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L’Ucraina rimane fuori dal club NATO e si va verso una guerra lunga

di Alessandro
Scassellati

Dopo sedici mesi di invasione su vasta scala da parte della Russia, i suoi attacchi alle città ucraine continuano, mentre la controffensiva dell’Ucraina avanza molto lentamente. Con i 31 leader della NATO che si stanno riunendo a Vilnius e sperano di dimostrare alla Russia di avere la determinazione a sostenere militarmente a lungo termine l’Ucraina, comunque tenuta fuori dall’alleanza, la guerra potrebbe essere molto lunga. Cerchiamo di capire cosa l’evoluzione della situazione potrebbe comportare per l’Ucraina, la Russia, la NATO, gli Stati Uniti e l’Unione Europea.

 La definizione di vittoria da parte dei governanti ucraini

I governanti ucraini e i loro sostenitori occidentali offrono due narrative diverse per definire la vittoria del loro Paese. La prima prevede che l’Ucraina riconquisti tutto il suo territorio e riceva da Mosca risarcimenti per i danni causati, mentre la leadership russa viene processata per crimini di guerra e il reato di aggressione. Nessuno degli uomini al potere in Ucraina ha suggerito pubblicamente che sia possibile un compromesso sul territorio ucraino, sia quello conquistato dai separatisti sostenuti dalla Russia nel 2014 sia quello conquistato dopo l’invasione su vasta scala dal 24 febbraio 2022. D’altra parte, ammettere che sia possibile un qualsiasi compromesso territoriale minerebbe sia il morale militare che la posizione dell’Ucraina in eventuali negoziati. Sarebbe anche politicamente insostenibile visto che secondo i sondaggi la stragrande maggioranza dei cittadini ucraini continua a credere che il proprio Paese possa riconquistare e riconquisterà tutto il suo territorio riconosciuto a livello internazionale.

Tuttavia, le probabilità che l’Ucraina liberi rapidamente tutto il suo territorio con la forza delle armi rimangono basse, nonostante carri armati, artiglieria pesante, droni armati, bombe a grappolo, sistemi antiaerei e altre attrezzature occidentali entrino continuamente nel suo arsenale, in una continua escalation.

Come hanno dimostrato i combattimenti di giugno e di questi primi giorni di luglio, i russi sono trincerati in posizioni difensive che si estendono lungo un fronte di battaglia di 1.000 km sia sul fronte orientale, a Donetsk e Luhansk, sia sul fronte meridionale, dove la Russia controlla il ponte di collegamento con la Crimea e la centrale nucleare più grande d’Europa di Zaporizhzhya (da settimane al centro di accuse reciproche per un possibile incidente/attentato false-flag), dove ha stabilito una base militare.

I comandanti e le truppe di Kiev si sono dimostrati coraggiosi e le nuove armi aiutano, ma le linee russe non stanno crollando e il movimento in avanti dell’Ucraina nella sua controffensiva è molto lento (anche a detta di osservatori e vertici militari occidentali), venendo bersagliato dall’aviazione e dall’artiglieria, quest’ultimo il vero punto di forza dell’esercito russo e l’arma più importante nella guerra di logoramento. Gli ucraini sono in svantaggio negli scontri perché i russi hanno un significativo vantaggio nella potenza di fuoco pesante, oltre che nella guerra elettronica. L’esercito ucraino lancia attacchi suicidi avanzando direttamente contro le linee di difesa russe pesantemente fortificate, sostenendo gravi perdite umane e materiali (inclusi i carri armati Leopard e i veicoli blindati da poco forniti dai Paesi occidentali).

La decisione degli Stati Uniti del 6 luglio di fornire a Kiev missili con bombe a grappolo, altamente controverse (e vietate da oltre 110 Paesi, tra cui molti di quelli NATO come Gran Bretagna, Germania, Francia, Spagna, Canada e Italia, ma non da USA, Ucraina e Russia) a causa della loro storia di uccisioni e mutilazioni di civili anche molto tempo dopo la fine di una guerra, potrebbe indicare timori tra l’Ucraina e i suoi partner che il progresso sia, in effetti, troppo lento. Le giustificazioni per l’invio e l’uso delle bombe a grappolo da parte degli USA (dopo che Biden aveva bollato il loro uso da parte della Russia come “un crimine contro l’umanità”) sono state la carenza di munizioni da 155 mm per l’artiglieria e che questo tipo di ordigno sarebbe particolarmente efficace contro forze militari trincerate come sono attualmente quelle russe.

Anche se la controffensiva accelera, gli osservatori occidentali ritengono altamente improbabile che i combattimenti dell’estate vedano l’Ucraina riconquistare tutte le sue terre. Piuttosto, i mesi che seguiranno la controffensiva ucraina potrebbero assomigliare a quelli che l’hanno preceduta. Ciò significa una lotta brutale, distruttiva e in gran parte non produttiva lungo tutti i fronti, con piccole porzioni di territorio che cambiano di mano e nessuna delle due parti che raggiunge il dominio militare di cui ha bisogno per ottenere un vantaggio tattico o strategico. Nel frattempo, entrambe le parti accumuleranno forze finché l’una o l’altra non sarà pronta a intraprendere la prossima grande campagna offensiva.

Anche se l’Ucraina dovesse raggiungere il suo confine orientale e sfondare il fronte terrestre meridionale della Russia, dovrebbe affrontare diversi problemi. Una è la questione di come riconquistare la Crimea, che la Russia controlla dal 2014 e che ospita la flotta russa del Mar Nero. Un blocco della penisola, possibile solo se l’Ucraina riconquista consistenti territori nel sud, potrebbe essere una soluzione. Limiterebbe i rischi di escalation evitando un assalto frontale ucraino su un territorio che – pur appartenendo indiscutibilmente a Kiev ai sensi del diritto internazionale – è rivendicato ed è stato annesso dal Cremlino. L’Ucraina è già impegnata in bombardamenti e attacchi missilistici e questi presumibilmente continueranno. La tattica del blocco potrebbe anche offrire una leva negoziale con Mosca. Ma un blocco sarebbe tremendamente difficile, militarmente e logisticamente. Rischierebbe anche un grave impatto umanitario, lasciando la penisola nelle mani della Russia.

L’altro grande problema è la forza dell’esercito russo. Nonostante l’ammutinamento del capo della compagnia militare privata Wagner Yevgeny Prigozhin il 23-24 giugno, l’esercito russo sembra ancora coeso e ai soldati impegnati sul fronte è appena stato promesso un aumento di stipendio del 10,5%. Non vi è alcuna garanzia che i successi militari ucraini di per sé sarebbero sufficienti per ottenere la sconfitta della Russia nei termini richiesti da Kiev. Per quanto l’esercito di Kiev possa avanzare sul terreno, l’Ucraina corre il rischio che la Russia risponda non con negoziati o capitolazioni, ma con ulteriore ostinazione, riorganizzandosi e lanciando una propria controffensiva, pure con attacchi oltre confine anche altrove ad ovest (Odessa e il resto delle coste ucraine lungo il Mar Nero che darebbero a Mosca una notevole influenza economica su Kiev) e attacchi missilistici e aerei in tutta l’Ucraina. D’altra parte, il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha ribadito che lo scontro armato in Ucraina “continuerà fino a quando l’Occidente non rinuncerà ai suoi piani per preservare il suo dominio e superare il suo desiderio ossessivo di infliggere alla Russia una sconfitta strategica per mano dei suoi burattini di Kiev”.

Per questi motivi esiste anche una seconda narrazione sulla possibile vittoria ucraina. Una narrazione che riguarda la trasformazione della Russia e che comprende il collasso del Paese e il cambio di governo. Questa non è una politica ufficiale di Kiev o delle capitali occidentali che la sostengono. Ma i governanti ucraini e diversi esperti occidentali con legami con i loro governi affermano che la pace è impossibile senza un cambiamento fondamentale a Mosca. Alcuni nutrono speranze nella caduta del governo Putin, sebbene questo quadro non includa l’amministrazione Biden, che si è impegnata a chiarire che un tale risultato non è né il suo obiettivo né il suo desiderio. Il fallito ammutinamento di Wagner, da un lato, indica che il Cremlino può resistere agli shock. Dall’altro, chiarisce che le turbolenze interne sono più plausibili di quanto Mosca sembra aver previsto.

