Boris Johnson è arrivato al capolinea. I deputati e i ministri del Partito Conservatore lo hanno costretto alle dimissioni da leader del partito e da premier. Johnson lascia un Paese in macerie sul piano economico e sociale, con una reputazione internazionale danneggiata soprattutto in relazione alla gestione della Brexit e del protocollo per l’Irlanda del Nord. Ora si apre la corsa per la successione. I conservatori sono alla ricerca di un leader che sia un clone di Johnson, ma più disciplinato, tecnocratico e attento ai dettagli. Soprattutto, più thatcheriano, ossia disponibile a seguire un programma economico basato su un forte taglio delle tasse e della spesa pubblica.
Le dimissioni di Johnson
Il 7 luglio, dopo mesi di scandali, polemiche e tira e molla, Boris Johnson ha annunciato che si sarebbe dimesso dalle cariche di leader del Partito Conservatore e di primo ministro dopo aver perso il sostegno di oltre 50 ministri e viceministri, a cominciare da Sajid Javid e Rishi Sunak rispettivamente ministro alla Sanità e ministro delle Finanze, nonché della maggior parte dei deputati conservatori. Ma, Johnson ha fatto anche un rimpasto governativo e ha detto che sarebbe rimasto per l’ordinaria amministrazione fino alla scelta del suo successore da parte del partito (che avverrà solo il 5 settembre), innescando un’immediata reazione negativa tra parlamentari conservatori che volevano subito al suo posto un leader ad interim, come Dominic Raab.
È assai probabile che nei prossimi due mesi la lotta per la leadership spaccherà i conservatori, esponendo le molte faglie, mettendo in evidenza le domande senza risposta dell’era Johnson e le ambizioni personali di coloro che da tempo desideravano sostituirlo a cominciare dal favorito, l’ex-ministro delle Finanze Rishi Sunak. Il rischio è che tutto finisca in una corsa in cui gli aspiranti leader promettono tasse sempre più basse, riduzioni drastiche della spesa pubblica, scetticismo sul cambiamento climatico, ostilità verso l’immigrazione e linee sempre più dure sul protocollo dell’Irlanda del Nord. Stanno già corteggiando i membri del partito con un pericoloso mix di politiche fantasmagoriche irrealistiche e tagli selvaggi alle tasse1.
Il mandato di Johnson da primo ministro, come tutta la sua carriera giornalistico-politica, è stato caratterizzato da scandali che includevano violazioni delle regole del lockdown imposte in relazione alla pandemia da CoVid-19, il cosiddetto Partygate2, una ristrutturazione di lusso della sua residenza ufficiale e la nomina di un ministro che era stato accusato di cattiva condotta sessuale3. Ci sono state anche inversioni di marcia, la difesa di un legislatore che ha infranto le regole del lobbismo e critiche sul fatto che non ha fatto abbastanza per affrontare la crisi dell’aumento del costo della vita. Dopo giorni di dure battaglie combattute per difendersi dalle accuse, Johnson è stato abbandonato da tutti tranne che da una manciata dei suoi più stretti alleati dopo che l’ultimo di una serie di scandali aveva indebolito la loro volontà di sostenerlo.
Quello di Johnson è stato un breve e bizzarro discorso di dimissioni che non ha menzionato le parole “mi dimetto” o “dimissioni” neanche una volta. Non ha offerto scuse, né contrizione per la crisi che le sue azioni hanno determinato per il governo e la democrazia britannici. Ha incolpato “l’istinto del gregge” dei parlamentari conservatori per averlo costretto a lasciare l’incarico.
I conservatori dovranno ora eleggere un nuovo leader, un processo che richiederà circa un paio di mesi. Keir Starmer, leader del partito laburista, il principale partito di opposizione, ha detto che avrebbe chiesto un voto di fiducia parlamentare se i conservatori non avessero rimosso Johnson immediatamente.
Da leader ed eroe popolare a zavorra da scaricare
Johnson, un illusionista politico di prima classe, era salito al potere quasi tre anni fa, promettendo di realizzare la Brexit e salvarla dalle aspre dispute seguite al referendum del 2016. Era riuscito a mettere a tacere le preoccupazioni di alcuni dei leader e deputati del suo partito sulla sua inadeguatezza a causa del suo narcisismo, della sua incapacità di occuparsi dei dettagli e la sua reputazione di mentitore seriale. Considerando anche che ogni atto della sua carriera politica è stato caratterizzato da un vuoto ideologico pieno di autopromozione.
