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La guerra in Ucraina ha aumentato il peso dei paesi dell’Est nell’Unione Europea

di Alessandro
Scassellati

Mentre il 2022 volge al termine, la guerra in Ucraina infuria senza sosta. Il presidente russo Vladimir Putin vede quella che chiama ancora una “operazione militare speciale” come una questione di vita o di morte con gli Stati Uniti e i loro alleati nella NATO. L’Occidente, da parte sua, considera la guerra una minaccia alla propria sicurezza e si è schierato a favore della difesa della sovranità dell’Ucraina. (Sulle vicende relative della guerra Russia-Ucraina si vedano i nostri articoli qui, qui, qui, qui e qui).

Ma c’è un problema intrinseco nell’inquadrare la guerra solo come uno scontro tra Russia e Stati Uniti (sebbene l’amministrazione Biden abbia fornito all’Ucraina oltre 18,6 miliardi di dollari in assistenza militare e 13 miliardi di dollari in assistenza economica diretta). Sottostima lo spirito, la resilienza e i sacrifici quotidiani degli ucraini nel resistere al loro potente vicino deciso a ricreare una sfera di influenza incentrata su Mosca nello spazio post-sovietico. Nessuna quantità di aiuti militari e finanziari per Kyiv sarebbe stata sufficiente a contrastare l’ambizione del Cremlino se non ci fosse stata la determinazione tra gli ucraini a combattere l’aggressione e il revanscismo russo. Dal 1991 in poi, si è formata un’identità nazionale nazionalista Ucraina in un processo intenso e conflittuale, con battaglie combattute sui libri di testo scolastici, sui monumenti, sulla scelta degli anniversari nazionali, sui nomi delle strade, sugli archivi di stato o sullo status dell’Holodomor – la carestia provocata dall’uomo del 1932-33, durante la collettivizzazione delle terre agricole, che uccise milioni di ucraini e di altri cittadini russi – come genocidio1. La legge promulgata per fare dell’ucraino la sola lingua ufficiale dello Stato provocò la reazione delle minoranze russofone del Sud e dell’Est del paese e violenti scontri, tra cui quelli di Odessa, nei quali molte decine di persone persero la vita. E forni il pretesto alla Russia per intervenire militarmente in Ucraina e riprendersi la Crimea nel 2014-2015.

Nel corso di questo processo conflittuale la storia ucraina è stata riscritta e spesso apertamente manipolata. L’Istituto ucraino di memoria nazionale, ad esempio, tra il 2014 e il 2019 è stato dominato da un ristretto gruppo di nazionalisti di destra che hanno definito l’Ucraina in termini puramente etnici anti-russi. Allo stesso tempo, nel 2015 il governo ha persino emanato una serie di “leggi sulla memoria” che hanno imposto la visione ufficiale profondamente antisovietica del passato dell’Ucraina prevedendo pene detentive fino a 10 anni. Zelenskiy, un ex comico e attore eletto nel 2019, ha compreso l’importanza dell’uso della storia. Infatti, nella prima serie di Servitore del Popolo – il programma televisivo che lo ha reso popolare – Zelenskiy ha interpretato un insegnante di storia che cerca di convincere i suoi allievi dell’importanza di Mykhailo Hrushevsky, lo storico che, nel 1903, tentò per primo di mostrare come la storia ucraina non fosse semplicemente una parte di una storia russa generale2.

In breve, Putin ha invaso un paese che a quel punto esisteva davvero nella mente di buona parte della popolazione e che si era organizzato (con l’aiuto della NATO) con una forza di difesa professionale e volontaria determinata a proteggere l’indipendenza del paese. I militari russi, quando hanno raggiunto città come Kherson, sono stati accolti con fucili e non con fiori. Al terzo giorno dell’invasione era diventato evidente ai comandanti russi che erano stati commessi gravi errori di presunzione sulle proprie capacità militari e di valutazione sulla capacità e volontà di resistenza ucraine, a seguito dei quali l’”operazione militare speciale” russa non è mai stata in grado di riprendersi del tutto. L’arroganza e l’eccessiva fiducia della Russia hanno portato a false supposizioni che hanno sabotato la missione militare.

Ad oltre dieci mesi dall’invasione iniziale, la straordinaria resilienza e il coraggio dell’Ucraina hanno evitato la sconfitta, ma non garantito la vittoria. L’attuale situazione di stallo nel conflitto Russia-Ucraina è dovuto al fatto che il Cremlino dice che combatterà finché tutti i suoi obiettivi non saranno raggiunti, e la Russia non abbandonerà i territori che ha già conquistato, mentre Kyiv dice che non si fermerà fino a quando ogni soldato russo viene espulso da tutto il suo territorio, comprese le regioni del Donbass e Crimea, che la Russia tratta come propri territori. Ciò che non è possibile ottenere con la forza sul campo di battaglia, non sarà possibile ottenerlo al tavolo dei negoziati, questo sembra valere per entrambe le parti, che credono di poter cambiare ulteriormente la situazione attuale con i mezzi militari. Per questo motivo continuano le intense battaglie nell’Ucraina orientale e meridionale e probabilmente aumenteranno anche gli attacchi lanciati dall’Ucraina all’interno dei territori russi.

