Punto 10 – Un’economia che combatte la miseria in tutte le sue forme, riduce le diseguaglianze e sa dire, con Gesù e con Francesco, “beati i poveri”
L’OXFAM, nel Report – La Pandemia della disuguaglianza -, 2022 afferma che “Nei Paesi di tutto il Mondo, le politiche economiche e la cultura politica e sociale stanno perpetuando la ricchezza e il potere di pochi privilegiati a detrimento della maggioranza dell’Umanità e del Pianeta. È il sistema economico che strutturalmente produce disuguaglianza, è il modo in cui le nostre economie e società attualmente funzionano. Tale sistema colpisce prevalentemente le persone povere e gli appartenenti a minoranze etniche, impoverendoli ulteriormente e negando loro opportunità. Colpisce in particolar modo le donne, il cui lavoro di cura non retribuito molto spesso colma le carenze dei servizi pubblici e assorbe gli shock delle crisi economiche. Costringe ragazze, minoranze e persone più povere a lasciare la scuola. Distrugge il nostro Pianeta. È il virus della disuguaglianza, non solo la pandemia, a devastare così tante vite. Ogni 4 secondi 1 persona muore per mancanza di accesso alle cure, per gli impatti della crisi climatica, per fame, per violenza di genere. Fenomeni connotati da acute disparità.”
Su tali parole non si può che concordare e, pertanto, si è cercato di dimostrarle meglio con i numeri.
Sebbene un Paese possa essere ricco perché il suo PIL è elevato, grazie ad un tessuto economico costituito da imprese floride, nei diversi comparti economici, ciò non significa, necessariamente, che la Popolazione che in esso vive, possa definirsi, di conseguenza, benestante. Difatti, occorre esaminare come questa ricchezza si distribuisce, se nelle mani di pochi o di molti, ovvero quale sia il suo grado di concentrazione.
Certo, la situazione ideale sarebbe che fosse equidistribuita tra tutti gli abitanti. Se ciò non è realisticamente possibile, tuttavia, più un Paese si avvicina ad una uguale detenzione della Ricchezza, minori saranno le diseguaglianze sociali e, conseguentemente, le tensioni sociali.
L’indice di Gini è lo strumento attraverso il quale si misura il grado di Diseguaglianza di reddito nell’ambito di un Paese e più si avvicina al valore 0 più ci si trova di fronte ad una situazione di equità; di contro più si approssima a 1 (o a 100 se si percentualizza), più la situazione è iniqua.
Per avere una fotografia di insieme su quale sia la situazione globale, si riporta una Mappa del Mondo, elaborata nel 2016 dal Buffett Institute for Global Studies, che evidenzia le aree in funzione dell’equità con cui la ricchezza è distribuita. Appare chiaramente che le zone in cui avvengono fenomeni fortemente iniqui sono concentrate precipuamente in Africa e in alcuni Paesi dell’America Centrale e del Sud.
Emerge che in Europa, i Paesi con minori diseguaglianze sono quelli scandinavi, la Germania e alcuni Paesi dell’Est Europa (Slovenia, Slovacchia, Repubblica Ceca), con un indice di Gini compreso tra lo 0,25 e lo 0,30. Al contrario, i Paesi con il più alto indice di concentrazione della ricchezza sono Bolivia e Colombia in Sud America; Namibia, Gambia e Sud Africa in Africa, con valori vicini allo 0,66 (Grafico 45).
Guardando nel dettaglio, i Paesi a più alta concentrazione di Ricchezza sono quelli con i Redditi pro capite fra i più bassi. Il Reddito pro capite è un indicatore sicuramente alquanto grezzo, poiché è la quota di Ricchezza teoricamente spettante a ciascun abitante di un certo Paese, da cui spesso la realtà si allontana molto. Sembra scandaloso che Paesi con un Reddito pro capite di poco superiore ai 1.000 $ anno, quali Repubblica Centrafricana e Mozambico, si collochino, rispettivamente al 5° e 8° posto per concentrazione di Ricchezza.
