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La violenza sta cominciando a definire la crisi della democrazia liberale americana

di Alessandro
Scassellati

C’è la violenza spettacolare come la parata militare di Trump e la violenza reale come l’assassinio di Melissa Hortman, i rapimenti e le deportazioni di migliaia di immigrati da parte delle milizie paramilitari dell’ICE e la repressione di coloro che protestano. La tendenza è decisamente in crescita mentre il regime trumpiano sta compiendo una torsione autoritaria. Gli Stati Uniti sono una società sfilacciata, lacerata dalla polarizzazione, da forti disaccordi e da un estremismo crescente. La democrazia liberale statunitense attraversa una grave crisi e si aprono scenari di autoritarismo.

Questa è la storia di un uomo che cade da un palazzo di cinquanta piani. Mano a mano che cadendo passa da un piano all’altro, il tizio, per farsi coraggio, si ripete: «Fino a qui tutto bene. Fino a qui tutto bene. Fino a qui tutto bene». Il problema non è la caduta, ma l’atterraggio. Dal film L’Odio di Mathieu Kassovitz

Sabato 14 giugno, con il boato di una salva di 21 colpi di cannone è iniziata la parata militare tanto desiderata da Donald J. Trump1 per festeggiare il 250° anniversario delle forze armate e, al tempo stesso, il suo 79° compleanno. Durante la parata, la banda musicale è passata da suonare “Jump” dei Van Halen a “Fortunate Son” dei Creedence Clearwater Revival, subito dopo che il presentatore aveva spiegato che gli obici M777 sono fatti di titanio. Nessuno, a quanto pare, aveva considerato il testo: “Alcune persone nascono, sono fatte per sventolare la bandiera, sono rosse, bianche e blu, e quando la banda suona Hail to the Chief, ti puntano il cannone addosso”. Un messaggio diretto che rischia di rappresentare in modo molto accurato quanto sta succedendo nel paese.

Gli Stati Uniti chiaramente non sanno come organizzare una parata militare autoritaria. Le parate militari autoritarie dovrebbero proiettare una forza invincibile. Dovrebbero impressionare il proprio popolo con la disciplina disumana delle truppe e incutere timore nei nemici con la capacità della propria organizzazione e dei sistemi d’arma. Nella parata di Trump, i soldati sembravano bambini costretti a partecipare a una recita scolastica improvvisata, cercando di capire il più possibile come evitare l’imbarazzo, e l’esercito stesso sembrava più adatto a gestire un tour del cantante Kid Rock che la difesa di un paese.

Ma non bisogna confondere la scadente parata di Trump con una barzelletta o un innocente spettacolo. La parata di Trump si è svolta subito dopo l’assassinio di Melissa Hortman, deputata democratica dello Stato del Minnesota2. Mentre era in corso, le forze di sicurezza stavano sparando proiettili di gomma e gas lacrimogeni sui manifestanti a Los Angeles che protestavano contro i rastrellamenti dei commandos dell’Immigration and Customs Enforcement (ICE) inviati da Trump per “liberare” la città da un'”invasione di migranti” di colore provenienti da Messico, El Salvador, Venezuela e molti altri paesi a sud del confine (sulla vicenda relativa a Los Angeles si veda il nostro articolo).

La violenza sta iniziando a definire la vita politica americana: violenza spettacolare, come la parata, e violenza reale come l’assassinio di Hortman, i rapimenti e le deportazioni dei migranti, e la repressione di coloro che protestano contro la torsione autoritaria dell’amministrazione Trump. La destabilizzazione politica sta arrivando troppo rapidamente per essere percepita nella sua interezza. Stanno succedendo così tante cose così in fretta che è impossibile tenere traccia dell’evoluzione. La domanda che ci si pone sempre più spesso è: quando inizieranno i cittadini statunitensi a chiamare tutto questo con il suo vero nome?: una guerra civile combattuta mentre il governo federale cerca di creare uno “stato di eccezione” che consenta di instaurare uno stato di polizia. Ogni giorno che passa, la violenza diventa sempre più radicata come strumento della politica statunitense. Robert A. Pape, professore di scienze politiche all’Università di Chicago, che studia la violenza politica da 30 anni, ha scritto sul New York Times che “potremmo essere sull’orlo di un’era estremamente violenta nella politica americana. La violenza politica odierna si verifica in tutto lo spettro politico e si registra un corrispondente aumento del sostegno pubblico sia a destra che a sinistra”.