Questo scenario è comprensibilmente allettante per coloro che cercano il successo dell’Ucraina, in quanto consente almeno teoricamente tutto ciò che Kiev vuole, compresi i procedimenti penali internazionali che altrimenti richiederebbero che un governo in carica si costituisca ad un tribunale internazionale. (Ovviamente, un governo successore potrebbe anche esitare a consegnare un ex capo di Stato russo). In ogni caso, questo secondo scenario non è né particolarmente probabile né nel potere di nessuno al di fuori della Russia, sia perché la risposta della leadership russa se crede che un governo straniero stia cercando il suo rovesciamento potrebbe essere una pericolosa escalation sia perché semplicemente non c’è un percorso chiaro che possa portare a questo tipo di esito. Non è quindi un parametro di pianificazione che appare utile prendere in considerazione, anche se, come ha scritto Franco Ferrari, c’è chi in Europa e negli USA punta sulla disintegrazione della Federazione Russa in decine di staterelli nazionali, sulla falsa riga della conflagrazione dell’Unione Sovietica nel 1991.

Obiettivi e impegni dei sostenitori occidentali dell’Ucraina

Gli alleati occidentali si sono impegnati a sostenere l’Ucraina per tutto il tempo necessario, ma via via i loro obiettivi principali alla base del conflitto si sono moltiplicati: 1) consentire all’Ucraina di forzare la ritirata della Russia da quanto più possibile del suo territorio; 2) assicurare che Mosca non esca dal conflitto incoraggiata ad attaccare altrove; 3) indebolire militarmente la Russia in modo tale che, anche se così incline, avrà difficoltà a fare qualcosa come invadere nuovamente l’Ucraina; e 4) evitare il confronto militare diretto (e non per procura) tra Russia e gli Stati membri della NATO (che porterebbe alla vera escalation del conflitto e ad una possibile trasformazione in un conflitto nucleare).

Tutti questi obiettivi emergono dalle percezioni occidentali delle minacce in atto. I sostenitori occidentali dell’Ucraina ritengono che l’esito della guerra influisca direttamente sulla loro stessa sicurezza, con alcuni (Polonia e Paesi Baltici) che considerano la posta in gioco come esistenziale. L’invasione su vasta scala della Russia dell’Ucraina ha convinto gli Stati membri della NATO e dell’UE che Mosca è una minaccia non solo per alcuni Paesi non NATO alla sua immediata periferia, ma per i membri dell’alleanza e la sicurezza europea nel suo insieme. I leader occidentali vedono il massiccio attacco di Mosca del 2022, basato sulle sue azioni del 2008 in Georgia, come prova che anche altri vicini, inclusi i membri della NATO, sarebbero a rischio se la Russia uscisse dal conflitto sentendo di aver raggiunto i suoi obiettivi. Gli Stati membri della NATO sono stati particolarmente preoccupati per le minacce nucleari russe per tutto il 2022, temendo che se queste avessero avuto successo in Ucraina, Mosca potesse sentirsi incoraggiata ad usarle contro i membri dell’alleanza. Ciascuno di questi scenari presenterebbe alla NATO la scelta di cedere a Mosca o entrare direttamente nel conflitto con una ulteriore escalation che alla fine potrebbe aumentare sostanzialmente il rischio di una guerra nucleare.

La conclusione a cui sono giunti i leader della NATO è che il modo migliore per evitare tali scenari è che l’Ucraina infligga alla Russia una chiara sconfitta – rivendicando il territorio, infrangendo la sua volontà di cercare ulteriori conquiste e negandole i mezzi per farlo se cambia idea – evitando allo stesso tempo un impegno diretto della NATO (come l’implementazione di una no-fly zone, una zona di interdizione aerea), che potrebbe trascinarla in un conflitto diretto con la Russia o altrimenti intensificare le ostilità con la conseguenza di condurre verso il rischio di scontri catastrofici.

Le enormi risorse finanziarie e militari, l’energia e il capitale politico che questi Paesi hanno investito nel sostenere l’Ucraina sono commisurati alla loro percezione della minaccia. Hanno imposto enormi sanzioni alla Russia, consegnato un flusso costante di risorse finanziarie e di armi sempre più avanzate a Kiev da quando la Russia ha invaso, aiutato ad addestrare le forze ucraine e finanziato il governo ucraino.

Anche la NATO si sta allargando e l’Unione Europea sta assumendo nuovi compiti di sicurezza. La Finlandia ha aderito all’alleanza (aprile 2023, diventando il 31mo membro) e la Svezia è sul punto di farlo (solo alla vigilia del vertice di Vilnius è stata superata l’opposizione della Turchia legata ai nodi del supporto alle “organizzazioni terroristiche” curde, della vendita di F-16 da parte di USA e dell’eventuale accesso della Turchia nell’UE, mentre anche l’Ungheria si appresta a dare il suo via libera), un riflesso delle decisioni di questi Paesi ex-neutrali, sulla scia dell’invasione russa, che mentre la sicurezza dell’Europa si evolve, vogliono essere fermamente partner dell’alleanza militare transatlantica. I membri della NATO si stanno impegnando a spendere sempre di più per la difesa, e l’alleanza ha nuovi gruppi tattici in otto paesi e più forze schierate sul suo fianco orientale.

L’UE non sta solo coordinando e finanziando (attraverso il Fondo per la Pace) gli aiuti militari all’Ucraina, ma si sta anche avventurando in un approvvigionamento cooperativo di armi, con il duplice obiettivo di aiutare meglio Kiev e di garantire la propria capacità di scoraggiare Mosca. Per sostenere sia l’Ucraina che la Moldavia, un altro Paese che secondo gli occidentali potrebbe essere nel mirino della Russia, l’UE ha offerto a entrambi lo status di candidato nel blocco.

La corsa a spese militari e riarmo possono forse essere considerati come un’assicurazione nel caso in cui gli sforzi per indebolire la Russia al punto da non rappresentare più una minaccia si rivelassero inadeguati. I governanti degli Stati membri della NATO dicono che anche se il Cremlino venisse sconfitto, devono essere preparati perché la Russia potrebbe ricostruire il suo esercito e tornare ad essere di nuovo una minaccia. I potenziamenti delle forze della NATO e i crescenti investimenti dell’UE nei settori industriali e negli acquisti militari sono giustificati come una necessità per dare un segnale a Mosca, oltre che alle popolazioni dei Paesi della NATO e dell’UE, che gli Stati membri di queste organizzazioni si trovano in questa situazione di stallo e/o minaccia a lungo termine.

La NATO ha lanciato questo messaggio al vertice in corso a Vilnius (11-12 luglio), che ha riaffermato ancora una volta l’intenzione precedentemente dichiarata degli alleati di difendere l’Ucraina dalla Russia finché sarà necessario. Ma sempre nello spirito di continuare a evitare rischi di conflitto diretto, l’invito all’Ucraina ad aderire all’alleanza non c’è stato, anche se alcuni alleati (compresa la Turchia) si sono espressi pubblicamente a favore. Sono prima di tutto gli USA e la Germania a non volere l’Ucraina nella NATO mentre il conflitto è ancora in corso, soprattutto perché l’articolo 5 dell’alleanza prevede “che un attacco armato contro uno o più di loro in Europa o Nord America deve essere considerato un attacco contro tutti loro“. Richiede agli Stati membri di unirsi nella difesa del Paese sotto attacco. Lo stesso Biden ha osservato in un’intervista alla CNN andata in onda il 7 luglio: “Non credo che ci sia unanimità nella NATO sull’opportunità o meno di portare l’Ucraina nella famiglia NATO ora, in questo momento, nel mezzo di una guerra… Se la guerra sta succedendo, allora siamo tutti in guerra. Siamo in guerra con la Russia, se così fosse”. Biden ha anche affermato che l’Ucraina non è pronta per l’adesione e deve mostrare progressi sulla “democratizzazione” e su “tutta una serie di altre questioni“. La replica di Zelenskiy è stata un’accusa ai leader NATO di mancare di rispetto all’Ucraina rifiutandosi di offrirle un calendario per quando sarà invitata ad aderire all’alleanza militare.

Perdere la guerra avrebbe conseguenze enormemente negative per Washington e per la NATO. La reputazione di competenza e affidabilità degli USA sarebbe gravemente danneggiata, con ripercussioni sul modo in cui i suoi alleati e i suoi avversari – in particolare la Cina – si rapporterebbero con gli Stati Uniti. Inoltre, quasi tutti i Paesi europei che fanno parte della NATO ritengono che l’alleanza sia un ombrello di sicurezza insostituibile. Pertanto, la possibilità che la NATO venga gravemente danneggiata – forse addirittura distrutta – se la Russia vince in Ucraina è motivo di profonda preoccupazione tra i suoi membri.