Vi sono, tuttavia, altri Paesi a basso Reddito pro capite che, invece, presentano una distribuzione molto equa. Difatti, se si considerano Stati con lo stesso Reddito pro capite tra i 14.000 e i 18.000 Dollari (per avere un termine di confronto si pensi che l’Italia ha registrato un Reddito pro-capite nel 2022 di circa 51.000 Dollari) a fronte del Sud Africa (primo in classifica per concentrazione di Ricchezza) e della Colombia (7°), vi sono nazioni, quali Azerbaigian, Ucraina, Moldavia e Armenia, che invece presentano il coefficiente di Gini ai più bassi livelli. Pertanto, a parità di condizioni economiche di partenza, attraverso politiche diverse si possono raggiungere differenti risultati, che conferiscono una maggiore o una minore equità sociale (Tabella 29).
L’innegabilità di una connessione tra Ricchezza, Equa distribuzione del Reddito e Democrazia, è dimostrata dalla graduatoria dei Paesi più democratici, stilata dal prestigioso inglese EIU (Economy Intelligence Unit): i Paesi che si trovano ai primi posti in una giusta e adeguata distribuzione del Reddito hanno un elevato grado di Democrazia e, viceversa, quelli che presentano una maggiore iniquità nella distribuzione della Ricchezza registrano un basso livello di Democrazia (Tabella 30).
Freedom House, la più antica organizzazione americana (1941) dedicata al sostegno e alla difesa della Democrazia in tutto il Mondo, stima ogni anno l’accesso ai diritti politici e alle libertà civili in 210 Paesi.
Su 195 Paesi presi in esame e 15 territori (zone quali Hong Kong, Transnistria, Crimea, ecc.), nel 2022, solo 85 (40,5%) si trovavano in una situazione di Libertà. I restanti 125 si dividono tra liberi parzialmente (58) e totalmente non liberi (67) – Tabella 31.
Va osservato che tra i 57 Paesi definiti privi di Libertà, si è stilata una graduatoria che vede, fra i primi sedici, 5 Stati africani (Sud Sudan al 1° posto); 7 asiatici (Siria al 1° posto), 3 eurasiatici (Turkmenistan al 2° posto) 1 europeo (Bielorussia all’8° posto). Nella classifica figurano anche Paesi economicamente molto importanti, quali Cina (al 9° posto) e Arabia Saudita (all’8° posto) – Tabella 32.
Al di là di ogni aspettativa e speranza, il Mondo non progredisce nella Libertà, che anzi declina. Prendendo in considerazione un arco temporale che va dal 2005 al 2022, secondo Freedom House, si è passati da 83 Paesi che registravano un miglioramento dal punto di vista democratico, ad appena 34, mentre quelli che declinavano dal punto di vista della Libertà sono passati da 52 a 35 (Grafico 46).
Osservando qual è stato il percorso della Democrazia negli ultimi 50 anni, pur essendo in presenza di un aumento di stati dove vige la piena Libertà e una diminuzione di quelli dove essa è del tutto assente, si sta assistendo, nell’ultimo periodo, ad un rallentamento e a un ritorno a posizioni più arretrate da parte di molti Paesi.
Dopo una ventata di parziale Democratizzazione di parte dell’America Latina alla fine degli anni ’70, la caduta del muro di Berlino nel 1989, la caduta dell’Unione Sovietica nel 1991 e le Primavere arabe nel 2011, ci si attendeva un periodo di rafforzamento e consolidamento della Libertà, che invece non è accaduto (Grafico 47).
A proposito della Democrazia è utile riportare i risultati della ricerca World Values Survey 2017-2022.
L’importanza che si attribuisce al vivere in un Paese democratico è altissima e mediamente tale affermazione ha riscosso un punteggio di 8,36, in una scala da 1 a 10, ma il voto che si assegna al livello di Democrazia presente nello Stato in cui si vive rasenta appena la sufficienza (6,14), mentre il grado di Soddisfazione relativo al Sistema politico vigente al momento della intervista nel proprio Paese è ancora più basso, riportando un punteggio di 5,3, sotto la sufficienza.
E’ molto interessante esaminare un po’ più approfonditamente il livello di Soddisfazione del sistema politico vigente nel proprio Paese da parte degli intervistati. Pur non assumendo mai valori elevati – ma si potrebbe dire che ciò è scontato, in quanto il livello critico su quanto si ha è sempre molto elevato, dal momento che si ritiene generalmente che si potrebbe avere di più – tuttavia la percezione che alcuni Paesi hanno a riguardo potrebbe stupire gli occidentali. Difatti, Tagikistan (8,09), Vietnam (7,61), Bangladesh (6,76), Myammar (6,57), Cina (7,48), pur non essendo Regimi propriamente democratici, offrono Sistemi politici apprezzati dai propri cittadini. E’ d’obbligo anche osservare che le domande di tipo politico possono mostrare qualche riserva da parte degli intervistati.