In ogni caso, alcuni conservatori hanno sostenuto con entusiasmo l’ex-giornalista e sindaco di Londra, mentre altri, nonostante le riserve, lo hanno sostenuto perché è stato in grado di ottenere il sostegno di parti dell’elettorato popolare che di solito rifiutavano il loro partito. Ciò è stato confermato nelle elezioni del dicembre 2019 in cui i conservatori hanno registrato un indubbio guadagno elettorale (con una maggioranza di 80 deputati), ottenendo voti dalle classi lavoratrici e da ex-elettori laburisti per la maggior parte nel territorio del “muro rosso“, come poche volte erano riusciti a fare in passato.
Nel 2019, Johnson ha salvato il suo partito dalla stasi in cui lo aveva portato una successione di leader mediocri (5 in meno di 15 anni), sostenuto dall’incapacità dei laburisti di rappresentare una credibile alternativa di potere. Un successo elettorale che paradossalmente ha proiettato i conservatori a diventare il partito delle classi lavoratrici impoverite del nord contrapposto ad un partito laburista con una base elettorale sempre più London-centric, concentrata nei distretti del ceto medio istruito del sud. Un trend non confermato, però, da alcune recenti elezioni suppletive parlamentari e dai sondaggi elettorali4.
In cambio del loro sostegno elettorale, Johnson aveva promesso agli elettori delle zone impoverite del nord che avevano votato per la Brexit che avrebbero beneficiato di politiche che li avrebbero fatti “salire di livello“. Chiaramente, non aveva alcuna reale intenzione di mantenere quella promessa che avrebbe richiesto di aumentare la spesa pubblica: a parte tutto, il perdurante attaccamento del suo partito al thatcherismo è troppo profondo.
L’approccio combattivo e spesso caotico della sua amministrazione (ai limiti dell’incompetenza), il suo apparente disprezzo per il parlamento e gli scandali hanno eroso il consenso di molti dei deputati conservatori, mentre i sondaggi d’opinione hanno mostrato che non era più popolare tra gli elettori. La sua totale incapacità di fare i conti con la verità lo ha fatto sembrare subdolo e corrotto. D’altra parte, negli anni di governo, l’abuso di potere da parte di Johnson è stato totale, dai favori per le amanti ai contratti per gli amici. Ha abusato di tutto, dal sistema delle onorificenze (le nomine a baronetto) al diritto internazionale. Ha negoziato, firmato un accordo internazionale (l’accordo con la UE per le relazioni post-Brexit) e lo ha fatto ratificare alla Camera dei Comuni, per poi rimetterlo in discussione il giorno successivo.
Negli ultimi mesi, Johnson aveva cercato di rafforzare la sua base attraverso l’allontanamento forzato dei richiedenti asilo nei centri di detenzione del Ruanda di Kagame, attualmente bloccato dai tribunali; la legislazione per la disapplicazione di parti dell’accordo di recesso Regno Unito-UE, nonostante la messa in discussione del protocollo dell’Irlanda del Nord non avesse basi legali, economiche o diplomatiche; e i discorsi aggressivi e demonizzanti contro i lavoratori delle ferrovie in sciopero contro l’austerità (Johnson aveva parlato di rompere gli scioperi dei 40 mila ferrovieri consentendo l’uso di lavoratori interinali) dopo che le aziende ferroviarie hanno pagato agli azionisti 800 milioni di sterline, e contro le richieste di aumenti salariali del settore pubblico.
Johnson lascia un Paese in macerie
Johnson si lascia alle spalle un’economia in profonda crisi. Sulla scia della pandemia, i britannici stanno affrontando la più dura stretta finanziaria negli ultimi decenni, con l’inflazione alle stelle. Si prevede che l’economia sarà la più debole tra i principali Paesi ricchi nel 2023, a parte la Russia.
Quasi la metà dei cittadini britannici ha ridotto gli acquisti di cibo a causa dell’aumento dei prezzi, mentre un altro 48% deve spendere di più per la spesa, secondo gli ultimi dati ufficiali dell’Office for National Statistics che mostrano l’entità dell’attuale contrazione del costo della vita. L’inflazione dei prezzi al consumo ha raggiunto il massimo da 40 anni del 9,1% a maggio – con i prezzi di cibo e bevande in aumento dell’8,6% – e la Banca d’Inghilterra prevede che il tasso annuo dell’indice dei prezzi al consumo supererà l’11% a ottobre, quando ci sarà un aumento del 40% delle tariffe energetiche regolamentate.
Nessun settore di attività economica – dall’agricoltura ai servizi finanziari, dalla produzione alle piccole imprese – ha beneficiato dalla Brexit. L’esclusione dal mercato unico dell’UE e dall’unione doganale è paralizzante. Nei primi tre mesi di quest’anno, il disavanzo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti si è attestato al livello record dell’8,3% del PIL. L’Ufficio indipendente per la responsabilità di bilancio conferma la sua previsione secondo cui la diminuzione del commercio e degli investimenti farà sì che il PIL sarà inferiore del 4% rispetto a quanto sarebbe altrimenti nei prossimi 15 anni. Altri credono che sia una sottovalutazione. Il danno collaterale si estende alla base scientifica, con la Gran Bretagna ora esclusa dal programma Horizon dell’UE poiché l’UE si vendica con Johnson che vuole riscrivere unilateralmente il protocollo dell’Irlanda del Nord.
