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Nel Regno Unito si aspetta una vittoria a valanga del Partito Laburista ma farà qualche differenza?

di Alessandro
Scassellati

Giovedì 4 luglio si terranno le elezioni parlamentari che, con grande probabilità, vedranno una notevole vittoria dei Laburisti (dagli attuali 205 seggi a 400-480 su 650) dopo 14 anni al potere per i Conservatori (che alle elezioni del 2019 avevano vinto 346 seggi). I vincitori delle elezioni dovranno affrontare alcune delle più grandi sfide affrontate da qualsiasi nuovo governo dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. L’economia ha difficoltà a crescere, la sanità e altri servizi sono sottoposti a forti pressioni e nelle finanze pubbliche c’è poco spazio per risanarli. Il governo è inoltre in ritardo rispetto ai suoi obiettivi sull’immigrazione e sull’edilizia abitativa. 14 anni di governi conservatori hanno creato una situazione straordinariamente vicina alle conseguenze di una guerra: l’impoverimento di milioni di persone. Dal canto suo, Starmer ha trasformato il partito laburista in un’immagine speculare dei conservatori: ossequioso nei confronti delle grandi imprese, sostenitore dell’austerità in patria e del militarismo all’estero.

Il Regno Unito dovrebbe essere vicino a un nuovo punto di svolta dopo quello del 2021 con Brexit: secondo tutti i sondaggi le elezioni parlamentari che si terranno il prossimo 4 luglio sanciranno l’avvicendamento al potere tra i Conservatori di Rishi Sunak e i Laburisti di Keir Starmer. Dopo 14 anni al governo, infatti, i Tories sembrano avviati a una storica sconfitta e con essi il primo ministro in carica Rishi Sunak, che secondo alcuni sondaggi rischia addirittura di non entrare in parlamento, perdendo nel proprio collegio elettorale. Negli ultimi giorni di campagna elettorale, i Conservatori hanno fatto un appello agli elettori di “fermare una super-maggioranza del Labour” che renderebbe “più facile imporre politiche estreme e maggiori aumenti fiscali inflitti al popolo britannico“, mentre Sunak ha visitato solo circoscrizioni abitualmente sotto il controllo del suo partito. Per l’attuale maggioranza il risultato delle urne potrebbe essere così catastrofico da non coincidere nemmeno con il secondo posto. Infatti, nelle intenzioni di voto il partito Reform UK – nato dalle ceneri dello UKIP di Nigel Farage – potrebbe addirittura superare i Tories a destra e diventare la vera opposizione, complice anche il sistema elettorale britannico che si basa su un criterio totalmente maggioritario per l’attribuzione dei seggi1. Le cause di questo tracollo annunciato vengono da lontano e hanno avuto come conseguenza quella di un Paese economicamente impoverito, finanziariamente più fragile e socialmente più frammentato. Il Regno Unito è diventato una nazione “povera” caratterizzata da sacche di estrema ricchezza, ha osservato il Financial Times nel 2022. E, in effetti, nessuna valutazione obiettiva della società britannica potrebbe concludere che oggi sta meglio – più ricca, più giusta o più sicura – di quanto stava 14 anni fa.

Temendo che gli elettori possano vedere il risultato come una conclusione scontata e restare a casa o dare voti di protesta a partiti più piccoli, i laburisti hanno lanciato un nuovo grido di battaglia: “Non dimenticare il caos economico di cui il popolo britannico sta ancora pagando il prezzo“, ha detto il coordinatore della campagna laburista Pat McFadden. “Se voti conservatore, non cambierà nulla. Se non voti affatto o voti per un altro partito, corri il rischio di svegliarti venerdì con Rishi Sunak che varca la porta del numero 10 ancora una volta“. La campagna di Starmer è stata costruita attorno a una vaga promessa di una sola parola di “Cambiamento“, sfruttando il malcontento per lo stato dei servizi pubblici britannici e il calo del tenore di vita del Regno Unito – sintomi di un’economia stagnante e di instabilità politica. Dal conto suo, Sunak ha cercato di persuadere gli elettori che i suoi 20 mesi in carica hanno messo l’economia su un percorso ascendente dopo gli shock esterni del CoVid-19 e della guerra in Ucraina, e ha tracciato una linea dopo anni di turbolenze supervisionate dai suoi predecessori conservatori.

 

Quattordici anni di brutali politiche di austerità e di populismo conservatore

Quattordici anni di governo ininterrotto hanno profondamente logorato il Partito Conservatore, che dal 2010 a oggi è stato guidato da cinque leader diversi: David Cameron, Theresa May, Boris Johnson, Liz Truss (seppure per soli 49 disastrosi giorni nell’autunno 2022) e Rishi Sunak. Un lunghissimo periodo di governo durante il quale sul piano politico solo tre anni e mezzo sono trascorsi con un primo ministro che presiedeva una maggioranza parlamentare che aveva ottenuto alle elezioni generali2, mentre sul piano economico il Regno Unito ha sperimentato i problemi di cui ha sofferto il resto dell’Occidente, a partire dalla vulnerabilità del sistema finanziario che nel 2008-09 ha generato una pesante crisi che si è trasmessa all’economia reale, originando problemi strutturali di lungo periodo, che si spiegano soprattutto con la perdita di produttività. Se nei 15 anni precedenti al 2008 la produttività era cresciuta mediamente di oltre il 2% annuo, in quelli successivi la crescita è stata di appena lo 0,5% soprattutto a causa di una carenza di investimenti, sia nel settore pubblico che nel privato. Questa debole dinamica della produttività ha quindi fatto sì che dal 2009 al 2023 il PIL del Regno Unito è cresciuto in media dell’1,2% annuo, meno della media delle economie avanzate che hanno invece registrato un tasso di +1,5% (dati Fondo monetario internazionale). In particolare, Londra e il sud-est dell’Inghilterra hanno costantemente lasciato indietro il resto del Regno Unito in termini di produttività, sottolineando la necessità di sviluppare l’economia in altre regioni del Paese3.

