indotto che potrebbe essere generato non si ha traccia.
Sebbene solo il 15% degli Interventi fondiari documentati includesse, quale contropartita, la realizzazione di infrastrutture, appena la metà di queste è stata eseguita e neppure si è verificato il trasferimento tecnologico tra grandi accaparramenti e piccoli agricoltori locali, circoscritto ad appena un 15%.
Considerando, poi, che in almeno il 18% degli accordi conclusi, secondo i dati aggiornati di Land Matrix, la terra acquisita dalle LSLA era precedentemente destinata ad agricoltura sedentaria o nomade o per la pastorizia, sono stati provocati disastri ed espulsioni anche violente di coloro che prima occupavano e vivevano in queste terre, loro sottratte.
Inoltre, l’alto numero di Fallimenti là dove ha interessato investimenti fondiari importanti, riguardanti terreni appartenenti a piccoli proprietari o pastori, ha inflitto un doppio danno alle comunità ivi residenti: l’uno di carattere socio economico, perché sono stati sottratti loro i frutti di quelle terre, senza rimpiazzarli con quelli ipotizzabili da una nuova Economia che è, invece, fallita, l’altro di ordine ambientale, perché si è sconvolto un assetto naturale preesistente.
A conferma del danno di ordine ambientale, si fa notare, ad esempio, come gli Equilibri idrologici locali, spesso precari, vengano sconvolti in quegli investimenti che prevedono colture in sistemi intensivi ed idrovori, quali la canna da zucchero, l’albero della gomma, il cotone e la palma da olio, impiantate anche in aree aride (in almeno 1/3 dei casi).
A questa mancanza di benefici per le popolazioni locali, se ne aggiunge un’altra che interessa l’intera Umanità. Uno dei principali danni è rappresentato dalla Perdita di biodiversità, che, tra l’altro, secondo un recente rapporto della Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services (IPBES, 2020) provoca rischi pandemici. La Deforestazione delle zone tropicali, come anche le Monocolture, hanno incrementato il pericolo di zoonosi (ovvero di malattie infettive degli animali trasmissibili all’uomo). Difatti, le Popolazioni che a causa delle LSLA si spostano in aree a ridotta pressione antropica sono portate a contatto con specie reservoir di patogeni, cioè animali che ospitano agenti patogeni per l’uomo o per animali di altre specie.
Tutto quello finora descritto, la Deforestazione, lo Scioglimento dei ghiacciai, la Trasformazione di terre da agricoltura e pastorizia estensive a agricoltura intensiva e spesso idrovora a cui devono aggiungersi le Emissioni di CO2 (35 mld. di ton. nel 2021, Fonte: OWID) che rappresentano circa i ¾ dei gas serra prodotti dalle attività umane, di cui sono responsabili in massima parte Cina e USA, influiscono sul clima e sulla biodiversità in modo pesante, minacciando l’estinzione di molte specie animali e vegetali (Grafico 42).

L’UICN ha esaminato circa 140 mila delle specie animali e vegetali a rischio di estinzione, classificandole in una delle 8 categorie che compongono la cosiddetta lista rossa (RLI). Ne è risultato che le Cicadee (un antico gruppo di piante) sono le più minacciate e i coralli diminuiscono con una certa rapidità (Grafico 43).

Anche il WWF ha calcolato quanto si siano ridotte le popolazioni dei diversi vertebrati nel Mondo: in 50 anni (1970-2020) esse hanno subito una diminuzione del 6%, concentrato, in particolare, nell’America Centrale e Meridionale (-94%) e nell’Africa (-66%), dove ben si conosce il peso che ha assunto la deforestazione e l’accaparramento di terre, seguite dall’Asia e dall’Oceania (-55%) – Tabella 28.

Per misurare come si sia modificata la Biodiversità all’interno di una regione, rispetto a quella originaria, a causa delle pressioni umane esercitate nel tempo, è stato calcolato l’Indice di Integrità della Biodiversità (Biodiversity Intactness Index, BII), che varia tra 100-0%: 100% significa che l’ambiente naturale è indisturbato e l’intervento dell’uomo è minimo o nullo. Entro il 90% l’area ha una Biodiversità sufficiente per essere un Ecosistema resiliente e funzionante. Al di sotto del 30%, la Biodiversità dell’area è esaurita e l’Ecosistema potrebbe essere a rischio di collasso.
La Mappa indica come molte zone del Pianeta abbiano varcato il limite inferiore del range entro il quale ancora non ci sono pericoli irreversibili. Sono le zone tropicali, in particolare, quelle con un Indice della biodiversità prossimo al 30% (Grafico 44).

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