Da 40 anni ormai, il partito conservatore applica le idee economiche del neoliberismo definite da Margaret Thatcher, e somministra politiche che creano disuguaglianza, insicurezza e fragilità economica. Dopo il crollo del 2008, questo approccio è stato rattoppato sulla base del fatto che la stagnazione dei salari era accompagnata da prezzi stabili, e bassi tassi di interesse senza precedenti significavano che un numero sufficiente di persone poteva avere accesso al credito a basso costo. Ma, grazie alla Brexit, alla pandemia e alla guerra in Ucraina (che Johnson ha cercato di sfruttare come un’opportunità per mantenere l’influenza del Regno Unito), tutto ciò ha iniziato a implodere. Nessuno sembra avere un’idea appetibile su come affrontare il ritorno dell’inflazione e si fa largo l’idea cupa e punitiva che l’unica opzione efficace sia il ritorno della disoccupazione di massa.
Le dimissioni di Johnson seguono anche anni di divisioni interne innescate dalla vittoria ristretta dell’opzione Brexit al referendum del 2016 e dalle minacce alla composizione del Regno Unito stesso con richieste per un altro referendum sull’indipendenza scozzese, il secondo in un decennio, e la sconfitta elettorale dei partiti unionisti in Irlanda del Nord, per la prima volta superati dal partito repubblicano Sinn Fein favorevole ad un referendum sulla riunificazione della regione con la Repubblica d’Irlanda. Su questi temi si vedano i nostri articoli qui e qui.
Il mantra fino alla sua cacciata era che aveva “fatto” la Brexit. L’apparente doppio miracolo di Boris Johnson era stato quello di rompere l’impasse parlamentare che tormentava il suo predecessore Theresa May (2016-2019) quando cercava di far passare alla Camera dei Comuni il suo accordo di uscita dalla UE e poi di negoziare con successo un accordo commerciale con l’UE nei 10 mesi successivi.
Ma i sondaggi recenti suggeriscono che il sostegno alla Brexit è crollato nel Regno Unito. L’ultimo sondaggio YouGov ha rilevato che ogni regione del Regno Unito ora crede che la Brexit sia stata un errore, con il 55% degli intervistati che crede che la Brexit sia andata male rispetto al 33% che afferma che è andata bene.
Il disastro Brexit
Non c’è mai stato un accordo Brexit “pronto per il forno” che avrebbe portato opportunità favolose alla Gran Bretagna. Le promesse nella campagna per la Brexit, di cui Johnson è stato il principale attore e motore, – che il commercio con l’UE sarebbe continuato come prima, che la Gran Bretagna “avrebbe potuto avere la sua torta e mangiarla”, che gli enormi risparmi sul bilancio dell’UE sarebbero stati reindirizzati ai servizi pubblici, in particolare al National Health System – erano false. La sua promessa al DUP nordirlandese che non ci sarebbe stato un confine nel Mare d’Irlanda era una bugia, anche se si preparava a firmare un trattato per sancire proprio questo.
Johnson si lascia dietro un coacervo di problemi difficili da risolvere, piuttosto che la “certezza e stabilità” che aveva affermato di aver assicurato 18 mesi fa. Nonostante tutti i discorsi trionfalistici del 2019 sull’aver fatto un grande affare, nelle ultime settimane il governo ha minacciato di stracciare unilateralmente un accordo cruciale e duramente conquistato sugli accordi post-Brexit per l’Irlanda del Nord se l’UE non acconsente a una revisione fondamentale – nonostante il manifesto conservatore, su cui Johnson ha formato il suo governo, impegnasse il partito a non rinegoziare con la UE.
Il problema riscontrato da Johnson è che l’accordo di recesso, come aveva affermato all’epoca nella valutazione d’impatto lo stesso governo, insieme a tutti coloro che capivano l’accordo, ha tracciato un confine normativo nel Mare d’Irlanda, rendendo più costosa l’importazione di merci dalla Gran Bretagna all’Irlanda del Nord.
La May aveva respinto l’approccio adottato da Johnson in gran parte per motivi costituzionali, dicendo alla Camera dei Comuni che nessun primo ministro britannico poteva prendere in considerazione la possibilità di tracciare confini tra le quattro nazioni del Regno Unito. Il Partito Democratico Unionista era allora d’accordo con quella posizione, come fa oggi. È per questo che si rifiuta di consentire alle istituzioni di condivisione del potere di funzionare in Irlanda del Nord.