I salari reali sono rimasti stagnanti, non più alti oggi di quando la coalizione guidata da Cameron salì al potere nel 2010 cercando di imporre un “conservatorismo compassionevole”, sostenendo la causa di una Big Society, mentre la scarsa crescita del PIL da allora è stata in gran parte un effetto dell’elevata immigrazione4 – il PIL pro capite è aumentato a malapena. Il debito nazionale lo scorso anno ha superato il 100% del PIL, rispetto al 65% circa del 2010. Gli investimenti delle imprese e il commercio di beni sono entrambi crollati a causa della Brexit5.

I prezzi delle case, tuttavia, sono aumentati notevolmente, passando da una media di 170.000 sterline nel 2010 alle 280.000 sterline di oggi (o, per i londinesi, da 280.000 a 500.000 sterline). I conservatori avevano promesso di aumentare la costruzione di nuove abitazioni. Gli affitti sono aumentati vertiginosamente6, i senzatetto temporanei sono più che raddoppiati (circa 112 mila a fine 2023) e gli obiettivi edilizi sono stati ripetutamente mancati. Nei 12 mesi fino alla fine di marzo 2023, in Inghilterra sono state costruite poco più di 234.000 nuove case e la cifra è rimasta costantemente al di sotto dell’obiettivo di 300.000 fissato per la metà degli anni 2020. L’edilizia abitativa in Gran Bretagna offre il peggior rapporto qualità-prezzo rispetto a qualsiasi altra economia comparabile, afferma il think tank della Risolution Foundation. Starmer ha promesso di costruire 1,5 milioni di nuove abitazioni nei prossimi 5 anni in caso di vittoria.

Oltre un decennio di tassi di interesse ai livelli più bassi nella storia della Banca d’Inghilterra – portati ancora più in basso di quanto avrebbero potuto essere da molteplici cicli di allentamento quantitativo (quantitative easing) – ha convertito fiumi di credito a buon mercato in un apprezzamento dei prezzi degli asset, per coloro che sono stati abbastanza fortunati da trarne vantaggio. Riducendo la domanda dall’economia (attraverso la riduzione della spesa pubblica) e costringendo la Banca d’Inghilterra a mantenere bassi i tassi di interesse (per evitare la deflazione), il Cancelliere dello Scacchiere George Osborne, il principale architetto e garante dell’austerità, fece sì che la Gran Bretagna diventasse l’esempio da manuale di una “economia patrimoniale”, in cui il progresso collettivo e produttivo viene sacrificato per le plusvalenze7. Ciò ha prodotto una temporalità inquietante: la società è ferma, mentre alcune famiglie benestanti o ricche sembrano allontanarsi magicamente dalle altre. Le biblioteche e i centri dei servizi sociali hanno chiuso, la spesa pubblica per alunno è rimasta stabile, mentre le tasse scolastiche private sono aumentate del 20%. Anche le università pubbliche hanno subito pesantissimi tagli di risorse, portando alcuni istituti sull’orlo della bancarotta. Nel 2010 era ancora possibile credere che una società liberale come quella britannica stesse viaggiando nella direzione di una maggiore meritocrazia; nel 2024 si parla molto più di ricchezza ereditata8. Tra il 2010 e il 2020, i finanziamenti complessivi agli enti locali sono stati ridotti del 40%. Tredici comuni hanno presentato avvisi di fallimento ai sensi della sezione 114 dal 2018; la metà dei comuni avverte del fallimento entro cinque anni.

Ancor prima che il Covid-19 colpisse, epidemiologi sociali ed esperti di sanità pubblica lanciavano l’allarme sui picchi senza precedenti dei tassi di mortalità e sul calo dell’aspettativa di vita nelle zone più povere del Regno Unito per la prima volta in più di un secolo. Tra il 2012 e il 2019, l’austerità è stata responsabile di circa 335.000 morti in eccesso. Il tasso di prescrizione di antidepressivi in Inghilterra è raddoppiato rispetto al 2011: quasi il 20% degli adulti li assume. L’altezza media dei bambini cresciuti sotto l’austerità è diminuita rispetto ai parametri di riferimento europei e 4,3 milioni di bambini vivono in famiglie povere. Un adulto su sei è analfabeta. Le persone comunemente vivono con i genitori fino ai 35 anni perché l’alloggio, sia esso in affitto o con un mutuo, è proibitivamente costoso. Avere figli è rinviato; il tasso di natalità sta diminuendo. La povertà ha continuato a diminuire, ma il ritmo del miglioramento è rallentato dal 2010. La povertà assoluta – che misura le persone con redditi inferiori al 60% della mediana – è diminuita cinque volte più velocemente nei 14 anni fino all’anno finanziario 2009/10 rispetto a quella da allora (passando dal 21,3% al 17,9% nel 2022-23), dice l’Institute for Fiscal Studies (IFS), l’organismo di controllo della spesa del Regno Unito. Altri indicatori di disagio sono peggiorati di recente, mostrando più chiaramente l’impatto dell’elevata inflazione sulle famiglie più povere. Il Regno Unito è diventato un Paese di banchi alimentari (circa 2.800) che distribuiscono milioni di pasti e tonnellate di cibo a oltre 7 milioni di persone in povertà. Nel 2019/20, il 4% degli adulti in età lavorativa non era in grado di riscaldare adeguatamente la propria casa. Tre anni dopo, secondo l’IFS, tale quota era salita all’11%. Il servizio sanitario è in difficoltà. Il numero di persone in attesa di cure non urgenti, che era già in crescita tra il 2010 e l’inizio del 2020, è aumentato dopo l’arrivo del CoVid e ha poi raggiunto quasi 8 milioni alla fine del 2023 nella sola Inghilterra, quasi raddoppiando rispetto a quattro anni prima. Quasi 2 milioni di persone sono attualmente in lista d’attesa per i servizi di salute mentale. L’arretrato è leggermente diminuito negli ultimi mesi, ma il Servizio sanitario nazionale è molto indietro rispetto all’obiettivo di iniziare a trattare quasi tutti i pazienti non urgenti entro 18 settimane. Inoltre, non riesce a raggiungere l’obiettivo di trattare tempestivamente i pazienti di emergenza. Dal 2010, la spesa sanitaria corretta per l’inflazione è cresciuta più lentamente rispetto agli aumenti medi osservati a partire dagli anni ’50, in un momento in cui la popolazione cresce e invecchia.