L’Indagine ha indagato anche sui concetti che definiscono la Democrazia. Quelli a cui si dà mediamente maggior peso riguardano i diritti, sia civili (7,4 su una scala da 1 a 10), sia concernenti la parità tra uomini e donne (8,04), nonché la libertà di scegliere i propri Leader in libere elezioni (7,99) – Tabella 33.
Osservando gli ultimi 10 anni, secondo Freedom in the World – 2023, si nota un preoccupante declino della Libertà in ogni parte del Mondo, persino nei Paesi pienamente liberi, quali gli USA (-10 punti), o la Polonia (-12 punti), mentre in quelli già considerati senza Libertà, i Regimi hanno addirittura acuito le ristrettezze libertarie: in testa la Libia (-33 punti) e il Nicaragua (-32 punti). In molti Paesi dell’Africa e dell’Asia i governi già autoritari hanno ancor più stretto le maglie (Grafico 48).
E’ utile evidenziare come in 50 anni ben 12 Paesi su 195 non hanno mai conosciuto un momento di Libertà parziale o totale: Congo (Kinshasa), Somalia, Sud Sudan, Iraq e Ciad, a causa di conflitti mai spenti; Guinea Equatoriale, Ruanda e Arabia Saudita a causa di autocrazie ben radicate; Cuba, Cina, Nord Corea e Vietnam, grazie all’esistenza di un unico Partito (Grafico 49).
Da una più accurata analisi, limitata ai soli 195 Paesi, escludendo i 15 territori, si nota che di questi meno della metà (43%) possono ritenersi liberi e poiché ad essi corrisponde una Popolazione pari a circa il 20% di quella globale (1,6 mld. di individui) appare chiaro come la maggior parte degli uomini viva in regimi dittatoriali, totalitari o, comunque, dove non tutti i diritti umani sono riconosciuti (Grafico 50).
Ma quali sono le Aree che più di tutte patiscono una condizione di Libertà limitata o completamente assente?
In Eurasia non esiste nemmeno uno dei 12 Paesi che la compongono in cui vi sia totale Libertà. Ciò riguarda 293 mln. di persone, di cui solo il 17% gode di una parziale Libertà. L’Africa, poi, si caratterizza come il Continente con appena il 17% dei 54 Paesi da cui è formata, liberi, corrispondenti appena al 7% della Popolazione totale, che ammonta a 1,4 mld. individui, mentre una metà della Popolazione vive nel 46% negli stati totalmente non liberi e per il restante 43% in quelli parzialmente liberi (37%).
Un’altra Area in estrema sofferenza dal punto di vista della Libertà e che, peraltro, si rivela molto turbolenta sotto l’aspetto politico, militare e sociale è rappresentata dal Medio Oriente, dove solo l’8% dei Paesi (13 in totale) sono liberi. Il 93% della sua Popolazione (274,1 mln di abitanti) vive sotto regimi autoritari.
L’Europa è il Continente che conta il maggior numero di Paesi e abitanti liberi: l’81% dei suoi 42 Paesi, corrispondente all’82% della sua Popolazione (630,6 mln di persone), presenta un Regime democratico; solo un Paese non è libero, la Turchia, peraltro facente parte del Continente solo per una piccolissima parte, almeno dal punto di vista geografico.
Nelle Americhe, sebbene su 35 Paesi i 2/3 siano liberi (72% della Popolazione, ammontante a 1 mld. di persone), ancora vi è un’Area opaca di nazioni che non praticano la Libertà (il 23% solo parzialmente e l’11% per nulla), corrispondenti al 28% dei suoi abitanti.
Infine, i Paesi dell’Asia che si affacciano sul Pacifico (39) per il 44% godono della Libertà, ma corrispondono ad appena il 5% della Popolazione totale dell’area (4,3 mld. di persone). Un altro terzo dei Paesi dispone di una Libertà parziale (54% della Popolazione) ed i restanti stati (23%) non la conoscono (Tabella 34).
