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La guerra di Putin e il futuro del modello economico tedesco – Prima parte

di Alessandro
Scassellati

A sei mesi dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, gli effetti negativi della guerra, delle sanzioni e contro-sanzioni sono ormai evidenti in tutti in tutti i Paesi dell’Unione Europea, con un’inflazione vicina a due cifre trainata dall’aumento dei prezzi di cibo ed energia. In questo primo di due articoli iniziamo ad analizzare l’impatto che questi effetti stanno avendo sulla principale economia europea, quella tedesca. L’interrogativo principale è se e come il modello economico tedesco sopravviverà alla guerra del presidente russo Vladimir Putin contro l’Ucraina.

La scenario economico recessivo europeo

Nelle intenzioni dei Paesi dell’Unione Europea – a cominciare dalla Germania – il 2022 doveva essere l’anno del consolidamento della ripresa economica post-pandemica dopo il ritorno a tassi di crescita sostenuti nel 2021. Una sostenuta domanda di consumi post-pandemia, supportata da un’abbondante spesa pubblica (sia dei singoli Stati sia dell’Unione attraverso il programma Next Generation UE), avrebbe dovuto sostenere l’economia europea e aiutare imprese e famiglie affaticate a ritrovare un senso di normalità dopo due anni terribili. Un anno fa la maggior parte delle previsioni degli analisti economici annunciavano una crescita economica dell’economia europea vicina al 5% nel 2022.

Ma tutto è drammaticamente cambiato il 24 febbraio con l’invasione russa dell’Ucraina. La normalità è finita e la crisi sembra ora essere diventata permanente. A giugno, i volumi delle vendite al dettaglio sono diminuiti di quasi il 4% rispetto all’anno precedente, guidati da un calo del 9% registrato in Germania. I consumatori si rivolgono alle catene discount e rinunciano ai prodotti di fascia alta, passando a marchi scontati. Hanno anche iniziato a saltare alcuni acquisti.

Secondo quasi tutti gli analisti, una recessione è ormai quasi certa, l’inflazione si avvicina a due cifre trainata da alti prezzi di energia (benzina e soprattutto gas) e cibo (esacerbati, oltre che dalla guerra, da una devastante siccità), a livelli che non si vedevano da mezzo secolo, molte delle catene di approvvigionamento di materie prime e componenti sono nel caos o interrotte, in molti settori, sia industriali sia dei servizi, ci sono carenze di lavoratori, la BCE ha cominciato ad aumentare i tassi di interesse anche se si muoverà con cautela, consapevole del fatto che l’aumento del costo del debito per alcuni Paesi dell’Eurozona – come Italia, Spagna e Grecia – potrebbe mettere a rischio la loro capacità di continuare a pagare gli interessi sui propri debiti1, e un inverno con una incombente carenza di energia si avvicina rapidamente. È probabile che questa deprimente prospettiva peggiori fino al 2023, con una recessione in atto in Europa nell’inverno 2022-23 a causa della carenza di energia e dell’inflazione sostenuta. È assai probabile che anche l’inverno 2023-24 sarà impegnativo, prima che vi sia qualsiasi miglioramento significativo2. La crisi è diventata la nuova normalità perché tutto quello a cui i Paesi europei sono stati abituati negli ultimi decenni – bassa inflazione ed alti tassi di espansione del commercio internazionale – è al momento finito.

La vita sta diventando più cara e i consumatori sono riluttanti a consumare. Finora le aziende hanno reagito bene grazie all’eccezionale potere di determinare i prezzi dovuto ai persistenti vincoli delle catene di fornitura. Ma i settori ad alta intensità energetica (siderurgia, ceramica, carta, vetro, …) stanno già soffrendo. È stata già persa quasi la metà della capacità di produzione di alluminio e zinco in Europa, mentre gran parte della produzione di fertilizzanti, che si basa sul gas naturale, è stata interrotta.

Il turismo è stato finora il raro punto luminoso – soprattutto per l’Italia, dove rappresentava il 13% del PIL prima della pandemia – con le persone che cercano di spendere parte dei risparmi accumulati e godersi la loro prima estate spensierata dal 2019. Ma anche il settore dei viaggi è ostacolato dalla capacità e dalla carenza di manodopera poiché i lavoratori licenziati durante la pandemia sono stati finora riluttanti a tornare3.