Oltre alle conseguenze della crisi finanziaria globale, sono stati principalmente due gli eventi che hanno influenzato la debole performance dell’economia britannica. Il primo è stata la Brexit: la protratta incertezza che si è verificata dopo l’inaspettato esito del referendum di giugno 2016 ha indebolito il Paese9, rendendolo meno attrattivo agli investimenti esteri che ne avevano invece decretato il successo negli anni del boom successivo alla de-industrializzazione thatcheriana e alla trasformazione in un’economia basata sul terziario ad alto valore aggiunto. Al di là degli effetti negativi giocati dalla pandemia, non sembra un caso il fatto che nel 2022 i flussi di investimenti diretti esteri (IDE) verso il Regno Unito siano crollati a un quinto del livello pre-CoVid-19. L’uscita dal mercato unico europeo, coincisa con la pandemia10, ha poi contribuito a rendere più difficoltose le transazioni commerciali con i Paesi dell’UE che, tuttora, rappresentano quasi la metà degli scambi commerciali di Londra.

Il secondo fattore che ha contemporaneamente indebolito l’economia e scalfito (in modo praticamente irrimediabile) la reputazione dei Tories di fronte all’elettorato britannico è stata la tanto breve quanto disastrosa esperienza di governo di Liz Truss (si veda il nostro articolo qui). In soli 49 giorni a Downing Street Truss e il suo ministro delle finanze Kwasi Kwarteng sono riusciti ad attirare una sorta di “tempesta perfetta” sopra l’economia del Regno Unito, promettendo pesanti tagli alle tasse privi di copertura finanziaria, unitamente a un annunciato ricorso a un massiccio indebitamento (fino a 400 miliardi di sterline dal 2024 al 2026) che avrebbe fatto sfondare il tetto del 100% del rapporto debito pubblico/PIL. Tali annunci hanno causato una vera e propria “rivolta” dei mercati finanziari, facendo crollare la sterlina e portando invece i rendimenti decennali sui titoli di Stato a impennare. La Banca d’Inghilterra ha dovuto adottare misure di emergenza per evitare il panico finanziario a seguito del “mini-budget” del duo Truss-Kwarteng.

Il compito di Rishi Sunak, che ha preso il posto di Truss (e che era già stato ministro delle finanze con Boris Johnson) si è presentato dunque molto complesso (si veda il nostro articolo qui): indubbiamente l’attuale leader britannico si è dimostrato cauto e pragmatico, proseguendo sulla strada tracciata con la Brexit, ma dimostrando anche un atteggiamento di maggiore apertura nei confronti dell’UE (come dimostra l’importante accordo ottenuto sugli scambi commerciali con l’Irlanda del Nord). Tuttavia, Sunak non è riuscito a ridare slancio all’economia britannica a causa della forte inflazione (che in Regno Unito ha colpito più duramente che nel resto d’Europa dopo la pandemia e l’invasione russa dell’Ucraina) che ha imposto una politica monetaria fortemente restrittiva penalizzando i consumi. Sunak ha rivendicato il successo del governo nella lotta contro l’inflazione, che sta finalmente convergendo verso il valore target del 2% (anche se in questo caso i meriti sarebbero da attribuire più alla Banca d’Inghilterra, che è indipendente dalla politica). Tuttavia, sembra una mezza vittoria a fronte di una crescita economica sempre più debole: nel 2023 il PIL è cresciuto solamente dello 0,1% e le prospettive per il 2024 non sono particolarmente promettenti dato che l’FMI prevede una crescita di appena lo 0,5%. Se questo è dunque il quadro di riferimento, è abbastanza immediato comprendere come l’attuale maggioranza parlamentare si trovi in svantaggio nei sondaggi.

 

Che futuro per il Regno Unito?