Nel frattempo, l’accordo commerciale ha lasciato le comunità britanniche di pescatori a gridare al tradimento, insoddisfatte dei loro miseri guadagni e di fronte a costose barriere per esportare ciò che hanno catturato. Gli accordi sono contemporaneamente causa di continui attriti con il governo francese, in un momento in cui la cooperazione sulla sicurezza tra le due grandi maggiori potenze della difesa europea probabilmente non potrebbe essere più importante.
C’è stato un forte calo delle relazioni commerciali che la Gran Bretagna ha con l’UE poiché le piccole imprese si sono impantanate nella nuova burocrazia. L’Office for Budget Responsibility, l’organismo di controllo della spesa pubblica, ha affermato all’inizio di quest’anno che la Brexit “potrebbe essere stata un fattore” del ritardo nella ripresa post-pandemica del Regno Unito rispetto a tutte le altre economie del G7.
Pochi a Westminster, a parte i liberaldemocratici, suggeriscono che il Regno Unito sia pronto a rientrare nell’UE. Ma il modo stesso in cui è stata “fatta” la Brexit – con la Gran Bretagna fuori del mercato unico e dell’unione doganale dell’UE – sembra averla resa fragile. La relazione della Gran Bretagna con i 27 Stati membri dell’UE rimane una questione ostinatamente aperta.
Il vantaggio dell’autonomia dalle norme e dai regolamenti dell’UE doveva essere una marea di accordi commerciali in tutto il mondo che offrivano un maggiore accesso alle merci britanniche nei mercati emergenti, insieme ad un nuovo round di deregolamentazione del mercato finanziario che avrebbero reso più competitiva la City di Londra. Totale è stata la mancanza di progressi su tali obiettivi e il tanto promesso “dividendo Brexit” non si è mai materializzato, portando molti sostenitori della Brexit a riconsiderare se gli accordi raggiunti siano davvero ottimali.
Un tassello importante del “progetto Brexit” era l’asse con gli Stati Uniti di Donald Trump, che ha preso una piega ben diversa con la vittoria di Joe Biden nel novembre 2020. Lo sganciamento dall’Unione Europea doveva infatti avvenire in parallelo con un consolidamento del legame transatlantico “anglosassone”, a sua volta premessa di un più vasto rilancio del ruolo globale della Gran Bretagna con al centro i Paesi del Commonwealth che avrebbero dovuto tornare sotto la leadership britannica. A peggiorare la situazione c’è la circostanza che la “global Britannia” evocata da Johnson e da tanti “Brexiters” avrebbe richiesto un contesto strategico benigno, cioè l’opposto di quanto è emerso drammaticamente negli ultimi anni con la nuova guerra fredda tra USA e Cina e la guerra calda tra Russia e Ucraina.
Alessandro Scassellati
- La decisione sull’identità del futuro leader del partito e primo ministro britannico sarà votata da circa 200 mila persone, membri paganti della base del Partito Conservatore. In contrasto con la popolazione più ampia, più della metà ha più di 60 anni e tendono a essere maschi residenti nell’Inghilterra meridionale. Sono prevalentemente bianchi – al 97% -, sebbene le minoranze etniche rimangano fortemente sottorappresentate in tutti i partiti politici del Regno Unito. Anche i residenti dei collegi elettorali del “muro rosso” che hanno costituito la base della schiacciante vittoria elettorale dei conservatori del 2019 sono una minoranza.[↩]
- Un rapporto ufficiale ha dimostrato che si sono tenute feste alcoliche nella sua residenza e ufficio di Downing Street nel maggio 2020, in pieno lockdown decretato dal suo governo. Johnson era stato anche multato dalla polizia durante un party per il suo 56° compleanno, il 19 giugno 2020.[↩]
- Il deputato Chris Pincher, che ricopriva un ruolo governativo, si è dovuto dimettere a seguito dell’accusa di aver palpato degli uomini in un club privato. Johnson ha dovuto scusarsi dopo che è emerso che era stato informato che Pincher era stato oggetto di precedenti denunce di cattiva condotta sessuale prima di nominarlo. Johnson ha detto di averlo “dimenticato”.[↩]
- I sondaggi YouGov suggeriscono che in caso si nuove elezioni generali, i laburisti prevarrebbero in 85 degli 88 seggi “concorrenziali” in Inghilterra e Galles. In ogni caso, il partito laburista non sarebbe ancora in grado di conquistare la maggioranza parlamentare. Sotto la direzione del centrista Keir Starmer il Labour ha fatto una drastica inversione rispetto alla linea socialista di Jeremy Corbyn per tornare ad una riedizione del Blairismo e ora sostiene di essere “il vero partito del patriottismo e dei valori britannici”.[↩]
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Molto chiaro, ben argomentato e ben scritto. Complimenti !