articoli

Il mancato crollo dell’economia russa dopo un anno di guerra e sanzioni

di Alessandro
Scassellati

A distanza di un anno dall’avvio di quella che Putin ha definito “operazione militare speciale” in Ucraina, l’economia russa regge, non è crollata in pochi mesi come era stato predetto da parte di politici ed analisti. I paesi del G7, Australia e Svizzera che si sono schierati in appoggio dell’aggredita Ucraina, hanno deciso di imporre migliaia di sanzioni (giunte al decimo pacchetto d parte della UE1) a persone, imprese ed entità associate al complesso militare-industriale russo. Misure che hanno avviato il progressivo “disaccoppiamento” dell’economia russa da quelle occidentali, in particolare da quelle dei paesi dell’Unione Europea, ma non hanno fatto tracollare l’economia russa. Il presidente Biden, annunciando il primo pacchetto di sanzioni americane, affermò che lo scopo era quello di provocare un livello di distruzione pari a quello che i missili e i carrarmati russi causavano in Ucraina e fermare velocemente l’invasione. In questo articolo proviamo a capire cosa è successo e cosa potrà succedere nel prossimo futuro.

Resilienza dell’economia russa

I dati del 2022, usciti di recente, evidenziano che l’economia russa, pur avendo subito un considerevole rallentamento, ha reagito molto meglio delle attese. Certamente l’economia russa ha sofferto per la progressiva chiusura dei mercati occidentali che avevano contribuito a stimolare la sua crescita post-sovietica e si sta ripiegando su sé stessa. Inoltre, sebbene la Russia rivela poco sulle finanze del settore della difesa, Mosca sta dirottando quasi un terzo dei fondi di bilancio di quest’anno ($ 155 miliardi) per le sue operazioni militari in Ucraina, con tagli per scuole, ospedali e strade in patria2. Con le sanzioni che mettono sotto pressione le entrate statali, la Russia prevede che il deficit di bilancio raddoppierà a 3 trilioni di rubli nel 2023, ovvero il 2% del PIL, e gli analisti ritengono che potrebbe raggiungere i 4,5 trilioni di rubli. L’aumento della spesa e il crollo delle entrate hanno portato a un deficit di bilancio di $ 45 miliardi nel 2022 e a $ 25 miliardi a gennaio 2023. Per colmare il divario, il governo ha già attinto al suo Fondo Nazionale Sovrano (FNS) e ha anche preso in prestito $ 14 miliardi in un’offerta di obbligazioni in rubli nel novembre 20223. Il debito pubblico russo dovrebbe salire al 17% del PIL nel 2023 (più velocemente della crescita economica del paese), una quota bassa rispetto agli standard internazionali, ma i costi di servizio aumenteranno fino al 6,8% della spesa totale nel 2025 dal 5,1% attuale, superando i finanziamenti per la sanità e l’istruzione. La banca centrale, la cui analisi della salute economica della Russia è costantemente più pessimista di quella di Putin, ha avvertito che l’ampliamento del deficit di bilancio è inflazionistico e ha affermato che è più probabile che quest’anno aumenti i tassi di interesse dal 7,5% piuttosto che tagliarli.

In ogni caso, nel 2022 l’economia russa si è dimostrata agli occhi di molti osservatori inaspettatamente resiliente di fronte alle dure sanzioni occidentali e al costo della guerra. Anche le previsioni interne fatte subito dopo che Mosca ha inviato truppe in Ucraina un anno fa avevano previsto che l’economia si sarebbe ridotta di oltre il 10% nel 2022, superando i crolli visti dopo il crollo dell’Unione Sovietica e durante la crisi finanziaria del 1998. Ma la stima dell’agenzia di statistica Rosstat mostra una contrazione più modesta del 2,1% lo scorso anno4. Il Fondo monetario internazionale stima per il 2023 una crescita dello 0,3%, più veloce di quella di Germania e Regno Unito. La disoccupazione è al minimo storico (3,7%), in alcuni settori c’è già carenza di manodopera.

L’economia e il sistema di governo russi si sono dimostrati molto più forti di quanto l’Occidente supponesse“, ha detto il 21 febbraio Vladimir Putin all’élite politica, militare e imprenditoriale russa nel suo discorso all’Assemblea Federale. “Il loro calcolo non si è avverato.

Una cosa è ormai chiara, come ha scritto Nicholas Mulder sul New York Times, “contro un’economia del G20, gli Stati Uniti e la UE da soli non sono più in grado di imporre regimi sanzionatori con conseguenze catastrofiche5. Un punto riconosciuto anche da Edward Fishman su Foreign Affairs.

Proprio per questo, nonostante la performance tutt’altro che eccezionale dell’esercito russo, Putin non mostra segni di abbandono del conflitto. Nel suo discorso ha apertamente etichettato il conflitto come una guerra, abbandonando la narrazione di “operazione militare speciale” che aveva usato in precedenza, e ha promesso di continuare ad andare “più lontano” nel territorio ucraino per allontanare la “minaccia dai nostri confini“. Mentre il conflitto si è trasformato in una guerra di logoramento, Putin ora chiaramente spera di aspettare che l’Occidente allenti il suo sostegno all’Ucraina in modo da assicurarsi una vittoria sul campo di battaglia a lungo termine. Mentre la coesione occidentale all’indomani dell’invasione è stata in larga parte sorprendente, Putin riconosce che più a lungo la sua guerra va avanti, più costoso sarà per l’Occidente finanziare gli sforzi di difesa e ricostruzione ucraini. Vede i costi economici della guerra come un potenziale aiuto per portare al potere leader occidentali più flessibili negli anni a venire6. Apparentemente il 2022 ha dimostrato che Putin non può vincere questa guerra in tempi brevi, ma l’Ucraina potrebbe perderla se viene abbandonata sul piano dei rifornimenti finanziari e di armi dall’Occidente nel medio/lungo periodo. Non a caso molti analisti cominciano a pensare che il fattore tempo sia decisivo nel determinare l’esito della guerra (e che “time is running out”), anche in vista di una nuova offensiva russa nella primavera.