Vediamo, sinteticamente, quali sono le soluzioni proposte dai due schieramenti che si affronteranno il 4 luglio e quali le prospettive per l’economia britannica dopo più di tre anni di Brexit in cui è stato perseguito il modello della “Global Britain”. Possiamo dire che i conservatori non hanno una nuova visione per i prossimi cinque anni e i liberaldemocratici proiettano un moderato ottimismo11, ma il partito laburista alla fine potrebbe rivelarsi trasformativo nonostante il suo manifesto sia, per molti versi, un esercizio di cauto incrementalismo (un cambiamento “realizzabile”): più appuntamenti con il Servizio Sanitario Nazionale e più scanner per il cancro; più insegnanti nelle scuole; club per la colazione gratuita per tutte le scuole primarie; nuove garanzie per gli standard minimi nella polizia di quartiere; e una società di energia verde di proprietà pubblica per contribuire a catalizzare il passaggio all’energia pulita. Starmer usa la formulazione “Prima il Paese, poi il Partito” per descrivere il suo pensiero su qualsiasi questione, inclusa la sua decisione di abbandonare la maggior parte delle promesse di sinistra (come la nazionalizzazione dell’energia, delle ferrovie e dei sistemi idrici del paese) che gli hanno permesso di diventare leader del partito laburista in primo luogo. “Ho cambiato la mia posizione su questi impegni? Sì. Abbiamo rinunciato ad essere un partito di protesta cinque anni fa“, ha affermato. Anche sui diritti Starmer ha trasformato le posizioni del Labour: ha detto che intende mantenere la legge sull’ordine pubblico, che impone restrizioni senza precedenti alle proteste e rende più facile imprigionare gli attivisti. Ha descritto gli attivisti per il clima come “spregevoli” e “patetici”, impegnandosi a imporre loro dure condanne. Ha anche appoggiato la proposta di punire con 10 anni di carcere i manifestanti che vandalizzano i monumenti. Ma, in caso di vittoria, Starmer può aspettarsi di dover affrontare grandi sfide su questioni quali la crisi climatica, la povertà infantile (Starmer ha rifiutato di impegnarsi ad abolire il tetto massimo degli assegni familiari per solo due figli, il “two-child benefit cap”), i diritti dei lavoratori e delle donne, l’aumento delle retribuzioni nel settore pubblico, le politiche abitative, la proprietà pubblica dell’acqua, la crisi delle tasse universitarie, i rapporti con l’Unione Europea, la migrazione e il diritto di asilo, e le relazioni tese con gli elettori delle minoranze etniche (black e asiatiche).

Sul piano economico i programmi dei due maggiori partiti ruotano intorno alla politica fiscale e alla creazione di ricchezza. Da un lato, i Tories propongono di tagliare le tasse, eliminando nel lungo periodo i contributi pensionistici per tutti i lavoratori dipendenti. Dall’altro, i Laburisti affermano che questo piano è irrealizzabile, promettendo di non aumentare le aliquote dell’imposta sul reddito o dell’imposta sui profitti delle imprese (al 25%), colpendo invece i contribuenti più abbienti (ad esempio, introducendo il pagamento dell’IVA sulle rette delle scuole private). Il partito laburista mette politica economica, stabilità economica, crescita e creazione di ricchezza al centro dell’azione per conquistare gli ex elettori conservatori (“siamo a favore delle imprese e dei lavoratori”, sostiene Starmer). Starmer mira a rinvigorire gli investimenti privati, contribuendo a soddisfare le sue ambizioni di crescita senza la necessità di grandi aumenti delle tasse o di un ulteriore indebitamento  pubblico. È dunque chiaro l’intento di attuare politiche fiscali moderatamente redistributive nel tentativo di sostenere la classe media, pesantemente penalizzata dalle difficoltà economiche degli ultimi anni, e di ridurre le forti disuguaglianze sociali che negli ultimi anni si sono ampliate nel Paese.

Per quanto riguarda la transizione energetica, il Labour propone di accelerare il ritmo, raggiungendo la decarbonizzazione netta già entro il 2030, mentre i Conservatori propongono di adottare politiche climatiche più graduali pur mantenendo fede agli impegni assunti a livello internazionale che aspirano a raggiungere il net-zero entro il 2050. In generale, i Laburisti propongono di introdurre un ruolo più presente dello Stato nella gestione dell’economia, attuando una parziale nazionalizzazione delle reti energetiche e di trasporto ferroviario in modo da ridurre le tariffe per i passeggeri.

Infine, per quanto riguarda il rapporto con l’UE, in questo caso le differenze non sembrano essere eccessive: nessuno dei due partiti, infatti, promette di fare marcia indietro rispetto alla Brexit, proponendo comunque un rapporto aperto e costruttivo con Bruxelles. Tali impegni andranno misurati alla prova dei fatti, già nel 2025 quando sarà in programma la prima revisione quinquennale del Trade and Cooperation Agreement (TCA), l’accordo di libero scambio siglato tra Regno Unito e Unione europea, che però non è ancora completo dato che l’intero capitolo legato al commercio di servizi non è ancora stato disciplinato.

Se l’esito delle elezioni sembra quasi scontato, non altrettanto si può dire del futuro dell’economia britannica. Il Paese ha affrontato 14 anni molto complicati, che ne hanno indebolito il potenziale di crescita e in parte l’attrattività in tema di investimenti esteri. I Conservatori sono destinati – in maniera quasi fisiologica – a pagare le conseguenze di 14 anni ininterrotti al potere che sono stati caratterizzati in maniera indelebile dall’esperienza della Brexit, che a oggi non ha prodotto gli effetti annunciati in termini di rilancio e maggiore dinamismo dell’economia. Il primo ministro Sunak pagherà probabilmente gli errori di chi lo ha preceduto, avendo cercato di mettere in atto politiche prudenti che hanno consentito al Regno Unito di evitare un tracollo finanziario.

Il Labour, probabile vincitore, sarà atteso da sfide molto difficili e in particolar modo dalla necessità di ridare forza alla classe media e a un sistema di welfare rimasto progressivamente con minori risorse e basse qualità dei servizi offerti. Una Gran Bretagna più forte e coesa al proprio interno sarà la condizione necessaria per continuare a essere influente nel mondo e a mettere in atto il proposito della “Global Britain”, senza dimenticare l’ineludibilità di una maggiore vicinanza con l’Unione Europea, partner economico di cui il Paese non può fare a meno.

Tuttavia, va anche considerato il programma di Reform UK che, come si diceva, potrebbe ottenere addirittura maggiori consensi (quantomeno in termini percentuali anche se non di seggi) dei Conservatori. Messa in cassaforte la Brexit, il nuovo partito di Nigel Farage propone un’agenda politica di destra ancora più radicale basata su un conservatorismo identitario, un iper liberalismo economico, un duro contrasto all’immigrazione (molto più di quanto non sia già stato fatto dagli ultimi governi), massicci tagli delle tasse alle aziende (in particolare le PMI) e la cancellazione dei target net-zero che, secondo Reform UK, farebbe risparmiare 30 miliardi di sterline all’anno da investire in altri settori non dedicati alla transizione energetica.

