Le elezioni amministrative, parziali ma significative, che si sono tenute in Spagna il 28 maggio scorso, hanno decretato un notevole successo per le due destre: quella conservatrice e più tradizionale del Partito Popolare e quella più apertamente oltranzista e neofranchista di Vox. Il PSOE arretra e di conseguenza perderà molte delle amministrazioni importanti che controllava, anche se l’analisi più dettagliata del voto ha dimostrato che gran parte della differenza in voti rispetto al PP è dovuta al dato di Madrid. In ogni caso le due formazioni maggiori che hanno dominato per lungo tempo il bipartitismo spagnolo fino alla crisi determinata dalla “Grande recessione”, raccolgono circa il 60% dei voti divisi quasi a metà.
All’estrema destra si consolida come terzo partito Vox, stretto alleato a Fratelli d’Italia, che unisce e radicalizza tutte le tematiche più reazionarie, dal nazionalismo ossessivo all’odio per i migranti a un anticomunismo rozzo e primitivo. Argomenti che in modo solo leggermente più urbano ha fatto propri anche gran parte della destra tradizionale. In diverse comunità regionali e grandi città che sono andate al voto, il PP potrà governare solo alleandosi all’ultradestra, la quale, come ha già proclamato il suo leader Santiago Abascal, “non farà sconti”.
Brutte notizie dal voto sono arrivate in generale dalle forze che si collocano a sinistra del PSOE. L’onda del nuovo municipalismo che si era affermata in coincidenza con la crescita di Podemos si è quasi completamente dispersa. E’ caduta anche l’ultima roccaforte, la Barcellona di Ada Colau, che pure mantiene un consenso importante con quasi il 20% dei voti, ma è superata, seppure di una manciata di voti dal PSOE, e in modo più determinante dal ritorno della destra tradizionale catalana.
La sinistra si è presentata al voto in modo frammentato e spesso diviso. Non sempre le forze che fanno parte di Unidas Podemos e che governano insieme al PSOE hanno raggiunto intese a livello locale e questo ha determinato in diverse situazioni l’impossibilità di raggiungere il quorum del 5% e l’esclusione dai consigli di comunità autonoma o municipali.
A queste mancate intese tra Podemos e Izquierda Unida, dalle quali entrambi le forze escono seriamente indebolite, si aggiunge una tendenziale frammentazione del campo della sinistra con l’emergere di numerose sigle e soggetti presenti solo a livello locale, come Mas Madrid (collegata a Mas Pais, il partito di Errejon frutto di una scissione da Podemos, ma di fatto con un profilo indipendente) o Compromis a Valencia. Inoltre si sono rafforzate, in controtendenza con il resto della sinistra, le formazioni indipendentiste, come EH Bildu in Navarra (non si votava in Euzkadi, ma in questa comunità è presente una numerosa comunità basca) o il BNG in Galizia (che contiene al suo interne partiti marxisti-leninisti ortodossi, ma che segue una politica di sinistra socialdemocratica).
Il risultato di questa frammentazione è che mentre i partiti maggiori (PSOE, PP, Vox) si presentano con la propria sigla e il proprio progetto politico su tutto il territorio nazionale, la sinistra risulta frammentata tra proposte sempre più localistiche e “micro” al punto da risultare persino illeggibile nella valutazione del voto nazionale.
Dopo l’esito del voto, Pedro Sanchez, leader del PSOE e primo ministro del governo di coalizione ha anticipato il voto parlamentare, previsto per dicembre, al 23 luglio. Un colpo a sorpresa che è stato valutato come necessario per evitare il logoramento della maggioranza e anche al rischio concreto della perdita di sostegno da parte di alcune formazioni indipendentiste, in particolare i catalani di ERC, pesantemente puniti dal voto di Barcellona.
A sinistra si sospetta anche che, accelerando i tempi del voto in un momento di evidente difficoltà per gli alleati di Unidas Podemos, Sanchez punti a mobilitare l’elettorato progressista attorno al PSOE, ripristinando quel predominio incontrastato che era entrato in crisi una decina di anni fa. Certamente il leader socialista voleva impedire di essere sottoposto ad attacchi crescenti dalla parte moderata del partito che non ha mai gradito l’alleanza a sinistra. Ora l’obbiettivo è innanzitutto impedire che si formi una maggioranza assoluta PP-Vox, il che renderebbe difficile un governo della destra. Questa infatti per il crescendo di retorica nazionalista spagnola e per le radici nel franchismo, ha sempre problemi a trovare il sostegno di formazioni moderate basche o catalane. Ma lo stesso PSOE non può più contare su una politica dei “due forni” dato che Ciudadanos, un tempo potenziale alleato alternativo alla sinistra, non si presenterà nemmeno alle elezioni.