La cosa più difficile è stimare per quanto tempo le parti in conflitto potranno resistere all’attuale livello di distruzione in termini di soldati, munizioni e morale. Ciascuna parte deve aumentare il costo della guerra nella speranza che il nemico sia vicino al punto di rottura3.

Il fatto che i paesi dell’Europa orientale siano diventati degli attori e non solo delle pedine nelle lotte di potere di attori più grandi – Russia e Stati Uniti – è un aspetto chiave di questa guerra. E va ben oltre il caso della guerra ucraina.

Storicamente la Polonia, come le repubbliche baltiche (Lettonia, Estonia e Lituania), nutre un’estrema ostilità nei confronti della Russia (sinonimo di conquista, spartizione, genocidio, colonialismo e comunismo4) e con la guerra è diventata un attore molto più influente nella difesa europea di quanto non sia mai stato prima. Non è solo il fatto che è un paese in prima linea che accoglie molti dei profughi provenienti dall’Ucraina5, fornisce una via di terra per rifornire l’Ucraina di armi e aiuti umanitari e invia assistenza di tasca propria (più di 3,5 miliardi di dollari finora). La Polonia sta anche aumentando la sua spesa per la difesa dal 2,2% del suo PIL a un record del 3% del PIL nel 2023, uno dei tassi più alti all’interno della NATO. Il denaro andrà a modernizzare ed espandere le sue forze militari e potrebbe rendere l’esercito polacco uno dei più grandi ed armati del continente. Varsavia sta acquistando carri armati e obici semoventi dalla Corea del Sud in un accordo del valore di 5,76 miliardi di dollari e ha acquistato dagli USA 250 carri armati Abrams per 6 miliardi di dollari e 208 missili Patriot (al costo di 3,4 milioni l’uno) e acquisterà 32 caccia F-35 nei prossimi anni con una spesa di oltre 6,5 miliardi di dollari. La Polonia è oggi l’alleato più stretto degli Stati Uniti, che stanno facendo del paese il fulcro del loro dispiegamento militare nell’Europa orientale. La Polonia è anche un Paese dotato di un sistema politico nazionalista autoritario ed intollerante che probabilmente sarà una futura fonte di gravi problemi per l’UE.

Il caso polacco non è un’eccezione. Il bilancio della difesa della Romania raggiungerà il 2,5% del PIL l’anno prossimo, ben oltre l’obiettivo della NATO del 2%. Anche gli Stati baltici – Lettonia, Lituania ed Estonia – raggiungeranno l’obiettivo di spendere il 2,5% del loro PIL nei prossimi anni.

In effetti, i paesi della regione orientale si stanno riarmando su vasta scala, con i vecchi sistemi di fabbricazione sovietica trasferiti in Ucraina o completamente demoliti.

Si deve anche considerare il peso politico che i paesi dell’Est Europa stanno acquisendo all’interno dell’UE e della NATO. Per molti anni, la Polonia e gli Stati baltici sono stati liquidati come troppo aggressivi nei confronti della Russia. L’approccio cauto della Germania, basandosi sull’idea che stretti legami commerciali avrebbero creato interessi comuni con Mosca, ha prevalso e è stato condiviso da altre grandi potenze dell’Europa occidentale, inclusa la Francia.

È stato così anche dopo l’annessione russa della penisola ucraina di Crimea e la prima fase della guerra nella regione del Donbass nel 2014-2015. Gli osservatori europei ricordano il presidente francese Emmanuel Macron che tifava per la Francia accanto a Putin durante la finale della Coppa del Mondo 2018 a Mosca.

Ma l'”operazione militare speciale” avviata da Putin il 24 febbraio di quest’anno contro l’Ucraina per “denazificare” e smilitarizzare il paese, che secondo lui rappresentava una minaccia per la Russia a causa del sostegno militare ricevuto dalla NATO, ha ribaltato tutto ciò. Kyiv e l’Occidente affermano che l’invasione di Putin è stata semplicemente un furto di terre imperialista. Ha rinsaldato il ruolo della NATO (un’alleanza data come “cerebralmente morta” da Macron solo un paio di anni prima), rilegittimato la leadership americana, innalzato il livello delle ambizioni europee e riavvicinato le due sponde dell’Atlantico. Ora UE e Stati Uniti stanno inviando miliardi di dollari in assistenza al governo ucraino e applicano sanzioni sempre più stringenti contro Mosca, compreso il suo redditizio settore energetico6, anche se finora non hanno raggiunto l’obiettivo dichiarato di negare a Putin le risorse per combattere una guerra prolungata, mentre in concreto rischiano di provocare la recessione economica e la deindustrializzazione tedesca e di altri paesi europei nel 2023 (si vedano i nostri articoli qui e qui)7. E la Polonia (un paese screditato sul piano politico per il regime autoritario che fa capo al duo Morawiecki-Kaczyński in conflitto con l’UE sullo stato di diritto e altre questioni, dall’immigrazione ai diritti LGBTQ+; si veda il nostro articolo qui) e gli Stati baltici sono in prima linea in questo sforzo, spingendo per sanzioni sempre più severe contro Mosca. Si sentono incoraggiati e guidano la politica dell’UE contro la Russia.