Una manifestante reggeva un cartello raffigurante un Trump in versione cartoon che si tirava indietro il riporto per rivelare una svastica sulla fronte. Il cartello diceva “Salvate la nostra democrazia”. Accanto a lei – come “controprotesta alla controprotesta alla protesta, o qualcosa del genere”, come ha detto uno di loro – c’era un gruppo di uomini pro-Trump. Uno era avvolto in una bandiera americana. Un altro aveva una gigantesca immagine di Trump, con una corona, con l’esortazione “Trump re”.

La parata e le contro-proteste “No Kings” che hanno visto la partecipazione di milioni di persone in tutti gli Stati Uniti, sono state entrambe distrazioni dal fatto che la vita politica americana si sta completamente allontanando dal dibattito pubblico democratico. Non ti piace quello che dicono i senatori (come Alex Padilla della California) dell’altro partito? Ammanettali3. Non ti piacciono i manifestanti contro i raid dell’ICE? Definiscili “insurrezionalisti” e manda la Guardia Nazionale e i marines contro la volontà delle autorità statali e cittadine californiane (baluardi del partito Democratico)4. Non ti piace la composizione della Camera dei Rappresentanti del Minnesota? Uccidi il principale esponente democratico. Non ti piace il candidato alla presidenza? Sparagli!5 Lo scopo politico della parata, dal punto di vista di Trump, era dimostrare la sua padronanza dei mezzi di violenza. Doveva dimostrare, sia all’esercito che al popolo statunitense, che può far fare all’esercito ciò che gli dice, e che le tradizioni consolidate e lo stato di diritto non cambieranno la sua volontà.

Ma l’effetto principale della parata è stato quello di dimostrare un’immensa debolezza, in Trump e nel popolo statunitense. È stata una parata che ricordava i regimi più vacui della storia. Nel 1977, Jean-Bédel Bokassa, il leader della Repubblica Centrafricana, si autoproclamò imperatore e si concesse un’incoronazione che imitava nei minimi dettagli quella di Napoleone I. Arrivò persino a usare otto cavalli bianchi normanni per trainare la carrozza, ma i cavalli francesi non erano abituati al clima e diversi morirono. La parata di Trump è sembrata una versione meno appariscente e curata di quella tradizione.

Lo spettro della sconfitta aleggiava sull’intera celebrazione di una presunta forza. L’ultima volta che l’esercito americano aveva organizzato una parata era stato nel 1991, l’ultima volta che ha trionfato su un avversario (l’Iraq di Saddam Hussein nella prima Guerra del Golfo), l’ultima volta che la sua macchina da guerra ha prodotto i risultati che aveva cercato di ottenere. Da allora gli Stati Uniti non hanno più vinto una guerra. Ma se non si può vincere una guerra, almeno si può organizzare una parata militare.

Peccato che non abbiano saputo nemmeno organizzare una parata!6 Le truppe hanno sfilato. Carri armati e veicoli trasporto truppe sono avanzati. Gli elicotteri hanno sferragliato. I paracadutisti si sono lanciati dal cielo coperto. Ma la parata di Trump non è stata né lo spettacolo totalitario nordcoreano che i critici avevano tetramente previsto, né il trionfo del nazionalismo Maga che i fan desideravano. La fine dello spettacolo è stata particolarmente esemplificativa. Un fragile Lee Greenwood, un cantante country da tempo oltre la data di scadenza, ha cantato “God Bless America” in modo sgangherato e sgradevole. “La nostra bandiera rappresenta ancora la libertà”, ha cantato. “Non possono portarcela via”. Oh, non possono? Trump al centro si agitava come un bambino ricco annoiato dai suoi servi e dai suoi giocattoli. L’intera faccenda era come guardare una sordida fiaba: il ragazzo non amato che tutti odiavano è cresciuto costringendo il popolo statunitense a organizzargli una festa di compleanno e a regalargli una bandiera. E poi non si è presentato quasi nessuno7.

Ciò che vale per gli uomini vale anche per i Paesi: più hanno bisogno di ostentare la propria forza, più sono deboli. La debolezza, più che la forza, è terrificante. Chiunque sia così spaventato e bisognoso da aver bisogno di una parata militare noiosa e deludente – nonostante i milioni di dollari spesi8, le polemiche generate e le estenuanti misure di sicurezza – è capace di tutto. Questo vale per Trump, e questo vale per il suo Paese.

 

La torsione autoritaria di Trump. Verso uno stato di polizia?