È probabile che la sofferenza economica si intensifichi nei prossimi mesi, soprattutto se la Russia taglia ulteriormente o riduce a zero le esportazioni di gas. Lo shock del gas oggi è molto più grande di quello che l’Europa ha subito negli anni ’70 con il petrolio. Negli ultimi due anni c’è stato un aumento da 10 a 11 volte del prezzo spot del gas naturale in Europa. Mentre l’UE ha messo a punto i piani per accelerare la sua transizione verso le energie rinnovabili e rendere autonomo il blocco dal gas russo entro il 2027, rendendolo più resiliente a lungo termine, la carenza di forniture la sta costringendo a cercare una riduzione del 15% del consumo di gas quest’anno.

Ma l’indipendenza energetica ha un costo. Per la gente comune significherà a breve termine case e uffici più freddi. I governi di Germania e Italia, ad esempio, vogliono che gli spazi pubblici vengano riscaldati solo a 19 gradi quest’inverno rispetto ai circa 22 gradi precedenti4. Più avanti, significherà costi energetici ancora più elevati e quindi maggiore inflazione poiché il blocco deve rinunciare alle sue forniture energetiche più grandi ed economiche.

Per le imprese significherà una minore produzione, che incide ulteriormente sulla crescita, in particolare nell’industria. I prezzi del gas all’ingrosso in Germania, la più grande economia del blocco, sono quintuplicati in un anno, ma i consumatori sono protetti da contratti a lungo termine, quindi l’impatto finora è stato di gran lunga inferiore. Tuttavia, dovranno pagare una tassa imposta dal governo e una volta che i contratti verranno rinnovati, i prezzi aumenteranno drasticamente, per cui l’impatto arriverà con qualche ritardo, ma esercitando una persistente pressione al rialzo sull’inflazione. Ecco perché molti, se non la maggior parte degli economisti, vedono Germania e Italia, le economie europee numero 1 e numero 3 fortemente dipendenti dal gas, che entreranno entrambe presto in recessione.

Ma l’Europa entrerà in recessione con alcuni punti di forza. In molti Paesi dell’Eurozona, l’occupazione è a livelli record e per anni le aziende hanno dovuto fare i conti con la crescente scarsità di manodopera. Ciò suggerisce che le aziende saranno desiderose di mantenere i lavoratori (ossia saranno riluttanti a licenziare lavoratori su larga scala), soprattutto perché si dirigono verso la recessione con margini economici e finanziari relativamente sani. Ciò potrebbe quindi sostenere il potere d’acquisto, indicando una recessione relativamente breve con solo un modesto aumento di quello che ora è un relativamente basso tasso di disoccupazione. Soprattutto in Germania c’è una continua grave carenza di manodopera, una disoccupazione storicamente bassa e un numero elevato di posti vacanti5.

La fine dell’energia a buon mercato per la Germania

Negli ultimi sei mesi, il governo tedesco, come anche quello italiano, è stato febbrilmente impegnato a cercare nuove fonti e forniture di energia per liberare la Germania dalla sua forte dipendenza dal gas russo ed evitare una catastrofe incombente. La Russia ha fornito più della metà (55%) del gas tedesco nel 2020 e circa un terzo di tutto il petrolio, mentre dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina la Germania ha ridotto la sua dipendenza dal gas russo al 26%, secondo il ministero dell’Economia.

Pertanto, si tratta di una lotta contro il tempo. Per il governo tedesco la Russia non è più un partner commerciale affidabile e sta riducendo le consegne di gas alla Germania ed ovunque in Europa, adducendo ragioni tecniche (come il guasto di una turbina) che appaiono piuttosto improbabili6. La Germania ha firmato o sta firmando nuovi contratti con i produttori di gas liquido (GNL) ed idrogeno in America, Qatar, Canada e altri Paesi. Ma, è una missione tutta in salita a causa dei vincoli e costi logistici, per cui è assai probabile che questo inverno e il prossimo la Germania (come altri Paesi europei) sia afflitta da una carenza di energia e prezzi record. I principali economisti hanno avvertito che l’aumento delle bollette energetiche oltre ad altri aumenti del costo della vita spingerà un numero crescente di tedeschi nella povertà e potrebbe innescare disordini sociali7.