Allo stesso tempo, la guerra ha rafforzato gli “amici” di Putin nell’Europa orientale. È stata un’opportunità mandata dal cielo per il primo ministro ungherese Viktor Orbàn per invertire il suo calo negli indici di approvazione e vincere a mani basse la rielezione per la terza volta. Ha abilmente gonfiato e sfruttato i timori degli elettori che il loro paese potesse essere trascinato nel conflitto per vincere il voto di aprile (si veda il nostro articolo qui).

Successivamente, Orbàn è riuscito a ritagliarsi un’esenzione dall’embargo dell’UE sul petrolio russo che raggiunge l’Ungheria attraverso l’oleodotto Druzhba (Amicizia) attraverso la Bielorussia e l’Ucraina. Ha anche usato il suo potere di veto su un pacchetto di aiuti da 18 miliardi di euro per l’Ucraina come leva per revocare il congelamento dei fondi per il Next Generation UE che Bruxelles aveva condizionato al fatto che il suo governo attuasse riforme dello stato di diritto.

Mentre l’Ungheria con la sua posizione pro-Cremlino ha agito per condizionare gli sforzi per aiutare l’Ucraina, ha anche contribuito alla crescente centralità dell’Europa orientale nell’agenda di Bruxelles. Negli ultimi 10 mesi, l’UE ha mostrato un impegno molto più serio nei confronti degli aspiranti candidati lungo il suo confine orientale (dall’Ucraina e Moldavia ai Balcani occidentali). Budapest può rivendicare almeno una parte del merito di ciò, poiché l’uomo al posto di guida dell’allargamento è il commissario Oliver Varhelyi, un diplomatico di carriera ungherese (considerato vicino a Orbàn).

Naturalmente, anche altri Stati dell’Europa orientale sono stati molto attivi in questo processo. Polonia, Romania e altre nazioni della regione hanno fatto pressioni affinché Ucraina e Moldavia aderissero all’unione. Hanno ottenuto lo status di candidato a giugno.

Allargamento della UE nei Balcani occidentali

Sotto la presidenza ceca dell’UE, iniziata a luglio, Bruxelles ha anche intensificato gli sforzi di impegno nei Balcani occidentali. A metà dicembre, la Bosnia-Erzegovina si è candidata ufficialmente mentre al Kosovo è stato finalmente dato il via libera alla liberalizzazione dei visti, prevista per l’inizio del 2024. La Slovenia ha esercitato forti pressioni per lo status di candidato della Bosnia, in particolare, anche se Sarajevo non è riuscita a soddisfare molte delle condizioni politiche.

Anche il vertice UE-Balcani occidentali del 6 dicembre tenutosi a Tirana ha dimostrato l’impegno dell’UE nei confronti della regione. Significativamente, è stata la prima volta che la dirigenza dell’Unione Europea si è riunita in un paese terzo.

Durante il vertice, i leader dell’UE e dei Balcani hanno tracciato una via verso un mercato comune regionale. Bruxelles si è impegnata a spendere miliardi per costruire infrastrutture transfrontaliere e per “rendere più verdi” e “digitalizzare” le economie balcaniche. Ha inoltre annunciato un pacchetto da 1 miliardo di euro per aiutare i membri extra UE nella regione a far fronte alla crisi energetica causata dalla guerra in Ucraina. La Croazia ha ottenuto il via libera definitivo per l’ingresso nell’area Schengen, nonché nell’eurozona, a partire dal 1° gennaio 20238.

La UE appare soprattutto interessata a bloccare il flusso di migranti che arrivano attraverso i Balcani occidentali. Il dossier migrazioni è stato uno dei temi centrali nel corso del summit di Tirana. L’agenzia Frontex ha da qualche anno esteso il proprio mandato nei Balcani. Lo scorso novembre il Consiglio europeo ha autorizzato l’avvio di negoziati per ampliare gli accordi sulla cooperazione tra Albania, Serbia e Montenegro con Frontex. “Gli accordi […] consentiranno all’agenzia di assistere questi paesi nei loro sforzi per gestire i flussi migratori, contrastare l’immigrazione clandestina e combattere la criminalità transfrontaliera in tutto il loro territorio. I nuovi accordi consentiranno inoltre al personale di Frontex di esercitare poteri esecutivi, quali le verifiche di frontiera e la registrazione delle persone”, si legge sul sito del Consiglio. L’obiettivo è chiaro: “Rafforzare le frontiere esterne dell’UE” (sul tema della migrazione e Frontex si veda il nostro articolo qui).