A soli pochi mesi dall’inizio del secondo mandato di Trump, gli Stati Uniti appaiono drammaticamente e forse irreversibilmente cambiati, sia in patria che sulla scena mondiale. La furia di Trump nel governo federale ha minato la capacità di governo degli Stati Uniti. Il suo indebolimento dei diritti costituzionali fondamentali in patria e la sua ostilità all’immigrazione hanno reso gli Stati Uniti inospitali per i visitatori che arricchiscono il paese e contribuiscono alla sua produttività e innovazione. E il suo disprezzo per le norme e le leggi ha indebolito la credibilità americana e reso gli Stati Uniti un partner internazionale inaffidabile e, persino tra alcuni alleati, una minaccia da temere.

La mossa di inviare le truppe a Los Angeles la scorsa settimana riflette un modello sempre più evidente di questa presidenza: Trump dichiara un’emergenza o una crisi laddove molti altri non la vedono, consentendogli di intraprendere azioni radicali, mobilitare sostenitori e combattere su un terreno politico che ritiene favorevole. La dichiarazione di emergenza economica da parte di Trump ad aprile ha consentito l’imposizione di tariffe doganali estese (il “Liberation Day” del 2 aprile). La sua dichiarazione di invasione al confine meridionale ha aperto la strada a un’intensificazione delle deportazioni dei migranti irregolari. La proclamazione di un’emergenza energetica gli ha reso più facile allentare le normative. La sua dichiarazione secondo cui il fentanyl proveniente da Cina, Messico e Canada costituiva un’emergenza ha giustificato i dazi, così come un’analoga sentenza sull’approccio della Corte Penale Internazionale nei confronti di Israele.

La capacità di Trump di proclamare queste (ed altre) emergenze tramite degli ordini esecutivi gli ha consentito di dispiegare immediatamente l’autorità che ne è derivata. Gli conferisce poteri straordinari, evitando di passare attraverso i normali meccanismi e la burocrazia del governo. L’obiettivo è esercitare poteri straordinari per sbarazzarsi del controllo democratico dove vuole, sbarazzarsi della burocrazia dove può e mettere in un angolo i suoi oppositori. Il flusso di dichiarazioni di emergenza ha contribuito a far crescere la sensazione che il Paese stia affrontando una crisi perpetua, sotto la minaccia di Paesi stranieri e nemici interni. Trump sembra prosperare in questo clima, assumendo il ruolo di combattente e salvatore. Le dichiarazioni ufficiali di Trump sono in qualche modo in linea con la sua retorica pubblica, che spesso suggerisce che il Paese stia affrontando una crisi senza precedenti che solo lui può risolvere. Con un continuo susseguirsi di azioni unilaterali, post sui social media e ordini esecutivi, Trump ha creato la costante sensazione di un Paese sotto assedio, che richiede un’azione decisa da parte del suo leader.

Trump ha dichiarato stati di emergenza, invasioni e ribellioni praticamente da quando ha assunto l’incarico a gennaio, il che gli ha consentito non solo di inquadrare il panorama politico, ma anche di stabilire basi legali per le sue azioni poco ortodosse. Come ha notato Rober Reich, la storia dimostra che una volta che un governante autoritario crea emergenze inesistenti può facilmente costruire l’infrastruttura istituzionale (la “macchina politica”) di uno stato di polizia e quella stessa infrastruttura può essere rivolta contro chiunque. Trump e il suo regime stanno rapidamente creando tale infrastruttura, in cinque fasi:

(1) dichiarare lo stato di emergenza sulla base di una cosiddetta “ribellione”, “insurrezione” o “invasione”;

(2) usare tale “emergenza” per giustificare l’intervento di agenti federali con il monopolio dell’uso della forza (ICE, FBI, DEA, Guardia Nazionale e Marines) contro i civili all’interno del Paese;

(3) consentire a questi agenti militarizzati di effettuare rapimenti a tappeto e arresti senza mandato, e di detenere persone senza un giusto processo;

(4) creare ulteriori spazi carcerari e campi di detenzione per le persone detenute (incluso il loro invio al centro di detenzione di Guantanamo Bay);

(5) con l’aggravarsi della situazione, dichiarare la legge marziale.

Il modo più rapido perché gli Stati Uniti diventino un regime autoritario è politicizzare l’esercito. Per ora, non siamo ancora arrivati alla legge marziale. Ma una volta instaurata, l’infrastruttura di uno stato di polizia può autoalimentarsi. Coloro a cui viene conferita autorità su alcuni aspetti di questo sistema – la milizia interna, le retate, i campi di detenzione e la legge marziale – cercano altre opportunità per invocare la propria autorità. Mentre il controllo civile cede il passo al controllo militare, il paese si divide tra coloro che sono più vulnerabili e coloro che la sostengono. La dittatura si consolida fomentando paura e rabbia da entrambe le parti.