Obiettivi di guerra della Russia e consenso interno

Prima dell’inizio della guerra nel febbraio 2022, l’obiettivo dichiarato della Russia era quello di trasformare l’Ucraina in uno Stato neutrale e risolvere la guerra civile nel Donbass, che opponeva il governo ucraino ai russi etnici e ai russofoni che volevano una maggiore autonomia, se non l’indipendenza, per la loro regione. Obiettivi che sono rimasti ancora realistici durante il primo mese di guerra, e sono stati infatti alla base dei negoziati di Istanbul tra Kiev e Mosca nel marzo 2022. Probabilmente se i russi avessero raggiunto questi obiettivi, l’attuale guerra sarebbe stata evitata o sarebbe finita rapidamente.

Ora gli obiettivi della Russia in Ucraina possono essere compresi tenendo conto del suo nuovo concetto di politica estera (31 marzo 2023). In questo documento, Mosca sostiene di esser impegnata in una campagna a lungo termine per limitare e contrastare il potere e l’influenza degli Stati Uniti a livello globale e respingere un Occidente guidato dagli Stati Uniti che è incline, secondo il testo, a distruggere la Russia. I piani a lungo termine del Cremlino includono l’allineamento e la guida di altri Paesi danneggiati dall’egemonia statunitense per ottenere niente di meno che un completo rimodellamento dell’ordine globale (ed è soprattutto su questo obiettivo – contribuire a costruire “un ordine mondiale prospero, stabile e giusto” – che si salda l’alleanza strategica tra Russia e Cina).

Il documento sul nuovo concetto di politica estera russa menziona a malapena l’Ucraina, ma i discorsi di Putin e altri documenti ufficiali non lasciano dubbi sul fatto che i campi di battaglia ucraini sono dove la Russia sta cercando di portare avanti la sua visione. Anche se non è del tutto chiaro cosa significhi per la Russia la vittoria in Ucraina, i commenti ufficiali indicano che il Cremlino rimane intenzionato a raggiungere i suoi obiettivi di lunga data di un’Ucraina legata alla Russia e di un Occidente che accetti l’influenza della Russia almeno sui Paesi che un tempo costituivano l’Unione Sovietica, salvo Estonia, Lettonia e Lituania. Inoltre, affermando nel 2022 di aver annesso quattro regioni ucraine – Donetsk, Kherson, Luhansk e Zaporozhe, che insieme rappresentano circa il 23% del territorio totale dell’Ucraina prima dello scoppio della crisi nel febbraio 2014 – (nessuna delle quali la Russia controlla completamente), oltre alla Crimea, che rivendica dal 2014, Mosca chiede anche che l’Ucraina ceda questi territori. L’accordo proposto che la Russia aveva offerto agli Stati Uniti e alla NATO alla fine del 2021, quando gli Stati occidentali stavano cercando di scongiurare la sua invasione su vasta scala, aggiunge un’ulteriore dimensione alla lista delle richieste della Russia. Include ciò che equivale alla smilitarizzazione dei Paesi che hanno aderito alla NATO negli ultimi tre decenni, affermando il principio del riconoscimento degli interessi di sicurezza di tutte le parti presenti sul continente europeo.

Anche se i suoi obiettivi di fondo sono rimasti gli stessi, la retorica del Cremlino sulla guerra si è evoluta. In un primo momento, la leadership russa ha definito l’invasione come una “operazione militare speciale” per “denazificare” (cioè cambiare) il governo di Kiev, smilitarizzare l’Ucraina e liberare i russofoni nel suo est.

Ora sta dicendo ai russi che la Russia è sotto attacco da parte della NATO e che “non può perdere” se vuole sopravvivere. Secondo questa argomentazione, continuare a combattere una guerra persa è meglio di un negoziato che equivale a una sconfitta. In nome di questa guerra esistenziale, Mosca ha criminalizzato tutte le critiche allo Stato e alle sue forze armate, e in effetti, la maggior parte delle discussioni sulla guerra e sulle sue realtà e conseguenze. Solo Prigozhin e altri commentatori apertamente favorevoli alla guerra sono stati in grado di denigrare pubblicamente la gestione della guerra da parte del governo senza rischiare un processo. Nonostante la sua insurrezione armata, Prigozhin è stato apparentemente esiliato in Bielorussia (ma rapporti del 6 luglio suggeriscono che sia tornato in Russia e che il 29 giugno abbia incontrato Putin per tre ore, insieme ai suoi comandanti), mentre i comuni cittadini russi che protestano pacificamente contro la guerra o la repressione continuano a subire pene detentive.

Gli errori di calcolo di Mosca

Finora, la decisione di Mosca di fare la guerra sembra aver portato ad un fallimento, minando piuttosto che promuovere i suoi obiettivi strategici. Se inizialmente Mosca si aspettava l’acquiescenza e la resa dell’Ucraina, invece ha affrontato oltre un anno di combattimenti brutali, il successo della resistenza ucraina sul campo di battaglia e la decimazione delle forze di terra russe nella seconda metà del 2022, con la riconquista di territorio dalla Russia nelle regioni di Kharkiv e Kherson. Se Mosca mirava a costringere l’Ucraina ad allontanarsi dall’Occidente e indebolire la NATO (che nel 2019 il presidente francese Emmanuel Macron aveva dichiaratocerebralmente morta“), l’invasione ha fatto l’opposto, spingendo Finlandia e Svezia ad entrare nell’alleanza. Putin ha dato alla NATO un nuovo significato, missione e impulso. Nonostante i colpi subiti dall’esercito russo, i leader della NATO ora vedono la Russia come una minaccia a lungo termine a cui devono prepararsi. Le capitali della NATO sono quindi determinate affinché l’alleanza mantenga una capacità convenzionale di gran lunga superiore per scoraggiare la minaccia russa, ora e in futuro.

Tuttavia, la Russia beneficia in una certa misura della legittima preoccupazione della NATO per la minaccia di un’escalation. Con le forniture di armi all’Ucraina che continuano a crescere, la vera linea rossa reciprocamente riconosciuta sembra essere l’impegno diretto delle forze militari. Per quanto la Russia affermi di combattere la NATO, in realtà i sostenitori dell’Ucraina hanno fatto molta attenzione a evitare di farsi coinvolgere direttamente (a parte la fornitura di armi). Da parte sua, anche Mosca non ha intrapreso alcuna azione militare contro di loro. Per fortuna, né le potenze occidentali né la Russia mostrano alcun interesse per l’escalation della guerra in uno scontro diretto che potrebbe portare a un disastro nucleare.

In questo contesto – con l’Ucraina sostenuta dalla NATO che mostra coraggio e risolutezza ma continua a lottare duramente per ogni metro che è in grado di guadagnare – Mosca può ancora avere il sopravvento se riesce a resistere abbastanza a lungo. Percepisce il sostegno occidentale all’Ucraina come fragile e ritiene che, sotto pressione, gli Stati occidentali alla fine rallenteranno o interromperanno i loro aiuti, costringendo l’Ucraina a chiedere la pace, anche se ciò significa che Kiev cede sovranità e aree di territorio. Questa eventualità, secondo i calcoli di Mosca, lascerà la Russia nella posizione di dettare le condizioni sia a Kiev che ai suoi partner. Basa questa valutazione su due considerazioni principali.

In primo luogo, Mosca conta sulle pressioni politiche interne agli Stati occidentali e le prossime elezioni, in particolare la corsa presidenziale statunitense del 2024. Il candidato repubblicano in prima linea Donald J. Trump ha fatto commenti suggerendo che è solidale con il presidente russo Vladimir Putin e che sarebbe in grado di porre fine alla guerra rapidamente, “in 24 ore” (da presidente Trump aveva anche messo in dubbio l’utilità della NATO, minacciando di uscirne). Gli alleati politici di Trump all’estrema destra della Camera dei rappresentanti lo sostengono in questo messaggio. Il suo sfidante più vicino (anche se in difficoltà), il governatore della Florida Ron DeSantis, ha inviato segnali contrastanti riguardo al sostegno di Kiev. Persino alcuni legislatori statunitensi che sono più favorevoli all’Ucraina devono affrontare crescenti domande da parte degli elettori sulla portata (quali limiti per i costi economici?), il tipo di forniture militari (la decisione controversa di fornire bombe a grappolo ha spaccato il partito democratico) e gli obiettivi del coinvolgimento degli Stati Uniti.