Questo anche se le relazioni tra Kosovo e Serbia sono sempre più tese. I timori di violenze sono aumentati vertiginosamente dall’inizio della guerra della Russia in Ucraina. La Serbia ha richiesto di poter aderire all’UE nel 2009 e ha iniziato i negoziati nel 2014, tuttavia il suo governo è fortemente filo-russo. Il paese dipende dal supporto diplomatico di Mosca, da cui ottiene anche l’85% del suo import di gas, per cui Belgrado ha una posizione di neutralità nel conflitto ucraino e ha deciso di non introdurre sanzioni contro la Russia. Una postura politica che sta bloccando l’avanzamento della procedura di ingresso nell’UE. In questi giorni, le forze armate serbe sono al “massimo livello” di allerta, ha detto il ministro della Difesa Milos Vucevic, con il vicino Kosovo a causa di recenti sparatorie e blocchi. Il Kosovo ha dichiarato l’indipendenza unilaterale dalla Serbia nel 2008 (dopo l’intervento militare della NATO nella guerra del 1998-1999), ma Belgrado ha rifiutato di riconoscerla9 e ha incoraggiato i 120.000 serbi etnici del Kosovo (che ha 1,8 milioni di abitanti, prevalentemente di etnia albanese) a sfidare l’autorità di Pristina, specialmente nel nord dove i serbi etnici costituiscono la maggioranza. L’esercito serbo è stato più volte messo in stato di allerta per le tensioni con il Kosovo negli ultimi anni, l’ultima volta a novembre dopo che il governo ha affermato che diversi droni sono entrati nello spazio aereo serbo dal Kosovo.

Il 10 dicembre, i serbi nel Kosovo settentrionale hanno allestito barricate per protestare contro l’arresto di un ex poliziotto sospettato di essere coinvolto in attacchi contro agenti di polizia di etnia albanese. I blocchi hanno coinciso con un aumento di sparatorie segnalate, l’ultima avvenuta domenica, secondo la forza di mantenimento della pace guidata dalla NATO-KFOR (formata in buona parte da carabinieri italiani)10. Il primo ministro serbo Ana Brnabic ha dichiarato la scorsa settimana che la situazione con il Kosovo è “sull’orlo di un conflitto armato“. Ma il consiglio di sicurezza del Kosovo – che si è riunito lunedì – ha accusato la Serbia dell’ultimo deterioramento delle relazioni e di “agire con tutti i mezzi disponibili contro l’ordine costituzionale della Repubblica del Kosovo”. Il presidente della Serbia, Alexandar Vucic, ha posto le forze di sicurezza al confine con il Kosovo in “pieno stato di prontezza al combattimento“. In aggiunta alle tensioni, lunedì al patriarca serbo Porfirije è stato negato l’ingresso in Kosovo a un valico di frontiera, dopo aver detto che avrebbe voluto consegnare un messaggio di pace per il Natale serbo-ortodosso, che si celebra il 7 gennaio. La crisi dei rapporti tra i due paesi, dunque, sembra destinata a continuare, nonostante gli appelli dell’Unione Europea e della NATO affinché le tensioni si allentino.

Fino a quando ci sarà la guerra in Ucraina?

Anche se per arrivare all’allargamento ai Balcani occidentali ci vorranno molti anni, l’Europa orientale sta costruendo un’influenza sulle politiche europee ben oltre il suo peso. E tra tutte le persone, Putin merita certamente un po’ di credito per questo. Ha spinto la regione a mobilitarsi sia politicamente che militarmente per respingere la sua aggressione. Il capo del Cremlino preferirebbe parlare di geopolitica in Europa con Washington, e forse Berlino e Parigi, ignorando Varsavia, Bucarest e Tallinn. Ma oggi questo suo desiderio è senza dubbio destinato a rimanere inesaudito.

La Russia ha pagato un tributo in termini di prestigio diplomatico perduto. Negli incontri con le repubbliche dell’Asia centrale, Putin a volte si è trovato umiliato e contraddetto, e si parla di un vuoto di sicurezza nel Caucaso, mentre il prestigio russo si affievolisce. Nell’ultimo attacco ritenuto ucraino teso a mettere in luce le lacune nelle difese aeree russe, lunedì un drone è penetrato per centinaia di chilometri attraverso lo spazio aereo russo, provocando un’esplosione mortale in una base principale per i suoi bombardieri strategici. Il sostegno diplomatico positivo alla Russia è limitato a Bielorussia, Corea del Nord, Siria, Iran ed Eritrea (anche se sono oltre un centinaio i paesi che non hanno aderito all’imposizione delle sanzioni decise dall’Occidente). Il ministro della Difesa cinese, Wei Fenghe, a giugno ha dichiarato che il suo paese non avrebbe fornito un proiettile alla Russia, descrivendo la relazione come una partnership, non un’alleanza.

Per ora Putin non appare tanto alla ricerca di una via d’uscita, quanto di un modo per rimanere in guerra e non perderla. Nella fase attuale tenta di distruggere le infrastrutture civili ed energetiche ucraine (9 milioni di ucraini, oltre un quarto della popolazione, non hanno più l’energia elettrica, mentre il freddo invernale aumenta), creare un problema di rifugiati (una seconda ondata di profughi ucraini11) che l’occidente non può tollerare (i centri di accoglienza in Germania sono pieni, i comuni in sofferenza, una situazione che caratterizza anche Paesi come Olanda, Belgio e Austria) e di iniziare una guerra economica contro l’occidente. È su questo che si giocherà la guerra e tutto sarà deciso.