 

Il nuovo New Labour di Starmer

In molti sensi, il rinnovamento del partito laburista da parte di Keir Starmer è stato un progetto profondamente convenzionale che ha spostato il partito verso il centro e la destra (un ritorno alle posizioni della “terza via” di Tony Blair, senza però il carisma e la “visione” di Blair, né le condizioni generali di sviluppo della globalizzazione finanziarizzata della fine degli anni ‘90 ). È ciò che i media mainstream (come l’Economist che appoggia apertamente Starmer) e le grandi imprese (che sono i maggiori finanziatori della campagna elettorale del Labour) di solito consigliano a questi leader moderati di fare, sostenendo che un Labour meno di sinistra, più politicamente ed economicamente realistico, possa essere vincente, pur non riconoscendo così prontamente che un partito del genere rappresenta anche una minaccia minore per i loro interessi. Una vittoria schiacciante di Keir Starmer alle elezioni generali potrebbe garantire al Regno Unito un premio di stabilità nei mercati globali (trasformandolo in un “porto sicuro”), rafforzando la sterlina, le azioni e gli investimenti in un momento di crescente instabilità politica su entrambe le sponde dell’Atlantico, hanno detto alcuni investitori della City. Qualsiasi risultato diverso da una chiara vittoria dei laburisti sarebbe uno shock nelle sale di negoziazione della City dopo il fallimento di Sunak nel colmare un divario di 20 punti nei sondaggi di opinione, che mostrano i conservatori sulla buona strada per la peggiore sconfitta del partito almeno dal 1906. Starmer ha spostato il partito laburista verso il centro economico corteggiando le grandi imprese e attirandosi le critiche della sinistra interna (il Socialist Campaign Group) secondo cui la sua agenda di governo sarebbe stata poco diversa da quella dei conservatori e avrebbe ceduto l’influenza agli interessi dei ricchi. Un “tono più moderato” considerato necessario per corteggiare gli elettori indecisi e affrontare le accuse di incompetenza fiscale che gravano sul partito dalla crisi finanziaria del 2008.

Ma gli spostamenti a destra del Labour non sempre hanno funzionato. Neil Kinnock, Jim Callaghan, Harold Wilson e Hugh Gaitskell hanno guidato tutti il partito a dolorose sconfitte. Ma il 4 luglio, l’approccio ortodosso di Starmer sembra possa ottenere un successo, almeno in termini elettorali.

Se ormai da alcuni mesi si sono diffusi sentimenti di sollievo alla prospettiva di un governo laburista stabile che sostituisca il partito Conservatore, non si può dimenticare quanto disorientante sia stata per molti politici, attivisti e sostenitori laburisti la leadership di Starmer dopo la sconfitta dei laburisti alle elezioni generali nel dicembre 2019. In quattro anni (dalla primavera del 2020), un avvocato di alto livello (con una carriera culminata con un periodo alla guida della procura del Paese dal 2008 al 2014, a seguito del quale è stato nominato Sir), diventato deputato nel 2015 con competenze politiche limitate, che ha lavorato con figure di partito in precedenza poco conosciute, ha quasi cancellato il suo predecessore Jeremy Corbyn come leader, abbandonato molte delle sue promesse iniziali e assicurato che quasi tutti i candidati laburisti siano fedeli al suo nuovo regime. Starmer è accusato sia dalla destra che dalla sinistra di mancare di convinzioni. È etichettato come un enigma, un uomo che non rappresenta nulla, senza piani e senza principi. Ha spostato sempre più il partito verso il centro e verso destra, sfidando apertamente l’ala sinistra del partito, isolandone o espellendone i membri. La ristrutturazione del partito operata da Tony Blair negli anni ’90, che lasciò spazio nel governo a radicali dalla mentalità indipendente come Robin Cook, al confronto sembra quasi delicata12.

Starmer ha trasformato il Labour dal partito guidato da Jeremy Corbyn, nonostante fosse stato eletto alla guida del partito con un manifesto che mirava a continuare un percorso socialista. Ha rafforzato il posizionamento atlantista (i parlamentari che criticano la NATO rischiano l’espulsione immediata) e affrontato l’antisemitismo che era apparentemente fiorito nel partito (la moglie di Starmer, Victoria, proviene da una famiglia ebrea), al punto che l’autorità di regolamentazione delle pari opportunità e dei diritti umani ha ritenuto che il partito avesse agito illegalmente nel trattamento dei membri ebrei13. Di conseguenza, l’autorità di regolamentazione ha escluso il Labour dalle misure straordinarie 16 mesi fa: un passo fondamentale sulla strada verso il governo. Ha apportato modifiche al regolamento del partito concentrandosi sulla vittoria delle elezioni piuttosto che sulle dispute interne. Il partito, tuttavia, è stato accusato di applicare i processi disciplinari in modo diverso nei confronti delle critiche interne. Starmer viene accusato di soffocare il sano dissenso nell’ampio assetto parlamentare laburista. Deve anche fornire risposte più chiare, anche alle donne del suo stesso partito, su come esattamente il Labour proteggerebbe i diritti delle donne ad accedere a spazi, servizi e sport per persone dello stesso sesso, data la mancanza di chiarezza nella legislazione esistente.