Un altro argomento fortemente legato con la Ricchezza e con la Diseguaglianza nel Mondo riguarda l’Istruzione. Se si preclude l’accesso all’educazione, allora poche saranno le speranze di un riscatto sociale da di chi già parte in condizioni di inferiorità. Si stima (UNESCO, aggiornamenti al gennaio 2023) che 1 bambino su 4 sia privo d’accesso all’Istruzione primaria nei Paesi più poveri e che dei bambini e adolescenti nel mondo circa 244 mln. non vadano a scuola e 617 mln. non sappiano né leggere né far di conto; che 64 mln. di bambini (13% del totale) restino senza accesso alla scuola primaria; che meno del 40% delle ragazze nell’Africa sub-sahariana completi la scuola secondaria inferiore, mentre circa 4 mln. di bambini e giovani rifugiati non ricevano un’Istruzione.
Le maggiori discriminazioni sono subite dalle ragazze, dalle persone con disabilità, dalle Popolazioni indigene, dai Migranti e dalle Minoranze etniche. Il motivo principale di questa situazione è il costo dell’Istruzione e quando occorre pagare per accedere all’Istruzione, allora i più svantaggiati vengono ulteriormente penalizzati.
Le diverse crisi planetarie – sanitarie, economiche, climatiche – contribuiscono inoltre all’aumento di povertà, al venir meno dei mezzi e dei finanziamenti per l’istruzione e all’abbandono scolastico delle Popolazioni e delle fasce sociali già in difficoltà.
Punto 11 – Un’economia guidata dall’etica della persona e aperta alla trascendenza
L’Etica e l’Economia sono disgiunte? L’Economia è amorale, ovvero al di fuori della categoria Morale/Etica, pertanto agisce senza chiedersi se l’azione ha uno scopo etico, perché l’unico fine è il guadagno?
Senza addentrarci nelle teorie filosofiche a riguardo, non è questo il luogo, si riporta solo quanto affermava Aristotele nella Politica. Egli distingueva Economia (Oikonomia, da oikos: casa e nomos: legge) dalla Crematistica (l’arte e la tecnica dell’acquisizione dei beni, delle ricchezze, che è parte dell’Economia). Entrambe non sono né buone né cattive, la loro bontà dipende dall’uso che se ne fa. La Crematistica diviene cattiva (contro natura) se è finalizzata non alla vita buona nella casa, ma all’accumulo delle ricchezze fine a sé stesse, indipendentemente dal fatto che esse siano o non siano utili per la vita buona nella casa. La ricchezza vera consiste in quei beni che sono necessari e utili sia all’individuo sia alla comunità. Questi beni non sono illimitati, sono strumenti, mezzi per raggiungere determinati scopi. Perdere il senso del limite e cercare di accumulare ricchezze in modo smisurato, senza limiti, comporta un agire che non consente di realizzare la vita buona, perché ciò che è mezzo diviene fine.
Forse, se si guardasse di più al bene dell’intera comunità che a quello individuale, non si arriverebbe ai paradossi prima descritti – iperconcentrazione della ricchezza nelle mani di pochissimi, distruzione delle risorse della terra per l’arricchimento di poche imprese e persone, ecc. -, paradossi che apparentemente portano alla Felicità (e, comunque, di pochi), ma che, distruggendo la Natura, alimentando le tensioni sociali, provocando migrazioni di massa, alla lunga determinano solo la fine del nostro Pianeta, dove nessuno sarà vincitore e dove anche il ricco si potrebbe trovare a mendicare, per esempio, l’acqua.
I comportamenti virtuosi del singolo, che bandisce dalla sua condotta il clientelismo, l’evasione e l’elusione fiscale, l’omertà nei confronti delle varie forme di mafia, lo spreco e che mira ad una vita improntata all’austerità, alla sobrietà, alla riduzione dei bisogni, all’uso parsimonioso delle risorse, concentrandosi sulle relazioni umane, favorendo il rispetto delle differenze, la conoscenza dell’altro alla ricerca della giustizia e dell’equità dovrebbero portare ad un’Etica Sociale, Politica ed Economica generale, basata su questi stessi comportamenti. Alla luce di queste riflessioni ci si domanda che posto occupino la Religione e la S62+piritualità nella vita degli uomini e quali siano i valori su cui basa la propria esistenza l’Umanità.