Ciò che determinerà l’esito della guerra sarà la volontà di Stati Uniti, Unione Europea e altri paesi del fronte occidentale di continuare a sostenere l’Ucraina12. Si tratta di vedere fino a che punto le economie degli Stati Uniti e dei paesi europei possono permettersi una così grande quantità di assistenza finanziaria e militare. Nel 2023 una terribile situazione economica e il cambiamento dell’opinione pubblica potrebbero indebolire considerevolmente il sostegno occidentale all’Ucraina.

Più di ogni altro paese europeo, la Germania determinerà se il continente manterrà la rotta con l’Ucraina. La Germania è stata il paese europeo più disposto a cambiare la sua politica estera e ad abbandonare lo status quo. In sostanza, la Germania ha passato gli ultimi 12 mesi a rinnegare la sua linea geopolitica postbellica. Lo Zeitenwende di Olaf Scholz ha previsto il riarmo della Germania con un investimento di 100 miliardi di euro nel suo esercito. La Germania ha anche accettato di inviare missili anticarro e missili Stinger in una zona di guerra. Il presidente Frank-Walter Steinmeier, per anni il più accanito sostenitore del compromesso con la Russia, si è recato a Kyiv per scusarsi. Ha detto che la dipendenza della Germania dal gas russo è stato un errore strategico, nato da un ostinato fraintendimento di Putin. “Di fronte al male, la buona volontà non bastava.”

Annalena Baerbock, ministro degli Esteri dei Verdi, è andata oltre, sostenendo che l’Ostpolitik dei socialdemocratici si era basata su una falsa analisi storica indotta dall’ottimismo sul nuovo ordine mondiale post-Unione Sovietica degli anni ’90, quando si era pensato che i paesi non sarebbero mai entrati in guerra con partner commerciali. La Baerbock ha sostenuto che il debito morale della Germania di “responsabilità speciale” legava la Germania non alla Russia, ma principalmente a ebrei e polacchi, bielorussi e ucraini, e solo dopo ai russi. Afferma, con una formula che Scholz evita di utilizzare: “Raggiungeremo la sicurezza solo senza, non con la Russia di Vladimir Putin.” In tal modo si avvicina più di Biden, Macron o addirittura Scholz a schierarsi con coloro che affermano che la guerra deve finire con Putin visto come sconfitto, un’articolazione che solleva domande difficili sulle future relazioni dell’Europa con la Russia.

Ma, alla fine, Baerbock non è sola al comando. Per ora lo Zeitenwende è uno slogan e non c’è davvero un cambiamento mentale e strategico. Vengono spesi più soldi per il riarmo, ma sono le stesse persone con la stessa cauta mentalità burocratica a gestire la politica estera tedesca. Si tratta di processi a lungo termine e i conti si faranno più avanti. Piuttosto, i governanti della Polonia e dei paesi baltici ritengono che quando la guerra sarà finita ci dovrà essere una resa dei conti che vedrà un allontanamento dell’Unione Europea dal centro di gravità franco-tedesco.

In effetti, la colpa del fallimento dell’UE a prevenire, evitare e arrestare con una propria iniziativa diplomatica il conflitto armato ucraino è principalmente di Francia e Germania, i paesi leader europei, che non sono riusciti a sviluppare un progetto geopolitico europeo che fosse indipendente (la cosiddetta “autonomia strategica”) dal disegno degli Stati Uniti che prevede lo scontro con Russia e Cina per il mantenimento del proprio dominio globale.