Le crescenti preoccupazioni riguardo a come fronteggiare le fine dei flussi di gas russo a buon mercato8 ha innescato un acceso dibattito pubblico. Il governo subisce pressioni per prolungare la vita delle tre centrali nucleari rimanenti, che dovrebbero essere spente entro la fine dell’anno come parte di una strategia di ritiro annunciata dalla Merkel nel 2011, dopo che un terremoto aveva provocato l’incidente nella centrale nucleare giapponese di Fukushima9. Negli ultimi giorni ci sono state persino richieste per ripristinare il gasdotto Nord Stream 2, che è stato messo fuori servizio dal governo tedesco ancora prima di entrare in funzione in reazione all’invasione russa dell’Ucraina. Il governo ha respinto a priori l’idea di far risorgere il defunto progetto Nord Stream 2, riferendosi più volte all’idea come “moralmente riprovevole“. Ma, il fatto che la questione sia stata sollevata mostra fino a che punto sta crescendo la pressione su Scholz affinché elabori strategie praticabili per far fronte ad una situazione senza precedenti, che minaccia di far precipitare l’economia tedesca in recessione e lasciare milioni di persone di fronte a bollette energetiche vertiginose e case gelate.

Il governo sostiene che una volta che le infrastrutture saranno predisposte per supportare il GNL10 e l’idrogeno11, la Germania sarà su una base più sicura. Scholz e Habeck stanno facendo di tutto per far sapere ad imprese e cittadini tedeschi che il governo sta prendendo provvedimenti per fare sì che la più grande economia europea non sia più pericolosamente dipendente da un’unica fonte di energia – il gas russo – mentre sta perseguendo la transizione verso l’economia verde. Ma, il passaggio alle energie rinnovabili come alternativa richiederà tempo12.

Nel frattempo, in risposta alla crisi energetica, il governo ha deciso di imporre una tassa sul gas per le famiglie, che entrerà in vigore da ottobre e durerà fino ad aprile 2024, progettata per ripartire il costo all’ingrosso più elevato tra le famiglie e l’industria. Ha anche messo in atto un piano per salvare dalla bancarotta UNIPER, il più grande importatore di gas russo che vende elettricità e gas a clienti all’ingrosso, causata dagli enormi aumenti dei prezzi, acquisendo una partecipazione del 30% nell’azienda energetica (controllata dalla società energetica finlandese Fortum) per un valore di 7,7 miliardi di euro, oltre a estendere una linea di credito di 9 miliardi di euro alla società tramite la banca di Stato KfW. Inoltre, il governo ha messo in atto un pacchetto di sostegno all’energia del valore di oltre 30 miliardi di euro, che include una somma forfettaria di 300 euro per i lavoratori, un sostegno extra per quelli a carico del welfare, tagli alle tasse su benzina e diesel e biglietti scontati per autobus e treno a 9 euro.

In ogni caso, se ci saranno carenze di gas, c’è un piano di razionamento. Le famiglie private sarebbero protette dal razionamento del gas insieme ad altri clienti “protetti” come case di cura o ospedali. Il peso maggiore delle riduzioni dovrebbe finire sulle spalle dell’industria, responsabile di circa un terzo del consumo di gas del Paese. Eppure nelle ultime settimane i portavoce delle industrie chimiche e farmaceutiche hanno sostenuto che il razionamento del loro settore potrebbe innescare effetti domino con conseguenze catastrofiche per l’intera economia, e il ministro dell’Energia, Robert Habeck, ha affermato che anche le famiglie private dovrebbero “fare la loro parte”. Il monitoraggio dell’uso dei radiatori o il razionamento della singola fornitura di gas a milioni di abitazioni private sarebbe tuttavia tecnicamente impossibile e un risultato più probabile è che il governo cercherà di costringere i consumatori a risparmiare attraverso bollette più elevate.

In sostanza, la più grande economia europea è al centro della tempesta, poiché la crisi energetica, mesi senza piogge13 e un crollo del commercio globale colpiscono la sua base manifatturiera. A maggio la Germania ha registrato il suo primo disavanzo commerciale mensile dal 1991 per 1 miliardo di euro, frutto di un aumento del valore delle importazioni e di un modesto calo delle esportazioni. La crescita economica ha rallentato fino a fermarsi nel secondo trimestre ed è probabile che diventi negativa nei prossimi mesi. Ci vorrà un miracolo economico affinché la Germania non cada in recessione nella seconda metà dell’anno. Il fatto che l’intero modello economico tedesco sia attualmente in una fase di rinnovamento peserà anche sulle prospettive di crescita nei prossimi anni.

