Sono 749 i detenuti in regime di 41 bis1, ma conosciamo il nome solo di uno di loro, Alfredo Cospito, anarchico, sottoposto alla sospensione delle garanzie dell’ordinamento penitenziario da maggio di quest’anno. E ne conosciamo il nome solo perché da oltre 2 mesi è in sciopero della fame sia contro il 41 bis sia contro l’ergastolo ostativo. Sono due questioni distinte –anche se appartengono alla stessa dimensione di ossessione punitiva – che nel caso di Cospito si sommano.
Lo sciopero della fame e le proteste per la condizione dell’anarchico hanno suscitato molte prese di posizione contro questa applicazione del 41 bis, quasi sempre con la premessa che la norma è comunque necessaria, ma la sua applicazione al caso è sproporzionata (anche se non sappiamo quasi nulla di quegli altri 748 per i quali il regime sarebbe “proporzionato”). Ora, è evidente che tra la storia processuale e carceraria di Alfredo Cospito e quella di un condannato per una strage di mafia (anche se al 41 bis non ci sono solo mafiosi, le condanne per strage non sono così numerose e alcuni sono in attesa di giudizio) c’è differenza. Ma al netto di queste differenze, la durezza (per usare l’eufemismo diffuso) delle condizioni di vita che caratterizzano quel regime carcerario sono le stesse. E questa rischia di essere un’occasione persa per riflettere sull’articolazione del sistema penitenziario in regimi e circuiti che si è via via attuata non, come si dice abitualmente, dopo le stragi di mafia del 1992, ma diversi anni prima.
Alta sicurezza e 41 bis
La legge di riforma dell’ordinamento penitenziario del 19862 ha introdotto, con l’art. 41 bis, la facoltà per il Ministro di grazia e giustizia “in casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza […] di sospendere nell’istituto interessato o in parte di esso l’applicazione delle normali regole di trattamento dei detenuti e degli internati”, con il vincolo che tale decisione dovesse “essere motivata dalla necessità di ripristinare l’ordine e la sicurezza” e che la durata di tale sospensione dovesse essere quella “strettamente necessaria al conseguimento del fine suddetto”. La norma così formulata sostituiva quella dell’art. 90 del precedente ordinamento3, più estensiva e ampiamente applicata senza interruzioni in tutte le “carceri di massima sicurezza”4 per circa due anni (dal 1982 fino al 1984, con successivi decreti ministeriali, in parte di irrigidimento dei precedenti, in parte di attenuazione), diventando di fatto un regime ordinario per moltissime persone.
Da straordinario a ordinario, infatti, quando si parla di “sicurezza”, il passo è sempre molto breve: le circostanze eccezionali, le emergenze, gli strappi alla regola sono stati e sono così numerosi e frequenti che la regola finisce di fatto col non esistere più. E anche l’art. 41 bis si è trasformato, per effetto di diversi provvedimenti legislativi che lo hanno via via esteso5, in uno strumento ordinario di super-punizione per quei detenuti e quelle detenute (13 secondo i dati più recenti) che vengono considerati estremamente pericolosi. Il loro numero relativamente ridotto e la quasi unanime considerazione che la loro immissione nel circuito ordinario provocherebbe conseguenze disastrose per la lotta (o, come alcuni amano dire, per “la guerra”) alla mafia fa ritenere che la sospensione delle regole dell’ordinamento per alcuni sia un piccolo prezzo da pagare per la sicurezza di tutti. In realtà, se si prende in considerazione anche il circuito dell’alta sicurezza dal quale proviene Alfredo Cospito, il numero dei detenuti sottoposti al “carcere duro” (come se il resto fosse “morbido”…) è decisamente cospicuo, riguardando oltre un quinto della popolazione carceraria6, con varie forme di restrizione delle garanzie previste dall’ordinamento penitenziario.
