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Il clima, la democrazia l’intelligenza artificiale e la fine del mondo

di Roberto
Rosso

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha comunicato la fine della pandemia da Sars-Cov-2 dopo un bilancio di oltre 7 milioni di morti accertati ed una valutazione attendibile di oltre 20 milioni, con impatto sull’economia mondiale certificato in tutti i grafici sul PIL, la produzione ed ogni altro indice economico e finanziario. Le conseguenze della pandemia globali, pervasive e trasversali si sono coniugate con gli effetti degli altri processi di crisi.
L’intreccio delle diverse crisi – climatica, sanitaria, economica e geopolitica – nelle loro conseguenze attuali e nelle loro prospettive caratterizza la condizione del mondo, si articola e si sviluppa nelle diverse regioni, un andamento globale la cui complessità si dimostra fondamentalmente imprevedibile; complessità, governo e prevedibilità sono termini, macro-concetti che andiamo analizzando e che restano centrali per il nostro ragionamento.
Lo sfaldamento della globalizzazione fondata definita dal Washington Consensus, a guida USA, polarizzato dalla competizione tra USA e Cina produce nuove configurazioni, in una dinamica di alleanza e schieramenti a geometria variabile, con altri protagonisti sulla scena di non secondaria importanza; i Brics ne sono stati la prima esemplificazione e si stanno connettendo con altri soggetti fondamentali della competizione globale1 – difficile oggi parlare di equilibri, quanto piuttosto di rapide trasformazioni. L’invasione dell’Ucraina da parte da parte della Federazione Russa, a differenza delle previsioni dell’invasore non si è risolta in una sorta di Blitzkrieg, ma si è trasformata in un conflitto di lunga durata che ha polarizzato e riarticolato gli schieramenti internazionali, trasformandosi o meglio rivelandosi in un confronto tra Federazione Russa e NATO. Gli schieramenti si sono manifestati non solo nei diversi pronunciamenti in sede ONU o nella adesione alle sanzioni, ma anche nella ridefinizione delle catene di approvvigionamento soprattutto delle materie prime energetiche e agroalimentari.

La crisi climatica in questo contesto di rapidi mutamenti resta probabilmente il paradigma dell’incapacità degli assetti attuali di governo globale di fare i conti con orizzonti catastrofici sempre più vicini, man mano che si dimostra l’incapacità di intervenire in modo adeguato, mentre si fatica a reggere l’impatto -distribuito in modo diseguale- di eventi catastrofici che costellano la traiettoria che ci proietta verso quell’orizzonte. Essa -lo ribadiamo per l’ennesima volta- è il contenitore di tutte le altre crisi con cui ha una relazione terribilmente sinergica, per questo il fallimento delle conferenze, la Cop26 di Glasgow e la Cop27 di Sharm-el-Sheikh, è il punto più alto e significativo dell’incapacità delle classi dirigenti a livello globale- in tutte le loro articolazioni, in tutte le loro cangianti colorazioni- di dare un indirizzo significativo, minimamente efficace, alle radicali dinamiche trasformative del mondo.

Le geometrie variabili della geopolitica producono uno scenario affascinante che richiede sforzi supplementari di analisi per seguirne tutti gli sviluppi, ricco anche di soddisfazioni per chi vede tramontare o quantomeno indebolirsi in modo significativo storiche egemonie. Le nuove dinamiche che si aprono spingono nuovi protagonismi, offrono nuove collocazioni; ne è un esempio il nuovo protagonismo a livello internazionale del Brasile di Lula o l’intervento cinese nel mediare il conflitto storico tra Iran e Arabia Saudita. In questo contesto purtroppo nulla si aggiunge all’impotenza dimostrata nei confronti della crisi climatica, mentre si configurano nuove linee di approvvigionamento e mappe globali delle filiere produttive. La riorganizzazione della divisione internazionale del lavoro2 non riduce le conseguenze di crisi climatica, guerre -civili e non- subordinazione dei governi locali a logiche di competizione globale, che vede come protagonista assoluto il continente africano3.

La crisi climatica è il contenitore della crisi indotta dall’attuale modello di sviluppo nel mondo della vita nel suo complesso che si esprime nella rottura della riproduzione ed evoluzione degli ecosistemi, nella drammatica riduzione della biodiversità e  nella contaminazione delle matrici ambientali -aria, acqua, suolo- da parte di decine di migliaia di sostanze artificiali che i processi naturali non sono in grado di ridurre e riciclare, subendone invece effetti negativi sin nel patrimonio genetico delle specie viventi. Nessuna formazione sociale ne è esente, tuttavia il combinato disposto di diversi fattori critici, l’intersecarsi di diverse faglie nel tessuto sociale, economico e ambientale può portare al collasso di interi territori, nazioni e formazioni sociali. Le conseguenze di questo collasso si manifestano in molti modi, con forme di contagio per contiguità territoriale, complementarietà nelle linee di approvvigionamento, e soprattutto nei flussi migratori di una umanità disperata che vanno ad impattare sugli equilibri sociali, economici e soprattutto politici di altri paesi.