Il modello economico tedesco

In questo scenario assai problematico ed incerto, la domanda chiave è se il modello economico tedesco sopravviverà alla guerra del presidente russo Vladimir Putin contro l’Ucraina e alla mancanza delle forniture di gas russo a buon mercato. Per provare a rispondere a questa domanda è necessario rivisitare la storia recente dell’economia tedesca. In questo primo articolo ci limitiamo a tracciare sinteticamente il quadro che sarà poi approfondito in un secondo articolo.

L’economia tedesca è stata profondamente trasformata dopo la caduta del comunismo nel 1989. La liberalizzazione del commercio con i vicini orientali del Paese ha avuto tre effetti profondi in Germania:

  1. ha portato alla contrattazione salariale decentralizzata;
  2. ha avuto l’effetto appiattire la gestione gerarchica nelle aziende tedesche;
  3. ha esteso le reti di produzione tedesche nell’Europa centrale e orientale.

In primo luogo, l’apertura dell’Europa ex-comunista – dove il costo del lavoro era molto più basso – ha cambiato gli equilibri di potere tra i sindacati tedeschi e la federazione dei datori di lavoro. Con la perdita del potere contrattuale sindacale, le trattative salariali si sono spostate dal livello nazionale al livello aziendale. A causa del nuovo paradigma di austerità salariale (la cosiddetta Lohnzurückhaltung ), il costo unitario del lavoro in Germania è diminuito del 30% tra il 1995 e il 2012. Insieme all’Italia, la Germania è stato l’unico Paese in Europa a sperimentare un tale calo. Anche le riforme del mercato del lavoro Hartz del 2002-2005 hanno contribuito alla riduzione dei salari tedeschi.

L’apertura dei Paesi ex comunisti dell’Europa centrale ed orientale ha introdotto anche un modello di gestione delle imprese più decentrato. Man mano che il commercio diventava più internazionalizzato e competitivo, l’innovazione e la generazione di nuove idee diventavano più importanti. Per incoraggiare una maggiore creatività tra i lavoratori, le aziende tedesche hanno delegato il potere decisionale a livelli di gestione inferiori. Questo approccio si è rivelato molto efficace. La cultura aziendale tedesca ha sempre più sostenuto la qualità e il rafforzamento dei livelli di gestione più bassi ha portato le aziende a introdurre più prodotti apprezzati dai clienti. La tipica azienda tedesca (il cosiddetto mittlestand composto da imprese di medie dimensioni a conduzione familiare) che ha abbracciato la gestione decentralizzata ha triplicato la propria quota di mercato delle esportazioni, mentre le aziende che si sono attenute alla gestione centralizzata in genere non hanno registrato tali guadagni.

Infine, l’apertura dell’Europa ex-comunista ha portato all’ampliamento delle reti di produzione, che ha ridotto i costi e ha aiutato la Germania a far fronte a una grave carenza di forza lavoro e competenze. I vicini orientali della Germania offrivano un ampio bacino di lavoratori qualificati, in particolare ingegneri. Nel 1998, il 16% della popolazione di questi Paesi aveva titoli universitari, rispetto al 15% dei tedeschi.

Inoltre, la crescita dello stock di capitale umano della Germania (basata su misure in cinque categorie di livello di istruzione) era rallentata a un tasso annuo dello 0,18% negli anni ’90, rispetto allo 0,75% negli anni ’80. Pertanto, quando le aziende tedesche hanno investito nell’Europa centrale e orientale, hanno impiegato il triplo delle persone con titoli accademici e l’11% in più di personale di ricerca nelle loro filiali rispetto alle loro società madri.

Alla fine degli anni 2000, le nuove catene di fornitura avevano ridotto i costi e aumentato la produttività delle multinazionali tedesche di oltre il 20%, portando nelle casse delle aziende e dei loro azionisti grandi profitti. La Germania è passata dall’essere “il malato d’Europa” negli anni ’90 alla potenza economica che è oggi.