I prezzi elevati per le esportazioni di energia hanno contribuito ad attutire il colpo delle sanzioni volte a isolare economicamente la Russia7 mentre i controlli sui capitali hanno visto il rublo rafforzarsi al massimo di sette anni. Un crollo delle importazioni ha portato a un avanzo record delle partite correnti (di $ 227 miliardi, + 86% rispetto al 2021) anche perché le esportazioni di petrolio, gas, carbone, nichel, grano e altre materie prime sono rimaste robuste (verso Turchia, India, Cina e altri paesi asiatici, mediorientali, latinoamericani e africani8), e hanno mantenuto l’afflusso di denaro estero, nonostante gli sforzi occidentali per far morire di fame Mosca. La banca centrale russa ha affermato che l’aumento dei prezzi delle materie prime per tutto il 2022 ha contribuito a spingere al rialzo le partite correnti, mentre le importazioni si sono lentamente riprese nella seconda metà dell’anno. I proventi delle esportazioni della Russia subiranno una nuova pressione al ribasso nel 2023, quando le sanzioni occidentali e giapponesi sul petrolio russo entreranno in vigore.

La banca centrale russa, guidata da Elvira Nabiullina, ha mantenuto una mano ferma sul timone nonostante abbia perso l’accesso a circa 300 miliardi di dollari di riserve internazionali (bloccate/sequestrate dai paesi occidentali)9. La banca centrale ha aumentato i tassi di interesse dal 9,5% al 20% dopo le prime sanzioni occidentali, una mossa che ha quasi bloccato i prestiti. Ma da allora ha gradualmente abbassato il suo tasso chiave al 7,5% e il settore bancario russo si è ripreso da una perdita combinata del primo semestre di 1,5 trilioni di rubli ($ 20 miliardi) a un profitto di 203 miliardi di rubli per il 2022 nel suo complesso. La banca centrale ha anche chiuso la Borsa di Mosca nel tentativo di proteggere la valuta e l’economia russa, ha imposto stringenti limiti al prelievo di valuta estera, obblighi alla conversione dei proventi delle esportazioni e ha inondato il mercato di liquidità, tramite aste pronti contro termine, e fornito rifinanziamenti garantiti da crediti e altri prestiti in rubli, mantenendo i tassi ben al di sotto dei livelli di mercato. D’altra parte, la spinta alla “de-dollarizzazione ha significato che il rublo ha raddoppiato la sua quota negli accordi internazionali della Russia. Il cosiddetto meccanismo del “pagamento del gas in rubli”, a cui la gran parte dei clienti occidentali ha aderito, è servito per mettere a disposizione delle aziende russe i nuovi capitali che affluivano con le esportazioni10.

Le banche, nel frattempo, si sono messe alla ricerca di mezzi interni – affari con lo Stato, in particolare legati al crescente budget per la difesa, e gestione dei conti aziendali delle grandi imprese russe – per rilanciare i profitti11. All’indomani del 24 febbraio 2022, le principali banche russe sono state messe fuori dal sistema di pagamenti globale SWIFT (definita in Occidente come la madre di tutte le sanzioni, una “bomba nucleare” finanziaria) e questo ha soffocato gran parte delle loro attività all’estero e ha contribuito a un calo dei profitti di circa il 90%. Ciò ha imposto un rapido ripensamento da parte delle banche, della banca centrale e del governo per stabilizzare un settore critico per l’economia russa12.

In ogni caso, l’”operazione militare speciale” in Ucraina è destinata a rappresentare una fonte di costo sostanziale e duratura. Prima dell’inizio del conflitto, il governo aveva previsto una crescita economica del 3% nel 2022. Il fatto che l’economia abbia sorpreso tutti lo scorso anno è certamente un fattore positivo, tuttavia la dinamica dell’andamento economico va confrontata rispetto a ciò che sarebbe stato se la tendenza positiva precedente fosse continuata. Probabilmente, infatti, l’economia russa non riacquisterà le sue dimensioni del 2021 fino al 2025, e il livello del PIL che avrebbe potuto essere raggiunto in assenza della crisi dello scorso anno difficilmente sarà raggiunto nei prossimi 10 anni.

Il reddito disponibile reale è diminuito dell’1% nel 2022, spingendo i russi a risparmiare di più e a spendere di meno (un segno dell’incertezza economica). Le vendite al dettaglio sono diminuite del 6,7%. Con il progressivo disaccoppiamento dalle economie europee ed occidentali, dovuto alle sanzioni e al bombardamento dei gasdotti Nord Stream, la Russia sta trovando nuovi mercati in Asia (Cina e India) per le sue esportazioni di petrolio e gas, linfa vitale dell’economia13, e ha mantenuto l’offerta di beni di consumo attraverso degli schemi di importazioni grigie. Nonostante molte delle aziende europee, nordamericane e giapponesi siano uscite dalla Russia14, l’impatto sui consumatori russi è stato minimo, anche se i tempi di consegna possono essere diventati più lunghi e alcune merci più costose15. I paesi “amici” che non impongono sanzioni hanno aumentato le esportazioni verso la Russia, mostrano i loro dati commerciali (ma la Russia ha smesso di pubblicare tali cifre). Il commercio Cina-Russia ha raggiunto il record di 1,28 trilioni di yuan ($ 186 miliardi) lo scorso anno, mentre le esportazioni della Turchia verso la Russia sono aumentate del 61,8% a $ 9,34 miliardi e quelle del Kazakhstan sono aumentate del 25,1% a $ 8,78 miliardi16.

Un nuovo ruolo per gli oligarchi: diventare una vera borghesia imprenditoriale

Raggiungere l’obiettivo di entrate di petrolio e gas fissato per quest’anno sembra sempre più problematico, soprattutto perché i prezzi del petrolio russo degli Urali sono diminuiti17. Per rispettare i piani di bilancio, la Russia dovrebbe raddoppiare la spesa pianificata per il FNS, rischiando un aumento dell’inflazione che costringerebbe la banca centrale ad aumentare i costi di indebitamento. Un percorso verso la graduale erosione della stabilità finanziaria e l’ulteriore declino dei salari reali della popolazione.