In questo momento, i principali baluardi contro il progetto di stato di polizia di Trump sono i tribunali federali (dove molti dei suoi ordini esecutivi sono stati bloccati) e le proteste pacifiche su larga scala, come quella a cui molti milioni di persone hanno partecipato sabato 14 giugno, in occasione del No Kings National Day of Action. Con una partecipazione compresa tra due e sei milioni di persone in più di duemila città, le manifestazioni di sabato non solo sono state paragonabili alle più grandi proteste del caotico primo mandato di Trump, ma potrebbero anche essere state una delle più grandi proteste di massa nella storia americana9. Si sono svolte pacificamente, dimostrando la determinazione a combattere la deriva tirannica, ma facendolo in modo non violento per far conoscere all’America l’infrastruttura emergente dello stato di polizia di Trump e l’importanza di resistergli e porre fine al suo tentativo di svolta autoritaria.

Militarizzando la situazione a Los Angeles, Trump ha adottato una “strategia della tensione” per militarizzare lo scontro politico e spingere gli americani, in generale, che vogliono resistergli ad affrontarlo nelle strade delle loro città, rendendo così possibili i suoi attacchi alle libertà costituzionali. Vuole creare un senso di paura esistenziale che l’anarchia sociale si stia diffondendo, che le bande criminali stiano prendendo il sopravvento per poi usare tutta la forza repressiva dello Stato, abituando gli americani a vedere le forze armate impegnate in combattimenti nelle strade delle città americane. Trump vuole che Los Angeles si dia fuoco da sola, per cui bisogna ribellarsi ma in modo più intelligente e non violento: il caos nelle strade aumenterà il sostegno pubblico al programma restrittivo e autoritario di Trump che ha chiarito che farà rispettare “la legge e l’ordine” esclusivamente su linee ideologiche e lealiste (come dettagliato nell’agenda della destra nota come Progetto 2025). Il governatore della California Gavin Newsom ha esortato i manifestanti a mantenere la calma e a quanti ricorrono alla violenza ha detto: “Donald Trump vi sta usando come scusa per militarizzare una città e aggirare la nostra democrazia. È sconsiderato, è immorale. Ha compiuto l’atto illegale e incostituzionale di federalizzare la Guardia Nazionale e sta mettendo a rischio vite umane”.

Mentre le proteste in difesa dei lavoratori immigrati e contro l’autoritarismo rallentano a Los Angeles, Trump e i suoi consiglieri come Stephen Miller, l’architetto della politica migratoria intransigente10, promettono di intensificare i raid sui migranti nelle grandi città a guida democratica nelle prossime settimane e appaiono quasi desiderosi che ci sia violenza pubblica che giustificherebbe l’uso della forza armata – politicizzando così le forze militari – contro cittadini migranti e statunitensi. Newsom ha affermato che il governo di Trump non sta proteggendo la comunità, ma la sta traumatizzando “e questo sembra essere il punto”. “Se alcuni di noi possono essere rapiti in strada senza un mandato, solo in base al sospetto o al colore della pelle, allora nessuno di noi sarebbe al sicuro. I regimi autoritari iniziano prendendo di mira le persone meno in grado di difendersi. Ma non si fermano qui. Trump e i suoi fedeli sostenitori prosperano sulla divisione perché permette loro di prendere più potere ed esercitare un controllo ancora maggiore”. Gli eventi di Los Angeles potrebbero essere un’anticipazione di ciò che accadrà in altre città del paese, soprattutto se il disordine inizierà a diffondersi (la calda estate è tradizionalmente la stagione delle sommosse popolari nelle grandi città statunitensi, da Watts nel 1965 al 1992 dopo Rodney King). “Questo riguarda tutti noi. Riguarda voi. La California potrebbe essere la prima, ma è chiaro che non finirà qui. Altri Stati saranno i prossimi. La democrazia è la prossima. La democrazia è sotto attacco davanti ai nostri occhi, questo momento che temevamo è arrivato”, ha detto Newsom e ha esortato l’opinione pubblica a diventare l'”antidoto” alla paura e alla divisione seminate dall’amministrazione Trump. Due giorni dopo, Kristi Noem, Segretario alla Sicurezza Nazionale, ha risposto sostenendo che il governo federale avrebbe “liberato la città dai socialisti e dalla leadership gravosa” di Newsom e del sindaco di Los Angeles Karen Bass. Si sta realizzando un crescente senso di mobilitazione tra due blocchi contrapposti, che spinge sia i manifestanti sia le forze governative a diventare più militanti, mentre ognuno cerca di imporre la propria volontà sull’altro.