Queste caratteristiche del modello economico tedesco sopravviveranno all’invasione russa dell’Ucraina?

Alcune questioni aperte su cui riflettere

Per rispondere, aiuta rivisitare il periodo successivo alla crisi finanziaria globale del 2008. Sebbene le catene di fornitura transnazionali siano state il principale motore della globalizzazione dopo la caduta del comunismo, e soprattutto dopo l’ingresso della Cina nell’Organizzazione Mondiale del Commercio nel 2001, hanno smesso di espandersi dopo il 2008. Negli ultimi anni e soprattutto dopo il Great Lockdown per il CoVid-19 nel 2020, l’aumento dell’incertezza globale ha portato a una tendenza accelerata di on-shoring nei Paesi ad alto reddito, inclusa la Germania. Il rischio di mancata consegna degli input chiave ha indotto le imprese dei Paesi ad alto reddito a rivalutare le proprie reti di produzione.

Mentre la crisi finanziaria globale ha posto fine all’iper-globalizzazione, la pandemia di CoVid-19 sembra aver innescato la de-globalizzazione, creando barriere, interruzioni e “colli di bottiglia” dei flussi di merci. Il coronavirus ha introdotto un grado di incertezza globale senza precedenti, aggravando gli effetti di trascinamento dello shock del 2008. Alcuni economisti stimano che il CoVid-19 abbia ridotto le catene di fornitura globali del 35%, un dato misurato sulla base degli input importati dai Paesi in via di sviluppo come quota degli input totali.

Ora, la guerra di Putin sta accelerando la de-globalizzazione iniziata dal CoVid-19. Molte aziende globali – in settori che vanno dalle automobili al latte artificiale – si sono trovate senza un Piano B per ottenere gli input di cui hanno bisogno. La guerra ha provocato l’ulteriore interruzione delle catene di fornitura, in particolare di quelle che coinvolgono l’agricoltura e l’energia, provocando onde d’urto in tutta l’economia mondiale e un ulteriore accrescimento dell’incertezza globale. Peggio ancora, l’aggressione della Russia sembra essere solo una manifestazione violenta di una più ampia tendenza all’aggressività nelle relazioni internazionali e alla frammentazione geopolitica e geoeconomica del mondo che espone in modo evidente la fragilità delle reti di fornitura disperse a livello globale.

Una spaccatura del mondo tra il blocco occidentale e altri blocchi, in primis un blocco tra Cina, Russia, Iran, India e altri loro alleati, difficilmente favorisce il commercio, le catene di fornitura globali e gli investimenti diretti esteri. Le tensioni tra USA e Cina sono iniziate con la guerra tariffaria del 2018-19 voluta da Trump che ha aumentato le tariffe su alcuni prodotti cinesi, con la Cina che ha reagito e la controversia si è estesa a una manciata di altri mercati. Il presidente Joe Biden ha ritenuto opportuno mantenere alcune delle tariffe di Trump, ma ora prevede di annullarle nel tentativo di ridurre l’inflazione statunitense. Sulla questione di Taiwan. D’altra parte, anche le recenti mosse della Cina sono particolarmente preoccupanti. La Cina ha sanzionato le importazioni dalla Lituania come rappresaglia per l’apertura di un ufficio di rappresentanza taiwanese e ha imposto tariffe sulle importazioni dall’Australia dopo che i funzionari australiani hanno criticato l’ostruzionismo cinese nell’indagine sulle origini della pandemia.

L’uso del commercio come un’arma di pressione geopolitica è diventato fin troppo comune e, insieme allo shock della guerra di Putin e alla continua incertezza della pandemia, prolungherà l’interruzione delle catene di fornitura. Più a lungo durano queste interruzioni, più è probabile che le aziende riorganizzino e riconfigurino del tutto le loro catene di approvvigionamento. Il segretario al Tesoro americano Janet Yellen ha già suggerito che il “friend-shoring” dovrebbe essere aggiunto all’elenco delle opzioni strategiche, insieme al near-shoring e all’on-shoring, rispetto all’Organizzazione Mondiale del Commercio.