Dall’inizio della guerra, molti ricchi russi si sono trasferiti a Dubai e in altri luoghi per cercare di evitare gli effetti delle sanzioni18. Nel suo discorso del 21 febbraio, Putin ha detto alle élite imprenditoriali di investire in Russia, dicendo che i cittadini russi non provavano simpatia per i loro soldi, yacht e palazzi perduti a seguito delle sanzioni/confische occidentali19. Si è anche dichiarato in favore di uno sviluppo interno sostenibile e di un’economia autosufficiente, ricordando una critica mossa contro i leader sovietici così concentrati sulla spesa militare da ignorare il benessere delle persone. “C’è un detto: ‘armi al posto del burro’. La difesa del Paese è, ovviamente, la priorità più importante, ma quando si risolvono compiti strategici in quest’area, non dobbiamo ripetere gli errori del passato, non dobbiamo distruggere la nostra stessa economia“.

L’ascesa degli oligarchi risale agli anni della gestione politica di Eltsin, allorché per riformare l’economia russa chiamò a raccolta esperti statunitensi (Jeffrey Sachs e i suoi Chicago boys) che promossero la cancellazione dell’intervento statale, il blocco della spesa pubblica e le privatizzazioni selvagge, nonché l’apertura immediata e totale dell’economia all’esterno. È in questo contesto che è emersa e si è fatta presto dominante la figura dell’oligarca. Alti burocrati, avventurieri, contrabbandieri, che, nel caos emergente dei primi tempi, si impadronirono, con varie forme fraudolente e con la necessaria complicità del potere, dei gangli vitali dell’economia, attraverso la privatizzazione dei grandi gruppi praticamente a costo zero. Gli oligarchi sono stati in grado di condizionare il potere politico, nonostante le cose precipitassero sul piano economico e sociale20.

Nel maggio 2000 Vladimir Putin arrivò alla guida del paese e grazie anche a circostanze esterne favorevoli (i prezzi del petrolio e del gas che salirono in misura notevole, mentre il rublo si è svalutato notevolmente), è riuscito a far ripartire di nuovo e bene l’economia. Ripresero gli investimenti, anche quelli esteri, si ridusse il debito pubblico, crebbe la domanda interna, migliorò fortemente la bilancia commerciale21. Se nei primi tre anni di governo Putin ha seguito politiche economiche neoliberiste (consentendo al paese di reintegrarsi nell’economia mondiale), dal 2003 in poi, è passato a politiche basate su un rafforzamento del ruolo dello Stato e del suo intervento nell’economia.

Appena salito al potere Putin mise in chiaro con gli oligarchi, alcuni dei quali vennero presto incarcerati o costretti all’esilio, che dovevano smettere di occuparsi di politica per pensare soltanto agli affari. Dopodiché ha lasciato loro mano libera, ma è sempre stato chiaro che sono essenzialmente dei fiduciari che gestiscono le operazioni quotidiane di varie industrie all’interno dell’economia russa, come le banche o l’estrazione del petrolio, e che sono dipendenti dallo status quo, con una totale discrepanza tra ricchezza e influenza politica.

La posizione degli oligarchi economici all’interno della società russa è sorprendentemente precaria, poiché è interamente basata sul loro rapporto con il presidente Putin. Praticamente tutti i beni che gli oligarchi gestiscono alla fine appartengono allo Stato, con Putin come arbitro finale. Gli oligarchi economici non hanno modi per legittimare la loro posizione al di là del regime attuale: la loro più grande risorsa – il loro legame personale con Putin – non è qualcosa che possono trasmettere ai loro figli o portare oltre il regime di Putin. E il dominio di questi oligarchi è strettamente economico: ci si aspetta che stiano fuori dalla politica22.

Pertanto, solo il continuo sostegno di Putin e la sua permanenza al potere garantiscono la loro ricchezza e sicurezza. Finché rispettano la loro parte dell’accordo e restano fuori dalla politica, possono mantenere i loro beni rimanenti in Russia. Se dovessero parlare contro il regime putiniano, rischiano di perdere non solo la loro ricchezza residua, ma possono anche essere accusati e perseguiti penalmente. Per quanto non siano stati certo contenti di aver perso i loro beni occidentali, gli oligarchi hanno ancora più da perdere parlando contro la guerra, così sono rimasti zitti.

Ora, Putin chiede agli oligarchi di mettersi al lavoro per “cambiare la struttura della nostra economia”, per introdurre quei “cambiamenti [che] sono diventati una necessità vitale” e “portare la nostra economia verso nuove frontiere”. “Adesso tutto sta cambiando, e sta cambiando molto, molto velocemente. Questo è un momento non solo di sfide, ma anche di opportunità: oggi è davvero così e da come noi le realizziamo dipende la nostra vita futura”. Putin indica agli oligarchi di scegliere di “rimanere in patria, lavorare per i connazionali, non solo per aprire nuove imprese, ma anche per cambiare la vita intorno a sé stessi, nelle città, nei villaggi, nel proprio paese. E di tali imprenditori, di tali veri combattenti nel mondo degli affari commerciali ne abbiamo molti, sono loro che hanno in mano il futuro del business nazionale. Tutti devono capire che le fonti del benessere e il futuro devono essere solo qui, nel proprio paese natale, in Russia. E allora noi davvero creeremo un’economia solida e autosufficiente, che non si chiude al mondo, ma sfrutta tutti i suoi vantaggi competitivi”.