Secondo le stime di Pew Research un Centro di analisi statunitense che mappa il Credo nel Mondo, l’84% della Popolazione mondiale si identifica con un gruppo religioso. Ad oggi, sono oltre 2,3 mld. i Cristiani, 1,9 mld. gli Islamici e 1,16 mld. gli Induisti, a cui occorre aggiungere oltre 500 mln. di Buddisti e 430 mln. di religioni su base etnica regionale (Grafico 51).
Considerando l’aliquota di chi non si riconosce in una religione tra i primi 10 che registrano i maggiori Tassi di non affiliazione ad un Credo, in Europa si trovano 4 Paesi, mentre i 10 Paesi con la percentuale più bassa di non affiliati sono tutti asiatici, a prevalenza musulmana, tranne uno (Tabella 35).
In un’Indagine molto ampia, pubblicata nel 2017 dall’Istituto demoscopico fra i più antichi al mondo, lo statunitense Gallup, svolta in 68 Paesi, intervistando complessivamente 66.000 individui, risulta che alla domanda: “Indipendentemente dal fatto che tu vada in Chiesa, in Moschea, in Sinagoga o in qualunque altro luogo di culto, ti consideri una persona religiosa?” il 62% del Campione ha risposto affermativamente; una percentuale, tuttavia, decisamente più bassa di quella che si poteva riscontrare nel 2005, quando a definirsi religioso era il 77% degli intervistati nell’omologa ricerca.
Dal 2005, gli Atei sono passati dal 5% al 9% della Popolazione, ma ciò non significa un’espansione dilagante di questa categoria di persone. Coloro che crescono, in particolare, sono gli scettici, gli agnostici, i “non religiosi” che non se la sentono di escludere, però, l’esistenza di un Ente divino superiore, passati dal 18% del 2005 al 30% del 2017. Sembra che l’incertezza, il relativismo che si riscontrano anche in altri fenomeni umani si riflettano pure nella Religione, che non appare più come un porto sicuro, ma è uno dei tanti punti messi in discussione, grazie, tra l’altro, alla luce di tante scoperte scientifiche, che fanno vacillare le certezze, le mettono in dubbio, ma non escludono la possibilità del divino, che anzi spesso viene cercato.
Due variabili, in particolare, il reddito e il livello di istruzione, influenzano il Grado di religiosità, secondo la Ricerca Gallup, con una connessione in senso inverso: più il reddito è basso e maggiore è l’incidenza di chi afferma di essere religioso, passando dal 66% al 50%; più si innalza l’istruzione e minore è la religiosità, che scende dall’83% al 49%. Difatti, i Paesi più religiosi, Thailandia in testa (98% della Popolazione), Nigeria (97%), Kosovo, India, Ghana, Costa d’Avorio, Papua Nuova Guinea (tutti con il 94%), Fiji (92%), Armenia (92%) e Filippine (90%) si distinguono tutti per bassi redditi e scarsa istruzione.
Di contro, tra i Paesi meno religiosi si collocano Svezia, Repubblica Ceca e Regno Unito con 7 persone su 10 che si dichiarano atee o non religiose (rispettivamente, 18% e 55% in Svezia, 25% e 47% in Repubblica Ceca, 11% e 58% nel Regno Unito), dove reddito e istruzione sono alquanto elevati.
Il Paese meno religioso, tuttavia, è la Cina dove si dichiara ateo il 67% del campione – oltre il doppio della percentuale riscontrata in qualsiasi altro Paese – e un ulteriore 23% si definisce non religioso, a fronte di appena un 9% che si proclama credente.
Va anche detto che la Cina non ha mai avuto una Religione in senso stretto. Il Confucianesimo e in parte il Taoismo e il Buddismo sono delle filosofie, che racchiudono comportamenti etici, più che religiosi.
Il secondo Paese più ateo del mondo si trova sempre in Asia ed è il Giappone, dove questa percentuale è però ridotta al 29%. Dopo i due colossi asiatici, si arriva in Europa; un’altra zona del Mondo dove l’Ateismo ha preso parecchio piede. La Slovenia si colloca, infatti, al terzo posto in assoluto nel mondo con il 28% di atei, seguita in Europa dalla Repubblica Ceca (25%), dalla Francia e dal Belgio (entrambi al 21%). Restando nel Vecchio Continente, si trovano la Svezia (18%), l’Islanda (17%), la Spagna (16%), la Germania e la Danimarca (entrambe 14%), il Regno Unito (11%). L’Italia è il Paese con il minore numero di atei dell’Europa Occidentale (8%), preceduta da Portogallo e Irlanda (entrambi 9%), Paesi di tradizione molto cattolica, mentre in Polonia e Macedonia si raggiunge appena l’1% di ateismo e in Bulgaria e Romania il 3%. Al di fuori del vecchio Continente, i Paesi più atei sono in Asia: Corea del Sud (5° posto nella classifica generale, con il 23%). Nei Paesi anglosassoni gli Stati Uniti si distinguono per una bassissima percentuale di atei (7%), seguiti da Canada (10%) e Australia (13%).