Questo momento critico non può essere compreso isolatamente. Il modo migliore per dare un senso a quanto sta succedendo con Trump è guardare prima non alle sue politiche, ma a ciò che gli ha dato il potere di adottarle. Trump governa oggi sulla scia del quasi completo smantellamento dei pesi e contrappesi del potere esecutivo, almeno nell’ambito della sicurezza nazionale e della politica estera. Dopo gli attacchi dell’11 settembre ci sono state le «guerre contro il terrorismo» in Iraq, Afghanistan, Siria, Libia e altri paesi (costate almeno 900 mila morti e 6 trilioni di dollari11), e il Congresso ha concesso alla presidenza sempre più potere in materia di affari esteri e si è rifiutato di ritirarne alcuno, e la Corte Suprema è stata riluttante a imporre restrizioni significative. Trump ha ereditato un apparato di sicurezza nazionale in continua espansione che opera con una scarsa supervisione. I suoi attacchi alle istituzioni durante il suo primo mandato miravano ad ampliare ulteriormente il potere del presidente e, negli anni successivi, il Congresso e la Corte Suprema hanno bloccato i tentativi di porre un freno alla presidenza12. Il risultato è che Trump ora può fare praticamente tutto ciò che vuole quando si tratta di qualsiasi cosa anche solo vagamente legata alla sicurezza nazionale o alla politica estera: deportare cittadini stranieri nei campi di prigionia di El Salvador, imporre tariffe doganali ingenti a paesi in tutto il mondo, vanificare gli impegni di aiuti esteri imposti dal Congresso, intimidire gli alleati, corteggiare autocrati, accettare lauti regali dalle monarchie, schierare l’esercito per le strade delle città americane e persino schierare le forze armate in una parata celebrativa per il suo compleanno.

Come ha osservato il poeta, studioso e politico Aime Césaire nella sua analisi del colonialismo e suprematismo bianco europeo, la violenza imposta nelle periferie ritorna inevitabilmente nella metropoli13. In un post pubblicato sulla sua piattaforma social, Truth Social, il presidente Trump ha descritto le tensioni a Los Angeles come “illegalità del Terzo Mondo”: “Generazioni di eroi dell’esercito non hanno versato il loro sangue su lidi lontani solo per vedere il nostro Paese distrutto dall’invasione e dall’illegalità del Terzo Mondo qui in patria, come sta accadendo in California. Come Comandante in Capo, non permetterò che ciò accada”.

Come ha sostenuto Césaire, gli strumenti di oppressione sviluppati all’estero trovano sempre la strada per tornare a casa. Negli Stati Uniti, questo è stato un processo decennale. Nel 1996, una disposizione del National Defense Authorization Act consentiva al Pentagono di trasferire armi di livello militare in eccedenza ai dipartimenti di polizia locali. Nei tre decenni successivi, le stesse armi utilizzate per la violenza imperialista all’estero furono trasferite ai dipartimenti di polizia per essere impiegate nelle comunità povere ed emarginate.

Poi, con l’inizio della “guerra al terrore”, le tattiche per colpire e sottomettere le popolazioni straniere furono trasferite in patria per essere utilizzate contro le comunità vulnerabili. Il Congresso approvò leggi radicali come l’USA Patriot Act e gli emendamenti al Foreign Intelligence Surveillance Act, consentendo la sorveglianza di massa e la raccolta di informazioni sul suolo statunitense. L’autorizzazione del 2001 all’uso della forza militare contro i terroristi ha consentito la detenzione militare a tempo indeterminato di cittadini statunitensi, mentre una sentenza della Corte Suprema nel caso Holder contro Humanitarian Law Project ha ampliato la dottrina del “sostegno materiale” per criminalizzare anche il coinvolgimento pacifico con gruppi inseriti nella lista nera. Programmi come Countering Violent Extremism (CVE) hanno trasformato scuole e moschee in centri di sorveglianza, prendendo di mira le comunità musulmane, arabe e dell’Asia meridionale. Mentre all’estero il governo degli Stati Uniti portava avanti una campagna di catture, torture e detenzioni illegali a Guantanamo Bay, in patria stava impiegando la legge contro le comunità “sospette”.