Alessandro Scassellati

  1. In una risoluzione adottata il 15 dicembre, il Parlamento europeo ha riconosciuto la carestia inflitta dal regime sovietico all’Ucraina nel 1932-1933 – nota come Holodomor – come genocidio. I deputati hanno condannato fermamente questi atti, che hanno provocato la morte di milioni di ucraini come di altri cittadini russi, e invitato tutti i paesi e le organizzazioni che non lo hanno ancora fatto a seguire l’esempio e a riconoscerlo come genocidio. Sempre sulla base di una lettura apertamente politica della storia, poche settimane prima il Parlamento europeo ha adottato un’altra risoluzione che ha condannato la Russia come Stato sponsor del terrorismo. Una etichettatura finora rifiutata dagli Stati Uniti perché scatenerebbe una vasta gamma di sanzioni che danneggerebbero non solo l’economia russa, ma anche chiunque svolga affari legittimi nel paese. La Russia fa abbastanza parte dell’economia globale che una designazione terroristica da parte degli Stati Uniti potrebbe causare danni maggiori in tutto il mondo rispetto a quelli causati dalle sanzioni già in atto.[]
  2. Secondo la ricostruzione storica ufficiale russa, la Russia di Kyiv – l’entità nata nel IX secolo dall’insediamento dei Rus’, popolazioni di origine vichinga, intorno alla citta – viene considerata l’origine dell’attuale Russia. La lunga storia indipendente dell’Ucraina, la sua complessa relazione con la Polonia e la Lituania, l’occupazione ottomana e poi quella austriaca, cosi come la breve stagione dell’indipendenza dopo la Rivoluzione bolscevica, sono tutte viste come semplici episodi di un percorso tanto “obbligato” quanto “naturale” di ricongiungimento alla “madrepatria russa”. Gli ucraini hanno combattuto insieme ai russi nella “Grande guerra patriottica” (la Seconda guerra mondiale) e hanno pagato un contributo di sangue enorme nel conflitto, anche se una parte di loro si è schierata con Hitler che prometteva l’indipendenza nazionale in cambio dell’adesione alla “crociata anticomunista” e, in questo contesto, ha partecipato allo sterminio degli ebrei ucraini. Anche dopo averne riconosciuto l’indipendenza a seguito dell’implosione dell’Unione Sovietica nel 1991, Mosca ha continuato a considerare l’Ucraina, al pari della Bielorussia, come il suo “estero vicino” (concetto coniato dal ministro degli esteri Evgenij Primakov nel 1996), ossia come parte della propria “sfera di influenza”. Nel suo discorso di capodanno nel 2020, Zelenskiy ha chiesto agli ucraini di chiedersi: “Chi sono io?”, e di non trovare una risposta semplicemente escludendo gli altri. “I nostri passaporti non dicono se siamo il tipo giusto di ucraini o quello sbagliato. Non c’è una voce lì che dice “patriota”, “maloros” [un termine dispregiativo usato per descrivere un nativo ucraino senza identità nazionale], “vatnik” [un termine dispregiativo per un cittadino filo-russo] o “banderite” [un termine dispregiativo per un nazionalista ucraino]. Ha detto: “cittadino dell’Ucraina”, che ha diritti e doveri. Siamo tutti molto diversi”. L’idea era di vivere insieme con rispetto. Zelenskiy è stato fondamentale per dare agli ucraini la possibilità di rendersi conto che condividevano un ricco destino comune che trascendeva la diversità linguistica, nazionale e religiosa. Zelenskiy fa parte di una generazione che non voleva solo abbandonare la propria “russicità”, ma trovare una nuova identità civica ucraina legata a un’idea di valori comuni. In quanto ebreo di lingua russa del sud-est dell’Ucraina, Zelenskiy è stato perfetto per dimostrare come non solo le città occidentali di Lviv e Kyiv, ma anche gli ucraini di lingua russa (di Kharkiv e Odessa), compresi quelli dell’est, potessero identificarsi pienamente con lo stato ucraino ed esprimere il loro patriottismo.[]
  3. Il bilancio è già enorme. Oltre alla distruzione di una miriade di infrastrutture ed edifici pubblici e privati, l’uccisione di miglia di soldati, ufficialmente sono stati uccisi 6.884 persone, tra cui 429 bambini, secondo l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani. Ma, l’agenzia afferma che è probabile che la cifra effettiva sia “considerevolmente più alta, poiché la ricezione di informazioni da alcuni luoghi in cui si sono svolte intense ostilità è stata ritardata e molti rapporti sono ancora in attesa di conferma“. Il capo di stato maggiore degli Stati Uniti, Mark Milley, sostiene che siano morti almeno 100 mila soldati russi. Sulla base di riferimenti open-source, il sito Oryx ha determinato che i russi hanno perso un totale di 1.491 carri armati dal 24 febbraio, di cui 856 sono stati distrutti, 62 danneggiati e 55 abbandonati, e gli ucraini ne hanno presi più di 518. La Russia, anche se involontariamente, è diventata il più importante fornitore di armi dell’Ucraina. Secondo un calcolo, gli Stati Uniti hanno speso il 5,6% del loro budget annuale per la difesa per distruggere quasi la metà della capacità militare della Russia. In 10 mesi di “operazione militare speciale” in Ucraina, la Russia ha dilapidato risorse immani: più di 82 miliardi di dollari, un quarto del suo bilancio federale. Almeno 29 miliardi sono andati per armare il corpo di spedizione e altri 16 per stipendiarlo. L’Istituto per