Il fallimento delle due ultime conferenze internazionali sul clima, la COP 26 di Glasgow e la COP 27 di Sharm el–Sheikh hanno probabilmente segnato un punto di non ritorno rispetto alla possibilità di instaurare una cooperazione a livello globale in grado di affrontare in modo efficace il cambiamento climatico. I principali paesi hanno traiettorie divergenti, si sono dati orizzonti temporali per giungere al Net Zero, all’azzeramento del bilancio delle emissioni di gas climalteranti, orizzonti che nel complesso pongono la formazione sociale globale lungo una traiettoria complessiva che sfonda le soglie di crescita della temperatura media globale, fissate per dare un limite agli effetti catastrofici di questo mutamento.
In effetti il quadro dei rapporti globali vira verso la competizione e lo scontro più che verso la collaborazione, un quadro instabile che produce alleanze a geometria variabile caratterizzato dall’intreccio di processi che possiamo definire di crisi, processi dei quali la crisi climatica -con il suo produrre la rottura progressiva degli ecosistemi a livello locale, regionale e globale, su cui convergono tutti i processi di antropizzazione- è il contenitore. Certo non è una osservazione originale, il ciclo economico-finanziario produce le sue ondate di instabilità, creando valore e profitto sulle ondate di instabilità che la formazione sociale produce nelle sue dinamiche. La pandemia ha messo a nudo in modo specifico le contraddizioni di questo modo di produzione, nella sua origine, nel suo sviluppo, nelle strategie di controllo sociale adottate per contenerla e nella produzione dei vaccini. Il suo impatto sul ciclo economico ha imposto l’elaborazione di strategie di intervento statale, del tutto impreviste nelle politiche, nelle linee di condotta dei governi prima della pandemia. Un impatto non ben misurabile della pandemia è sulla psiche individuale e collettiva, sui rapporti di fiducia tra le popolazioni e i governi, i diversi poteri e agenzie che regolano la società, l’apparato scientifico e tecnologico che traina la trasformazione sociale, in particolare Big Pharma che ha prodotto i vaccini, con l’effetto non secondario di realizzare profitti straordinari. Questi avvenimenti, come tutte le grandi crisi e rotture nella continuità delle dinamiche sociali, hanno prodotto una mutazione antropologica, culturale e sociale irreversibile o tutto è tornato come prima? I contenuti, gli atteggiamenti, le prese di posizione maturate nelle varie fasi della pandemia sono diventate parte, degli orientamenti, degli atteggiamenti complessivi. Ognuno può ritrovarli con un minimo di analisi entro le proprie relazioni, benché oggi la questione pandemica non sia materia scottante.
Il livello di competizione e scontro a livello globale si manifesta nella generale corsa agli armamenti, in quella che papa Francesco ha chiamato la terza guerra mondiale a pezzi, il salto di qualità si è realizzato con l’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa, i cui effetti sono ancora tutti da determinare. Sul tema che è sotteso alle riflessioni di questo scritto, vale le forme e l’intensità dei mutamenti definibili schematicamente a livello antropologico, limitandoci al caso italiano, nonostante una forte presenza della contrarietà alla guerra nei sondaggi di opinione, questa non sembra esprimersi in maniera altrettanto consistente. Passare da un atteggiamento passivo ad uno attivo, richiede una vera e propria rivoluzione individuale e collettiva. La spesa di quattro miliardi di euro per l’acquisto di carri armati Leopard, mentre si taglia il reddito di cittadinanza e si istituisce una umiliante elemosina di stato, non pare produrre una sollevazione popolare.
Il contesto è quello di una scarsa conflittualità sociale, accentuata dalla frammentazione dei conflitti stessi lungo le linee di una frammentata composizione sociale, che si esprime anche nell’assenteismo elettorale. In una condizione di passività diffusa, di frammentazione dei legami di solidarietà che i conflitti sociali producono, la mobilitazione reazionaria di una minoranza può essere decisiva negli equilibri politici di un paese. In proposito riprendiamo il tema del cambiamento climatico. In questo numero della rivista Alessandro Scassellati affronta la presa di posizione negazionista del cambiamento climatico da parte delle destre europee, presa di posizione che cerca il consenso di tutti quei settori per i quali la transizione ecologica e climatica richiede profondi processi di ristrutturazione e riconversione produttiva. Le destre lavorano alla costruzione di un proprio blocco sociale, di una propria egemonia culturale fondata sulla mobilitazione di minoranze portatrici anche di interessi eterogenei, che vengono poi a coalizzarsi saldando la difesa di interessi particolari con la sfiducia verso una transizione radicale che non si presenta con la globalità, la concretezza e la profondità degli accordi e delle strategie che una reale transizione richiede, a partire dalla compartecipazione ai costi che la transizione, la riconversione radicale dei rapporti di produzione necessita.