I capitali russi, i soldi che sono ricavati in Russia, devono lavorare per il paese, per il suo sviluppo nazionale. “Oggi abbiamo grandi prospettive nello sviluppo delle infrastrutture, dell’industria manifatturiera, del turismo interno e in molti altri settori. Voglio che mi ascoltino anche coloro che si sono scontrati con il comportamento da lupo dell’Occidente: cercare di correre con la mano tesa, umiliarsi, elemosinare i propri soldi non ha senso e soprattutto inutile, adesso che avete capito molto bene con chi avete a che fare. Adesso non vale la pena di aggrapparsi al passato, provare a fare causa nei tribunali e supplicare”.

Agli oligarchi Putin propone un nuovo patto, promettendo il suo sostegno. “Bisogna ricostruire la propria vita e riorientare il proprio lavoro, tanto più che siete persone forti – mi rivolgo ai rappresentanti del nostro business, molti li conosco personalmente e da molti anni – che hanno attraversato una scuola di vita difficile. Lanciate nuovi progetti, guadagnate denaro e investitelo in Russia, investite in imprese e posti di lavoro, aiutate le scuole e le università, la scienza e la sanità, la cultura, lo sport. È proprio così che voi i capitali li moltiplicate e vi meritate il riconoscimento, la gratitudine della gente per una generazione a venire, e lo Stato e la società vi sosterranno sicuramente. Riterrò che questo sia da guida per il nostro commercio: orientare il lavoro nella giusta direzione”. Le priorità sono creare un milione di posti di lavoro nell’industria elettronica, industria della robotica, ingegneria meccanica, metallurgia, farmaceutica, agricoltura, nel complesso militare-industriale, edilizia, trasporti, nucleare e altri settori “che sono fondamentali per garantire la sicurezza, la sovranità e la competitività della Russia”.

La sottovalutazione della Russia da parte degli USA e la partnership strategica con la Cina

Nel luglio 2021 Biden aveva dichiarato che la Russia era “seduta in cima a un’economia che ha armi nucleari e pozzi petroliferi e nient’altro“. Biden non è stato il primo leader americano a pensare in questo modo. Sin dalla fine della Guerra Fredda, i politici americani hanno periodicamente suggerito che i giorni della Russia come vera potenza globale erano contati. Nel 2014, il senatore repubblicano dell’Arizona, John McCain, aveva definito la Russia una “stazione di servizio mascherata da Paese“. Nello stesso anno, il presidente Obama aveva liquidato la Russia come una semplice “potenza regionale“. Non molto tempo dopo, la Russia è intervenuta con successo nella guerra siriana, si è inserita nella crisi politica ed economica in Venezuela e nella guerra civile in Libia (per cui la guerra civile libica si è trasformata in una guerra a tutto campo tra Russia e Turchia), ha stretto rapporti e dialoga con l’Iran in funzione anti USA, venduto armi a Turchia e India, e ha mandato i mercenari della Wagner, oltre che in Libia, anche in Mali e Repubblica Centroafricana.

Eppure, da parte statunitense è persistita la percezione della Russia come una tigre di carta. Nonostante Donald Trump – che ha ripetutamente attaccato la NATO quasi con la stessa implacabilità di Putin – non avesse nascosto il suo desiderio di cooperare più strettamente con Putin, la sua amministrazione aveva identificato la Russia, insieme a Venezuela, Iran, e Cina (ma anche l’Unione Europea, almeno sul piano economico) come avversari dell’America. Le avances di Trump verso Putin sono state bloccate dall’opposizione del Pentagono, degli apparati dell’intelligence, della diplomazia professionale e in maniera bipartisan dal Congresso che hanno considerato la Russia ancora con grande sospetto, come inaffidabile e minacciosa. Pertanto, non hanno consentito a Trump di provare ad operare l’inversione della politica nixoniana/kissingeriana degli anni ’70 (apparentemente suggerita dallo stesso Kissinger), ossia un detente, un avvicinamento alla Russia per contrastare l’ascesa della Cina, considerato il principale avversario da contrastare e battere23.

Il problema è che il caso del declino russo è stato sopravvalutato. Gran parte delle prove a sostegno di ciò, come la diminuzione della popolazione russa (si prevede che la popolazione attuale di 143,4 milioni diminuirà di 10 milioni entro il 2050) e la sua economia dipendente dalle materie prime (petrolio, gas, cereali, etc.), non sono così importanti almeno per il Cremlino. Le aspettative del declino russo contengono comunque verità importanti. L’economia del Paese è stagnante, con poche fonti di valore oltre all’estrazione e all’esportazione di risorse naturali. L’intero sistema è pieno di corruzione e dominato da inefficaci imprese statali o controllate dallo Stato o da oligarchi fedeli a Putin, e le sanzioni internazionali limitano l’accesso al capitale e alla tecnologia.

La Russia lotta per sviluppare, trattenere e attrarre talenti; lo Stato sottofinanzia cronicamente la ricerca scientifica; e la cattiva gestione burocratica ostacola l’innovazione tecnologica. Di conseguenza, la Russia è considerevolmente indietro rispetto agli Stati Uniti e alla Cina nella maggior parte delle metriche dello sviluppo scientifico e tecnologico24. Forse le sanzioni più dolorose per Mosca sono le restrizioni alle esportazioni in Russia di software e hardware hi-tech realizzati dagli USA e dai loro alleati, perché possono condizionare le ambizioni russe nei settori dell’aerospazio, della difesa, dei laser e della tecnologia marittima, dell’intelligenza artificiale e dei computer quantistici. Prima della guerra, la metà del budget annuale per la difesa della Russia veniva speso per procurarsi nuove armi, modernizzare quelle vecchie e ricercare tecnologia militare, che era una quota molto maggiore di quella spesa in queste aree dalla maggior parte delle forze armate occidentali. Utilizzando questi generosi budget, il complesso militare-industriale russo ha sviluppato molte armi di nuova generazione, dai missili ipersonici alle armi a energia diretta (come i laser), sistemi di guerra elettronica, sottomarini avanzati e difese aeree integrate, insieme ad armi antisatelliti di vario tipo. Inoltre, la Russia rimane un player importante a livello globale nell’industria delle armi.