Mosca trae speranza dalle argomentazioni negli Stati Uniti e in Europa (in Germania il partito di opposizione di destra AfD, dato intorno al 21% nei sondaggi, è contrario alla fornitura di armi all’Ucraina) che invitano Washington a concentrarsi sulla Cina, non sulla Russia e sull’Europa, e dalle affermazioni secondo cui il denaro dei contribuenti potrebbe essere sprecato o utilizzato in modo improprio in Ucraina. I dibattiti in Europa sui piani per fornire assistenza militare hanno anche alimentato la fiducia russa che l’unità occidentale è incerta.

In secondo luogo, Mosca ritiene che gli Stati occidentali troveranno scomoda la pressione dei Paesi non occidentali. Guarda alle espressioni di frustrazione di molte capitali non occidentali per la guerra, e anche ai legami commerciali che è riuscita a mantenere con questi Paesi, che hanno permesso alla sua economia di rimanere a galla nonostante le massicce sanzioni occidentali (l’economia russa dovrebbe crescere del 2% nel 2023). Sebbene la maggior parte dei Paesi abbia votato all’Assemblea generale delle Nazioni Unite per condannare l’invasione della Russia, pochi hanno interrotto le relazioni con la Russia, aderito alle sanzioni occidentali (imposte da solo 52 Paesi su 193), fornito armi all’Ucraina (47 Paesi) o censurato pubblicamente le azioni del Cremlino al di là delle risoluzioni delle Nazioni Unite. I leader di 33 Paesi dell’America Latina e del Bacino caraibico hanno chiesto alla UE di annullare l’invito rivolto a Zelenskij per partecipare al summit UE-America Latina, in programma il 17-18 luglio a Bruxelles. I 33 hanno anche cancellato, dalla bozza di dichiarazione finale messa a punto dalla UE, ogni accenno di sostegno all’Ucraina.

Uno dei motivi di questo atteggiamento è che i leader di tutto il Sud del mondo non considerano l’alienazione di Mosca al servizio degli interessi dei loro Paesi. Pochi mostrano un aperto entusiasmo per unirsi a una lotta sostenuta da Mosca per erodere l’egemonia degli Stati Uniti. Ma non amano nemmeno schierarsi in un conflitto tra grandi potenze che si sta svolgendo in Europa, lontano dai loro territori. Molti leader in Paesi le cui economie hanno subito gli effetti negativi a valle della guerra (rincaro di cibo e energia) attribuiscono almeno una parte di colpa all’Occidente per l’impatto delle sanzioni imposte unilateralmente. Anche la storia gioca un ruolo: in alcune parti dell’Africa subsahariana, la gente ricorda il sostegno sovietico alle lotte per l’indipendenza durante la Guerra Fredda e, nonostante le molte differenze tra l’Unione Sovietica e la Russia di oggi, attribuisce credito al Cremlino; molti risentono della predazione coloniale dell’Occidente e delle sue brutali guerre “infinite” e “unilaterali” dell’ultimo trentennio (Jugoslavia, Somalia, Afghanistan, Iraq, Libia, Siria, Yemen).

Inoltre, ci sono lamentele più recenti sui doppi standard adottati dall’Occidente, visti i suoi disastrosi interventi militari. Anche i mancati finanziamenti promessi per la transizione climatica, l’incetta di vaccini durante la pandemia di CoVid-19, la spinta inflazionistica e il rialzo dei tassi di interesse da parte delle banche centrali occidentali (con il conseguente aggravamento della crisi del debito per una quarantina di Paesi poveri) sono punti dolenti. Molti governi sono ansiosi di vedere la fine della guerra e dei relativi costi e pericoli, incluso il rischio che una Russia sconfitta diventi instabile, e alcuni spingeranno Kiev e Washington a scendere a compromessi.

Ma quasi certamente Mosca sottovaluta la risolutezza occidentale e fraintende i driver sottostanti che hanno reso il suo sostegno così solido. In primo luogo, il dibattito e il dissenso (seppure siano stati a lungo tenuti sotto controllo dai media mainstream) sono tratti distintivi dei sistemi politici democratici, non necessariamente forme di debolezza. Sebbene sia possibile che le elezioni statunitensi del 2024 riporteranno Trump in carica, ci sono anche molte ragioni per credere che questo non accadrà, dai problemi legali di Trump ai vantaggi dell’essere in carica di cui gode il presidente Biden alle debolezze politiche che hanno contribuito a far perdere Trump nel 2020. Anche se si assicurasse la nomina repubblicana e riprendesse la Casa Bianca, il suo record sull’Ucraina è sufficientemente irregolare che è difficile sapere come effettivamente si comporterebbe in carica; né è facile prevedere come potrebbe agire DeSantis se eletto, e se sarebbe disposto a violare quello che è stato il fermo sostegno del Congresso a Kiev.

Per quanto riguarda l’Europa, il sostegno all’Ucraina si è già dimostrato straordinariamente resistente dal febbraio 2022. Anche il nuovo governo di destra in Italia si è schierato a favore di Kiev.

La forza della determinazione occidentale deriva dalle considerazioni relative alla sicurezza dell’Occidente. In effetti, un’Europa impaurita e nervosa potrebbe persino essere più incline di prima a sostenere gli Stati Uniti su altre questioni; funzionari statunitensi riferiscono che l’invasione della Russia ha portato a un maggiore, anche se ancora lontano dal pieno, allineamento europeo con la posizione più aggressiva di Washington nei confronti dell’ascesa economica e militare della Cina (con la linea politica del derisking che rimane de facto indistinguibile dal decoupling dal momento che ha come fondamento l’interesse nazionale). I repubblicani statunitensi, un tempo scettici sugli aiuti a Kiev, si sono ampiamente (con le notevoli eccezioni sopra menzionate) convinti dell’importanza strategica della vittoria ucraina. Questo fondamentale argomento di sicurezza è anche il motivo per cui è improbabile che gli Stati della NATO siano molto influenzati dalle pressioni del Sud del mondo. Per quanto il malcontento nelle capitali non occidentali possa turbare i leader occidentali, la sicurezza dell’Occidente è più immediata. In effetti, i funzionari statunitensi ora parlano della necessità di compartimentalizzare le loro relazioni con le controparti del Sud del mondo, mantenendo una rispettosa distanza da quei governi quando prendono posizioni sull’Ucraina che differiscono da quelle occidentali.

Infine, l’insurrezione delle brigate Wagner non può che aver rafforzato la sensazione dell’Occidente che la sua strategia sia sulla strada giusta. Prima della rivolta, il Cremlino sembrava fare del suo meglio per inviare sia alla sua popolazione che al mondo il messaggio che la Russia è pronta a combattere per sempre. Quel messaggio potrebbe essere stato un riflesso sincero delle credenze del Cremlino. Potrebbe essere stata anche una spavalderia intesa a suscitare dubbi occidentali. Oppure potrebbe essere stata una combinazione dei due. Ma in un modo o nell’altro, l’ammutinamento di Prigozhin ha indebolito il Cremlino. Sebbene la sua mossa sia fallita, il rapido avanzamento delle sue forze attraverso le città russe prima di fare marcia indietro sulla strada verso Mosca ha rivelato una fragilità nelle strutture di sicurezza russe. Ha smentito le affermazioni secondo cui la guerra stava, di fatto, rafforzando la società russa. In effetti, le folle che acclamavano Prigozhin hanno sollevato interrogativi sulla popolarità di Putin.

Una guerra di lunga durata è probabile

Lo scontro tra percezioni russe, ucraine e occidentali è la ricetta per una guerra di lunga durata, con tutto l’immiserimento, il pericolo, le morti e la distruzione che ne deriveranno. Una simile guerra, intrapresa dalla Russia, il Paese con più armi nucleari di qualsiasi altro al mondo (6-7 mila), contro un vicino sostenuto da altre tre potenze nucleari (Stati Uniti, Regno Unito e Francia), pone evidenti rischi di escalation, anche se né la Russia né i membri della NATO vogliono lo scontro diretto.