Il circuito dell’alta sicurezza, erede del regime di differenziazione dei detenuti introdotto con le carceri speciali, è regolato da circolari dell’amministrazione penitenziaria (contro le quali, ovviamente, non è possibile alcun tipo di ricorso giudiziario) e l’assegnazione discende dal titolo di reato del quale si è accusati o per il quale è intervenuta una condanna: all’alta sicurezza 1 sono destinati detenuti e internati appartenenti alla criminalità organizzata di tipo mafioso nei cui confronti sia decaduto il decreto di applicazione del regime del 41 bis; all’AS2 i detenuti accusati o condannati per delitti commessi con finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza; all’AS3 i detenuti per delitti di cui all’art. 416 bis del codice penale (associazione di stampo mafioso, ma senza ruoli apicali) o reati connessi all’organizzazione per lo spaccio di stupefacenti. Per passare dal circuito dell’alta sicurezza al circuito ordinario (cosiddetto di media sicurezza), è necessario dimostrare di non avere rapporti con l’organizzazione di presunta appartenenza. La stessa condizione è imposta per la “declassificazione”, cioè per la revoca del regime del 41 bis, che prevede la reclusione obbligatoria in cella singola, 2 ore al giorno di socialità in gruppi composti al massimo da 4 persone, 1 solo colloquio al mese, videosorvegliato, della durata di 1 ora, con vetro divisorio, partecipazione alle udienze esclusivamente “da remoto”, limitazione degli oggetti che possono essere ricevuti dall’esterno e censura della corrispondenza (è stata necessaria una sentenza della Corte costituzionale del gennaio di quest’anno per escludere quella con i difensori).
Il provvedimento del 41 bis ha la durata di 4 anni, periodo prorogabile per la stessa durata, praticamente all’infinito – tant’è che ci sono detenuti che se lo sono visti applicare anche per 30 anni – ed è ricorribile esclusivamente presso il Tribunale di sorveglianza7 di Roma.
Ergastolo ostativo
Con l’espressione “ergastolo ostativo” ci si riferisce al particolare regime di esclusione dai cosiddetti benifici dell’ordinamento penitenziario (lavoro all’esterno, permessi premio, misure alternative alla detenzione e liberazione condizionale), previsto per i condannati all’ergastolo per uno dei delitti di cui all’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario (tra i quali figura quello di associazione di tipo mafioso), che non collaborino con la giustizia o, secondo la formulazione del decreto legge n. 162 dell’ottobre di quest’anno, non forniscano “idonei elementi di prova contraria” alla sussistenza di legami “con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva o con il contesto nel quale il reato è stato commesso, ovvero del pericolo di ripristino di tali collegamenti”, i cui indizi siano risultati da accertamenti “nei confronti del medesimo, degli appartenenti al suo nucleo familiare e delle persone ad esso collegate […] in ordine alle condizioni reddituali e patrimoniali, al tenore di vita, alle attività economiche eventualmente svolte e alla pendenza o definitività di misure di prevenzione personali o patrimoniali”. È interessante notare, tra l’altro, che al detenuto è richiesta la prova e a chi svolge gli accertamenti sono sufficienti gli indizi e che gli accertamenti riguardano non soltanto la famiglia (che sarebbe già grave, visto che la responsabilità penale è personale), ma l’intero contesto sociale nel quale il detenuto era inserito.
Il decreto legge, lo stesso nel quale è contenuta anche la cosiddetta norma anti-rave, come è noto dovrebbe essere convertito in legge in questi giorni, pena la decadenza. E per timore che questo succeda il governo ha deciso di blindarlo con il ricorso alla fiducia.
Il “caso Cospito”
Alfredo Cospito, anarchico di 55 anni, sta scontando dal 2014 una condanna definitiva a 10 anni per il ferimento dell’amministratore delegato di Ansaldo Nucleare, Roberto Adinolfi ed è sottoposto a giudizio per l’attentato alla scuola allievi carabinieri di Fossano del 2006, che provocò danni alla struttura ma non alle persone, visto che l’attentato era stato compiuto volutamente di notte, quando la scuola era vuota. Per questo reato, dopo una precedente condanna a 20 anni di carcere, la Corte di cassazione su richiesta della Procura ha stabilito che l’accusa dovessere riformulata in “strage contro la personalità interna dello Sato”, reato che prevede l’ergastolo nella forma “ostativa”. La Corte d’assise d’appello di Torino, accogliendo un’istanza della difesa di Cospito e di Anna Beniamino (sua coimputata), il 5 dicembre ha inviato gli atti alla Corte costituzionale affinché decida sulla possibilità di riconoscere le attenuanti per la lieve entità del fatto, evitando l’ergastolo.