In Germania, l’on-shoring e il friend-shoring sono già in corso. Secondo un sondaggio dell’IFO Institute, il 50% delle aziende tedesche con catene di fornitura in Cina stanno ora ripensando alle proprie operazioni. Inoltre, le filiali dell’industria tedesca e globale stanno scegliendo l’est della Germania per il loro ritorno in Europa. Il produttore americano di semiconduttori Intel ha annunciato a marzo che costruirà due fabbriche nella città di Magdeburgo, mentre un’azienda canadese di tecnologie pulite sta costruendo il primo convertitore al litio in Europa a Guben, nel Brandeburgo. Sempre nel Brandeburgo è in fase di realizzazione la Gigafactory di Tesla. Ampi spazi, energia rinnovabile di provenienza locale e sussidi federali esclusivi per gli stati orientali si stanno dimostrando incentivi, così come una rete ferroviaria ad alta velocità completata nel 2017, che collega la Sassonia, la Sassonia-Anhalt e la Turingia a Berlino a nord e Monaco a sud.

Le aziende stanno cercando di passare da forniture “just-in-time” a forniture “just-in-case“. “Resilienza“, “near-shoring” e “friend-shoring” sono le parole d’ordine del giorno. Certamente i costi aumenteranno, ma le imprese ritengono che dovrebbero aumentare anche sicurezza e affidabilità. Fondamentalmente, la maggior parte delle forniture arriverà ancora dall’estero, rendendo i Paesi dell’Europa del Sud, come Italia e Spagna, e soprattutto dell’Europa centro-orientale, Polonia e Cechia, ancora più importanti per le aziende tedesche.

Il modello economico tedesco non è ancora morto. Ma la sua elevata dipendenza dal commercio internazionale implica che il mutevole ambiente economico e geopolitico di oggi metterà la Germania di fronte a sfide maggiori rispetto alla maggior parte degli altri Paesi sviluppati. Il modo migliore per la Germania di sostenere il suo modello economico del dopo Guerra Fredda è di diversificare le sue relazioni commerciali in modo che non sia più eccessivamente esposta all’instabilità in un determinato Paese o regione.

Al tempo stesso, la Germania deve confrontarsi con la sfida del passaggio dall’esclusivo commercio di beni al commercio di servizi, che rappresenta l’altro graduale, ma inequivocabile grande cambiamento in atto nell’economia globale. La quota del settore manifatturiero sulla produzione totale sta diminuendo quasi ovunque e il calo è stato particolarmente marcato in Cina. Non sorprende che il commercio di manufatti sia in calo come quota del PIL globale. I servizi probabilmente compenseranno il margine di manovra, ma il commercio di servizi è ostacolato da ogni tipo di barriera politica, normativa e culturale. Non è necessario che i clienti parlino la stessa lingua delle persone che producono i loro smartphone o la loro auto elettrica. Ma hanno ragione ad aspettarsi che il loro medico, architetto, asset manager o pilota di linea siano in grado di comunicare con loro in una versione più o meno comprensibile di un linguaggio condiviso. E questo richiede tempo.

Eppure, costringendo le persone a tenere riunioni di lavoro attraverso lo schermo di un computer, la pandemia di CoVid-19 ha dato al commercio di servizi una spinta inaspettata enorme. Perché non utilizzare una tecnologia simile per vendere servizi in tutto il mondo? I radiologi di Bangalore stavano già esaminando i raggi X prodotti a Boston o Birmingham prima della pandemia. Ora gli architetti di Buenos Aires progettano progetti abitativi per Pechino e i programmatori di Bangkok scrivono codice per gli studi di Bruxelles. La tecnologia digitale rende economico e facile spostare le persone oltre i confini, senza costringerle a lasciare la loro casa, camera da letto o cucina, per cui sarà interessante vedere se e come la borghesia professionale cosmopolita tedesca coglierà questa opportunità e si inserirà nelle diverse nicchie del mercato mondiale dei servizi.