Il conflitto è costoso anche in altri modi. L’Ucraina è stata decimata e non ha alcuna speranza di riprendersi mentre i suoi porti sono bloccati, centinaia di migliaia di suoi uomini e migliaia di sue donne stanno combattendo e 7-8 milioni di cittadini, la maggior parte dei quali donne e bambini (1 su 5), sono fuori dal Paese (circa 3 milioni rifugiatisi in Russia), mentre altri circa 7 milioni sono sfollati interni. Dipende interamente dai fondi e dalle armi occidentali, con costi finanziari significativi per i Paesi occidentali e forse a un certo punto anche con conseguenze politiche. Ma da mesi è ormai chiaro che i Paesi dell’Unione Europea (ma anche gli USA) non sono in grado di fornire all’Ucraina armi abbastanza velocemente, perché gli appaltatori del military-industrial complex vogliono garanzie di fornitura a lungo termine da parte di governi che negli ultimi anni avevano tagliato i budget per la difesa (al punto che l’obiettivo per i singoli Stati membri della NATO di destinare il 2% del PIL al rafforzamento militare, fissato nel 2014, è stato effettivamente rispettato da nemmeno un quarto degli Alleati, nello specifico Grecia, Stati Uniti, Lituania, Polonia, Regno Unito, Estonia e Lettonia: 7 su 30, senza considerare la Finlandia). Nel 2023 la spesa militare dei membri europei e del Canada aumenterà dell’8,3%.

Inoltre, la guerra ha messo a soqquadro il commercio internazionale e ha devastato l’economia globale, facendo crescere l’inflazione e l’insicurezza alimentare in molti Paesi poveri (soprattutto africani e mediorientali). Ha ulteriormente messo a dura prova la diplomazia multilaterale, ad esempio distruggendo ogni speranza di una seria cooperazione tra diplomatici occidentali e russi sulla gestione dei conflitti in luoghi, come il Caucaso meridionale (tra Armenia e Azerbaijan), dove ciò potrebbe essere utile. Ha anche creato nuovi stress per le capitali di tutto il mondo che devono subire sia gli effetti negativi economici della guerra sia i grattacapi politici di essere schiacciati tra Washington e Mosca.

Nonostante tutti questi costi per le parti in guerra e per gli attori esterni, non sono ancora emerse proposte di pace credibili. A dire il vero, una pletora di aspiranti operatori di pace ha fatto una proposta. La Cina ha offerto un documento di principi vago e irrealistico, che tra l’altro non riesce ad affrontare la sfida posta dalla visione della Russia secondo cui il controllo dell’Ucraina e di altri vicini è in qualche modo cruciale per la sua sicurezza. Brasile e Messico hanno suggerito gruppi di contatto per portare le parti al tavolo, un’altra mossa non strutturata. L’Ucraina ha respinto un piano indonesiano, una formula multipunto che aveva incluso un appello per l’istituzione di una zona smilitarizzata, ribadendo la posizione di Kiev secondo cui la Russia dovrebbe ritirare le sue truppe dall’Ucraina. I leader africani che hanno visitato entrambi i Paesi a giugno hanno affermato di aver cercato di ascoltare, ma a quanto pare speravano anche di facilitare più scambi di prigionieri e il ritorno di bambini portati dall’Ucraina alla Russia, nonché di sbloccare il commercio di cereali e fertilizzanti attraverso il Mar Nero; sono stati accolti con attacchi aerei russi mentre si trovavano a Kiev e non sono emersi segnali di compromesso in nessuna delle due capitali.

È in corso anche un tentativo di mediazione vaticana gestito dal cardinale Zuppi, avviato da poco e su cui non si sa molto. Finora, la migliore mediazione è stata in grado di portare all’accordo negoziato nell’estate del 2022 dalla Turchia e dal Segretario generale delle Nazioni Unite per immettere sul mercato grano ucraino (Black Sea Grain Initiative) e prodotti chimici agricoli russi. Sebbene critico, l’accordo sul grano si è dimostrato difficile da mantenere pienamente in carreggiata (come evidenziato dai leader africani che cercano di risolvere il problema del commercio del Mar Nero) ed è sull’orlo del collasso sin dal suo inizio, con Mosca che afferma costantemente di non vedere benefici e ha deciso di ritirarsi.

Tuttavia, dati i rischi e i costi di una guerra prolungata, analisti e politici continuano comprensibilmente a cercare alternative. Negli ultimi mesi, alcuni hanno sostenuto che l’Ucraina non possa vincere la guerra con la Russia. Lo studioso realista delle relazioni internazionali John Mearsheimer, ritiene che alla fine il conflitto non potrà che terminare con una “vittoria”, quantomeno relativa, dei russi sugli ucraini: “La Russia alla fine vincerà la guerra, anche se non sconfiggerà in modo decisivo l’Ucraina. In altre parole, non conquisterà tutta l’Ucraina, ciò che sarebbe necessario per raggiungere tre degli obiettivi di Mosca: rovesciare il regime, smilitarizzare il Paese e tagliare i legami di sicurezza di Kiev con l’Occidente. Ma finirà per annettere un’ampia porzione di territorio ucraino, trasformando l’Ucraina in un moncone di Stato disfunzionale. In altre parole, la Russia otterrà una brutta vittoria”.

Pertanto Kiev e le capitali della NATO dovrebbero iniziare a pensare a come raggiungere, se non un accordo negoziato, almeno una sorta di cessate il fuoco o armistizio o congelamento del conflitto per porre fine allo spargimento di sangue una volta che le linee del fronte si saranno stabilizzate dopo la controffensiva ucraina.

Fondamentalmente, questi argomenti, sebbene differiscano in molti dettagli, invitano gli Stati occidentali a mediare in qualche modo i colloqui tra Kiev e Mosca una volta terminata l’attuale fase di combattimento, spingendo di fatto l’Ucraina a fare un’offerta alla Russia. Alcuni ritengono che un cessate il fuoco possa essere seguito da negoziati che potrebbero, almeno, rinviare decisioni durature sul controllo territoriale, anche se gli Stati occidentali promettono all’Ucraina un continuo sostegno alla sicurezza. Altri sostengono che il meglio che si possa fare sia un armistizio che accetti le attuali linee di contatto sul modello degli accordi che hanno governato per decenni la penisola coreana.

Il problema principale con un tale approccio è che i negoziati di successo richiedono che una delle parti, o idealmente entrambe, sentano che trarrebbero più profitto da un accordo che dal proseguimento del combattimento. Al momento, l’unico punto di convergenza è che entrambe le parti credono di avere più da guadagnare combattendo – o per prevalere sul campo di battaglia o per rafforzare la propria posizione prima dei negoziati – piuttosto che avviando veri e propri colloqui di pace.

Mosca non ha mostrato alcun segno di interesse nei negoziati se non alle sue condizioni. Certo, questa posizione non è insolita. Nella maggior parte delle guerre, le parti proclamano posizioni massimaliste fino al momento in cui si siedono al tavolo dei negoziati. Ma il Cremlino sembra essere stato particolarmente fermo nel dialogo con gli interlocutori, anche durante le recenti visite di leader e diplomatici non occidentali, come la delegazione africana sopra citata. Mentre le richieste di negoziati sono apertamente dibattute in Occidente e criticate in Ucraina, in Russia non si parla affatto di concessioni in pubblico, solo di vittoria inevitabile una volta che l’Occidente tornerà in sé e riconoscerà quelli che il Cremlino considera i legittimi interessi di sicurezza della Russia.

La vera questione critica è che il Cremlino non si fida delle controparti occidentali dopo la rottura della promessa fatta a Gorbachiov ai tempi della riunificazione della Germania (1989-1991) che la NATO (un’organizzazione per la difesa militare concepita a Washington nel 1949 per tenere fuori i sovietici, dentro gli americani e sotto i tedeschi) non si sarebbe ampliata di un centimetro verso est e dopo che gli accordi di Minsk sono stati utilizzati per prendere tempo e armare l’Ucraina, come hanno ammesso di recente Angela Merkel e Francois Hollande (come ha ammesso Stoltenberg, i Paesi NATO hanno iniziato ad armare l’Ucraina nel 2014; nel 2018, gli Stati Uniti hanno iniziato a fornire all’Ucraina armi difensive avanzate, compresi i missili anticarro Javelin, per aiutare a contrastare gli insorti sostenuti dalla Russia nella regione del Donbass; negli anni che hanno preceduto l’invasione della Russia, l’Ucraina ha tenuto esercitazioni militari annuali con l’alleanza (due terrestri ed una navale) ed è diventata uno dei soli 6 partner con maggiori opportunità, uno status speciale concesso ai più stretti alleati non membri del blocco).

Per quanto riguarda l’Ucraina, mentre la controffensiva continua, una volta conclusa, e supponendo che abbia ottenuto un certo successo, anche Kiev non vedrà alcun motivo per negoziare. Piuttosto, i leader ucraini sicuramente crederanno e sosterranno che se le forze ucraine possono liberare qualunque territorio riconquistino con gli aiuti forniti fino ad oggi, allora saranno in grado di riconquistarne di più con più armi.