Il fatto è che la Russia sarà pure un Paese in decrescita, ma il suo potenziale economico, demografico e militare rimane sostanziale, piuttosto che entrare in un precipitoso declino. Infatti, se si considera l’economia, per quanto stagnante, è ancora più grande e resiliente di quanto molti credano. Gli analisti amano sottolineare che il PIL russo di circa $ 1,6 trilioni è paragonabile a quello dell’Italia e della Corea del Sud ed è appena il 40% di quello tedesco. Ma, quei 1,6 trilioni di dollari vengono calcolati utilizzando i tassi di cambio di mercato, mentre tenendo conto della parità di potere d’acquisto si sale a 4,2 trilioni di dollari, il che rende la Russia la seconda economia più grande d’Europa e la sesta più grande del mondo. Nessuna delle due misure è del tutto accurata – una è probabilmente una sottostima, l’altra una sovrastima – ma il confronto mostra che l’economia russa non è affatto piccola come molti pensano.

Quello che è certo è che andamento economico e sanzioni hanno causato sofferenza per i cittadini russi. I redditi reali disponibili sono oggi oltre il 10% più bassi di quanto non fossero nel 2013, cancellando un decennio di crescita. Questo anche se la politica di sostituzione delle importazioni, ideata in risposta alle sanzioni internazionali, sta dando nuova vita a molti settori economici.
Soprattutto, come risposta alla politica di azioni unilaterali, sanzioni e protezionismo commerciale degli Stati Uniti si sta consolidando un’alleanza sempre più estesa tra Russia e Cina che si va configurando come una “strategic partnership25. Russia, Cina e Mongolia hanno tenuto insieme grandi manovre militari (Vostok-2018 e Kavkaz 2020). Sono state siglate intese commerciali relative alle importazioni dalla Russia di armi (con l’acquisto da parte della Cina dei jet da combattimento russi Sukhoi Su-57), soia e altri prodotti agricoli, elettricità, petrolio (con un nuovo oleodotto inaugurato nel gennaio 2018) e gas (con il gasdotto Power of Siberia in funzione dal 2019), ai progetti tecnologico-industriali nell’avionica, nel nucleare civile e nell’alta velocità ferroviaria, alle infrastrutture, alla logistica, ai traffici transfrontalieri, alla cooperazione regionale attraverso la Shanghai Cooperation Organization e agli investimenti cinesi nella Belt and Road Initiative. Cina e Russia hanno concordato di aggiornare le loro relazioni con una partnership strategica globale di coordinamento. Per questo i media occidentali sostengono che Pechino e Mosca intendono unire le forze contro gli Stati Uniti e il blocco euro-atlantico (NATO) con i suoi satelliti in Asia orientale e Oceania per dare vita ad un blocco euroasiatico. Due blocchi geopolitici che esprimerebbero diversi modelli di sviluppo capitalistico e di rapporti strutturali tra sistema tecnologico e finanziario e sistema sociale e politico, in forte competizione tra loro per la supremazia economica (integrazione e controllo di risorse strategiche, supply chain e mercati), politico-militare (sfere di influenza) e culturale (egemonia ideologica e soft power). Una contrapposizione geopolitica e geoeconomica che sta facendo aumentare il rischio di una possibile terza guerra mondiale, accelerando la corsa dell’umanità verso la propria estinzione.