Il processo alla Holy Land Foundation del 2008 ha introdotto per la prima volta “prove segrete” in un tribunale penale statunitense, con un agente segreto israeliano che ha affermato di aver “sentito l’odore di Hamas” negli imputati. L’azione penale intentata in Georgia contro i manifestanti di Cop City con l’accusa di “terrorismo” ha preso direttamente spunto da questo schema, così come il disegno di legge HB 2348 del Tennessee, che estende i poteri di polizia per reprimere le proteste pacifiche.

Dopo il 7 ottobre 2023, il governo degli Stati Uniti ha violato le proprie leggi per partecipare direttamente al genocidio di Gaza, fornendo armi e intelligence a Israele. La repressione di massa e la distruzione che i palestinesi hanno subito per mano dei coloni sostenuti dagli Stati Uniti sono state trasferite sul suolo americano. Il governo ha lanciato un attacco senza precedenti alla libertà di parola e alla libertà accademica, reprimendo gli studenti che protestavano contro il genocidio e incoraggiando ritorsioni contro le voci filo-palestinesi. Abbiamo assistito alla revoca di incarichi accademici, alla sorveglianza dei manifestanti e alla criminalizzazione del dissenso. I palestinesi e i loro alleati hanno subito un aumento quadruplo di molestie, dossieraggi e attacchi online e perdita del lavoro; hanno anche dovuto affrontare attacchi violenti e omicidi. Tutto questo non è iniziato sotto Trump, bensì sotto il suo predecessore “democratico”, l’ex presidente degli Stati Uniti Joe Biden, che ha anche aumentato il budget dei dipartimenti di polizia di 13 miliardi di dollari e ampliato i poteri dell’ICE. Il modello è chiaro: le misure repressive sviluppate per colpire le popolazioni straniere sono diventate strumenti per reprimere ogni dissenso in patria.

Ciò che sta accadendo a Los Angeles e in altre città non riguarda l’applicazione della legge; riguarda una dimostrazione di potere, una dimostrazione che la ribellione verrà affrontata con una forza schiacciante e repressiva. Se questo precedente regge, le truppe federali diventeranno la risposta standard a qualsiasi resistenza. Le città le cui amministrazioni non si schiereranno dalla parte del presidente affronteranno l’occupazione militare. La protesta sarà ridefinita come ribellione. Quando le persone si riuniranno in piazza per chiedere giustizia, non affronteranno la polizia, ma i soldati, ossia truppe che sono addestrate per la guerra, dove possono sparare per uccidere.

 

Crisi della democrazia liberale statunitense e scenari di autoritarismo

Nel 1935 lo scrittore americano premio Nobel (1930) Sinclair Lewis scrisse e pubblicò il romanzo distopico Qui non può succedere che si rivelò subito un bestseller e una profezia incredibilmente accurata del nostro tempo14. Lewis immagina una realtà alternativa in cui, alle elezioni presidenziali del 1936, Franklin D. Roosevelt viene sconfitto dal senatore populista Berzelius «Buzz» Windrip. La sua vittoria segna una svolta nella storia degli Stati Uniti, decretando la fine della democrazia e l’avvento del fascismo oltreoceano. Dopo aver promesso drastiche (per quanto fumose e contraddittorie) riforme economiche e sociali nel segno di un ritorno al patriottismo e ai valori della tradizione per conquistare il favore degli elettori impoveriti a seguito della “Grande Crisi” del 1929 e preservare l’American Way of Life, Buzz Windrip assume gradualmente il controllo del governo con l’aiuto di una forza paramilitare senza scrupoli, dichiara la legge marziale e instaura un regime che prende il controllo di stampa e università, neutralizza il Congresso e abolisce la Corte Suprema. Un regime che non garantisce più il Primo Emendamento, il giusto processo, la libertà accademica e la disobbedienza civile, e che in breve tempo crea campi di concentramento, usa la tortura e l’omicidio dei rivali politici, e ricorda da vicino fascismo, nazismo e stalinismo. Le questioni sollevate da Lewis sulla libertà e la giustizia rimangono perenni. Egli credeva che il dissenso – anche se in una versione eccentrica e antiquata – non fosse slealtà, ma fosse il cuore dell’identità democratica americana alimentata da uno “spirito libero, indagatore, critico”. Il nostro invito è di leggere questo brillante (benché terrificante) esperimento distopico di Lewis perché riesce a far aprire gli occhi sul pericolo costante rappresentato dal tramonto della democrazia statunitense e anche delle nostre democrazie europee: non un fatto del passato, ma un rischio oggi più che mai attuale.