Alessandro Scassellati

  1. I mercati finanziari e la BCE sono molto sensibili ai rischi degli investitori che chiedono un tasso più elevato – lo spread rispetto ai Bund tedeschi – per l’acquisto di obbligazioni italiane. Con l’Italia fermamente in mente, a luglio la BCE ha annunciato un nuovo strumento finanziario progettato per evitare che tassi di interesse più elevati abbiano un impatto negativo sproporzionato sugli Stati membri più vulnerabili.[]
  2. Le quattro grandi economie della zona euro – Germania, Francia, Italia e Spagna – hanno tutte visto le loro previsioni di crescita per il 2023 declassate dal FMI, poiché la combinazione di guerra, inflazione e tassi di interesse più elevati ha messo un freno all’attività economica. Delle 4, la Francia dovrebbe essere quella meglio messa sul piano energetico, grazie al suo grande settore dell’energia nucleare, che rappresenta poco più del 70% della sua produzione di elettricità, ma ha dovuto e deve affrontare gravi guasti ai reattori che invecchiano. Il PIL in Francia è cresciuto dello 0,5% nel secondo trimestre, inferiore a quello di altre nazioni del continente, con consumi interni particolarmente deboli. Il governo ha messo in atto un pacchetto di sostegno di emergenza del valore di 20 miliardi di euro, compresi i tagli alle tasse alle pompe di benzina, limitando al contempo un aumento dei prezzi regolamentati dell’elettricità al 4%, una politica aiutata dalla proprietà statale del gigante energetico EDF. La Spagna è forse quella tra le quattro grandi economie che ha le migliori possibilità di evitare la recessione, nonostante l’impennata dell’inflazione. La sua economia è entrata nella crisi in condizioni abbastanza buone e, come l’Italia, ha ricevuto un ulteriore impulso dall’impennata del turismo dopo la pandemia. Il turismo rappresentava il 12% del PIL spagnolo prima della pandemia e una quota ancora maggiore dell’occupazione. Ma la Spagna dipende molto meno dall’energia russa rispetto all’Italia, ed è già un grande importatore di GNL da tutto il mondo. Il PIL è aumentato dell’1,1% nel secondo trimestre e il FMI prevede che avrà la crescita più rapida dei quattro grandi del prossimo anno. Il governo ha messo in atto 16 miliardi di euro di aiuti finanziari e prestiti per aiutare le aziende e le famiglie con l’aumento dei costi energetici.[]
  3. Aeroporti chiave, come Francoforte e Londra Heathrow, sono stati costretti a limitare i voli semplicemente perché non avevano il personale per gestire i passeggeri. Allo Schiphol di Amsterdam, i tempi di attesa sono arrivati a quattro o cinque ore quest’estate. Anche le compagnie aeree non hanno potuto farcela. La tedesca Lufthansa ha dovuto scusarsi con i clienti per il caos, ammettendo che è improbabile che questo si allenterà presto.[]
  4. Molte città tedesche hanno imposto misure di risparmio energetico: docce fredde e niente acqua calda nei bagni degli edifici gestiti dalle città e spegnimento delle luci serali dei monumenti[]
  5. In Germania c’è una massiccia carenza di manodopera in tutte le aree. Gli economisti stimano che la Germania avrà bisogno di 7 milioni di lavoratori in più entro il 2030. Per questo motivo il governo sta pensando di introdurre una delle leggi sull’immigrazione più liberali al mondo sul modello di quella “a punti” del Canada che privilegia la migrazione di lavoratori qualificati. Si tratterà di vedere sia il modo in cui saranno gestite le reazioni politiche interne sia se a questa nuova generazione di migranti verrà offerto, come in passato, lo status di gastarbeiter oppure la prospettiva di diventare in breve tempo cittadini tedeschi a tutti gli effetti.[]
  6. Il colosso statale russo del gas Gazprom a maggio ha cessato le consegne attraverso il gasdotto Yamal che passa attraverso la Bielorussia e la Polonia, mentre il Transgas in transito in Ucraina, un’estensione del gasdotto Soyuz dalla Russia, sta dando la priorità alle consegne in Slovacchia e Austria. Il gasdotto più importante della Germania, il Nord Stream 1, trasportava fino a 170 milioni di metri cubi di gas al giorno. Ma a metà giugno Gazprom ha ridotto le consegne a circa 40 milioni di metri cubi al giorno, citando la ritardata “riparazione” di una turbina da parte della società tedesca Siemens. Attualmente, solo il 20% circa dei livelli di gas dovuti tramite il gasdotto Nord Stream 1 sta raggiungendo la Germania. In ogni caso, il vice-cancelliere Habeck ha detto alla TV tedesca che il rapido riempimento dei 23 impianti di stoccaggio nazionali del gas – che attualmente hanno una capacità di poco inferiore all’80% (con l’obiettivo di arrivare al 95% entro il 1 novembre) – è incoraggiante, ma ha avvertito che la Russia potrebbe ridurre ulteriormente il flusso e quindi non c’è spazio per l’autocompiacimento.[]