Molto si discute dell’affermarsi di nuovi protocolli e configurazioni di collaborazione internazionale, la crisi appunto del Washington Consensus che si si esprimeva attraverso la banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale ed il predominio del dollaro negli scambi commerciali e finanziari; oggi una quota degli scambi viene denominata con altre monete mentre  si allarga la rete degli interventi della nuova Via della Seta (BRI come acronimo internazionale), tuttavia è ancora tutto da capire quanto agli effetti -per ora non significativi- di questa nuova configurazione sulla sostanza del modello di sviluppo, laddove è di primaria importanza per il Pivot di questi nuovi assetti, la Cina, l’approvvigionamento delle materie prime energetiche e soprattutto agroalimentari. Il rapporto Cina- Brasile da questo punto di vista ha un ruolo cruciale, si tratterà di capire in quale, forma, con quali equilibri e quali rapporti di forza, certo diversi da quelli che la Cina stabilisce con i paesi africani; il Brasile ha la possibilità di diventare un paese di prima fila nello sviluppo tecnologico che trascina l’attuale modello di sviluppo. Su questo la nostra redazione sta producendo un significativo sforzo di analisi.

Nelle trasformazioni indotte nel mondo della vita un indice ed un processo ricco di conseguenze è l’andamento demografico globale e delle diverse regioni, con contraddizioni evidenti tra paesi che hanno una mediana dell’età sotto i vent’anni ed altri che sono minacciati nei propri equilibri socio-economici dall’invecchiamento della popolazione, il cui caso limite sembra essere costituito dal Giappone che si trova di fronte ad una sorta di collasso demografico nei prossimi anni e decenni.  Non si tratta solo di un problema di equilibri socio-economici, ma di un fattore che induce profondi mutamenti antropologici e culturali con effetti finali sul piano politico. Andamento demografico e migrazioni sono strettamente correlati tra loro, paese per paese, regione del globo per regione.
In effetti questo è un punto su cui vale la pena soffermarsi e cioè quali mutamenti profondi sono in corso nelle nostre società, sul piano sociale, culturale, politico antropologico in generale in funzione delle trasformazioni che esse subiscono entro un processo di progressiva innovazione tecnologica che ne invade tutti i gangli, relazioni e processi. Le note di questo articolo costituiscono in proposito poco più di una avvertenza in quanto mettono in gioco processi, intrecciati tra loro, che avvengono a diverse profondità dei rapporti sociali, delle rappresentazioni del mondo, dei livelli di consapevolezza e degli stati d’animo che caratterizzano le popolazioni, le loro diverse componenti. Un dato da cui non si può prescindere è l’estraneità sostanziale della stragrande maggioranza delle popolazioni nei confronti della possibilità di indirizzare i processi trasformativi di cui subiscono le conseguenze; un indice di disuguaglianza del tutto analogo a quello che si basa sul reddito e la ricchezza posseduta. Un indice che ha a che fare con la mancata condivisione della conoscenza, sull’analfabetismo diffuso nei riguardi dei meccanismi che guidano la trasformazione delle società. La pandemia, da cui siamo partiti nelle nostre considerazioni, ha costituito una dimostrazione lampante dello stato delle cose. Da un lato la straordinaria potenza delle tecnologie biomedicali, il potere economico e finanziario che deriva dal monopolio privato sostenuto in realtà dalle risorse pubbliche, dall’altro l’impreparazione non solo delle ‘persone normali’ ma delle istituzioni di fronte ad un fenomeno che  nella sua possibilità non era affatto imprevedibile e quindi la condizione dei cittadini nel doversi affidare a misure draconiane per evitare il contagio ed all’intervento salvifico di  Big Pharma; in queste condizioni non ci si può certo stupire se trovano spazio correnti di opinione radicali, avverse ad ogni ruolo della scienza, preda delle fabbriche di fake news con le loro propaggini politiche. Una analisi del formarsi di queste correnti di opinione, in particolare in Italia, dei centri di motivazione e informazione che le alimentano portano a scoprire un ruolo importante anche nel formarsi di alcune correnti di opinione sulla guerra in corso in Ucraina. Una articolazione per nulla sorprendente del mondo dei media, di un modo di fare profitto economico e politico nel mondo della comunicazione.

Il punto che emerge è che lo stato della democrazia, come ideale e come pratica concreta di partecipazione dei cittadini al governo delle società nelle condizioni concrete è disastroso ed è venuto peggiorando, salvo il manifestarsi in alcuni paesi di forti conflitti sociali, purtroppo non Italia, che pure non stanno mutando lo stato delle cose, ma reagiscono a insopportabili condizioni di vita. Entro il mutare dei rapporti geopolitici lo stato della democrazia è un qualcosa che non viene preso in esame, laddove ad un diretto intervento nei regimi politici si sostituisce una certa indifferenza, neutralità che certo può essere vista come un atteggiamento positivo dopo la sbornia da ‘interventi umanitari’ ed ‘esportazione della democrazia’ che tante guerre e tanti danni hanno provocato. Lo stato della democrazia nelle sue declinazioni possibili e necessarie, nel contesto attuale a livello globale e locale, è un elemento fondamentale per capire in che mondo viviamo, certo ci manca oggi come riferimento un movimento globale alter-mondialista che connetta i più diversi movimenti di lotta e di liberazione, portatore di una progettualità radicalmente alternativo ai rapporti dominati. Certo non può essere un riferimento, un simbolo di un processo di liberazione la Cina di Xi Jinping che possiamo tranquillamente personalizzare vista la presa dell’attuale classe dirigente sull’interno paese; che dai nuovi assetti geopolitici possano discendere contraddizioni che liberano energie per movimenti conflittuali con l’ordine globale costituito è sperabile, tuttavia non garantito.

