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La Nupes in difficoltà dopo i giorni della rivolta

di Franco
Ferrari

Nata poco più di un anno fa per unire le forze della sinistra alle elezioni parlamentari, dopo che quelle stesse forze si erano presentate divise alle presidenziali non riuscendo a portare al ballottaggio contro Macron un proprio candidato, la Nupes, Nuova unione popolare, ha sempre attraversato momenti di difficoltà. Ciò nonostante è riuscita in qualche modo a superare le tensioni interne e a rimanere relativamente unita in alcuni passaggi parlamentari importanti, in particolare nella battaglia per impedire l’innalzamento dell’età pensionabile.

La rivolta di ampi settori giovanili, soprattutto di minorenni i cui genitori o a volta i nonni sono immigrati in Francia dalle ex colonie come l’Algeria, seguita all’uccisione di Nahel M. a Nanterre da parte della polizia, ha reso più complicata la convergenza delle diverse forze politiche su una posizione comune.

Come reagire ad una ribellione di cui si possono ben comprendere i motivi nel radicato razzismo istituzionale unito ad un vasto disagio sociale che, come ha spiegato il sindaco comunista di Grigny, il comune più povero di Francia, si è aggravato dopo il Covid e a seguito dell’inflazione causata dalla guerra, ma le cui forme di espressione si sono tradotte in saccheggi e distruzione indiscriminata di edifici anche pubblici? Tra questi anche una scuola intitolata ad Angela Davis, nel comune di Bezons nella Val d’Oise, proprio in nome del rifiuto del razzismo. L’intitolazione di scuole ed edifici pubblici alla militante statunitense ha sempre trovato la forte opposizione dell’esponente dei Repubblicani (destra neo-gollista) Valerie Pecresse, presidente della Regione dell’Ile-de-France.

Nei giorni della rivolta i partiti della sinistra hanno in generale invitato alla calma e a a dare un carattere pacifico alla protesta. Un invito al quale invece non ha aderito il leader di France Insoumise Jean-Luc Melenchon, il quale ha chiesto solo ai manifestanti di non attaccare edifici pubblici. Per quanto lo scarso insediamento territoriale delle forze politiche, anche quelle di sinistra, rende questi inviti abbastanza retorici e spesso ininfluenti.

In ogni caso questa dichiarazione di Melenchon, che è sembrata legittimare invece altre forme di violenza, ha sollevato critiche a sinistra ma è anche stata utilizzata strumentalmente dal governo e dalla maggioranza macroniana per “escludere” La France Insoumise” dall’arco repubblicano. Qualcosa di simile a quello che in Italia era l’arco costituzionale. In Francia il tentativo della maggioranza di lanciare l’anatema contro France Insoumise coincide con un suo continuo scivolamento a destra e con la crescente legittimazione di fatto del partito di Marine Le Pen. La quale, da parte sua, proprio in funzione di questa progressiva ricerca di “inserimento nel sistema” (per usare la formula dell’MSI di Arturo Michelini negli anni ’50), ha tenuto un basso profilo in tutta la vicenda.

La violenta repressione è stata gestita dal ministro dell’Interno Darmanin, che esprime la crescente tentazione autoritaria dei macroniani nella gestione dei conflitti sociali, attraverso strutture di polizia dall’azione particolarmente brutale e al di fuori della legge con l’apporto di una magistratura che ha condannato con procedimenti sommari migliaia di giovani, molti minorenni, spesso coinvolti solo casualmente nei disordini.

La France Insoumise ha sostenuto che a fronte della ribellione non si dovesse rispondere con l’invito alla pacificazione ma con la rivendicazione di una più ampia giustizia sociale. Per Melenchon che, per carisma e abilità oratoria e argomentativa resta il leader di fatto e la figura dominante della France Insoumise, la ribellione di settori giovanili si collega ad una serie di movimenti di protesta emersi negli anni della presidenza Macron.

Primo di tutti certamente quello dei Gilet Jaunes, espressione soprattutto della Francia profonda, rurale e dimenticata che non è mai riuscito ad esprimere né una direzione unificante, né proposte politiche in grado di coinvolgere altri settori sociali. A questo si è aggiunto il movimento contro l’innalzamento dell’età pensionistica che ha visto mobilitarsi non solo i lavoratori più vicini alla pensione che si sono visti rubare due anni di vita, ma anche molti giovani che hanno colto il senso profondo insito nella misura imposta dal governo, utilizzando gli strumenti antidemocratici presenti nella Costituzione gollista e nonostante un dissenso popolare maggioritario. La gestione del conflitto parlamentare in connessione con quello sociale di cui sono state protagoniste le organizzazioni sindacali, in modalità per le quali è stato determinante l’intervento di Melenchon anche rispetto a decisioni diverse prese dai parlamentari di France Insoumise, non ha sempre convinto tutti i componenti della Nupes e nemmeno le stesse dirigenze sindacali.