L’indice di gradimento netto di Starmer è più alto di quello di Sunak, ma rimane piuttosto basso nel contesto del vantaggio generale del Labour nei sondaggi. Il partito laburista, tuttavia, sembra possa ottenere un sostegno positivo da parte dell’elettorato, anche in Scozia, dove l’SNP ha un track record molto scarso nel governo in materia di istruzione e sanità. Alcune critiche sono arrivate negli ultimi mesi riguardo alla posizione ufficiale del Labour su Gaza e il continuo sostegno al governo israeliano. I risultati delle elezioni locali del mese di maggio hanno visto schierarsi decine di candidati indipendenti di sinistra – per lo più su piattaforme di sostegno alla Palestina – abbastanza dei quali sono stati eletti per privare i laburisti del controllo generale di due grandi consigli metropolitani, Oldham nella Grande Manchester e Kirklees nel West Yorkshire.

I britannici sono sempre più disillusi dal modo in cui viene gestito il loro Paese. Secondo i sondaggi Gallup, solo il 67% dei britannici ha dichiarato di essere soddisfatto dei servizi pubblici, delle infrastrutture e dell’ambiente lo scorso anno, in calo di 12 punti percentuali rispetto al 2011 (il primo anno intero di governo conservatore). La soddisfazione dei britannici per la disponibilità di un’assistenza sanitaria di qualità ha registrato il calo più drammatico, precipitando dal 92% nel 2011 al 66% lo scorso anno. La soddisfazione per l’accessibilità degli alloggi è scesa di 18 punti, mentre la soddisfazione per l’istruzione e i trasporti pubblici è scesa rispettivamente di 5 e 7 punti. Altri sondaggi hanno confermato l’umore particolarmente pessimista nel Regno Unito. In un sondaggio d’opinione pubblicato dal Pew Research Center all’inizio di giugno, il 78% degli intervistati nel Regno Unito ha valutato l’economia come “cattiva” – la settima percentuale più alta tra 34 paesi esaminati. Nel frattempo, il 35% dei britannici ha espresso un’opinione sfavorevole sia nei confronti dei laburisti che dei conservatori, una percentuale superiore al 28% degli americani che lo scorso anno affermavano di vedere negativamente sia i partiti repubblicano che quello democratico.

