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L’importanza di chiamarsi Nahel

di Rania
Guenboura

Il 27 giugno 2023 un colpo di pistola ha fatto tremare la Francia intera.
Nahel, 17 anni, viene ucciso da un poliziotto durante un controllo stradale.
Il minorenne era al volante di una macchina sportiva gialla a Nanterre, periferia parigina, e a seguito di varie infrazioni stradali, viene seguito da due poliziotti in moto. Nahel si ferma una prima volta, ma intimidito dai poliziotti che gli puntano le armi addosso, riaccende la macchina e cerca di scappare. Uno dei poliziotti spara, colpendo Nahel in pieno petto, causandone la morte. Quel proiettile non ha solamente messo fine alla vita di un giovane ragazzo, ma ha colpito in pieno le banlieues della Francia.
La tragedia viene filmata col telefono da una passante che pubblica il video sui social, ed è subito la rivolta. Le periferie parigine prendono fuoco, seguite dal resto delle banlieues della Francia.

L’esecuzione di Nahel viene paragonata alla morte di George Floyd del 25 maggio 2020. Le telecamere dei giornali arrivano e i microfoni danno voce alle banlieues parigine.
I giovani si sentono finalmente visti, considerati. Urlano, piangono, manifestano. Denunciano le discriminazioni che subiscono ogni giorno, raccontano di altri giovani che hanno perso la vita e che sono stati dimenticati perché non hanno avuto la “fortuna” di essere ripresi dalle telecamere di un passante il giorno delle loro esecuzioni. Sì, le chiamano esecuzioni, perché uccidere una “racaille” (così vengono chiamati i giovani delle periferie) è facile per i poliziotti, si divertono quasi a farlo, dicono.
Le banlieues prendono fuoco la sera, i trasporti pubblici smettono di circolare dopo le 20, e molteplici comuni instaurano una politica di coprifuoco.
Il poliziotto che ha ucciso Nahel viene sospeso dalla sua posizione, portato in prigione e indagato per omicidio volontario. Ma le manifestazioni non si fermano. Anzi, degenerano. I supermercati vengono saccheggiati, i parchi prendono fuoco e parcheggi pieni di macchine vanno in fiamme.
Perché così tanta rabbia? Perché così tanta violenza? La Francia di “liberté, égalité, fraternité” sembra non esistere più. Ma la vera domanda è: è mai esistita? La risposta delle banlieues è NO.

Tanta rabbia perché da sempre questi giovani si sono sentiti marginalizzati, a tal punto che l’unica cosa che conoscono è la loro banlieue. Il mondo al di fuori della banlieue non gli appartiene, non gli interessa. La banlieue offre loro una comunità, un accesso hai soldi facili, alle droghe. Solo li si sentono accettati, si sentono a casa.
È colpa delle politiche francesi che da anni non si interessano ai problemi di una generazione abbandonata a sé stessa. Una generazione che porta rancore alla Francia per gli errori politici commessi nel passato e che continua a commettere. Una generazione che in realtà, ha tutte le capacità e tutti i mezzi per uscire dalla situazione marginalizzata nella quale si trova. Ma non ci crede abbastanza, perché nessuno glielo dice, che loro valgono, che loro possono tutto. Che non hanno bisogno degli aiuti sociali dello stato per vivere. Che hanno accesso a borse di studio, alle migliori università e Business School per diventare qualsiasi cosa vogliano per uscire dai quartieri marginalizzati e dimostrare al mondo che i figli della banlieue sono ben altro. Ben altro che dei teppistelli o dei dealer. Ma nessuno glielo ha mai ripetuto abbastanza da lasciarglielo credere.

Tragedie come quella di Nahel ne sono la prova. Nahel è uno fra i tanti giovani francesi che hanno perso la vita perché nessuno ha abbastanza creduto in loro. La facilità e la leggerezza con cui il poliziotto ha spezzato la vita di un giovane, distrutto il cuore di una madre, per uno stupido gioco da ragazzini, è l’ennesima conferma per questi giovani che la Francia non li valorizza, non li considera. Perché se Nahel avesse avuto un altro nome, come Julien o un altro viso, non sarei qui a scrivere questo articolo.

Cara Francia, cos’è per te l’égalité?

Rania Guenboura

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