Lasciando da parte la riluttanza della Russia a scendere a compromessi, Kiev potrebbe essere persuasa ad assumere una posizione diversa? Gli analisti occidentali che chiedono negoziati per il cessate il fuoco ritengono che sia almeno possibile. Suggeriscono che le capitali della NATO offrano incentivi per convincere l’Ucraina ad avviare colloqui una volta terminata la sua controffensiva. La prospettiva stessa della pace sarebbe la grande attrazione, anche se le potenze occidentali non possono garantirla da sole. Ciò che possono offrire sono continui aiuti e garanzie di sicurezza (intendendo, in questo contesto, le promesse di continua assistenza militare) di cui l’Ucraina avrà bisogno per ricostruire sé stessa e prevenire nuove incursioni russe. Un’argomentazione sostiene che l’incapacità dell’Occidente di garantire un sostegno continuo a lungo termine dovrebbe fornire all’Ucraina un diverso tipo di incentivo per spingerla a venire al tavolo del negoziato fintanto che ha ancora l’Occidente dietro di sé.

Ma queste raccomandazioni sottolineano il secondo problema con una spinta ai negoziati: se perseguiti nel momento sbagliato, potrebbero minare, piuttosto che favorire, una pace sostenibile. È certamente plausibile che Mosca verrebbe al tavolo se l’Ucraina lo chiedesse. Ma quasi certamente lo farebbe credendosi in una posizione vantaggiosa, pronta a spingere per obiettivi massimalisti e felice di andarsene se questi non vengono concessi. L’Ucraina e i suoi partner, nel frattempo, verrebbero al tavolo aspettandosi che Mosca riconoscesse la sua debolezza e offrisse sostanziali concessioni. Con entrambe le parti che pensano di avere il sopravvento, i negoziati probabilmente fallirebbero rapidamente. Un crollo non sarebbe, ovviamente, il primo fallimento di questo tipo della guerra, ma se è il prodotto delle promesse di sicurezza occidentali basate sul bastone e la carota, insieme a minacce anche implicite che l’assistenza possa essere interrotta, è probabile che favorisca una dinamica di escalation. La Russia sarebbe incoraggiata e l’Ucraina determinata a dimostrare la sua tenacia, anche potenzialmente attraverso una maggiore escalation quando i combattimenti riprenderebbero.

Trattative di questo tipo sarebbero deleterie anche per la politica interna ucraina. Anche se il presidente Zelenskyy fosse così incline, sarebbe probabilmente impossibile per lui avviare colloqui orientati all’accettazione della perdita di territorio senza correre il serio rischio di perdere il potere. In privato, i critici ucraini del governo Zelenskyy lo hanno a lungo accusato di aver pianificato di cedere territorio e di abbandonare le richieste di risarcimento. Anche alcuni attivisti dell’opposizione hanno compiuto attacchi pubblici di questo tipo. Questi giocano sul sentimento popolare: i sondaggi indicano che la maggior parte degli ucraini è rimasta fermamente contraria alle concessioni territoriali durante i mesi di guerra, anche quando si tratta della Crimea, che i governanti occidentali a porte chiuse ammettono di avere difficoltà a immaginarne la riconquista da parte dell’Ucraina. La ferocia della convinzione popolare è difficile da sopravvalutare. Gli ucraini intervistati vogliono continuare a lottare per la piena integrità territoriale anche a costo di perdere il sostegno occidentale che ha reso possibile finora questa lotta.

L’Ucraina e i suoi partner potrebbero trovarsi di fronte a incentivi in qualche modo diversi se, in effetti, l’esercito ucraino vedesse invertiti i guadagni nelle prossime settimane, anche con gli aiuti occidentali ricevuti fino ad oggi. In tal caso, è possibile che almeno alcuni a Kiev siano interessati a qualcosa come un armistizio che consenta loro, con l’aiuto occidentale, di riarmarsi, pur riconoscendo che la Russia farebbe lo stesso. Il risultato potrebbe essere una pausa nei combattimenti, ma quasi certamente non una pace sostenibile. Inoltre, è assai improbabile che la Russia possa accettare un armistizio che dal suo punto di vista rafforzerebbe soprattutto l’Ucraina aiutata dai suoi partner occidentali.

L’entrata dell’Ucraina nella NATO non aiuterebbe a porre fine alla guerra

I fautori dei colloqui rappresentano una parte del pensiero occidentale su come porre fine prima alla guerra, ma ce ne sono altri, tra cui uno che sostiene l’adesione dell’Ucraina alla NATO. Si tratta di un problema che è molto delicato per la NATO. Kiev ha già chiesto che l’alleanza la accetti come membro. In effetti, a partire dal 2018, la costituzione ucraina afferma l’intenzione di aderire sia alla NATO che all’UE, riflettendo l’abbandono da parte del Paese del suo precedente impegno di neutralità. La NATO è stata a lungo ambivalente riguardo all’adesione dell’Ucraina. Tale ambivalenza si è riflessa nell’aprile 2008, quando al vertice NATO di Bucarest i membri hanno “promesso” che Ucraina e Georgia alla fine avrebbero aderito all’alleanza, ma non hanno specificato le condizioni o una tempistica. Una decisione che Putin ha ripetutamente dichiarato che la Russia percepiva come una minaccia esistenziale alla propria sicurezza nazionale. Non a caso sia il Presidente francese Nicolas Sarkozy sia il Cancelliere tedesco Angela Merkel si erano opposti al piano del Presidente George W. Bush di far entrare l’Ucraina nell’alleanza. La Merkel ha in seguito dichiarato che la sua opposizione si basava sulla convinzione che Putin l’avrebbe interpretata come una “dichiarazione di guerra“.

Dall’invasione su vasta scala del febbraio 2022, un numero crescente di Stati membri della NATO ha dichiarato pubblicamente di favorire una rapida adesione dell’Ucraina, anche se alcune capitali si sono opposte, bloccando l’unanimità richiesta per offrirle un posto. L’adesione sarebbe enormemente consequenziale e renderebbe esplicito ciò che finora è avvenuto: la guerra viene di fatto combattuta dall’Ucraina contro la Russia insieme alla NATO. In quanto membro della NATO, la differenza sarebbe che l’Ucraina verrebbe difesa in base all’articolo 5 della Carta della NATO, che invita tutti gli Stati membri a considerare un attacco a uno qualsiasi di loro come un attacco a tutti loro. La carta non richiede ai membri della NATO di fare nulla di specifico in risposta, ma piuttosto afferma che ciascuno deve fare ciò che ritiene necessario, fino all’uso della forza armata. Storicamente, questa ingiunzione è stata vista come un forte impegno di sicurezza, in base al quale i membri della NATO avrebbero, infatti, preso le armi per difendersi a vicenda.

Per anni, i dibattiti sull’adesione dell’Ucraina hanno riguardato questioni di interoperabilità e la capacità di Kiev di soddisfare i criteri di ammissibilità dell’alleanza, ma oggi si concentrano principalmente sulla guerra. I fautori della rapida adesione dell’Ucraina (compresi gli Stati baltici e la Polonia) sostengono che costringerebbe la Russia a ritirarsi dal territorio ucraino e porre fine alla guerra, poiché il Cremlino non vorrebbe rischiare uno scontro con la NATO. Gli oppositori (compresi Stati Uniti e Germania) basano le loro obiezioni sulla stessa logica: vedono un rischio troppo alto che l’adesione dell’Ucraina provochi uno scontro tra Russia e NATO, sia se la Russia non si ritira e i membri della NATO sono quindi obbligati a combattere e, anche a parte questo, se Mosca, che da tempo ha dichiarato che l’appartenenza ucraina alla NATO è una linea rossa, vede l’ammissione stessa come un atto di guerra.