Il fenomeno dell’Ateismo è trascurabile nell’America Latina, dove in Brasile, Ecuador e Paraguay è al 2% e così in Africa, dove in Costa d’Avorio, Ghana e Nigeria è addirittura inesistente.
Concludendo, secondo Vilma Scarpino, Presidente ad interim di WIN/Gallup International Association:
“L’Indagine ha confermato che la Religione è un aspetto rilevante nella vita delle persone a livello mondiale, anche se la storia di ogni Paese e i livelli di istruzione hanno una notevole influenza sulla percezione di questi valori. I dati relativi alle credenze spirituali – circa tre quarti della Popolazione mondiale intervistata crede nell’anima e in Dio – ci mostrano quanto sia importante per la maggioranza della Popolazione mondiale avere una fede e fare affidamento su di essa. Donne e giovani mostrano percentuali più alte per gli aspetti spirituali – Dio, la vita dopo la morte, l’anima, l’inferno e il paradiso”.
Soffermandosi ancora sulla questione religiosa, perché la Religione occupa sicuramente un posto importante nella vita dell’uomo, fin dai tempi più lontani, come testimoniano i tanti ritrovamenti di età preistorica, e implica o dovrebbe implicare una serie di conseguenze in campo morale ed etico, si riportano i risultati della Ricerca World Values Survey, sviluppata da un coordinamento di università e istituti di ricerca, sparsi nel Mondo. Circa il 60% del questionario WVS si sovrappone al questionario EVS (http://www.worldvaluessurvey.org/), altra Ricerca internazionale organizzata anch’essa da diverse Università. L’Indagine, che si svolge con cadenza quinquennale dal 1981, intende comprendere quali siano i valori che guidano gli uomini e a cui sono più legati. Sono state poste domande sugli atteggiamenti degli intervistati rispetto a famiglia, lavoro, religione, politica, benessere, solidarietà, rapporti interculturali, democrazia, solo per citare alcuni dei temi più rilevanti. La Religione, che come sopra riportato presenta una serie di sfumature, contraddizioni e atteggiamenti diversi – fede, agnosticismo, scetticismo, ecc. -, è, per il 46,4%, un valore molto importante per la propria esistenza e per un altro 20,5% assume una importanza più che sufficiente, ma per il 32,2% degli intervistati assume una rilevanza minima o nulla. Va sottolineato come tale dato sia molto variabile da Paese a Paese e come siano esclusivamente le nazioni a Religione musulmana che dichiarano di ritenere importantissimo tale valore con percentuali tra l’80% e il 98%, mentre in una sola nazione (l’Armenia) di Religione cristiana si raggiunge una elevata valutazione, che tuttavia si colloca ad un livello più basso (71,3%) delle Islamiche.
A tal punto, è bene riportare quanto emerge da un’Indagine condotta nel 2019 dal Pew Research Center – su 38.426 individui in 34 paesi del Mondo ai quali è stato chiesto quale sia il rapporto tra credere in Dio e comportamento morale e quanto siano importanti Dio e la preghiera nella vita delle persone.
Il 61%, in perfetta linea con quanto emerge dalla Ricerca del World Values Survey 2017-2022, afferma che Dio assume una grande importanza nella sua vita, insieme alla Preghiera (53%). Inoltre, il 45% del Campione mette in stretta correlazione il credere in Dio e i principi morali.
Relativamente alla prima affermazione, tuttavia, si notano grandi differenze tra Paese e Paese: quelli appartenenti alle Economie emergenti incluse in questo Sondaggio, tendono ad essere molto più assertivi rispetto alla necessità di credere in Dio per essere morali, rispetto a quelli di Economie avanzate.
