Introduzione
La Felicità è forse l’obiettivo di ogni essere umano, tanto importante da venire riconosciuta quale diritto in un documento come la Dichiarazione d’indipendenza americana (1776), in cui si legge: “Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità”.
Etty Hillesum, un’ebrea deportata ad Auschwitz, nel suo Diario afferma che “Dio ci vuole felici”.
Nel giugno 2012 (risoluzione A/RES/66/281), l’ONU istituisce la Giornata della Felicità, da celebrarsi ogni 20 marzo “consapevole che la ricerca della Felicità è uno scopo fondamentale dell’Umanità”.
I tre più importanti Filosofi dell’Antichità affermavano che l’uomo riusciva ad ottenere un maggiore stato di Felicità quando cercava di raggiungere una maggiore consapevolezza di se stesso con la Conoscenza del bene (Socrate), con la Ricerca del bene e del bello (Platone) e con un Comportamento razionale e virtuoso (Aristotele).
Papa Francesco, nell’ultimo dei dodici Punti, in cui si articola il Patto firmato con i giovani economisti, imprenditori e changemakers giunti da oltre 100 Paesi ad Assisi il 24 Settembre 2022, per la terza edizione di The Economy of Francesco, pone l’accento sul tema della Felicità, asserendo che l’Economia deve creare ricchezza per tutti, deve generare “gioia e non solo benessere perché una felicità non condivisa è troppo poco”.
Questo Studio si propone di esaminare i 12 Punti che compongono il Patto che i partecipanti alla terza edizione di The Economy of Francesco hanno deciso di portare nella realtà, fornendo tutti quei dati a supporto di ognuno dei temi in esso contenuti, per darne una dimensione quantitativa, oltre che qualitativa, affinché meglio se ne definiscano i confini e il peso e si abbia maggior contezza dei fenomeni da affrontare, modificare, sostenere per poter intervenire e cambiare il modello economico oggi perseguito, ben consapevoli, tuttavia, di non essere esaustivi nella descrizione di tutti i fenomeni che concorrono a definire ciascuno dei 12 Punti. Inoltre, dal momento che essi presentano al loro interno, talvolta, argomenti di natura simile, nel presente lavoro, per maggior chiarezza e per il fatto che lo studio viene pubblicato in più parti, tali temi sono stati ogni volta analizzati laddove contemplati, anche se con livelli di approfondimento diverso e comunque sempre in modo funzionale alla comprensibilità espositiva e compiutezza della trattazione.
La disamina inizia a illustrare le tematiche contenute nell’ultimo Punto (Punto 12: “Un’Economia che crea ricchezza per tutti, che genera gioia e non solo benessere perché una Felicità non condivisa è troppo poco”), perché ci sembra che le dieci parole dell’Economia della vita di Papa Francesco – pace, cura, servizio, tutela, amicizia, alleanza, riconoscimento, dignità, condivisione, felicità – convergano, in ultima analisi, sull’ultima (Felicità).
Punto 12 – Un’economia che crea ricchezza per tutti, che genera gioia e non solo benessere perché una felicità non condivisa è troppo poco
In estrema sintesi, siamo al mondo non per soffrire e le azioni dell’uomo devono portare alla costruzione della Felicità dei singoli e, quindi, dell’intera collettività. L’Economia che è uno dei pilastri della società, deve contribuire a questo, tenendo ben presente che l’esclusivo egoistico benessere materiale non costituisce necessariamente Felicità.
Prima di proseguire nella trattazione, si vogliono riportare due osservazioni degne di nota, una di ordine economico e l’altra filosofico, circa questo tema.
Richard Easterlin, economista americano degli anni Settanta del Novecento, parlò del Paradosso della felicità, secondo cui il sistema economico basato sull’accumulo del capitale generava una curva della felicità a forma di una U rovesciata: reddito e felicità mostravano una correlazione positiva (ovvero crescevano all’incirca di pari passo) solo fino ad una certa soglia, oltrepassata la quale non si riscontrava un incremento di felicità pari a quello del reddito, ma anzi, la correlazione tendeva a diventare sempre più negativa: più ci si allontanava dalla soglia limite, più al crescere del reddito, diminuiva la felicità.