Dopo aver trascorso 6 anni nel circuito dell’alta sicurezza (livello 2), da maggio di quest’anno Cospito è sottoposto al regime del 41 bis, per aver scambiato corrispondenza con altri anarchici e per aver inviato articoli da pubblicare su riviste di area anarchica. Il Tribunale di sorveglianza di Roma il 19 dicembre ha respinto il ricorso presentato contro la decisione del Ministero, affermando che sussista l’elevato rischio di comportamenti orientati all’esercizio del suo ruolo apicale nell’ambito dell’associazione di appartenenza, la Federazione anarchica informale. Quindi resta nel carcere Bancali di Sassari, l’unico ad avere la struttura adatta al regime, secondo Francesco Basentini, all’epoca a capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, che nel 2019, davanti alla Commissione antimafia, aveva affermato che “Le strutture penitenziarie per il regime al 41 bis dovrebbero avere una forma e un tipo di ripartizione logistica idonea: si potrebbe immaginare che i detenuti siano in celle tutte sulla medesima fila con di fronte solo il muro” 8.
Bisogna fare uno sforzo di immaginazione per pensare se stessi chiusi in una cella da soli con di fronte solo il muro per 22 ore al giorno, non per un giorno solo ma per anni. Estendendo ben oltre il pensiero del suo autore quanto scritto da Gustavo Zagrelsky nella sua “Postfazione” alla nuova edizione di Abolire il carcere. Una ragionevole proposta per la sicurezza dei cittadini9, mi pare che si possa dire anche a questo proposito che “quando i legislatori legiferano, i governanti governano, gli amministratori amministrano a tema di detenzione carceraria vale una sorta di implicita divisione psicologica. Essi operano su una realtà che è avvertita non come il loro mondo potenziale, ma come un altro mondo”.
Maria Pia Calemme
- Dati tratti dal XVIII rapporto dell’Associazione Antigone, Il carcere visto da dentro, aggiornati a novembre 2021.[↩]
- Legge n. 663, cosiddetta Gozzini, dal nome del senatore, eletto nelle liste del PCI come indipendente, che ne fu il promotore. La legge, approvata con ampia maggioranza (e il voto contrario del MSI), fu considerata un importante passo avanti nella direzione dell’attuazione dell’at. 27 della Costituzione.[↩]
- Legge n. 354/1975, il cui art. 90 prevedeva la possibilità “di sospendere le regole di trattamento e gli istituti previsti dalla legge nell’ordinamento penitenziario, in uno o più stabilimenti e per un periodo determinato, strettamente necessario, quando ricorrono gravi ed eccezionali motivi di ordine e sicurezza”.[↩]
- Le carceri speciali sono state introdotte in Italia nel 1977, con l’affidamento al generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa del compito di assicurare la sicurezza esterna e interna degli istituti penitenziari. Ne conseguì l’individuazione di alcuni istituti (o sezioni di istituti) ai quali destinare detenuti considerati pericolosi, in parte a causa del loro comportamento (tentativi di evasione, rivolte ecc.), in parte a causa del reato del quale erano stati accusati o per il quale erano stati condannati, con la conseguenza che moltissimi detenuti e detenute per associazione sovversiva, banda armata ecc. furono inviati nelle supercarceri.[↩]
- A partire dalla legge n. 356 del 1992, ragion per cui l’introduzione di questo regime viene per lo più fatta risalire a un momento successivo alla strage di Capaci e messa in relazione con le stragi di mafia.[↩]
- Secondo i dati del rapporto di Antigone già citato, a novembre 2021 le persone detenute nei circuiti di alta sicurezza erano 9.212 (di cui 8.796 uomini e 218 donne nell’AS3), suddivisi in 55 istituti penitenziari dislocati sull’intera penisola.[↩]
- La magistratura di sorveglianza ha la funzione giurisdizionale di vigilare sull’esecuzione della pena, intervenendo in materia di applicazione di misure alternative alla detenzione, di esecuzione di sanzioni sostitutive, di applicazione ed esecuzione di misure di sicurezza. Il Tribunale di sorveglianza è l’organo collegiale, il giudice di sorveglianza è l’organo monocratico.[↩]
- https://www.ildubbio.news/carcere/41-bis-sassari-e-lunico-idoneo-ma-in-quel-carcere-vivono-sottoterra-s0vob1e4.[↩]
- Di Luigi Manconi, Stefano Anastasia, Valentina Calderone e Federico Resta, Chiarelettere, 2022.[↩]