Alessandro Scassellati

  1. Secondo i sondaggi di Bloomberg, Reform UK  è salito a quasi il 16% contro il 20% dei conservatori, mentre i laburisti sono molto più avanti con oltre il 40%. Nel sistema elettorale del Regno Unito, tuttavia, ciò non garantisce i seggi alla Camera dei Comuni. L’ultima volta che Farage si è candidato, nel 2015, ha ottenuto quasi un terzo dei voti ed è stato battuto da un conservatore.[]
  2. Di questi tre anni e mezzo, due e mezzo sono stati ottenuti grazie a Boris Johnson e Dominic Cummings che hanno avviato la campagna Vote Leave a Downing Street, cacciando i Tory Remainers di alto profilo dal partito parlamentare, e poi combattendo un’elezione con l’unico impegno di “Get Brexit Done” con la prospettiva di creare una “Singapore-sul- Tamigi”. Ciò lascia solo l’unico anno di cui Cameron ha goduto dopo le elezioni del 2015, che aveva combattuto con la promessa di indire il referendum che poneva fine al suo mandato.[]
  3. Londra e il sud-est dell’Inghilterra sono le uniche regioni del Regno Unito in cui la produzione oraria è superiore alla media nazionale, anche se la capitale ha visto il suo vantaggio ridursi dopo la pandemia, forse riflettendo l’impatto dell’aumento del lavoro da casa. Per decenni, la City di Londra ha agito come un vortice per gli investimenti nazionali britannici, drenando ricchezza dalle periferie del paese – Inghilterra settentrionale, Scozia centrale, Galles meridionale – e reindirizzandola verso il sud-est inglese ricco di risorse. O, altrettanto spesso, fuori dal Regno Unito e diretti verso paradisi fiscali offshore (si stima che circa 570 miliardi di sterline siano detenuti da cittadini britannici nei paradisi fiscali offshore). In questo modo, si sono create le disuguaglianze regionali più elevate di qualsiasi nazione ricca. Naturalmente, gli effetti sociali di questo sistema sono stati devastanti. Londra e le sue regioni circostanti – che sono in forte espansione – rappresenteranno il 40% della crescita economica del Regno Unito entro il 2027. Il resto della Gran Bretagna, nel frattempo, continuerà sulla strada della stagnazione. Sotto i conservatori, i tagli alla spesa hanno colpito le città povere del nord due volte più duramente di quelle prospere del sud, amplificando le disuguaglianze sanitarie e spingendo i servizi locali al limite. Alle elezioni generali del 2019, l’allora primo ministro Boris Johnson convinse gli elettori di dozzine di città nell’Inghilterra settentrionale e centrale, a eleggere per la prima volta un candidato conservatore, distruggendo il cosiddetto Muro Rosso di sostegno del partito laburista nell’ex cuore industriale del Paese. Ma le promesse di Johnson di “livellamento verso l’alto” – con una politica di investimenti in progetti locali per rigenerare le aree svantaggiate – non sono state mantenute e i finanziamenti non sono stati allocati o spesi. I sondaggi prevedono che i conservatori perderanno tutti i seggi in quelle aree nel voto del 4 luglio, aiutando i laburisti a ottenere una vittoria schiacciante.[]
  4. Entro il 2023, l’immigrazione netta annuale nel Regno Unito era di 685.000 (ma nel 2022 era di 764.000), quasi quattro volte superiore al livello del 2019, quando l’ex leader conservatore Boris Johnson aveva promesso, prima delle elezioni di quell’anno, di ridurlo. Si prevede che la popolazione del paese raggiungerà i settanta milioni entro il 2026. Dietro tali cifre c’è il rapido aumento dei migranti extra-UE (in particolare da India e Nigeria) che vengono a lavorare (soprattutto nei settori sanitario e assistenziale) e a studiare nel Regno Unito. I governi conservatori hanno mancato i loro obiettivi di riduzione della migrazione netta, anche dopo che la Gran Bretagna ha lasciato l’Unione Europea e ha abolito la libertà di movimento dei lavoratori del blocco (oggi sono più i lavoratori provenienti dai paesi dell’UE che lasciano la Gran Bretagna che quelli che arrivano). Nel frattempo, il Partito Tory ha proposto la farsa distopica del programma di asilo in Ruanda, il cui costo è calcolato in 1,8 milioni di sterline per ciascuno dei rifugiati deportati con successo. Il cosiddetto “Piano Ruanda”, frutto di un accordo raggiunto da Johnson con il presidente del Ruanda Paul Kagame nel 2022 e divenuto legge ad aprile scorso, aveva l’obiettivo di bloccare gli oltre 46.000 migranti irregolari che nel corso del 2022 sono giunti sulle coste inglesi via mare tramite piccole imbarcazioni. Il piano prevede sostanzialmente che le persone arrivate irregolarmente ed in cerca di asilo in Gran Bretagna vengano trasportate in Africa centrale per essere reinsediate e svolgere lì le procedure di richiesta di asilo. Nonostante il piano Ruanda venga considerato da molti (dalla Camera dei Lord alla Corte europea dei diritti dell’uomo) in violazione dei diritti umani e degli obblighi legali internazionali del Regno Unito, quest’ultimo non ha solo riscosso grande successo in Europa, con ben 15 Paesi tra cui l’Italia che hanno chiesto all’Unione Europea di adottarne una versione simile, ma anche tra coloro – come Farage – che vedono nell’immigrazione irregolare uno dei problemi principali del Regno Unito. Starmer ha affermato che il suo governo rinuncerà all’accordo con il Ruanda se i laburisti prenderanno il potere. Una serie di governi hanno supervisionato la più grande apertura del Regno Unito ai cittadini stranieri nella sua storia, attaccando, deplorando e travisando questo sviluppo in ogni momento. La demografia del Regno Unito sta subendo cambiamenti significativi, principalmente perché le imprese, il servizio sanitario nazionale e l’istruzione superiore ne hanno un disperato bisogno. Dal punto di vista economico, un’elevata immigrazione è l’ultima speranza della Gran Bretagna in questo momento. Uno dei motivi per cui l’immigrazione è aumentata così tanto è la carenza di lavoratori. I datori di lavoro faticano a coprire i posti vacanti dopo la pandemia poiché il numero di persone classificate come affette da malattie di lunga durata ha raggiunto livelli record e anche il numero di studenti è cresciuto. La Gran Bretagna è l’unico Paese del G7 in cui il tasso di inattività – che misura le persone in età lavorativa che non sono né occupate né in cerca di lavoro – è più alto rispetto a prima della pandemia di coronavirus. Ma il terribile fallimento di Westminster o della stampa nel raccontare queste tendenze in modo calmo ed empirico, significa che questo ha gettato ben poca luce su che tipo di nazione sta emergendo. Per più di un decennio, i conservatori hanno promesso di reprimere l’immigrazione clandestina e di ridurre il numero di arrivi legali. I loro ripetuti fallimenti hanno fatto infuriare gli elettori e demonizzato ulteriormente gli immigrati nel Regno Unito.[]
  5. Le aziende sono state più caute nell’investire nel Regno Unito dal 2016, l’anno del referendum sulla Brexit che ha innescato anni di instabilità politica (si vedano i nostri articoli qui e qui). La Francia, che a lungo seguiva il Regno Unito in termini di investimenti aziendali, lo ha superato. Ma la sterlina si è rafforzata contro l’euro sui mercati valutari globali da quando Emmanuel Macron ha indetto elezioni anticipate in Francia all’inizio di giugno, in uno sviluppo che ha aperto le porte a una possibile vittoria dell’estrema destra o ha bloccato il parlamento in una delle economie più potenti dell’UE.[]