Due studi successivi sul tema del nesso tra felicità e reddito, conseguono risultati, l’uno in linea con l’affermazione di Easterlin e l’altro in parte da esso divergente. Quello del 2010, condotto dai due premi Nobel Daniel Kahneman e Angus, dall’analisi dei dati provenienti dall’indagine Gallup sul benessere negli USA, ha verificando che la valutazione della soddisfazione di vita degli americani aumentava di pari passo con il reddito, però il loro benessere emotivo si stabilizzava all’altezza di un reddito familiare di 75.000 dollari all’anno. Lo studio di Matthew Killingsworth, psicologo dell’Università della Pennsylvania, pubblicato nel 2022, invece, non perviene alla stessa conclusione, ma dai dati raccolti su un Panel di 33.391 impiegati, dai 18 ai 65 anni negli Stati Uniti, indagato per 7 anni, ritiene che il denaro influenza la Felicità e non esiste una soglia limite. Tuttavia, senza scendere nei discutibili meandri metodologici di questa ricerca e del campione (non certo rappresentativo della Popolazione, perché circoscritto al solo segmento degli impiegati), i suoi risultati sono solo parzialmente discordanti con quelli delle precedenti, poiché pervengono sia alla conclusione che chi accumula denaro e successo è meno felice degli altri, sia che chi percepisce un reddito maggiore, dovendo lavorare più ore, deve sottrarre con rammarico tempo alla sua vita privata, stabilendo, in ultima analisi, che il reddito è solo un modesto fattore nel raggiungimento della felicità.
Gaetano Filangieri, illuminista napoletano, che intrattenne rapporti anche con Bejamin Franklin, metteva in guardia dal perseguimento della Felicità da parte del singolo, perché riteneva che i ricchi sarebbero stati avvantaggiati nel procurarsi il massimo dei piaceri individuali, mentre la maggioranza dei meno abbienti, dei meno capaci e fortunati sarebbe stata esclusa da questa rincorsa della felicità, contravvenendo al principio etico dell’eguaglianza dei diritti, presente nel giusnaturalismo moderno e quindi, per conciliare i diritti inalienabili della Vita, della Libertà, della Felicità con il principio dell’Uguaglianza, la Felicità avrebbe dovuto avere una valenza pubblica e sociale, legata alla redistribuzione della ricchezza per consentire la creazione delle condizioni necessarie all’esercizio del diritto di “eguaglianza della felicità in tutte le classi”, concetto che si avvicina a quello enunciato già da Aristotele, secondo il quale “È bello essere felici, ma è ancora più bello esserlo nel numero maggiore possibile di persone”. Nella Scienza della Legislazione Gaetano Filangieri affermava:
La felicità pubblica non è altro che l’aggregato delle felicità private di tutti gli individui che compongono la società. Allorché le ricchezze si restringono tra poche mani, allorché pochi sono i ricchi e molti gli indigenti, questa felicità privata di poche membra non farà sicuramente la felicità di tutto il corpo, anzi come ho detto, ne farà la rovina.
Ma che cosa è la Felicità?
La sua definizione nel dizionario di De Mauro è la seguente: Stato d’animo di chi è sereno, non turbato da dolori o preoccupazioni e gode di questo suo stato” e aggiunge che l’aspirazione alla felicità. È “caratteristica dell’etica classica, che la chiamò Eudaimonia; trascurata nella filosofia moderna in seguito alla posizione rigoristica assunta da I. Kant, la nozione di Felicità è rimasta viva nella tradizione culturale anglosassone, ispirando il pensiero filosofico, sociale e politico.
Quali sono le circostanze, i fatti, gli elementi che concorrono a formare questo stato d’animo? E, inoltre, quanto gli uomini sono felici? In quali Paesi sono più felici?
Alcune indagini svolte a livello internazionale da diversi Istituti di Ricerche di Mercato cercano di fornire risposte a tali domande.
Da molti anni, l’IPSOS realizza una ricerca dal titolo Global Happiness, attualmente in 30 Paesi del mondo (erano 23 nel 2011), indagando sul livello di Felicità dei loro abitanti, sugli elementi che li rendono felici, sulla connessione tra felicità e reddito.
Alla domanda: Tutto considerato, diresti di essere: molto felice, abbastanza felice, non molto felice, per niente felice? le risposte (raggruppando le prime due modalità) fornite nel 2021 (Grafico 1) dagli intervistati disegnano una mappa, in cui in testa si collocano 2 Paesi Occidentali, Olanda (86%) e Australia (85%), seguiti da Cina e Gran Bretagna (entrambe 83%), India (82%), Francia e Arabia Saudita (entrambi 81%) e Canada (80%). All’ultimo posto Turchia (42%) e Argentina (48%).