L’assenza di una reale coalizione globale contro il cambiamento climatico ha effetti disgreganti sulle politiche ambientali dei diversi paesi, favorisce il trincerarsi entro la difesa di interessi costituiti, produce un orizzonte di conservazione e di diffidenza verso qualsiasi uso delle conoscenze scientifiche e delle tecnologie in generale e come strumenti e vettori di radicali trasformazioni. La costruzione di blocco reazionario ha una dimensione tattica di fase delle destre e risponde al clima di generale incertezza e di una acuita percezione dei rischi impliciti nello state delle cose, salvo doversi confrontare anche nel breve periodo con gli esiti della realtà che si vuole negare per opportunismo politico e difesa di interessi costituiti.
Abbiamo più volte definito come esito possibile di questa epoca di intreccio delle crisi, di cui non si vede la fine, una soluzione neodarwiniana nella quale le diseguaglianze si tramutano nella catastrofe climatica in discriminanti sulla possibilità di sopravvivere ed in secondo luogo di andare oltre la mera sopravvivenza. I blocchi sociali si andranno riconfigurando nei passaggi successivi del cambiamento climatico che vanno a colpire in modo particolare diverse regioni del globo, come accade per il mediterraneo e la penisola italica al suo interno.
Siamo in presenza di un circolo vizioso, nel quale il mancato accordo globale assieme alla crescita della competizione globale, produce una sfiducia nelle popolazioni verso la possibilità di costruire una transizione egualitaria e radicale in termini ecologici, energetici, climatici; una sfiducia complessiva che si autoalimenta, una profezia che si autoafferma.
È in questo contesto, nel quale, si manifesta in maniera eclatante l’incapacità dell’attuale formazione sociale di uscire dalla traiettoria intrapresa, che irrompe nel dibattito pubblico le prestazioni delle tecnologie dette di Intelligenza Artificiale, in particolare i cosiddetti Generative pre-trained transformers (GPT), tecnologie basata sulle reti neurali introdotta per la prima volta nel 2018 da OpenAI. Al di là del clamore suscitato dalle prestazioni di ChatGPT4 le diverse tecnologie che vanno sotto l’etichetta I.A si stanno in molteplici applicazioni, ramificandosi praticamente in ogni filiera produttiva ed attività di ricerca. Ad OpenAI, finanziata con 10 miliardi di dollari da Microsoft, dopo averne speso oltre mezzo miliardo, si aggiunge Google con Bard, ma sono decine le applicazioni in corso di sviluppo, con plugin e specializzazioni che si diramano ulteriormente.
Le applicazioni GPT si presentano come capaci di rielaborare basi di conoscenza gigantesche, di dialogare in linguaggio naturale, di rielaborare quelle basi di conoscenza, fatto di informazioni strutturate, destrutturate, in linguaggio naturale o in linguaggi programmazione, con la possibilità quindi di inserirsi a molteplici livelli di competenza entro ogni tipo di relazione sociale, interpersonale o attività strumentale. La produzione scientifico-tecnologica il suo livello da massima autonomia irrompe quindi in una fase della storia dell’umanità, di evoluzione delle società di massima incertezza, precarietà, conflittualità e rischiosità, con la possibilità di diventare un agente fondamentale del mutamento antropologico in corso. Nelle note sulla seconda conferenza sull’I.A. dedicato al suo rapporto con la democrazia, abbiamo messo in risalto la mancanza nel confronto della riflessione sul ruolo del conflitto sociale, sulle diverse forme di soggettività sociale, sulla possibilità di una ricomposizione sociale lungo tutto lo spettro della frantumata composizione di classe nella quale giocano un ruolo i creatori delle nuove tecnologie, i quali senza una ricomposizione restano agenti creativi sussunti dagli oligopoli del digitale.
Di questo vogliamo ragionare, nel frattempo anche sul mutamento climatico registriamo una inadeguatezza della critica pratica, della mobilitazione e del conflitto. Dopo la pandemia, il movimento dei Fridays For Future ha interrotto di fatto la propria mobilitazione di massa, mentre si moltiplicano le azioni esemplari di piccoli gruppi. Manca la creazione di un movimento che attraversi e connetta i diversi strati della società, che sia in grado di produrre consapevolezza degli orizzonti che si prospettano in modo capillare, attraverso condivisione di conoscenze e mobilitazione. Allo stato attuale delle cose ciò che prevale è la passività di gran parte delle popolazioni assieme al coagulo e la mobilitazione di minoranze reazionarie, nel cui orientamento il negazionismo climatico si salda agli altri temi del conservatorismo e della destra estrema, primo fra tutti la questione dei migranti. Mentre si impone uno sforzo collettivo, un salto di qualità dell’analisi, si impone altresì all’agire politico, alle culture politiche di confrontarsi con questa realtà nella quale manca un agire critico e conflittuale diffuso e quando forti movimenti rivendicativi si manifestano non si connettono e non si allargano stabilmente ad una parte significativa della composizione sociale. Possiamo ripetere il finale di un precedente articolo.
Un lavoro di fino, certosino, che lavora artigianalmente ad un tessuto globale, certo ci attende, comunque la pensiamo.
P.S. Queste note riprendono una riflessione portata avanti attraverso diversi contributi sulla rivista che indubbiamente richiedono una trattazione più organica.
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Roberto Rosso