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Territori e reti sociali, politica e amministrazioni

di Roberto
Rosso

Riprendiamo il discorso sui territori ed assieme su amministrazione e politica. Teniamo presente in particolare due recenti articoli: Territori, metropoli, globalizzazione, Quando i cittadini incontrano la Pubblica Amministrazione digitale ed uno meno recente: Classi dirigenti, democrazia, modello di sviluppo di cui dobbiamo ricordare e riprendere alcuni passaggi ed il filo dell’analisi.

Di politica il nostro sito tratta in ogni suo numero, ci interessa qui cogliere le sue radici – quando ci sono –, la sua origine nei territori, la sua relazione o forse la sua separazione dalle reti sociali. Il termine che viene alla mente è quello di ‘crisi della democrazia’, la crisi della partecipazione democratica, la separazione del sistema della politica dalla concretezza del sociale. Si ragiona della ricchezza delle reti sociali, della vitalità del terzo settore a fronte dell’inefficacia dei dispositivi della rappresentanza politica, che si acuisce con l’avvento della riforma che ha ridotto in modo significativo la rappresentanza, allargando la base elettorale degli eletti al parlamento. Esiste in merito una letteratura sconfinata, la cui analisi non è tra gli obiettivi di questo articolo.

Il conflitto sociale, la capacità di mobilitazione capillare ed estesa produce nuova organizzazione sociale e cultura politica, costituisce un motore fondamentale per la trasformazione degli assetti istituzionali e normativi. Alla funzione di ricomposizione sociale del conflitto sociale si contrappone l’opposta capacità di ristrutturazione dei rapporti sociali di produzione da parte del capitale, attraverso l’innovazione tecnologica e la finanziarizzazione sempre più spinta dell’economia che operano una frammentazione della composizione di classe strutturale e politica; le stesse crisi che costellano questo percorso di ristrutturazione del capitale, come ben si sa, sono un momento cruciale di ridefinizione dei rapporti di forza nello scontro di classe. Questo processo, questi percorsi sono ben noti nella storia del nostro paese ed oggi dopo un trentennio di sostanziale stagnazione della formazione sociale -che ha comunque subito le trasformazioni che hanno investito globalmente la società capitalistica, in tutte le sue varianti- ci troviamo di fronte ad una sorta di confusa rivoluzione dall’alto – nella crisi indotta dalla pandemia Covid-19 – promossa, sostenuta, regolata e vincolata dal piano Next Generation EU (NGEU) e gestita dal governo Draghi; la sua nascita, se non ha modificato la geografia del sistema dei partiti, ne sta provocando una trasformazione negli equilibri interni ed esterni, determinando una cesura rispetto alla fase precedente.

Associazioni e comitati, reti associative locali e nazionali costituiscono un tessuto diversificato e diffuso la cui esistenza non è stata messa in discussione dalla pandemia, in alcuni casi ne ha limitato l’attività, ma in altri ha stimolato lo sviluppo di attività solidali verso persone e famiglie in difficoltà. Lo stesso era accaduto con le Brigate di Solidarietà Attiva1 impegnate nei soccorsi alle popolazioni delle aree terremotate che oggi confermano il loro impego nell’emergenza sanitaria2. Vale la pena ricordare anche l’esempio di Casetta Rossa nel quartiere romano di Garbatella3.

Di fronte alla crisi pandemica si è creata una nuova rete, una nuova coalizione sociale, ‘Per una Società della cura’ che ha elaborato un programma alternativo, il Recovery Planet, in contrapposizione al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR)4.

Una nuova coalizione sociale, una rete delle reti, nazionale, nasce dopo la stagione dei fori sociali, il movimento contro la guerra, il movimento per l’acqua che vinse il referendum del 2011 a cui sono seguite anni di restaurazione dell’ordine messo in crisi dal referendum, con una sequela di leggi e regolamenti5. Una coalizione sociale nazionale, un programma che parla di superamento della società del profitto, contro il governo dell’emergenza pandemica. Periodicamente la fitta rete delle associazioni e dei movimenti si coalizza, ciò accade nei momenti di crisi del paese, in cui il governo della nazione assume connotati emergenziali e per il quale anche le forze politiche nazionali si coalizzano e emergono maggioranze politiche emergenziali.