Mediamente (Grafico 2), nei 30 Paesi facenti parte del campione IPSOS, 2 adulti su 3 (67%) si definiscono felici (15% molto e 52% piuttosto). India (39%), Australia (30%) e Arabia Saudita (29%) sono quelli al top, ovvero quelli con la quota maggiore di molto felici, mentre Turchia (18%), Argentina (14%) e Ungheria (13%) quelli con la percentuale più elevata dei per niente felici.
Esaminando i dati (Tabella 1) in un arco temporale di 10 anni (2011-2021) ciò che appare chiaro è che, nel giro di poco tempo, la Felicità è in diminuzione nel Mondo, con un calo complessivo di 10 punti percentuali e sono soprattutto Polonia, Sud Africa, Sud Corea che vedono scendere di14 p.p. il grado di Felicità dei propri abitanti e poi Messico (-13 p.p.), Giappone (-10 p.p.), mentre si osserva una crescita della Felicità solo in Cina (+5 p.p.) e Gran Bretagna (+4 p.p.).
Tra i Fattori della propria Felicità (Grafico 3) solo alla salute viene riconosciuta una particolare preziosità ed oltre la metà del campione la indica come fonte di gioia, individuandola in quella fisica (54%) e/o in quella mentale (53%). Nessun altro motivo di felicità interessa oltre il 50% degli intervistati, pur raggiungendo buoni risultati gli affetti familiari (la relazione con il coniuge, 49% e con i figli, 48%) e il sentire che la propria vita ha un significato (49%).
Se si esaminano i risultati, escludendo le modalità di risposta centrali, che rappresentano posizioni non nette, e ci si concentra solo sulle risposte estreme (molto e per niente), allora emerge che ci sono delle motivazioni, quali la relazione con il coniuge (17%), con i propri figli (25%), il trovare una persona con cui stare (21%), l’essere perdonati (17%), la propria religiosità/spiritualità (22%), (15%), il trasferirsi in un altro Paese (26%), che non rappresentano alcuna fonte di Felicità per una quota tra 1/6 e un 1/4 della Popolazione. Solo il 5% dichiara che non trarrebbe alcuna Felicità dal possedere più denaro e il 4% che non è reso più felice dalla propria situazione finanziaria. Gli aspetti collettivi, come il benessere del proprio Paese, la libertà di esprimere le proprie credenze, fanno felice solo 1/3 circa degli intervistati, mentre l’andamento dell’Economia, il perdonare qualcuno, la leadership politica del proprio Paese sono fonte di felicità solo per 1/4 circa del campione.
Osservando l’evoluzione delle motivazioni (Tabella 2) alla base della Felicità dell’individuo, nell’arco temporale 2011-2021, emerge una sostanziale stabilità.
Molto probabilmente per effetto del Covid, avere il controllo della propria vita (+3 p.p.), poter coltivare i propri hobby (+4 p.p.), il praticare sport e divertimenti (+6 p.p.), l’avere tempo libero (+5p.p.), il disporre della libertà di esprimere le proprie opinioni (+6 p.p.), la carità verso gli altri (+3 p.p.), il perdonare (+5p.p.), l’essere perdonato (+7p.p.), la propria religiosità (+6 p.p.), hanno assunto un peso maggiore per sentirsi felici: l’impedimento che per la pandemia si è verificato nell’accesso agli spettacoli, allo sport, l’applicazione dello smart working hanno portato, molto probabilmente, a rivalutare l’apprezzamento del tempo libero, dei propri hobby, a riflettere sui propri comportamenti e sulla sfera spirituale in presenza di una malattia e della morte incombente, a dare una diversa priorità ad alcune fonti di Felicità, con un tendenziale maggiore ripiegamento su se stessi e accentuando le posizioni individualistiche a discapito della Felicità che si può trarre dal benessere del proprio Paese (-2 p.p.) e dall’andamento dell’Economia (-4 p.p.).
Un’altra Indagine, la World Happiness Report, realizzata con periodicità annuale dall’istituto Gallup in tutto il Mondo, includendo la quasi totalità della Popolazione adulta della Terra, trae una tendenza alla fine del primo decennio di ricerche: mentre a livello governativo si è alzata l’attenzione verso la Felicità dei propri cittadini, la valutazione della Popolazione circa tale stato d’animo rimane pressoché stabile nel suo insieme nel tempo, rilevando, tuttavia, una crescita del suo livello in alcuni Paesi (in testa Romania, Bulgaria e Serbia) e un decremento in altri (in primo luogo in Venezuela, Afghanistan e Libano). In questo decennio sono aumentati i fattori di Infelicità, anche se in misura moderata, quali stress, preoccupazione e tristezza nella maggior parte dei Paesi e si osserva una tendenziale diminuzione del godimento della vita. Si ricorda che l’Indagine sconta ancora gli effetti del Covid, che ha avuto le sue ripercussioni negative soprattutto tra i giovani, che sono maggiormente insoddisfatti della propria vita, rispetto ai più anziani.