Alessandro Scassellati

  1. Le sanzioni europee colpiscono 44 miliardi di euro di esportazioni europee, pari in totale a quasi la metà delle esportazioni europee verso la Russia relative al 2021. A queste poi si devono aggiungere quelle di USA e UK. Tenendo conto anche delle sanzioni comminate nel 2014, in seguito all’occupazione della Crimea, quella Russia non solo è l’economia più sanzionata al mondo, ma il numero di quelle a cui è sottoposta è più alto rispetto a quello comminato nel complesso a tutte le altre economie. Queste misure hanno interessato sia il settore finanziario che l’economia reale. L’import di carbone dalla Russia è bandito e quello del petrolio è sottoposto a forti limitazioni (nella UE è consentito solo attraverso gasdotto), in più è stato applicato un tetto al prezzo che i paesi terzi devono rispettare, affinché le società domiciliate nel G7 possano prestare i propri servizi finanziari/professionali utili allo scopo.[]
  2. Il bilancio 2023 vede la spesa per “l’economia nazionale” – comprese strade, agricoltura e ricerca e sviluppo – diminuire del 23%. L’assistenza sanitaria riceverà il 9% in meno, mentre la spesa per l’istruzione sarà tagliata del 2%. La spesa per infrastrutture e industria diminuirà rispettivamente del 23,5% e del 18,5%, secondo uno studio congiunto dell’Accademia presidenziale russa (Ranepa) e dell’Istituto Gaidar. Ciò “potrebbe innescare difficoltà significative” in un momento in cui Mosca sta cercando di trovare nuovi mercati lontano dall’Occidente, hanno affermato gli istituti. Anche gli investimenti in ricerca e sviluppo saranno tagliati e “un certo numero di industrie cruciali non avrà fondi sufficienti per sviluppare tecnologie domestiche“, ha affermato Ranepa, mentre le sanzioni occidentali tagliano fuori Mosca dalle tecnologie più recenti. La spesa sociale come pensioni e welfare, pietra angolare della politica economica interna di Putin e utilizzata per corteggiare gli elettori nelle precedenti campagne elettorali, aumenterà dell’8%, ma comunque molto meno del budget combinato per militari e sicurezza. Anche il salario minimo aumenterà del 18,5% e ammonterà a 19.242 rubli.[]
  3. Gli alti prezzi del petrolio normalmente aiuterebbero a ricostituire il Fondo Nazionale Sovrano (FNS), ma con le sue esportazioni di idrocarburi ora soggette a embarghi e limiti di prezzo, la Russia sta attualmente vendendo yuan cinesi della FNS per coprire il deficit. Utilizzare le risorse del FNS rischia di ridurre la futura capacità di spesa di Mosca e alimentare i rischi di inflazione.[]
  4. Più severa la stima dell’OCSE (-3,6%) che prevede anche una contrazione del PIL più intensa (-5,6%) per il 2023.[]
  5. Nicholas Mulder è anche l’autore del volume In The Economic Weapon: The Rise of Sanctions as a Tool of Modern War, Yale University Press, New Haven, CT, 2022.[]
  6. Il primo tra questi è l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump, il favorito per essere nuovamente il candidato repubblicano nella corsa presidenziale del 2024. Ha sempre criticato il sostegno occidentale a Kiev e ha affermato di ritenere di poter ottenere un accordo di pace con Putin se rieletto. Anche l’Europa ha ancora suoi politici di spicco che simpatizzano con le argomentazioni di Putin. Il primo ministro ungherese Viktor Orbán ha mantenuto la sua retorica pro-Cremlino, anche se la sua dipendenza dal bilancio dai finanziamenti dell’UE ha frenato il suo impulso a porre il veto alle sanzioni contro la Russia. Altri esempi includono il partner della coalizione di Meloni, Silvio Berlusconi, che è un amico di lunga data di Putin, dopo avergli fatto visita in Crimea dopo la sua annessione nel 2014. La perenne candidata presidenziale francese di estrema destra, Marine Le Pen, è anche nota per il suo approccio morbido alla Russia. Jordan Bardella, il suo successore alla guida del Rassemblement National, nelle ultime settimane ha chiesto la revoca delle sanzioni energetiche al Cremlino. Con le prossime elezioni generali francesi previste per il 2027, il rischio che un presidente filo-russo salga al potere potrebbe non essere così imminente, ma Putin vede aperture altrove. Ad esempio, in Slovacchia, il parlamento ha approvato le elezioni anticipate per il 30 settembre dopo che il governo ha perso un voto di fiducia. L’ex primo ministro Robert Fico, che è critico nei confronti delle sanzioni dell’UE alla Russia e si oppone all’invio di armi all’Ucraina, ha una possibilità di vincere il voto con il suo partito Smer-SD e guidare una coalizione che potrebbe essere più solidale con Mosca rispetto a quella attuale.[]
  7. Questo almeno fino al terzo trimestre del 2022, fino a quando Mosca ha beneficiato dei prezzi record di petrolio e gas naturale. Da allora, le restrizioni all’esportazione di prodotti energetici verso i paesi dell’Unione Europea hanno giocato un ruolo chiave in negativo. In termini di volumi importati, tra febbraio e novembre 2022, il peso della Russia sugli acquisti UE di combustibili fossili da paesi extra-UE è sceso dal 30% al 13%.[]
  8. Nel 2022 l’export verso la Turchia è salito del 103% e l’import del 60%, mentre il commercio bilaterale sino-russo ha raggiunto $ 190 miliardi, +34% sul 2021. Una “flotta oscura” globale di petroliere non assicurate e difficili da rintracciare vaga per gli oceani per consegnare petrolio russo agli acquirenti di tutto il mondo. Commercianti di materie prime che un tempo avevano sede in Svizzera si sono trasferiti negli Emirati per trattare carichi di petrolio, gas, carbone, fertilizzanti e grano russi. La Turchia è diventata un canale importante per le imprese globali che cercano di vendere alla Russia, mentre lunghi convogli di camion serpeggiano attraverso i passi di montagna del Caucaso. Le raffinerie indiane e le società di stoccaggio di petrolio di Singapore stanno realizzando ingenti profitti acquistando petrolio russo scontato e vendendolo in tutto il mondo.[]