gli studi sulla guerra stima che ogni singolo battaglione al fronte costi al Cremlino più di 1,2 miliardi al mese. Oggi a combattere in Ucraina ce ne sono più di 180. Altri soldi sono serviti a risarcire i familiari dei soldati morti (9 miliardi) o feriti (7,7 miliardi). Le armi distrutte fanno salire il conto con altri 21 miliardi a quota 50. Le successive sconfitte sul campo di battaglia hanno danneggiato la reputazione del grande esercito russo. Prima doveva esserci il “raggruppamento” nel nord, quando la Russia si rese conto che non poteva prendere Kyiv e Chernihiv. Il 6 settembre è avvenuto il clamoroso crollo del fronte russo nel nord-est della regione di Kharkiv. L’11 novembre la Russia si è ritirata dalla città portuale di Kherson, ritirandosi dal territorio che aveva annunciato come annesso e parte della Russia solo 40 giorni prima. L’obiettivo di stabilire un corridoio terrestre verso la Transnistria – una regione separatista della Moldavia sostenuta dalla Russia, uno dei vicini occidentali dell’Ucraina – è, per ora, abbandonato. Da settembre l’Ucraina afferma di aver recuperato più di 8.000 km quadrati di territorio occupato dai russi. Per la Russia il 2023 è un anno cruciale, perché l’amministrazione Putin deve prepararsi alle elezioni del 2024. Se la Russia non riesce a consolidare ciò che ha guadagnato o addirittura fa troppi compromessi con Stati Uniti e Ucraina, l’agenda di Putin per il 2024 sarebbe nei guai, quindi è impossibile per la Russia adeguare le sue condizioni per i colloqui di pace.[]
  4. È bene ricordare che nel 1940 le tre repubbliche baltiche erano state costrette a unirsi all’URSS come conseguenza del “patto Molotov-Ribbentrop” di non aggressione del 1939, dopo l’accordo raggiunto a Monaco nel 1938 tra la Germania nazista, Regno Unito, Francia e Italia che consentiva alla Germania di annettere i Sudeti in quella che allora era la Cecoslovacchia occidentale. Il patto Molotov-Ribbentrop e i suoi protocolli segreti stretto tra Hitler e Stalin facilitò al dittatore tedesco lo scatenamento della seconda guerra mondiale e comportò la divisione dell’Europa centrale e orientale nelle sfere di influenza naziste e sovietiche, con la spartizione della Polonia. Il patto restò in vigore fino al giugno del 1941, quando la Germania invase l’URSS. Le tre repubbliche baltiche riconquistarono la loro indipendenza solo con il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991. L’attuale leadership governativa polacca sostiene che i sovietici hanno cooperato con la Germania nazista nell’avviare la Seconda guerra mondiale, mentre sovietici e russi hanno sempre sostenuto che l’Unione Sovietica è stata costretta a firmare il patto Molotov-Ribbentrop dopo che le potenze occidentali hanno rifiutato la creazione di un’alleanza militare contro la Germania nazista. Il Parlamento europeo ha scelto di seguire i polacchi e ha adottato una risoluzione nel settembre 2019, mentre il mondo celebrava l’80° anniversario del Patto Molotov-Ribbentrop, che affermava che il patto “ha aperto la strada allo scoppio della seconda guerra mondiale“, quasi accusando l’Unione Sovietica di essere responsabile, insieme alla Germania nazista, dello scoppio della Seconda guerra mondiale, dimenticando apparentemente che i nazisti invasero la Polonia il 1° settembre 1939 e attaccarono l’Unione Sovietica il 22 giugno 1941.[]
  5. La Polonia ospita oggi circa 1 milione di rifugiati dall’Ucraina (e altrettanti ucraini che vivevano lì prima della guerra). Quasi il 60% ha trovato lavoro. Se la Polonia decidesse che è piena, ben 2 milioni di rifugiati in più potrebbero, in teoria, trasferirsi nei paesi dell’Europa occidentale, prevalentemente in Germania. Secondo una stima questo potrebbe costare circa 48 miliardi di euro all’anno.[]
  6. Il 5 dicembre è entrato in vigore un embargo sulle forniture marittime di petrolio dalla Russia all’Unione Europea. L’UE, il Gruppo dei Sette (Regno Unito, Germania, Italia, Canada, Stati Uniti, Francia, Giappone) e l’Australia hanno concordato un prezzo massimo per il petrolio russo fornito via mare a 60 dollari (56 euro) al barile. Stati Uniti, UE e Regno Unito vietano alle loro società di fornire servizi di trasporto, finanziari e assicurativi alle petroliere che trasportano petrolio dalla Russia a un prezzo superiore al “livello concordato“. Il Cremlino ha risposto al meccanismo del price cap vietando la vendita di petrolio russo a tutte le entità che si adegueranno a questo meccanismo.[]
  7. Attraverso un misto di pianificazione statale e parsimonia individuale, la Germania si è resa autonoma dall’energia russa, un risultato straordinario per un paese che dipendeva dalla Russia per il 55% del suo gas. L’industria tedesca ha ridotto il consumo di gas di circa il 25% dall’inizio dell’anno, mentre la produzione industriale è diminuita solo dell’1,4%. Lo Stato ha trovato fornitori alternativi in Norvegia, Paesi Bassi, Belgio, Francia, Qatar e Stati Uniti. Dato lo stato delle riserve tedesche, questo inverno i blackout sembrano meno probabili in Europa, anche se il prossimo inverno è più preoccupante. La Germania ha guidato gli sforzi per contenere la rabbia per l’aumento delle bollette costruendo pacchetti di sussidi estremamente costosi. Dall’inizio della crisi energetica nel settembre 2021, secondo il Bruegel Institute, l’incredibile cifra di 705,5 miliardi di euro è stata assegnata o stanziata in tutti i paesi europei per proteggere i consumatori dall’aumento dei costi energetici.[]