Pertanto, il disaccordo fondamentale è se la Russia sarebbe scoraggiata da un impegno di sicurezza della NATO nei confronti dell’Ucraina e quindi si ritirerebbe, o se riterrebbe la promessa dell’alleanza a Kiev poco credibile o come un lancio del guanto di sfida davanti a Mosca, portando alla guerra tra Russia e NATO. Alcuni Paesi della NATO (USA e Germania) sono riluttanti ad andare troppo oltre, temendo che la promessa di un’adesione automatica dell’Ucraina in caso di “vittoria” (nonostante astutamente sia stato formalmente cancellato l’obbligo, per l’Ucraina, di seguire un Piano d’azione per l’adesione – il Membership action plan – che stabilisce specifici obiettivi da raggiungere prima di entrare a far parte dell’alleanza) possa dare alla Russia un incentivo sia a intensificare sia a trascinare la guerra. Qui, i fautori dell’adesione accelerata (Polonia, Paesi baltici e Regno Unito) avrebbero un argomento più forte se l’alleanza nel suo insieme non avesse trascorso l’ultimo anno e mezzo facendosi in quattro per evitare un coinvolgimento diretto nella guerra. Mettendo in chiaro che desiderano evitare i rischi di escalation, hanno reso discutibile qualsiasi promessa a breve termine di combattere per conto dell’Ucraina. In ogni caso, con i principali membri della NATO che non vogliono correre il rischio, l’adesione non è ora alle porte e l’Ucraina dovrà comunque soddisfare delle condizioni (non chiaramente definite, come l’interoperabilità, la “democratizzazione” e la corruzione) prima di essere invitata a far parte dell’alleanza con l’accordo dei Paesi alleati e senza che sia stato indicato alcun calendario temporale preciso (si veda il comunicato NATO del vertice di Vilnius). In sostanza, l’Ucraina rimane in un limbo ed entrerà Nella NATO solo “quando gli alleati avranno deciso e le condizioni saranno soddisfatte”.

L’adesione all’UE, che offre anche, almeno sulla carta, un impegno di sicurezza da parte di altri Stati membri, è probabile che sia su un percorso faticoso per lo stesso motivo. Inoltre, ora che l’Ucraina è un paese candidato, si trova di fronte a una serie concreta di riforme e compiti che deve adempiere per diventare membro. Soddisfare questi requisiti, di per sé, richiederà tempo. Diversi Paesi sono candidati da oltre un decennio (la Turchia lo è dal 1999).

Negoziati, guerra breve e una pace sostenibile?

Gli Stati occidentali (almeno Stati Uniti, Francia e Germania) hanno indicato che potrebbero già segnalare ai russi che se Mosca è pronta a fare concessioni, incoraggeranno l’Ucraina a negoziare. I discorsi a Washington, in particolare, suggeriscono che se la Russia mostra segni di arretramento di fronte alla controffensiva dell’Ucraina, e su tale base offre colloqui, almeno alcuni nell’amministrazione Biden preferirebbero aiutare a spingere l’Ucraina a sedersi al tavolo. Ma ciò che le capitali occidentali non faranno è suggerire a Mosca di spingere l’Ucraina nei colloqui senza alcuna speranza di concessioni russe, che ritengono improduttive nel migliore dei casi e dannose nel peggiore.

La domanda allora è cosa potrebbe indurre Mosca a mostrare segni di disponibilità al compromesso. Per ora, sembra un compito arduo. Può darsi che nulla possa persuadere il Cremlino a porre fine a una guerra su cui il presidente Putin sembra aver puntato la sua legittimità. Ma se c’è qualche speranza di cambiare i calcoli a Mosca, probabilmente risiede non solo nell’infliggere continue sofferenze alle forze russe sul campo di battaglia, ma anche nell’aiutare Mosca a credere che un accordo non è una condanna a morte e, anzi, potrebbe portare benefici. Mentre i governanti occidentali sondano il tipo di rassicurazioni che potrebbero corrispondere al conto, sarà fondamentale per loro mantenere aperte le linee di comunicazione con Mosca. Lo stanno facendo, apparentemente facendo affidamento, ad esempio, sul rispetto di cui gode il direttore della CIA Bill Burns a Mosca, dove un tempo era ambasciatore. Burns ha contattato le controparti russe a giugno per rassicurarle che il tentativo di colpo di Stato di Wagner non aveva il sostegno degli Stati Uniti.

Alcuni elementi della rassicurazione dell’Occidente sembrano intuitivi. Ad esempio, i governanti dovrebbero ripetere in modo più coerente una linea che viene ascoltata occasionalmente (soprattutto in privato) ma anche spesso contraddetta: vale a dire che almeno alcune sanzioni, in particolare quelle che colpiscono maggiormente i russi ordinari, saranno revocate una volta firmata una pace sostenibile. I governanti potrebbero anche attenuare la retorica sui procedimenti penali internazionali per i leader russi o sulle azioni per istituire tribunali per svolgere tale mandato. Difficilmente si può immaginare che il governo della Russia (o di qualsiasi altro Stato) si arrenda volontariamente al processo davanti alla Corte penale internazionale se non ha qualche scelta in merito. Inoltre, le mosse verso azioni penali danno credito all’affermazione del Cremlino secondo cui la sconfitta nella guerra equivale alla distruzione della Russia, o almeno del suo governo. Gli Stati Uniti e molti dei suoi alleati, consapevoli di questa realtà, potrebbero cercare di rallentare tali iniziative, affrontando di conseguenza le critiche di Kiev e di altri alleati. Rinunciare alla retorica e ad alcune attività (come la creazione di un nuovo tribunale per l’aggressione), anche mentre procedono gli sforzi per raccogliere prove e preparare i casi, contribuirà a trasmettere il messaggio che l’Ucraina e gli Stati occidentali non stanno, in realtà, cercando il crollo della Russia come Paese o del suo governo.

Anche la diplomazia delle capitali non occidentali in grado di parlare al Cremlino potrebbe giocare un ruolo, anche se finora ha prodotto pochi risultati. Lo sconvolgimento che la guerra in Ucraina ha comportato alla credibilità dell’Occidente è fin troppo comprensibile. Ma sono anche comprensibili le ragioni per cui le capitali occidentali sono riluttanti a spingere l’Ucraina verso colloqui di pace in assenza di un segnale che il Cremlino sia pronto a scendere a compromessi. I Paesi asiatici, africani, latinoamericani e mediorientali con legami con Mosca probabilmente non metteranno a repentaglio il commercio o altre relazioni esercitando pressioni su Mosca; ancora una volta, pochi vedono molto vantaggio nello scegliere di allinearsi con una delle parti. Ma sarebbe utile almeno far capire al Cremlino, anche a porte chiuse, quanta frustrazione ci sia per la guerra e sollecitare Mosca a pensare a raggiungere un accordo. Anche il ruolo dell’Ucraina nel raggiungere i Paesi di queste regioni può essere d’aiuto e Kiev ha aperto almeno dieci nuove ambasciate nel continente africano.

Un’altra potenziale carota per la Russia, con benefici concomitanti per i membri europei della NATO e per i loro vicini non NATO – dalla Georgia e dalla Moldavia all’Irlanda – sarebbe la promessa che un accordo sull’Ucraina sarebbe accompagnato da ampie discussioni sulla sicurezza europea. Queste sono attualmente impossibili perché non interessano ad alcuna parte, mancando gli elementi basilari della fiducia reciproca per poter negoziare in buona fede. Ma una volta cessata la guerra, tali accordi saranno cruciali per rendere il modello basato sulla deterrenza per il futuro della sicurezza europea meno oneroso, pericoloso e costoso per entrambe le parti.

La deterrenza, anche quando regge, è intrinsecamente precaria. L’impegno europeo sopra descritto significa che qualunque cosa accada in Ucraina, e per quanto la Russia sia indebolita, si sono dati l’imperativo di costruire forze sostanziali individualmente e in combinazione. Nel frattempo, anche Mosca, finché ne avrà i mezzi, continuerà ad armarsi. Entrambi vedranno l’altro con sospetto e paura dell’attacco. Gli accordi sul controllo degli armamenti possono mitigare i pericoli impliciti in questa situazione di stallo limitando la capacità russa e, contemporaneamente, occidentale. Renderebbero semplicemente più difficile entrare in guerra limitando gli schieramenti sia in termini di territorio che di equipaggiamento, in particolare se creano sanzioni automatiche significative che assicurano che le violazioni da parte di qualsiasi parte si tradurranno non nel fallimento dell’accordo, ma in ripercussioni punitive, sia attraverso rafforzamenti di altre parti, sanzioni o altre misure concordate.

Il controllo degli armamenti può anche aiutare a contenere l’enorme spesa che il modello di deterrenza creerà per entrambe le parti. Il rafforzamento della NATO non può essere fatto a buon mercato. Anche la Russia è passata a un’economia di guerra. Sta già spendendo cifre enormi per continuare la guerra; andrebbe incontro a costi ancora più elevati se dovesse cercare di eguagliare gli Stati transatlantici nella crescita delle forze e armamenti militari.