Questa Indagine cerca di valutare la Felicità non solo dal punto di vista del benessere materiale e mira a mostrare come si sentono le persone e che cosa vedono di positivo e di negativo nella loro vita.
Dall’Indagine 2021 scaturisce che sentire di appartenere a una comunità coesa, dove si condividono i valori e si ha la possibilità di dare e ricevere aiuto, dà felicità, come poter riporre fiducia nelle istituzioni induce a una maggiore predisposizione ad assumere buoni comportamenti sociali.
I Paesi più felici sono tutti in Europa (Tabella 3), con la sola eccezione di Israele e della nuova Zelanda, che tuttavia ricadono sempre nell’area di quelli occidentali, mentre quelli meno felici sono tutti in Africa o in Asia.
Va osservato che in questo Indicatore assume una forte rilevanza statistica il Reddito pro capite, rispetto alle altre variabili prese in considerazione (aspettativa di una vita sana, sostegno sociale, libertà di scegliere la propria vita, generosità, corruzione esistente nel proprio Paese). Pertanto, la Felicità è determinata quasi esclusivamente da esso. Ciò, tuttavia, rafforza quanto sostenuto da Easterlin: fino ad una certa soglia, Reddito e Felicità marciano all’incirca di pari passo, oltre no. Si fa osservare che gli Usa, l’unico Paese per il quale è stato calcolato il Reddito limite (75.000 dollari), si collocano in 16^ posizione, con un Reddito medio pro capite intorno ai 70.000 dollari.
La parziale discordanza tra le due Indagini pone diverse domande. Va messo in rilievo che le metodologie e i parametri diversi a cui fanno riferimento le due ricerche, per definire la felicità, inevitabilmente portano a risultati diversi. Né va dimenticato che Indagini a livello internazionale, per poter comparare i dati, devono assolutamente utilizzare le stesse domande e le stesse definizioni dei fenomeni, ma le diverse culture di appartenenza dei Paesi intervistati possono avere sensibilità e categorie valoriali non necessariamente coincidenti. Ciò comporta forzature nella formulazione dei questionari da somministrare e una standardizzazione di concetti che possono assumere valenze più o meno sfumate in ciascuna area geografica. Sicuramente, tuttavia, entrambe le ricerche indicano nei Paesi del Nord Europa, quelli più felici, mentre i meno si collocano prevalentemente in Africa per l’Indagine Gallup e in America Latina per quella IPSOS.
A conferma della difficoltà nella scelta dei parametri per definire la Felicità e su cui, in base alla loro intensità, vengono stilate le graduatorie sopra esposte, si rileva un fenomeno che pone parecchi dubbi sui risultati presentati. Ci si riferisce al numero di suicidi. Si presuppone, con una certa ragionevolezza priva di dubbi, che chi è felice non si suicidi.
L’ultimo studio sui Suicidi (Grafico 4), che vede crescere quelli tra i più giovani, condotto dall’OMS, mette in evidenza come nei Paesi a reddito più elevato il Tasso di suicidio, standardizzato con l’età della Popolazione, per eliminare l’influenza della composizione demografica sui risultati, assuma valori più ingenti, seguito da quelli più poveri, mentre gli Stati con redditi medi si collocano al livello inferiore di questa triste graduatoria. Tutto ciò implicitamente avvalora ancora una volta la tesi di Earlistin, che, oltre una certa soglia, il denaro non procura più felicità.
Nell’Africa (Grafico 5), forse il continente con le più grandi contraddizioni socio-economiche, con una presenza di guerre, fame, povertà complessiva e individuale che non si riscontra in nessun’altra parte del mondo, si assiste alla maggior quota di Suicidi per 100 mila abitanti, seguita dall’Europa che nel suo complesso, invece, è probabilmente il continente più ricco, con un welfare migliore che in qualunque altra area geografica, con squilibri sociali più attenuati che in altre parti del mondo.
L’altro aspetto che va rilevato riguarda la profonda differenza di comportamento tra uomini e donne rispetto al Suicidio. Queste ultime registrano un Tasso di gran lunga inferiore rispetto a quello maschile, in ogni Regione geografica e Paese e qualunque sia il livello di reddito, con molta probabilità perché le donne, in quanto datrici di vita, si pongono nei confronti della morte con un atteggiamento di maggior rispetto, che non gli uomini.