Infine ora una rivolta giovanile che ha espresso rabbia, disagio ma non si è trasformata in un quadro di rivendicazioni politiche comprensibili. E’ stata certamente anche una ribellione identitaria di giovani che continuano a sentirsi e ad essere trattati da stranieri in Francia. Ma il problema irrisolto di movimenti identitari è che faticano a diventare egemoni e tendono a loro volta a creare reazioni opposte ed altrettanto identitarie. E questo può provocare nell’immediato, ma anche nel medio lungo periodo non una convergenza di soggetti attorno ad un progetto di cambiamento quanto una frammentazione dei ceti popolari grazie alla quale prospera il conflitto o la convergenza, tutta interna alle classi dominanti, tra liberismo autoritario e pseudo-nazionalismo etnicizzante e razzista.

Melenchon ha preso nettamente posizione per la ribellione, ritenendo che l’uso della violenza sia una conseguenza secondaria: “quando le motivazioni sono giuste e legittime, l’osservatore, e più ancora chi si sente legato agli ambienti coinvolti, non può, in tutta razionalità, dirsi sorpreso della violenza a volte in effetti totalmente incontrollata”.

Il leader di France Insoumise ha risposto con toni molto polemici alle prese di posizione di socialisti e comunisti. Ricordando ai primi l’approvazione di una legge, sotto la presidenza Hollande che ha di fatto lasciato mano libera alla polizia di sparare durante i controlli stradali, in nome della “lotta al terrorismo”. E’ stato ampiamente dimostrato che dopo quella modifica normativa il numero degli uccisi dalla polizia in condizioni analoghe a quelle che hanno visto la morte de Nahel M. è fortemente aumentato.

Melenchon non ha polemizzato solo con Bernard Cazeneuve, primo ministro socialista al tempo dell’approvazione della legge e che è ostile alla Nupes, ma anche con il segretario socialista Olivier Faure che invece questa unità a sinistra ha faticosamente sostenuto all’interno del suo partito. Facendo riferimento alle dichiarazioni di Faure che ha parlato di “disaccordi” con La France Insoumise e a quelle definite “fragorose” del segretario comunista Fabien Roussel ha scritto che queste: “obbligano tutti gli insoumis a parlarne ogni volta che gli è presentato un microfono, perché noi vogliamo che nessuno, nella gioventù perseguitata e nelle famiglie che la violenza poliziesca inquieta per i loro ragazzi, ci creda legati agli equivoci del passato recente del PS e del PCF di fronte ai diritti democratici del popolo”.

Il leader di France Insoumise ha anche evocato, a partire da queste polemiche, i nomi del “socialista Marcel Déat e del comunista Jacques Doriot”, due figure passate negli trenta dalla sinistra al collaborazionismo con il nazismo.

Lo storico comunista indipendente Roger Martelli ha scritto su Regards, sito web e rivista che raccoglie forze di diversa provenienza ma non certo pregiudizialmente ostili al movimento melenchoniano, in particolare Clementine Autain, parlamentare del gruppo LFI, ma a volte critica col suo leader, vede nel testo di Melenchon il rischio di una riproduzione della politica settaria comunista degli anni Trenta detta di “classe contro classe”.

La NUPES nasce in parte anche da una contraddizione presente nel discorso melenchoniano che da un lato si è posto l’obbiettivo di superare l’idea dell’unità a sinistra puntando invece a “federare il popolo” contro l’élite” secondo la lettura del “populismo dini sinistra”, ma dall’altra ha dovuto poi ripiegare, giustamente, sulla costruzione di una coalizione che unisce i partiti che hanno identità e strategie diverse.

I militanti della France Insoumise hanno votato a favore della proposta di presentazione unitaria della Nupes alle elezioni europee del 2024, mentre gli altri partiti sembrano orientati ad una presentazione separata. I verdi hanno già nominato una capolista e i comunisti hanno anch’essi alzato i toni della polemica contro la France Insoumise di cui hanno sempre contestato le tesi “populiste” in nome di una visione più tradizionale sia del conflitto di classe che dell’unità a sinistra.

Se la lotta, per ora sconfitta, contro l’innalzamento delle pensioni, dal profilo più tradizionale, aveva in buona misura contribuito ad unire le forze della sinistra sul piano politico e sindacale, la ribellione giovanile ha invece fatto emergere strategie e prospettive diverse sulle quali la sinistra si confronta e polemizza non solo in Francia.

Franco Ferrari

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