Incentivi di Mosca a parte, se l’Occidente vuole seguire la via della deterrenza, l’Europa dovrà anche prendere provvedimenti per rendere il suo approccio più sostenibile rispetto a prima dell’invasione del 2022. Una questione centrale è come fornire sicurezza all’Ucraina e ad altri Stati non NATO senza estendere loro l’impegno di mutua difesa dell’Articolo 5. La chiave individuata è l’offerta di altre forme di garanzie di sicurezza. Ad esempio, per rendere l’Europa e il suo vicinato più sicuri, i membri della NATO possono abbinare accordi sui limiti delle forze militari con impegni vincolanti nei confronti dei Paesi della regione, tra cui non solo l’Ucraina ma anche la Georgia e la Moldavia. Possono promettere armi, sostegno economico e altri aiuti se questi Stati vengono attaccati, sulla falsariga di ciò che l’Ucraina ha ricevuto dal febbraio 2022. Mentre l’allargamento dell’alleanza rimane controverso in molte capitali, le promesse di sostegno sembrerebbero sia fattibili che abbastanza credibili, data l’esperienza degli ultimi sedici mesi. Al vertice di Vilnius è stato offerto all’Ucraina un pacchetto di “garanzie di sicurezza abilitanti“, un’assicurazione da Paesi come Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Germania che gli aiuti e l’addestramento militare continueranno a lungo termine. Una mossa che potrebbe portare l’Ucraina lungo il percorso della cosiddetta “strategia del porcospino“, per cui il Paese diventerebbe altamente militarizzato e, seguendo il modello di Israele (sostenuto dalle armi USA), un Paese difficile da sconfiggere. Una strategia che comunque andrebbe a sbattere direttamente contro l’opposizione della Russia.

Se ha senso offrire in tempo colloqui sull’architettura di sicurezza europea, per ora la priorità per l’alleanza occidentale è chiarire che “la NATO è unita e l’aggressione della Russia non pagherà” e che i Paesi transatlantici sono coinvolti a lungo termine, perché credono che sia in gioco la loro stessa sicurezza e che il Cremlino spera invano che la resistenza occidentale venga meno. A Vilnius, in Lituania, all’annuale vertice gli alleati della NATO hanno cercato di inviare proprio questo messaggio e continueranno a farlo risuonare per i mesi a venire, comunque si evolvano le dinamiche sul campo di battaglia, anche in presenza di eventi inaspettati in Russia (che rimangono possibili, come ha mostrato l’ammutinamento di Wagner) e di elezioni, discussioni e polemiche nei Paesi occidentali. “Mi aspetto che gli alleati della NATO confermino il nostro incrollabile sostegno all’Ucraina, continuino a rafforzare la nostra difesa e aumentino la nostra cooperazione con i nostri partner europei e indo-pacifici per difendere l’ordine globale basato su regole”, ha scritto il Segretario Generale NATO Jens Stoltenberg alla vigilia del vertice (il riferimento all’Indo-Pacifico riflette la crescente percezione di USA e Paesi europei di dover affrontare le minacce emergenti in aree diverse dall’Atlantico, in primo luogo quelle associate all’ascesa della Cina, introdotte anche nel concetto strategico della NATO adottato durante il vertice di Madrid nel 2022, e per questo al vertice di Vilnius hanno partecipato anche i leader di Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda, Paesi con cui gli alleati occidentali vogliono intensificare la cooperazione in materia di difesa militare).

Un modo per rendere chiara la determinazione occidentale è attraverso impegni espliciti nei confronti dell’Ucraina che gli Stati membri della NATO (ma anche di UE e G7) continueranno a fornirle armi, denaro e altri aiuti. A Vilnius sono stati rafforzati i legami politici ospitando la prima riunione del nuovo Consiglio NATO-Ucraina, con la partecipazione del presidente Zelenskij, “una piattaforma per decisioni e consultazioni in caso di crisi, in cui gli alleati della NATO e l’Ucraina siederanno alla pari per affrontare problemi di sicurezza condivisi”. Il Consiglio dà all’Ucraina la possibilità di convocare riunioni dell’alleanza come partner alla pari intorno al tavolo.

Inoltre, se la NATO come alleanza non firma accordi, i suoi Stati membri possono siglare accordi bilaterali o multilaterali con l’Ucraina per cementare questa intesa. Tali accordi con l’Ucraina e altri Stati regionali vengono considerati necessari anche per rendere più sostenibile una pace più ampia. Ora, tuttavia, sono un modo per garantire che l’impegno della NATO – e quello dei suoi membri – sia veramente incrollabile. Al vertice di Vilnius è stato annunciato che una coalizione di 11 Paesi (Danimarca, Olanda, Belgio, Canada, Lussemburgo, Norvegia, Polonia, Portogallo, Romania, Svezia e Regno Unito) inizierà ad addestrare i piloti ucraini a pilotare aerei da combattimento F-16 ad agosto in Danimarca, e un centro di addestramento sarà allestito in Romania.

Oltre agli impegni di sicurezza nei confronti dell’Ucraina, gli alleati stanno valutando se indicare chiaramente a Mosca che i suoi attacchi alle infrastrutture ucraine e le vittime civili comporteranno la consegna di armi sempre più avanzate a Kiev (F-16, missili a lunga gittata, ecc.) come recentemente proposto dal diplomatico tedesco Wolfgang Ischinger. Da questo punto di vista, secondo il piano proposto da Stoltenberg, la NATO potrebbe finire per svolgere un’azione di coordinamento, acquisti di munizioni e pianificazione dell’assistenza all’Ucraina di ogni tipo (fino ad ora, ha coordinato gli aiuti non letali all’Ucraina attraverso il Comprehensive Assistance Package, ma è rimasta alla larga dal facilitare la consegna di aiuti letali). Questo non implicherebbe alcun cambiamento qualitativo in ciò che gli Stati stanno già facendo ora – piuttosto, renderebbe lo sforzo esplicitamente un’azione della NATO. Inoltre, indicando azioni specifiche in risposta ad azioni specifiche, la NATO potrebbe chiarire a Mosca che la sua politica è affermativa, non semplicemente una serie di mosse reattive ad hoc, e quindi aumentare le sue possibilità di scoraggiare una futura escalation russa.

Allo stesso tempo, però, sarebbe altamente auspicabile se invece di ragionare solo sul significato della parola vittoria, tutte le parti direttamente o indirettamente coinvolte nel conflitto ucraino cominciassero seriamente a ragionare anche e soprattutto sul significato della parola pace, cercando di utilizzare ogni mezzo diplomatico per non inasprire ulteriormente il conflitto e far terminare la devastazione e la strage. Pensare a trovare una soluzione coraggiosa ed equilibrata che necessariamente tenga conto del futuro dell’Ucraina e della Russia all’interno di un’architettura di sicurezza più generale che sia in grado di tenere insieme pacificamente l’intero continente europeo. Ma probabilmente per arrivare a questo passaggio sarà necessario un cambiamento politico in Occidente che potrà arrivare dalle prossime elezioni negli Stati Uniti, Germania, Regno Unito, Spagna e Olanda.

Alessandro Scassellati

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2 Commenti. Nuovo commento

  • Grazie, Alessandro.
    Anche se mi capita di rado di scorrere testi così ricchi di periodi ipotetici, apprezzo il tuo sforzo di mantenerti al di sopra delle tifoserie nell’esame dei fattori in campo. La sintassi registra inevitabilmente l’incertezza del momento, sia per quanto riguarda i dati circa la situazione presente, sia per le soluzioni possibili. Un elemento, comunque, non mi pare considerato nel tuo lungo articolo. Fabio Mini e Alessandro Orsini, citando (non interpretando) esperti militari occidentali, dicono dell’impossibilità di un qualche successo delle truppe ucraine in questa guerra “classica”, non solo per carenza di armi, ma soprattutto di uomini. Tu non ne parli. Se questo è il non detto (scusa l’ipotetica mia), possiamo cestinare metà delle restanti considerazioni.
    Ciao

    Rispondi
    • redazione
      12/07/2023 17:12

      Caro Giorgio, hai ragione non ne ho parlato perché non mi fido dei dati che l’una e l’altra parte ogni tanto danno sulle perdite. Comunque se gli ucraini erano circa 40 milioni prima della guerra (ma alcuni milioni erano già all’estero per lavoro, in Polonia, Italia, ecc.) e se 8-8 milioni sono fuori dal Paese (al 95% donne e bambini) e 7 milioni sono rifugiati interni, al di là del fatto se ci siano uomini/donne per combattere, credo che la domanda da porsi sia se, ammesso che il conflitto termini, l’Ucraina (almeno quello che rimarrà e si chiamerà Ucraina) avrà ancora una popolazione degna di questo nome. Comunque oggi leggevo che i russi sostengono che dall’inizio della controffensiva avrebbero ucciso oltre 26 mila soldati ucraini.

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