A conclusione di questo excursus sulla Felicità e sulle Ricerche condotte, si riporta un ultimo Studio.
Tra le tante Indagini che trattano della Felicità, tuttavia, quella che forse meglio di tutte può dare un’idea su ciò che veramente rende felice l’uomo e che, quindi, dovrebbe essere coltivato forse con maggior cura di quanto non si faccia, è rappresentato dai risultati che scaturiscono da un’Indagine, che costituisce un unicum nel suo genere, poiché è stata realizzata da un gruppo di ricercatori di Harvard seguendo un contingente di 724 individui nel tempo, per circa 80 anni, dal 1938, dall’adolescenza fino alla vecchiaia: 268 studenti del secondo anno dell’Harvard College e 456 ragazzi tra i 14 e i 16 anni della periferia di Boston a cui sono state rivolte ogni 2 anni delle domande, oltre che effettuate visite mediche e psicologiche, mentre si modificavano le loro condizioni di vita, di salute, psicologiche, economiche, di status sociale, e la loro vita veniva segnata da vicende dolorose o no e da scelte di varia natura.
All’inizio delle Ricerca, tali giovani ragazzi ritenevano che il loro obiettivo nella vita fosse diventare ricchi (80%) e/o famosi (50%). Alla fine della Ricerca, alla luce dell’esperienza di una vita ormai nella sua fase conclusiva, gli ultimi componenti (60 individui) del contingente sotto esame dal 1938, ritiene che ciò che determina la Felicità e in cui vale la pena di investire siano le buone relazioni familiari e sociali, qualitativamente elevate, ricche di affetti e basate sulla generosità e reciprocità. Robert Waldinger, ultimo e attuale direttore dello studio, aggiunge che esse abbiano anche “una forte influenza sulla nostra salute”.
Altri Studi convergono in questa direzione. Quello dell’Università di Washington (2014), dopo aver sottoposto i partecipanti al campione a dimostrarsi per 10 minuti disponibili e aperti verso un interlocutore, conclude che anche le persone maggiormente introverse riescono a provare sentimenti di gioia al termine di quella breve esperienza. Lo Studio, invece, dell’Università di Zurigo (2017) è riuscito a evidenziare che la generosità, le azioni che recano benessere al prossimo attivano in senso positivo le aree deputate all’elaborazione dei comportamenti sociali, alla felicità e ai processi decisionali.
In definitiva, dunque, non il denaro e la fama, ma i rapporti tra gli uomini recano Felicità: una vita lunga e di salute è assicurata più dai rapporti interpersonali, familiari e saldi, che dal quoziente intellettivo, dalla classe sociale di appartenenza, dal proprio patrimonio genetico.
Questa apparente digressione sulla Felicità, sul concetto di essa, sul suo perseguimento, mette in evidenza che se intendiamo raggiungerla, poiché essa è data – almeno stando, in particolare, all’esperienza e alle conclusioni tratte da chi è stato seguito per 70 anni nella ricerca più lunga mai effettuata in proposito – non da fama e ricchezza, ma da relazioni umane, significa che anche in Economia se ci dedicassimo a trovare modelli di sviluppo che comportano non il benessere del singolo o di una ristretta fascia di individui, ma allargassimo il più possibile a un numero maggiore di strati della Popolazione il godimento dei beni materiali – come aveva già presagito e intuito Gaetano Filangieri – forse trarremmo un maggior beneficio personale, proprio in termini di felicità e quindi di una vita più lunga e serena, evitando probabilmente quegli squilibri, forieri di malcontento e lotte sociali.
Tornando, quindi, più specificamente al dodicesimo Punto del Patto firmato tra Papa Francesco e i giovani economisti, si può affermare che esso rispecchi proprio quanto concluso dalla Ricerca statunitense, poiché mira a “Un’Economia che crea Ricchezza per tutti, che genera gioia e non solo benessere perché una Felicità non condivisa è troppo poco”.
Se si pensa che nel Mondo (Grafico 6), a fronte dell’1,1% della Popolazione che detiene ben il 45,8% della Ricchezza, il 55% ne possiede appena l’1,4%, appare ben chiaro, sia per motivi etici, sia per motivi “utilitaristici”, almeno in base alla Ricerca sopramenzionata di Harvard, colmare tale gap.
Eleonora Farneti, Mariano Ferrazzano, Franco Vespignani