  7. A questo proposito, il capo dei servizi di intelligence ha messo in guardia dai pericoli di disordini da parte di una minoranza radicalizzata composta da estremisti di destra e teorici della cospirazione, che secondo lui stanno pianificando di sfruttare la situazione.[]
  8. Il gas russo non solo era economico, ma soddisfaceva anche il desiderio politico in alcuni circoli politici tedeschi, soprattutto socialdemocratici, di avere legami diplomatici più stretti con Mosca.[]
  9. Scholz ha detto che una decisione sulle centrali nucleari sarà probabilmente presa nei prossimi giorni. Ma Robert Habeck, vice-cancelliere tedesco e ministro dell’Economia e leader dei Verdi, ha sottolineato che ciò aiuterebbe solo a ridurre il consumo di gas di circa il 2% e ha affermato che “per il poco che ci porterebbe, sarebbe una decisione sbagliata“. È importante notare anche che per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni di carbonio, la Germania prevede anche di abbandonare l’energia a carbone entro il 2038 al più tardi e, se possibile entro il 2035.[]
  10. Attualmente, è in corso di realizzazione un nuovo terminal/rigassificatore GNL e relativo gasdotto di collegamento a Hooksiel sul Mare del Nord, vicino alla città portuale di Wilhelmshaven, per le navi cisterna in arrivo dagli USA che dovrebbe fornire l’8% del consumo interno di gas a partire dal prossimo 22 dicembre. Ma, questo è solo uno dei cinque terminali GNL galleggianti che la Germania si sta affrettando ad allestire entro la fine dell’anno, creando infrastrutture che sarebbero vitali per evitare case fredde e fabbriche chiuse quest’inverno non solo in Germania, ma in tutto tutta l’Europa, mentre Vladimir Putin chiude il rubinetto del gas. Le valutazioni di impatto ambientale, di solito un passaggio obbligato per la costruzione di questo tipo di impianti, sono state semplicemente saltate. A Hooksiel, una nave cisterna lunga 300 metri convertita in unità galleggiante di stoccaggio e rigassificazione e noleggiata dal governo tedesco al costo previsto di 200 mila euro al giorno, attraccherà al molo e trasformerà il liquido in gas. Si prevede che circa 80 navi cisterna arriveranno qui ogni anno, sostituendo la metà delle importazioni di gas che la compagnia energetica tedesca UNIPER aveva dalla Russia, l’8% del consumo complessivo di gas della Germania prima dell’inizio della guerra.[]
  11. Poiché la Germania si è impegnata ad essere neutrale rispetto ai gas serra entro il 2045, i gasdotti sulla costa del Mare del Nord presto non pomperanno GNL, ma idrogeno verde importato da Australia, Sud America e Africa o prodotto utilizzando elettricità rinnovabile dei parchi eolici in mare per azionare un elettrolizzatore che divide l’acqua in idrogeno e ossigeno.[]
  12. Sia il governo di Olaf Scholz che quello del suo predecessore Angela Merkel hanno identificato il gas naturale come una “tecnologia ponte” essenziale sulla strada verso un futuro di energie rinnovabili. La guerra in Ucraina, tuttavia, minaccia di abbattere quel ponte. Per cui, nel frattempo, è stata anche rimessa in rete una centrale elettrica a carbone in Bassa Sassonia che era finita fuori servizio. Potrà funzionare fino ad aprile 2023.[]
  13. La siccità e le temperature torride hanno causato un forte calo del livello dell’acqua sul Reno, una via di trasporto chiave per il settore industriale tedesco. Il livello dell’acqua è sceso al di sotto della soglia critica di 40 cm, impedendo il pieno carico delle chiatte. Alcune rotte sono state cancellate, causando ritardi per le aziende chimiche e altri produttori localizzati nel cuore industriale. Anche le fabbriche lungo le rive del Reno che dipendono dall’acqua per il raffreddamento hanno dovuto affrontare problemi, mentre le spedizioni di carbone alle centrali elettriche, che erano state destinate a mantenere le luci accese di notte, hanno subito interruzioni.[]
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