L’Europa nel suo complesso è sempre meno religiosa, ma con notevoli differenze tra i Paesi orientali e occidentali del continente: negli 8 Paesi dell’Europa occidentale intervistati, una media di appena il 22% afferma che la fede in Dio è necessaria per avere principi morali, contro il 33% dei 6 dell’Europa orientale (Grafico 52).
Si è calcolato il Coefficiente di correlazione tra PIL pro capite e Grado di accordo con l’item necessità di credere in Dio per avere valori morali: il risultato è stato pari a – 0,86, ovvero c’è un nesso inverso tra le due variabili, al crescere dell’una diminuisce parimenti l’altra e viceversa.
Analizzando i dati secondo alcune variabili, si nota che l’età è discriminante: nella maggior parte dei 34 Paesi considerati, quelli di età pari o superiore ai 50 anni sono significativamente più propensi nel ritenere che la fede in Dio sia necessaria per la moralità rispetto a quelli di età compresa tra 18 e 29 anni (Grafico 53).
L’altra variabile discriminante è rappresentata dal Livello di istruzione: coloro che hanno maggiore scolarizzazione sono meno inclini a credere che la fede in Dio sia necessaria (Grafico 54).
Ma anche l’Orientamento politico gioca un ruolo fondamentale: chi si ispira a un’ideologia più di destra crede maggiormente nel binomio credere in Dio-avere valori morali (Grafico 55).
Tornando alla Ricerca World Values Survey 2017-2022, si pone, ora, l’attenzione agli altri valori da essa presi in esame.
Nonostante tutte le difficoltà che la Famiglia attraversa, nonostante le separazioni, i divorzi, le crudeltà che in essa si consumano, dai femminicidi ad altri tipi di violenze, essa rimane un punto di riferimento importantissimo a ogni latitudine e per il 90% degli Intervistati è considerata un valore essenziale.
Al secondo posto si colloca il Lavoro, giudicato prioritario nella scala dei valori dal 58% del Campione, mentre un altro terzo circa lo ritiene abbastanza importante. L’Amicizia è un altro valore che risulta essenziale per il 44,2% degli intervistati e abbastanza importante per altrettanti circa. La rilevanza concessa al Tempo libero ricalca, più o meno, le percentuali raggiunte dall’Amicizia: per il 41% è un valore primario e per un altro 43,4% un momento abbastanza importante della propria vita.
All’ultimo posto la Politica, che appare come il valore meno interessante nel Mondo, che rappresenta solo per il 14,5% un’importanza fondamentale, mentre per ben il 54,6% una sorta di perdita del proprio tempo.
La variabilità di tali dati è molto elevata tra Paese e Paese. Il Lavoro, al contrario di quello che forse in molti pensano, si colloca come importantissimo non nei Paesi occidentali, ma negli altri, probabilmente perché là scarseggia e non è un diritto acquisito; anche la Politica, pur mantenendosi in un range tra il 20% e il 39% (Filippine) di chi afferma di ritenerla un valore essenziale, viene molto più apprezzata nei Paesi in cui scarseggia la libertà e, quindi, non in Occidente; il tempo libero, invece, assume un ruolo molto importante in particolare per i Paesi dell’America Latina, dove si esprime in tal modo una percentuale prossima o superiore al 50%; infine, l’Amicizia non riscuote un consenso così determinante specialmente nei Paesi asiatici (Tabella 36 e Grafico 56).
Infine, si riportano altri 2 risultati della Ricerca, perché forniscono quelli che sono i Valori ritenuti fondamentali dai genitori da trasmettere ai propri figli e alcuni atteggiamenti verso il prossimo, entrambi indicativi dei comportamenti delle Società e dell’Uomo.
Riguardo agli insegnamenti ai figli, 3 sono le qualità che si cerca di incoraggiare: il Senso di responsabilità (64,2%), la Tolleranza verso gli altri (62,6%) e l’importanza del Lavoro (52,5%), mentre non si dà grande peso al Risparmio del denaro e al non Spreco (29,8%), al non essere Egoisti (27,6%) ed anche alla Fede (34,4%), all’Obbedienza (31,1%) e all’Immaginazione (20%) sono caratteristiche non ritenute fondamentali e degne di incentivazione da parte dei genitori (Tabella 37).