In un discorso profondamente personale ed emozionante, il senatore Alex Padilla (il primo figlio di immigrati messicani eletto dalla California al Senato federale) ha raccontato di essere stato trattenuto, ammanettato e allontanato con la forza da agenti dell’FBI mentre tentava di porre una domanda durante una conferenza stampa tenuta dal segretario per la Sicurezza Interna, Kristi Noem, a Los Angeles la scorsa settimana. “È ora di svegliarsi”, ha detto, indicando quanto gli è successo come un “campanello d’allarme” per gli americani, un avvertimento su quanto velocemente le norme democratiche possano svanire quando il dissenso viene messo a tacere e il potere non viene controllato. “Se questo è ciò che l’amministrazione è disposta a fare a un senatore degli Stati Uniti per aver avuto l’audacia di porre semplicemente una domanda”, ha detto Padilla, “immaginate cosa farebbe a qualsiasi americano che osa parlare”. Ha esortato gli americani a continuare a protestare pacificamente contro l’amministrazione. “Se questa amministrazione ha così tanta paura di un solo senatore con una domanda… immaginate cosa possono fare le voci di decine di milioni di americani che protestano pacificamente”.

Alexis de Tocqueville, un osservatore aristocratico francese ottocentesco di orientamento conservatore che riteneva che in America ci fosse un eccesso di democrazia15, analizzando la società civile americana bianca del XIX secolo aveva sostenuto che laddove i cittadini si impegnano in reti sovrapposte della società civile – organizzazioni non governative, associazioni di volontari, gruppi di interesse – tendono a sviluppare identità collettive che attraversano le divisioni sociali, producendo tolleranza, senso civico, fiducia e prevenzione dei conflitti16.

Oggi, con partiti politici di massa organizzati (con una base di classe o con una ideologia), sindacati, gruppi di opinione e altre organizzazioni di rappresentanza sociale fortemente indeboliti, spesso in decomposizione, se non pressoché inesistenti, un’ulteriore frustrazione delle aspettative di cambiamento o il verificarsi di una crisi economico-finanziaria generale (come quella del 2008 e quella presente post-Covid) stanno avendo conseguenze molto pesanti per il futuro dei sistemi democratici liberali. Stanno aprendo la strada a leader e movimenti – come Trump e il suo movimento Maga – portatori delle forme più radicali di populismo autoritario che mirano a sfidare le regole chiave e le norme del sistema democratico liberale stesso. Le istituzioni da sole non bastano a frenare degli autocrati eletti cinici e brutali se la democrazia viene ridotta al culto e al dominio della maggioranza e del governo (ottenuto con qualsiasi mezzo) senza che vi sia un adeguato riconoscimento della rappresentatività, dell’uguaglianza di trattamento e del ruolo delle minoranze.

In buona parte, la democrazia liberale funziona ed è stabile se i cittadini adottano una cultura di moderazione e rispetto dei diritti degli altri di pensare ciò che vogliono. Soprattutto, se tutti i principali attori politici di maggioranza e di minoranza sono disposti a rispettare in buona fede e con integrità le regole e i princìpi di base del gioco democratico, il sistema di pesi e contrappesi (dalla divisione dei poteri ai meccanismi formali e informali di checks and balances), lo stato di diritto, un’articolazione pluralistica dell’esercizio dell’autorità politica per la maggior parte del tempo, senza cercare di portare le istituzioni indipendenti (i tribunali, le forze armate, i media, la scuola, l’università, le rappresentanze degli interessi, le organizzazioni della società civile) sotto il loro diretto controllo e senza avere la pretesa di incarnare da soli la volontà del popolo. Le costituzioni democratiche sono difese da norme (scritte e non scritte), ma anche da istituzioni funzionanti, partiti politici e cittadini organizzati.