Dalla crisi politica dei primi anni ‘90, dentro la trasformazione sociale e produttiva, i partiti sono diventati organizzazioni sempre più ‘liquide’; sono scomparsi i partiti di massa strutturati, radicati nei territori e collegati alle organizzazioni sociali. Lo sviluppo di movimenti sociali, con i loro alti e bassi, non ha influito sulla trasformazione delle organizzazioni politiche, ha fornito solo in minima parte nuovo personale politico alle organizzazioni politiche di sinistra, la cui consistenza peraltro è ridotta ai minimi termini, mentre l’emergenza dei temi ambientali non ha prodotto un equivalente rappresentanza politica, almeno finora; eppure il confronto/scontro tra movimenti sociali e il sistema di governo, le istituzioni, la politica si sviluppa su questioni di ordine generale, entro cui si collocano le vertenze, mentre nei territori si realizza un corpo a corpo tra movimenti e amministrazioni locali.

La storia dei movimenti ad oggi ha rivendicato la propria autonomia dalla politica6, questo atteggiamento ha assunto il carattere di un assioma che per certi versi ha portato a rinunciare in gran parte all’obiettivo di trasformare le istituzioni, le forme della politica. Per alcuni anni si è molto parlato di democrazia partecipativa, per alcuni anni alcune amministrazioni sono state portate ad esempio, dopo di che il tema è rimasto nel campo dell’analisi, dei discorsi di nicchia, sganciato da una progettualità capace di una riflessione critica sulle condizioni reali in cui si sviluppano i conflitti, legate alla trasformazione della composizione sociale e del governo dei territori.

Attac Italia ha lanciato la campagna ‘Riprendiamoci il comune’7 sulle conseguenze dell’uso dei derivati da pare dei comuni, l’intervento della Cassa Depositi e Prestiti, aggiornato di fronte alle conseguenze della pandemia8. Dal 2013 esiste la ‘Rete delle città in comune’9 con l’obiettivo di mettere rete amministrazioni, consiglieri e candidati. Nel complesso iniziative che hanno inciso solo marginalmente nel panorama delle amministrazioni locali, anche se hanno contribuito al diffondersi della cultura dei ‘beni comuni’ contro la logica delle privatizzazioni.

Le amministrazioni locali costituiscono il primo luogo di formazione della classe politica, dove si sviluppa un processo di cooptazione, formazione e selezione; esse non sono ovviamente impermeabili alle dinamiche della società, corrispondono spesso a coalizioni di interessi locali, tuttavia siamo ben lontani dalla capacità di reti e movimenti critici di influire sulla formazione delle amministrazioni, di renderle stabilmente autonome dalla logica della cooptazione da parte dei partiti; il processo di formazione dal basso del personale politico dei partiti, oltre che nelle amministrazioni, risiede anche nella costellazione di società di diritto privato a cui i comuni affidano la gestione dei ‘servizi pubblici’. Non si tratta di fare di ogni erba un fascio, vi sono differenze importanti tra amministrazioni, tuttavia non sono stati il luogo dove si potesse esprimere con continuità l’opposizione alle politiche dominanti negli ultimi 30 anni; più che altro abbiamo assistito ad una crescente omologazione delle politiche e del personale politico; manca comunque una mappa delle diversità, che non sia basata sulle appartenenze politiche, ma sulla capacità di fare proprie politiche, di perseguire propri obiettivi in campo ambientale e sociale, in direzione contraria all’acuirsi delle diseguaglianze sociali e della crisi degli ecosistemi e della contaminazione delle matrici ambientali. La logica dell’intervento per progetti, secondo il modello dei fondi europei indiretti, erogati dalle regioni, ha frammentato nel tempo l’azione delle amministrazioni – più o meno abili nell’accaparrarseli – ha impedito il coalizzarsi, il consorziarsi delle amministrazioni secondo logiche di territorio e di grande area. Le amministrazioni locali, come enti di prossimità più vicini alle dinamiche dei territori, per rispondere ai bisogni delle popolazioni dovrebbero agire politicamente con continuità, aggregandosi e diventando soggetti attivi delle mobilitazioni e delle azioni rivendicative, oltre i limiti imposti alla loro azioni dalle norme amministrative e dalla ricerca del consenso immediato.