  9. Nel primo mese di guerra e di sanzioni l’economia russa è stata effettivamente vicina al collasso. Sottoposta a una considerevole fuga dei capitali, tagliata fuori dai mercati internazionali e senza la possibilità di utilizzare le riserve valutarie depositate all’estero, ha visto il cambio del rublo deprezzarsi molto rapidamente e l’inflazione importata viaggiare a un ritmo superiore al 2% alla settimana. Se questa dinamica non fosse stata interrotta, si sarebbe innescata una spirale iperinflattiva che avrebbe distrutto il valore della moneta e il sistema dei pagamenti. Le contromisure prese dalla banca centrale, sommate all’afflusso di nuovi capitali derivanti dall’esportazioni, hanno evitato il tracollo. Oggi, la Russia non può emettere debito pubblico presso investitori del G7 – che non possono nemmeno sottoscriverlo nel mercato secondario; i paesi del G7 le hanno imposto restrizioni nell’accesso ai fondi depositati presso la Banca mondiale e il Fondo monetario; la gran parte delle banche russe sono state escluse dal sistema di messaggistica SWIFT e non possono disporre dei fondi depositati presso le piazze di Londra e New York. La Banca centrale russa non può ricorrere alle sue riserve valutarie depositate presso le piazze finanziarie del G7 e in Svizzera. Alle società domiciliate nei paesi del G7 è proibito esportare tecnologia e varie tipologie di servizi finanziari o professionali in Russia. L’import/export di beni di lusso è sottoposto a restrizioni, così come le importazioni di oro.[]
  10. I dati sugli scambi di valuta estera, crollati in conseguenza delle sanzioni e dei controlli sui capitali imposti dalla banca centrale, dalla metà di maggio in poi hanno registrato aumenti di oltre il 300% per l’euro e del 100% per il dollaro, rispetto alla media delle settimane precedenti.[]
  11. Attualmente è pericoloso mostrare grandi profitti a causa della minaccia del “contributo volontario“. Infatti, Mosca prevede di raccogliere circa 300 miliardi di rubli da una tassa “volontaria” una tantum, che il ministro delle Finanze Anton Siluanov ha dichiarato che sarà raccolta dalle imprese in base alle “dinamiche” dei loro risultati negli ultimi anni.[]
  12. Per le banche, le sanzioni hanno significato dover cambiare il modo in cui attraggono depositi e assegnano prestiti. Lo strumento principale ora sono i grandi clienti aziendali e le risorse del bilancio statale. C’è una forte concorrenza per accaparrarseli. Alcuni analisti prevedono ora un forte aumento dei profitti, poiché le banche russe sfruttano al massimo i programmi di prestito statale preferenziale, le aste di liquidità e un settore della difesa affamato di finanziamenti mentre continua la campagna militare di Mosca in Ucraina.[]
  13. È bene ricordare che nel 2021 la Russia ha fornito il 17,5% del petrolio venduto sul mercato mondiale, il 47% del palladio, il 16,7% di nichel, il 13% dell’alluminio (esclusa la Cina) e quasi un quarto dei fertilizzanti di potassa.[]
  14. Almeno un migliaio sono uscite dal mercato russo, ma numerose aziende occidentali continuano a operare in Russia e, finita l’enfasi dei primi mesi, la sanzione reputazionale pare non essere più così pressante. Simon Evenett e Niccolò Pisani, in un lavoro diffuso un mese fa, hanno rilevato che solo l’8,5% delle aziende con sede in un paese del G7 hanno ceduto almeno una delle proprie succursali in Russia. Molte imprese occidentali non hanno ancora abbandonato il paese e anche gli approvvigionamenti dall’estero, che si volevano bloccare attraverso le sanzioni, dopo un primo periodo di effettivo calo, stanno ritornando sui livelli precedenti al febbraio 2022.[]
  15. Il cambiamento principale è stato quello delle rotte di rifornimento (ad esempio, attraverso imprese di Turchia, paesi del Golfo, Kazakhstan, Uzbekistan e Cina, ma anche reti commerciali informali che operano a livello internazionale), ma i prodotti rimangono disponibili sia online che nei negozi. Gli acquirenti devono solo sapere dove cercare. Fondamentalmente, la stragrande maggioranza delle merci interessate non è soggetta a sanzioni e questi flussi transfrontalieri sono legali. E Mosca è felice di farli entrare, qualunque strada prendano. La continua disponibilità dei marchi globali (come Zara, Ikea, Coca Cola, etc.) mostra la sfida che le aziende devono affrontare nel controllare le catene di approvvigionamento quando escono da un mercato.[]
  16. La banca centrale russa ha convertito in yuan, euro e oro buona parte delle proprie riserve. Russia e Cina hanno stretto accordi intergovernativi per aumentare l’uso del rublo e dello yuan nelle loro transazioni commerciali, mettendo fuori gioco il dollaro. “Continueremo a lavorare con i nostri partner per costruire un sistema di pagamento internazionale stabile e sicuro, indipendente dal dollaro e da altre valute di riserva occidentali, che, con una tale politica delle élite occidentali e dei governanti occidentali, perderanno inevitabilmente il loro carattere universale. Fanno tutto da soli, con le loro mani”, ha detto Putin nel suo discorso del 21 febbraio. Una scelta che ha conseguenze rilevanti in un altro settore strategico: quello del petrolio. Rafforzando la collaborazione energetica, Mosca e Pechino, insieme, possono porre le basi per un circuito finanziario alternativo a quello del dollaro e influenzare anche i prezzi mondiali del greggio. Sul petrolio si gioca una partita decisiva e non solo verso gli Stati Uniti, ma anche verso l’Arabia Saudita e gli altri Paesi OPEC, con i quali la Russia ha cooperato negli ultimi anni.[]
  17. Per via delle sanzioni e del price cap di $ 60/bbl imposto dai paesi del G7, ora il petrolio Url costa circa $ 30/bbl in meno rispetto al Brent[]
  18. Oltre agli oligarchi, centinaia di migliaia di persone sono fuggite dal paese in un esodo che è stato paragonato all’ondata di emigrazione dopo la rivoluzione russa del 1917. Un gran numero di uomini in età di leva ha cercato rifugio in altri stati dell’ex Unione Sovietica. Si dice che decine di migliaia di lavoratori nel settore IT se ne siano andati, ponendo notevoli problemi all’economia.[]
  19. Negli anni, molti oligarchi russi hanno fatto defluire parti rilevanti delle loro ricchezze monetarie all’estero, utilizzando il sistema bancario occidentale per riciclare la loro ricchezza. Londra, Svizzera, Lussemburgo, Cipro, Jersey, Bahamas e molti altri paradisi fiscali come le Isole Cayman hanno soddisfatto questa domanda. Anche le banche europee hanno partecipato con entusiasmo al processo, e il sistema finanziario statunitense ha fornito a tutti loro l’infrastruttura critica. Le capitali finanziarie occidentali avevano accolto le famiglie degli oligarchi, consentendo loro di acquistare proprietà (spesso tramite trust e società di comodo) e di iscrivere i propri figli a istituti scolastici di prim’ordine. Città come Londra e New York hanno accolto gli oligarchi e i loro parenti nel cuore dell’alta società. Nel suo discorso del 21 febbraio, Putin ha sottolineato come l’Occidente abbia finito per espropriare gli oligarchi che avevano scelto di perseguire questa strada. “Gli eventi recenti hanno dimostrato in modo convincente che l’immagine dell’Occidente come porto tranquillo e rifugio per il capitale si è rivelata un fantasma, un falso. E quelli che non l’hanno capito in tempo, che consideravano la Russia solo come fonte di guadagno e che hanno pianificato di vivere principalmente all’estero, hanno perso molto: lì sono stati semplicemente derubati, gli sono stati portati via anche i soldi guadagnati legalmente. Una volta feci una battuta – molti probabilmente se lo ricordano – quando mi rivolsi ai rappresentanti del business russo, dissi loro: vi stancherete di inghiottire la polvere, quando dovrete correre per tribunali e uffici dei funzionari occidentali, cercando di salvare i vostri soldi. E così è successo”.[]