  6. Uno dei primi atti del governo a maggioranza conservatrice nel 2011 è stata l’introduzione dell’”affitto accessibile”, un nuovo modo di affittare una proprietà da una cooperativa edilizia con un costo mensile superiore all’”affitto sociale” ma inferiore al tasso di mercato. È stato introdotto nel 2011 come parte delle misure di austerità del governo per aiutare le associazioni edilizie a raccogliere fondi dopo un enorme taglio ai loro finanziamenti. Si è rivelato “accessibile” solo di nome in molte parti dell’Inghilterra e ha quasi eliminato l’edilizia a scopo di “affitto sociale”. Gli “affitti sociali” vengono calcolati tenendo conto dei redditi locali e del valore delle proprietà, mentre gli “affitti accessibili” possono arrivare fino all’80% della tariffa corrente nel settore privato degli affitti, e sono generalmente fissate a quel livello. Nel 2022/23 l’”affitto sociale” settimanale medio ha raggiunto le 89 sterline, la cifra equivalente per gli “affitti accessibili” era di 134 sterline. In alcune parti del paese, gli “affitti accessibili” sono il doppio degli “affitti sociali”. E da quando è stata lanciata la nuova tipologia di alloggi in affitto, il numero di case costruite per l’affitto sociale è crollato. Mentre nel 2022/23, l’ultimo anno per cui sono disponibili i dati, sono state completate 39.562 case per l’affitto sociale, ci sono state 9.561 nuove case a quel livello di affitto, mentre 24.303 sono state create per l’affitto accessibile più costoso.[]
  7. David Cameron e George Osborne hanno utilizzato la copertura della crisi finanziaria per il loro perseguimento ideologico thatcheriano di uno stato sociale più sottile: il cronico sottofinanziamento del sistema sanitario nazionale, il taglio del sostegno finanziario per i genitori a basso reddito al fine di pagare i tagli fiscali a vantaggio sproporzionato dei più abbienti, e l’erosione dei servizi per adulti e bambini vulnerabili.[]
  8. La Sunday Times Rich List ha segnalato a maggio che le prime cinque persone più ricche nel Regno Unito possiedono 135 miliardi di sterline. I 350 individui e famiglie più ricchi insieme possiedono 795 miliardi di sterline, una cifra superiore al PIL totale della Polonia. D’altra parte, il primo ministro Sunak ha un patrimonio netto valutato in circa 650 miliardi di sterline (in buona parte frutto dei beni finanziari della famiglia indiana della moglie Akshata Murty). Come ha notato la scrittrice Zadie Smith, i Conservatori “hanno provato a sostenere che richiamare l’attenzione su quelle persone [ricche] equivaleva solo a ‘una politica dell’invidia’. Anche se forse hanno ragione. Certamente, chiunque abbia a che fare con bollette energetiche esplosive, scuole fatiscenti, insicurezza alimentare, acqua avvelenata, liste d’attesa ospedaliere e proprietari di case rapaci è piuttosto invidioso a questo punto della classe di persone per le quali questi problemi rimarranno sempre semplici titoli di giornale: un classe oligarchica permanente, attualmente rappresentata al più alto livello di governo, che vive in un mondo completamente diverso”.[]
  9. L’ala destra del partito conservatore, guidata da Boris Johnson, ha promesso al Paese che l’uscita dall’Unione Europea avrebbe magicamente risolto tutti i problemi economici e trasformato un servizio sanitario nazionale sottofinanziato. Ovviamente nulla del genere si è materializzato. La Brexit ha dimostrato la definizione stessa di autogol; ha reso la Gran Bretagna più povera e più disuguale e ha minato le esportazioni e gli investimenti, il tutto risucchiando larghezza di energia politica e diplomatica ed erodendo l’influenza del Regno Unito sulla scena mondiale. Il mandato di Johnson è stato anche afflitto da una sordida disintegrazione degli standard nella vita pubblica, dalla diffusione ufficiale della disinformazione alle multe del “partygate” derivanti dalla sua violazione delle norme sul CoVid e alla moltitudine di ministri che hanno infranto il codice ministeriale. Sulla fine dell’era Johnson si veda il nostro articolo qui).[]
  10. Con la pandemia, il Paese ha vacillato durante il lockdown, con un servizio sanitario nazionale sopraffatto e un’economia dipendente dal finanziamento da parte della banca centrale di uno schema di garanzia del reddito gestito dal Tesoro.[]
  11. Il programma Lib Dem rivela un partito che ha cominciato a riconquistare la fiducia dopo essere stato massacrato per la sua coalizione con i conservatori. A differenza degli altri grandi partiti, rompe il silenzio collettivo sulla Brexit, ne riconosce i danni e desidera rientrare nel mercato unico come trampolino di lancio verso un’eventuale piena adesione all’UE. Lancerà un servizio di assistenza nazionale gratuito e troverà le entrate per aumentare la spesa per i servizi pubblici, in gran parte attraverso la riforma dell’imposta sulle plusvalenze, il giro di vite sull’elusione fiscale e l’estensione del congelamento delle agevolazioni fiscali sul reddito. Eliminerà il limite dei due figli all’accesso ai benefici, triplicherà il premio per gli alunni e anticiperà la data obiettivo per il raggiungimento dello zero netto al 2045. Si spera che tutto ciò aumenterà gli investimenti e la produttività, abiurando, tranne che per una strategia industriale leggera, le proposte più dettagliate avanzate dal Labour.[]
  12. Jeremy Corbyn era riuscito a fare del Labour il partito con il maggior numero di iscritti in Europa, ma i numeri sono fortemente calati dopo la sua sconfitta alle elezioni del 2019. Il deputato di Islington North non era riuscito a vincere le elezioni contro Boris Johnson, anche perché la sua leadership è stata minata dall’interno e a causa di gravi errori, come quello di non affrontare di petto l’antisemitismo all’interno del partito. Jeremy Corbyn è stato prima sospeso, poi gli è stata tolta la carica ed è stato espulso dal partito, ma ha deciso di candidarsi come indipendente nel suo collegio elettorale di Islington North, dove è membro del parlamento dal 1983. Si prevede sicuramente che il consigliere laburista locale e candidato Praful Nargund si trova ad affrontare una sfida difficile e, in caso di sua sconfitta, i laburisti perderebbero il seggio che detengono dal 1929 (ad eccezione di un passaggio di due anni tra il 1981 e il 1983, quando il deputato laburista Michael O’ Halloran si unì al Partito socialdemocratico e poi divenne indipendente).[]
  13. Ma ora i politici e gli attivisti che si oppongono alle azioni di Israele vengono cinicamente accusati di antisemitismo. Al contempo, molte delle epurazioni di deputati segnalano che ora il Partito Laburista stia alienando le donne di colore, gli elettori musulmani, gli elettori di sinistra e quelli delle minoranze. Starmer ha proscritto vari gruppi socialisti, ha vietato ai politici di unirsi ai picchetti dei lavoratori in sciopero e ha introdotto regole antidemocratiche per le elezioni della leadership. L’assalto di Starmer alla sinistra laburista ha anche prodotto un falò di politiche progressiste. Le sue promesse iniziali di abolire le tasse universitarie, aumentare le tasse sui redditi più alti, nazionalizzare le società energetiche britanniche che aumentano i prezzi e porre fine alla privatizzazione incrementale del servizio sanitario nazionale sono state tutte abbandonate o annacquate. Lo stesso vale per la sua promessa di abolire la Camera dei Lord, la più grande camera legislativa non eletta del mondo occidentale.[]
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