Come abbiamo avuto modo di dire, la costruzione e la pratica di vertenze territoriali non si deve tradurre in una competizione tra territori per risorse scarse – come avviene sempre per bandi e progetti – si può e si deve muovere secondo una logica solidale, valorizzando sia le specificità locali che gli interessi comuni, costruendo vertenze seguendo linee di condotta ed obiettivi generali. Ciò non può avvenire semplicemente con la periodica indizione di campagne e neppure con la semplice somma di vertenze, lotte, mobilitazioni che hanno necessariamente obiettivi disparati e andamenti asincroni. Anche le lotte ambientali che rappresentano forse la rete capillarmente più diffusa a livello nazionale, benché siano portatrici di una visione alternativa sullo sviluppo della società, si riproducono per lo più in opposizione alla reiterazione delle aggressioni all’ambiente ed alla salute delle popolazioni; le amministrazioni sono state a seconda dei casi alleate nelle lotte o assenti quando non complici nei crimini ambientali.

Lo stato delle cose non cambia repentinamente, non cambia con le alleanze che si creano per le sfide elettorali e spesso provocano una frantumazione delle aggregazioni politiche più vicine ai movimenti, non cambia con le periodiche campagne dei movimenti. La campagna della coalizione ‘Per una società della cura’ chiuderà la sua prima fase con l’approvazione del PNRR, il processo di elaborazione ed approvazione avviene per linee interne alla compagine governativa sotto il controllo della Commissione Europea. Il programma del ‘Recovery Planet’, la coalizione costruita entreranno in una fase diversa, come altre volte è successo: si porrà per l’ennesima volta l’interrogativo se quella dei movimenti non sia una ‘Fatica di Sisifo’, benché ogni volta, il percorso della salita ed il masso da spingere siano diversi.

Se i partiti, ormai privati di un proprio radicamento territoriale, mettono in modo un processo di reclutamento, cooptazione, formazione e selezione del personale – costruendo una struttura piramidale che si articola poi per gruppi di interesse a cordate – nel mondo dei movimenti e delle associazioni forse il processo è più dinamico sulla base della partecipazione volontaria, forse più selettivo poiché a fronte dei flussi e riflussi nella partecipazione si costituisce un nocciolo duro che ritroviamo e che emerge nelle fasi di mobilitazione generale, nella gestione delle coalizioni.

I tempi dei movimenti, dell’azione amministrativa e delle scadenze elettorali sono diversi, tuttavia è venuto il momento di rompere quella barriera di cristallo che separa il mondo dell’associazionismo da quello delle amministrazioni locali. Non si tratta di confondere i ruoli, ma di partire dalla crisi della democrazia e del modello economico e sociale nel nostro paese, alla vigilia di quello che si presenta comunque come un passaggio di trasformazione radicale.