Quello stato della democrazia comatoso della democrazia, di cui tanto si è discusso ragionando della risposta populista al governo delle élites, quella assenza di possibile partecipazione reale, quello stato ignoranza sostanziale e di manipolazione continua nei riguardi dei processi reali che determinano la realtà in cui le popolazioni vivono, sta producendo in molti paesi una svolta conservatrice reazionaria che reagisce in maniera difensiva nei confronti del disordine che il mondo sembra rovesciare sulle singole realtà nazionale, in Europa in particolare. La guerra in questo contesto non costituisce certo un fattore progressivo. La composizione sociale e politica delle diverse formazioni sociali deve essere un elemento basilare per svolgere una analisi dei processi politici, i quali a loro volta incidono sui processi da cui emergono, ma nel breve periodo costituiscono indubbiamente degli epifenomeni che non si spiegano da soli. Epifenomeni in cui si collocano poi processi decisionali che hanno effetti sostanziali, ma che per quanto possano essere deprecabili non possono essere ridotti a ricorsi storici, che paragonano quanto sta succedendo in Europa alle vicende che portarono alla seconda guerra mondiale; di sicuro l’attuale federazione Russa non è l’unione Sovietica e per fortuna nessun regime è paragonabile a quello hitleriano. L’ a-fascismo come messa in mora di fatto della costituzione democratica è forse il riflesso dall’a-partecipazione democratica di gran parte della popolazione, nel nostro paese. 

Infine arriviamo all’argomento che dilaga nelle cronache di queste settimane l’Intelligenza Artificiale nelle sue più recenti declinazioni, di cui cerchiamo di seguire gli sviluppi con una certa continuità. Le voci critiche sugli ultimi sviluppi ed ancor più su quelli prossimi vengono proprio da chi ha contribuito al suo sviluppo, indicando e preconizzando una sostanziale perdita di controllo, dell’uomo, dell’organizzazione sociale sui dispositivi dell’I.A. – una sorta di nemesi finale del processo di autonomizzazione della macchina globale, del Cyborg sociale e globale che il modo di produzione capitalistico ha prodotto. Essa si presenta come la conclusione del processo di estraneità dei soggetti della cooperazione sociale nei confronti del loro prodotto che sembra prendere vita autonoma come non è mai successo prima. Una parte degli esperti degli addetti lavori più competenti ci dice che il bilanciamento tra rischi e opportunità si sta spostando a favore dei primi, prefigurando da parte di alcuni una sorta di ‘fine del mondo’ per lo meno di come lo abbiamo conosciuto sino ad oggi. Un esito drammatico, in tragica contraddizione con la speranza che proprio la tecnologia possa o potesse essere il fattore che ci salva dalla catastrofe, quella climatica in primis che funziona da contenitore di tutte le altre.  Le norme che dovrebbero regolarne lo sviluppo appaiono in ritardo nella loro struttura, modalità e tempi di applicazione.

Il salto di qualità, la singolarità che si manifesta nei processi di trasformazione tecnologica si salda con la crisi radicale della democrazia come forma reale di governo delle società umane, entro dinamiche globali sempre più complesse ed imprevedibili che a livello geopolitico non offrono sostanziali motivi di speranza, in assenza di una rete di movimenti di liberazione, radicalmente conflittuali con l’ordine attuale del mondo.

Un lavoro di fino, certosino, che lavora artigianalmente ad un tessuto globale, certo ci attende, comunque la pensiamo.

Roberto Rosso

  1. https://transform-italia.it/i-paesi-brics-vogliono-inaugurare-una-nuova-era-per-lo-sviluppo-globale-senza-il-peso-delloccidente/  https://www.agenzianova.com/news/algeria-ce-il-via-libera-di-pechino-per-entrare-nei-brics/  https://borsaefinanza.it/brics-gruppo-pronto-ad-allargarsi-ecco-chi-puo-entrare-nel-2023/. []
  2. https://www.scmp.com/tech/article/3210322/foxconn-leases-new-site-vietnam-apple-contractor-continues-diversify-production-away-china.[]
  3. https://www.worldweatherattribution.org/human-induced-climate-change-increased-drought-severity-in-southern-horn-of-africa/    https://www.theguardian.com/global-development/2022/sep/21/theres-a-path-towards-death-that-people-travel-how-hunger-destroys-lives-and-communities             https://sdg2advocacyhub.org/news/open-letter-un-member-states-global-food-crisis  https://www.theguardian.com/global-development/2022/jul/06/famine-what-is-it-where-will-it-strike-and-how-should-the-world-respond.[]
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