In ogni caso l’avvicinarsi del voto e l’esito negativo delle amministrative crea l’urgenza per la sinistra di riprendere il filo di un progetto unitario. L’unica proposta in campo è quella avviata da Yolanda Diaz, vicepresidente del governo e ministra del lavoro, con il movimento Sumar (di cui abbiamo già parlato in precedenti occasioni qui, qui e qui) che si propone di allargare lo schieramento che aveva dato vita a Unidas Podemos, reintegrando forze che ne erano rimaste esterne come Mas Pais di Errejon e di coinvolgere rappresentanti di movimenti e della (a volte un po’ mitologica) “società civile”. Contemporaneamente il discorso di Sumar riprende un profilo più tradizionale rispetto al “populismo di sinistra”, rivolgendosi alla “classe lavoratrice”, e con essa alle organizzazioni sindacali come referente privilegiato, grazie anche alle misure politiche prese dal governo per ridurre la precarietà. Senza per questo abbandonare il riferimento al femminismo che resta uno dei movimenti di piazza più consistenti attivi in Spagna.
Izquierda Unida e i piccoli partiti verdi sono stati i primi ad esprimere l’adesione a Sumar, mentre è in corso la trattativa anche con il cosiddetto “Acuerdo del Turia”, che comprende otto formazioni di sinistra presenti localmente, autonomisti ma non indipendentisti, come la Chunta Aragonesista, Compromis e altri. Forze non irrilevanti, dato che nelle recenti elezioni amministrative hanno raccolto oltre un milione di voti.
Più complessa ma indispensabile l’intesa con Podemos che più aveva sollevato problemi e critiche all’iniziativa di Yolanda Diaz, ma oggi, come ha già anticipato la sua portavoce Ione Belarra, non vede alternativa ad un’intesa. La stessa proposta avanzata in più occasioni da Pablo Iglesias di formare le liste attraverso le primarie oggi sembra impraticabile, visto che le candidature andranno presentate entro venti giorni.
Decisiva sarà la capacita di Yolanda Diaz e di tutta la sinistra di non far sembrare la convergenza solo come una scelta dettata dalla paura di perdere posizioni parlamentari. Così come quella di riuscire a mobilitare quell’elettorato tendenzialmente di sinistra e popolare che in parte e per varie ragioni ha disertato le urne in occasione delle amministrative.
Le elezioni spagnole, che si terranno dopo il secondo voto in Grecia, potranno far capire quanto è forte la spinta della destra a livello europeo, considerato che già diversi Paesi negli ultimi mesi hanno visto l’affermarsi di coalizioni che uniscono la destra conservatrice tradizionale con l’estrema destra rinascente. Governi che colpiscono non solo gli immigrati ma anche gli stessi settori popolari con politiche che, al di là delle promesse più o meno demagogiche, consolidano e accentuano le politiche economiche neoliberiste.
La destra si presenta con due elementi ideologici forti: il nazionalismo a sfondo etnico e sostanzialmente razzista anche se il termine per ovvi motivi non viene utilizzato e il darwinismo sociale che parte dall’assunzione che le diseguaglianze economiche e sociali sono un dato ineliminabile anzi per certi versi positivo perché consente la promozione dei “migliori”. La traduzione immediatamente politica di questa visione del mondo consiste nella riduzione delle tasse, nella cancellazione di ogni forma di redistribuzione della ricchezza e negli interventi punitivi verso gli immigrati. Una visione complessiva che in un contesto di crisi della globalizzazione neoliberista e delle sue promesse e in cui i cambiamenti sociali sono visti più come minacce alla propria condizione di vita (non solo dal punto di vista economico) piuttosto che come opportunità di miglioramento, favorisce l’adesione a visioni reazionarie anche tra le classi popolari. D’altra parte la destra si presenta anche come una forza che è in grado di far crescere la ricchezza contrapponendosi a chi si pone solo o principalmente il tema della ridistribuzione.
A tutto questo si aggiunge la guerra che dal punto di visto ideologico vede le forze politiche dell’establishment europeo (anche socialdemocratiche) legittimare una lettura etnica dei conflitti, come già avvenuto al momento della crisi della Jugoslavia e della fine dell’Unione Sovietica. E’ questa una delle basi attorno al quale si sta costruendo una nuova alleanza tra destra tradizionale ed estrema destra in Europa (avallata se non favorita dall’Amministrazione USA) in nome di una nuova guerra fredda. Alla quale l’insieme delle forze genericamente definibili come “progressiste” non riesce a contrappore un’alternativa fondata sull’autonomia europea. Anzi alcune forze come i verdi tedeschi o le socialdemocrazie scandinave sono schierate con i settori più oltranzisti e “guerraioli”.
A fronte di questa nuova fase politica e sociale, la sinistra radicale, alternativa e anticapitalista si sta ancora muovendo a tentoni, cercando di fare i conti sia con la crisi delle vecchie identità e dell’assetto sociale che le sosteneva, sia del rapido logorarsi dell’ipotesi del populismo di sinistra.
Non ha ancora formulato una propria visione complessiva altrettanto forte di quella della destra che tenga insieme interessi e valori, continuità e rinnovamento. Le elezioni spagnole greche, per la presenza di forze significative che si collocano a sinistra della socialdemocrazia, sono, in tal senso un passaggio importante di ridefinizione di una strategia complessiva. Anche se, per usare una nota formula messa in circolazione da Podemos, bisogna allacciarsi le scarpe mentre si sta correndo. E il pericolo di inciampare è sempre presente.
Franco Ferrari