Le amministrazioni locali hanno visto limitare le proprie libertà d’azione, le risorse a loro disposizione, ridotta la propria capacità di proiezione strategica nel tempo, nelle dimensioni territoriali e sociali. Si tratta di decretarne lo stato di crisi, lo stato di crisi dell’insieme della pubblica amministrazione, dissanguata dalla logica delle privatizzazioni, ed anche dello stato di crisi del rapporto tra centro e periferia nell’articolazione tra stato centrale e regioni dei cui esiti stiamo avendo un drammatico riscontro nella gestione sanitaria della pandemia. Assumerne lo stato di crisi implica superare la dicotomia tra una azione sociale dinamica e innovativa ed una azione amministrativa statica e conservatrice, al contrario è proprio il ruolo, l’organizzazione della PA ad essere uno degli obiettivi principali della trasformazione: siamo ben oltre le dinamiche partecipative su cui si è teorizzato nei decenni passati. Il contesto è quello della crisi dei sistemi rappresentativi, della democrazia, in particolare in Italia e nell’Unione Europea. E’ evidente come la crisi delle istituzioni non sia un problema di riconfigurazione dei dispositivi istituzionali, ma sia tutta interna al processo di trasformazione dei rapporti sociali di produzione; le istituzioni dell’Unione Europea stanno mostrando la corda e tutte le loro contraddizioni dentro la pandemia. Il grado di rappresentatività è ben illustrato dalla riforma costituzionale del parlamento, frutto della campagna sulla ‘casta’, a cui possiamo aggiungere l’ultima sentenza della Corte Costituzionale sui criteri di accesso alle elezioni nazionali10 in attesa della nuova legge elettorale, in quell’ingorgo istituzionale che comprende l’elezione del nuovo presidente della Repubblica. Come dire, il pesce puzza dalla testa.

È sempre più necessario dentro la crisi, la transizione che stiamo vivendo, spezzare quella catena di comando che porta verso una forma sempre più oligarchica della democrazia reale, è necessario interrompere, quanto meno incrinare quel processo che struttura quel potere oligarchico, che forma le sue truppe e seleziona la sua classe dirigente.

In altri termini ha prospettiva una colazione sociale, un movimento di lotta che non pensi solo di poter imporre un programma a questo stato, a questo quadro istituzionale poiché esso è in movimento tanto quanto la formazione sociale nel suo complesso. Elemento fondamentale di qualsiasi progetto è la rottura del modello di stato in cui viviamo, o quanto meno determinare alcune direzioni della sua trasformazione. Su questo il personale politico, le istituzioni di prossimità sono chiamate a prendere posizione in un processo costituente, tanto quanto movimenti, reti associative, coalizioni sociali e le molteplici forme della cittadinanza attiva; un processo destituente dell’ordine esistente.

Che si pongano problemi di rifondazione degli orizzonti politici e delle forme di organizzazione è inevitabile, così come si debbano affrontare scontri di breve periodo e prospettive sui tempi e dotarsi di forme d’organizzazione necessariamente transitorie, ma fortemente inclusive, mentre i ruoli che ognuno di noi copre, sono delle parzialità, delle risorse – non poche – per percorrere un cammino che comincia ad essere segnato.

  1. https://brigatesolidarietaattiva.net/.[]
  2. https://brigatesolidarietaattiva.net/emergenza-covid/.[]
  3. https://www.facebook.com/casettarossa.spa.[]
  4. https://societadellacura.blogspot.com/2021/03/il-recovery-planet-per-la-transizione.html; https://www.facebook.com/societadellacura/videos/3771506862928678.[]
  5. https://altreconomia.it/inchiesta-acqua-pubblica/.[]
  6. Non fa parte dell’obiettivo di questo articolo la ricostruzione storica del rapporto tra movimenti e politica, ma il concetto di autonomia dei movimenti, ha una sua struttura ideologica, una sua storia, radici profonde nella dialettica tra le forme di autonomia sociale operaia e le strutture istituzionali del ‘partito ’e del ‘sindacato’.[]
  7. https://www.attac-italia.org/riprendiamoci-il-comune/.[]
  8. https://www.attac-italia.org/riprendiamoci-il-comune-2/ #Covid-19: Riprendiamoci il Comune dentro l’emergenza sanitaria, economica e sociale[]
  9. https://www.facebook.com/lecittaincomune/; http://www.lecittaincomune.it/.[]
  10. https://www.linkiesta.it/2021/04/corte-costituzionale-legge-elettorale-populismo/.[]
coalizione sociale, movimenti, transizione digitale
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