  20. In pochi anni si registrò una caduta ufficiale del reddito del 40%, mentre, in ragione di una severa stretta creditizia, nel 1994-95 i tassi di interesse reali salirono al 200%, con la pratica cessazione degli investimenti e una forte crescita della disoccupazione. Per gli scambi si tornò almeno in parte al baratto. Ci fu un forte aumento nella concentrazione della ricchezza e una altrettanto forte crescita dei livelli di povertà. La percentuale di popolazione che viveva allora sotto il livello nazionale di povertà passò dall’1,5% della fine dell’era sovietica sino a più del 40% a metà degli anni Novanta. Il coefficiente Gini salì da un valore di 28,9% nel 1991 al 40% nel 2000. Le condizioni di salute della popolazione si deteriorarono fortemente, mentre aumentò altrettanto fortemente la mortalità e diminuì di molto la vita media, con la speranza di vita maschile passata nel 1994 sotto i 58 anni. Dopo tre tentativi falliti di stabilizzazione dell’economia, nel 1998 la situazione si fece molto grave; tra l’altro nell’agosto il governo russo arrivò al default del debito.[]
  21. Nella gran parte del primo decennio del nuovo secolo il PIL russo è aumentato all’incirca del 7% all’anno e nel 2007 è ritornato sostanzialmente ai livelli di prima della caduta del muro, mentre anche la situazione sociale del paese è migliorata in misura rilevante (così la popolazione al di sotto dei livelli di povertà è scesa al 14% del totale nel 2007). Tra il 1998 e il 2008 il PIL misurato in rubli è quasi raddoppiato, mentre quello pro-capite, se misurato con il criterio della parità dei poteri di acquisto, è passato dagli $ 8,6 mila del 1998 ai $ 21,7 mila del 2008. Le esportazioni sono cresciute dai $ 100 miliardi del 2000 ai $ 350 del 2007 e le riserve in dollari hanno raggiunto i 676 miliardi alla fine del 2008, mentre sono rientrati anche molti capitali prima esportati all’estero. Dal 2008 era ricominciata a crescere anche la popolazione, in misura rilevante grazie ad un processo di immigrazione soprattutto dai paesi dell’Asia Centrale. Ma, con la crisi del 2008, il prezzo del petrolio, per il crollo della domanda, si è ridotto di circa tre quarti e il rublo è stato soggetto a speculazioni al ribasso. Si è ridimensionato il saldo della bilancia commerciale, si sono ridotte le entrate statali, si è ridotto il reddito, è aumentata la disoccupazione. Il PIL si ridusse fortemente nel 2009 (-7,9%), per poi riprendere a crescere, anche se a livelli annui inferiori a quelli del periodo precedente. Ulteriori cali del PIL ci sono stati nel 2015, anche a seguito delle sanzioni varate dall’Occidente nel 2014 come reazione all’annessione russa della Crimea; la banca centrale si trovò costretta a utilizzare $ 170 miliardi dalle sue riserve di valuta internazionale, che diminuirono così del 32%) e poi nel 2020 (-2,8%) a seguito della pandemia da CoVid-19, ma nel 2021 si era registrata una rilevante ripresa con un +4,7%. Le sanzioni del 2014 hanno riorientato l’economia russa, spingendo il governo a rivedere e a ridurre il suo livello di integrazione nell’economia mondiale, a puntare su uno sviluppo più autonomo. Da questo punto di vista, il successo più rilevante è stato quello della forte crescita dell’agroalimentare all’interno (soprattutto per quanto riguarda la produzione dei cereali), mentre nel settore dello sviluppo industriale e in quello delle alte tecnologie i progressi sono stati più ridotti. Allo stesso tempo, Mosca è stata spinta ad allargare le relazioni economiche con i paesi non occidentali, aumentando il suo interscambio soprattutto con la Cina.[]
  22. La prova di questo sistema può essere vista nei casi di coloro che lo violano: quando l’oligarca dei media Boris Berezovsky si rivoltò contro Putin nei primi anni 2000, fu costretto all’esilio e il suo imponente impero mediatico russo – che gli era stato regalato durante il boom delle privatizzazioni degli anni ’90 – è stato ripreso dallo Stato.[]
  23. Con il summit di Helsinki del luglio 2018, Trump ha cercato di “normalizzare” le relazioni con Putin ed è stato bollato da John Brennan, un ex direttore della CIA, ma anche da gran parte dell’establishment democratico e repubblicano, di essersi comportato poco meno che come un “traditore” per aver ceduto al nemico Putin nel corso della conferenza stampa congiunta di Helsinki nel negare le accuse formulate dalle agenzie governative americane dell’intelligence (FBI, CIA e NSA) di ingerenza elettorale da parte dei russi (un’affermazione che Trump ha dovuto in seguito rimangiarsi).[]
  24. Sebbene la Russia sia in ritardo rispetto agli Stati Uniti nell’innovazione tecnologica, si colloca ancora tra le prime dieci al mondo per spesa in ricerca e sviluppo. Inoltre, la Russia ha sviluppato i propri analoghi di Facebook, Google e altre piattaforme online popolari, che hanno tutti un discreto successo in Russia.[]
  25. Per anni le relazioni tra i due Paesi che condividono 4.200 chilometri di confine sono state altalenanti. Nel 1968-69, per sei mesi, si arrivò addirittura al conflitto militare tra Cina e URSS lungo il fiume Amur dove passa la linea ferroviaria che connette i due Paesi (la Cina di Mao voleva indietro i territori a nord del fiume Amur annessi dai russi nel 1860). Sebbene nel 2008 i due grandi vicini abbiano risolto le loro dispute territoriali, la Russia ha sempre visto la Cina come una minaccia ai confini delle regioni scarsamente popolate, ma ricche di risorse, della Siberia orientale ed estremo oriente russo, un tempo rivendicate dalla Cina.[]
Russia
Articolo precedente
L’iniziativa cinese e il “partito della pace”
Articolo successivo
Elly Schlein e la pace

1 Commento. Nuovo commento

  • Una analisi che mi pare molto ma molto più ragionevole e realistica di altri media e commentatori.
    Grazie

    Rispondi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Compila questo campo
Compila questo campo
Inserisci un indirizzo email valido.