Pur predicando e volendo favorire la Tolleranza, quando si domanda agli Intervistati se sarebbero disposti a sopportare un vicino con determinate caratteristiche, il Campione mostra accettazione per chi è di Razza, Lingua o Religione diversa (rispettivamente, solo il 15,8% , il 15,1% e il 16,7% non ne avrebbe piacere), per gli Immigrati (21,3% intollerante), per le Coppie conviventi non sposate (23,3% non disponibili), ma si rivela molto più riluttante verso i Drogati (82,8% non li accetterebbe volentieri), i grandi Bevitori (68%), gli Omosessuali (42,8%) – Tabella 38.
Infine, si pone l’attenzione sull’Indice di Corruzione stilato nel 2022 dal Transparency International (Movimento mondiale che ha lo scopo di liberare dalla Corruzione governi, affari, società civile), che vede in cima alla classifica, nei primi 10 posti delle Nazioni meno corrotte, 8 Paesi europei, tutti del Nord, con la Danimarca in prima posizione (90 punti su 100); agli ultimi posti della graduatoria 5 Paesi africani (la Somalia con 12 punti su un massimo di 100 si colloca all’ultimo posto), 3 asiatici, 1 sudamericano e 1 dell’America Centrale. Considerando il valore 50, in una scala da 0 a100, come quello al limite tra corruzione accettabile e corruzione non accettabile, solo 58 su 180 sono i Paesi che si collocano in questa fascia (Grafico 57).
Conclusioni
Papa Francesco si augura che si possa realizzare una Economia diversa da quella esistente, che faccia vivere e non uccida, che includa e non escluda, che umanizzi e non disumanizzi, che si prenda cura del Creato e non lo depredi e che sia, dunque, frutto di una cultura della comunione, basata sulla fraternità e sull’equità.
Il 24 settembre 2022, Papa Francesco ha stretto un Patto con i giovani economisti, imprenditori e changemaker, per cercare di introdurre una nuova Economia amica della Terra e della Pace, articolata in 12 Punti, che abbiamo esaminato approfonditamente e documentato con dati e strumenti statistici.
Da una parte una Natura che rischia di perdere biodiversità e risorse, dall’altra lo sfruttamento di uomini, donne e bambini cui non viene offerto un salario adeguato, un lavoro dignitoso e le giuste assicurazioni previdenziali portano a riflessioni che sembrano convergere tutte verso un unico punto: i modelli economici e di sviluppo sin qui adottati non rispondono alle vere esigenze della vita degli uomini, tanto più che quella felicità a cui tutti aspiriamo e che compare nel dodicesimo punto del Patto di Francesco, non scaturisce, come dimostrano le tante Ricerche qui riportate e come i più grandi Filosofi hanno sempre affermato, dalla ricchezza e/o dalla fama, ma da un giusto compenso, dal benessere non del singolo o di una ristretta fascia di individui, da solidi rapporti e relazioni interpersonali familiari e di amicizia e da un godimento dei beni materiali allargato al maggior numero possibile di strati della Popolazione, come aveva già presagito e intuito Gaetano Filangieri, quando trattava della Felicità con B. Franklin.
Tale analisi suggerisce che gli attuali modelli economici sono obsoleti e non rispondono né alle esigenze della Terra, né a quelle dell’Uomo e provocano solo squilibri, forieri di malcontento e lotte sociali.
Non è compito di questo studio trovare la soluzione, ma lo scopo è stato quello di fornire una gran mole di dati, che potrà essere ulteriormente integrata a supporto di una riflessione da parte degli economisti, cui è affidato l’onere di trovare un nuovo modello economico, che mitighi tutte le incongruenze e la rincorsa alla ricchezza, concentrata solo nelle mani di pochi.
La “Economy of Francesco” è quindi una chiamata alle nuove generazioni volta a intraprendere una Economia amica della Terra e della Pace basata su una crescita della nostra vita spirituale che ci permetta di affrontare con maggiore consapevolezza le difficoltà insite in un percorso di trasformazione; e volta al difficile impegno di creare una nuova Economia che sia in grado di generare cambiamenti strutturali e sociali seguendo precise parole chiave: spogliazione del superfluo, coltivazione della vita interiore e inclusione dei poveri.
Questa non facile trasformazione dell’Economia del nostro Pianeta porterebbe indubbiamente a un primato dello Spirito sulla Materia e il ritrovamento dell’Essere umano nella sua vera identità.