  8. La Croazia, quindi, entra nell’area di libero movimento consentendo l’allargamento dei confini esterni dell’UE. Confini che negli ultimi anni sono stati rafforzati, equipaggiati e militarizzati per bloccare la cosiddetta “rotta balcanica”, ovvero uno dei principali flussi di migranti verso l’Unione Europea che nel 2015 consentì l’ingresso di oltre un milione di persone in fuga dalle guerre del Medio Oriente. Da allora Bruxelles ha dato alla Croazia 163 milioni di euro per la “gestione delle migrazioni”. Più di tre quarti di questo denaro è andato per aumentare il livello di sicurezza, finanziando l’ammodernamento delle frontiere, l’addestramento e soprattutto l’equipaggiamento in dotazione alla polizia di confine. Un equipaggiamento che comprende fuoristrada, droni, elicotteri, telecamere a infrarossi, apparecchiature che rilevano i battiti cardiaci e termocamere installate sui suddetti mezzi, utilizzati per mantenere i migranti lontano dalle frontiere europee. Inoltre, secondo il Border Violence Monitoring Network, dal 2017 la polizia croata avrebbe effettuato espulsioni collettive, negando la possibilità di accedere alla procedura di asilo a migliaia di persone, e commesso violenze a danno dei migranti, respingendoli oltre il confine con la Bosnia-Erzegovina. Solo tra l’estate del 2019 e il 2021, sarebbero infatti oltre 30mila i respingimenti dai confini croati.[]
  9. Gli Stati Uniti e la maggior parte dei paesi dell’UE – ma non 5 paesi, tra cui Spagna e Slovacchia – hanno riconosciuto l’indipendenza del Kosovo, mentre la Serbia ha fatto affidamento su Russia e Cina nel suo tentativo di mantenere la rivendicazione sulla sua ex provincia.[]
  10. La situazione nel nord del Kosovo è particolarmente tesa da novembre, quando 600 lavoratori di etnia serba della polizia del Kosovo e del ramo giudiziario, come giudici e pubblici ministeri, sono entrati in sciopero. Protestavano contro la controversa decisione di vietare ai serbi che vivono in Kosovo di utilizzare targhe emesse da Belgrado, una politica che alla fine è stata abbandonata da Pristina. Ma gli scioperi di massa hanno creato un vuoto di sicurezza in Kosovo. Pristina ha tentato di programmare le elezioni locali per il 18 dicembre nei comuni a maggioranza serba, ma sono state rinviate dopo che l’annuncio ha causato indignazione diffusa e il principale partito politico serbo ha dichiarato che avrebbe organizzato un boicottaggio. Poi, il 10 dicembre, è stato arrestato un ex poliziotto sospettato di coinvolgimento in attacchi contro agenti di polizia di etnia albanese, una misura considerata oltraggiosa da parte dei serbi di etnia serba che hanno eretto barricate che paralizzano il traffico attorno a due valichi di frontiera. Poche ore dopo l’erezione delle barricate, la polizia del Kosovo ha dichiarato di aver subito tre successivi attacchi con armi da fuoco su una delle strade che portano al confine. La KFOR, che ha aumentato la sua presenza e le pattuglie nella regione negli ultimi mesi, ha affermato che l’ultimo attacco è avvenuto domenica, quando sono stati sparati colpi in direzione di soldati lettoni che fanno parte del contingente. La KFOR ha fatto sapere che sta indagando sull’incidente e ha aggiunto che “non ci sono stati feriti o danni materiali“.[]
  11. Attualmente, circa 7 milioni di persone sono rifugiati interni, mentre altri 7,9 milioni circa sono rifugiati all’estero: la più grande crisi migratoria in Europa dopo la seconda guerra mondiale (dati Unhcr), con donne e bambini che rappresentano circa il 90% dei rifugiati. Di questi, 4,8 milioni sono registrati in Unione Europea con la Temporary Protection Directive, una misura che permette loro di scegliere il paese di destinazione e lì lavorare subito. Questo ha permesso una distribuzione più equilibrata dei rifugiati, se comparata ad altre ondate.[]
  12. Da gennaio Biden e i Democratici non controlleranno più la Camera dei Rappresentanti ed è probabile che diventerà più difficile per l’amministrazione Biden continuare a firmare assegni in bianco a Zelenskiy. Finora l’amministrazione Biden ha promesso di continuare a sostenere Kyiv a combattere le forze russe all’interno dell’Ucraina (fornendo anche missili difensivi Patriot), mentre si è opposta a fornire i droni Grey Eagle e Reaper e i missili ATACMS a lungo raggio che potrebbero consentire agli ucraini di colpire obiettivi russi all’interno della Russia. Armi che, secondo gli ucraini, sono fondamentali per consentire loro di riconquistare il territorio perduto (circa un quinto del paese) e costringere la Russia sulla difensiva, ma secondo i funzionari statunitensi i costi per farlo sono troppo alti e aumenterebbero il rischio di dare avvio ad una Terza Guerra Mondiale in cui potrebbero essere utilizzate armi nucleari. È nell’interesse di Washington mantenere il conflitto come una guerra per procura senza perdite umane statunitensi.[]
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