La storia dei secoli XX e XXI ha ampiamente dimostrato che la democrazia rappresentativa di stampo liberale, a differenza di quanto sostengono le élite liberali, non è intrinsecamente un baluardo contro l’estrema destra e il fascismo, anche perché, in molte occasioni, la stessa élite liberale ha ritenuto possibile e persino preferibile schierarsi con le forze eversive ed autoritarie in difesa dei propri interessi17. Senza la partecipazione democratica di cittadini e partiti, senza diritti esigibili, senza responsabilità chiare, e senza norme robuste, i controlli e gli equilibri costituzionali non servono da baluardi della democrazia che diventa una simulazione, mentre le istituzioni diventano armi politiche, impugnate con forza da coloro che le controllano contro coloro che sono all’opposizione, trasformando gli avversari politici in nemici e facendo degenerare la politica democratica in una guerra a tutto campo. Le vicende della storia contemporanea dimostrano che soltanto società costituite da solidi corpi sociali intermedi, vere autonomie locali e funzionali, cittadini e opinioni pubbliche che si esprimono coscientemente attraverso organizzazioni degli interessi, sindacati e partiti, possono dare vita ad efficaci forme di autogoverno e controllo democratico, con politiche economiche orientate da interessi comuni.

L’estrema destra, come è già successo con il fascismo un secolo fa, prospera grazie a tre principali fattori: la normalizzazione delle sue idee antidemocratiche alimentata dalle forze moderate conservatrici in rincorsa, dai grandi mezzi di informazione e dai loro padroni; la disaffezione, lo scetticismo, la passivizzazione e l’apatia di un elettorato sempre più bombardato da fake news e che si sente escluso, isolato socialmente, represso, depresso e tradito perché ritiene che il sistema sia «truccato» e che le elezioni ogni 4-5 anni siano un rituale svuotato (e per questo in larga parte si astiene), con risultati manipolabili da successivi accordi politici; l’abbandono delle politiche redistributive e di giustizia sociale della socialdemocrazia, in favore di un’adesione ad un capitalismo neoliberista sempre più cinico, vorace e spietato che precarizza condizioni di vita individuali e relazioni sociali.

Alessandro Scassellati

  1. Fin dal suo primo mandato, quando vide e rimase profondamente colpito dalla parata del Giorno della Bastiglia a Parigi, Trump non ha fatto mistero del suo desiderio di organizzare una grande rassegna militare. I vertici militari, consapevoli degli elevati costi e dei problemi di reputazione dell’idea, in passato si sono mostrati restii. Ora, non più.[]
  2. Sabato mattina presto, un assassino che si è spacciato per un agente di polizia ha sparato a due parlamentari democratici e alle loro famiglie nelle loro case in Minnesota, uccidendo una deputata statale e suo marito e ferendo un senatore statale e sua moglie. Nel materiale nell’auto del killer sono stati trovati oltre 45 nomi di politici, inclusi tutti i democratici al Congresso del Minnesota, oltre che dei gestori di alcune cliniche per l’aborto. È un cristiano evangelico contrario all’aborto e, insieme alla moglie, gestisce una società di sicurezza privata, la Praetorian Guard Security Services. Da gennaio si sono verificati anche attacchi motivati ​​politicamente contro le concessionarie Tesla, un incendio doloso che avrebbe potuto uccidere il governatore della Pennsylvania Josh Shapiro e la sua famiglia, l’uccisione di due membri dell’ambasciata israeliana a Washington.[]
  3. Anche Brad Lander, revisore dei conti di New York City e candidato sindaco, si è scagliato contro Donald Trump e “il suo regime fascista”, dopo essere stato arrestato martedì da agenti federali mascherati mentre si recava in un tribunale per l’immigrazione e accompagnava una persona fuori dall’aula. Pubblicando su X, Lander ha scritto: “Staremo tutti peggio se permetteremo a Donald Trump e al suo regime fascista di minare lo stato di diritto”. Secondo quanto riportato dal video dell’incidente, Lander è stato arrestato mentre camminava con il suo staff insieme a un immigrato, che in seguito ha identificato come “Edgardo”, il cui caso era stato archiviato in attesa dell’appello presentato in precedenza quel giorno, secondo AMNY.[]
  4. La California rappresenta l’opposto del trumpismo. Simboleggia la tolleranza e la diversità, la parola che ora è proibita nell’amministrazione. Simboleggia l’aiuto ai poveri e a chi è stato escluso. E simboleggia il diritto di dare un’udienza equa, per quanto impopolare, a chi ha chiesto asilo. Nel 2018, la California è diventata il primo “Stato santuario” della nazione, quando il suo parlamento ha promulgato una legge che limita la collaborazione tra funzionari locali e statali e le autorità federali per l’immigrazione. Trump ha perso in California per tre elezioni consecutive, la più recente delle quali contro la vicepresidente Kamala Harris, figlia di immigrati accolti nello Stato.[]
  5. Il 13 luglio, durante un comizio della campagna di Trump a Butler, in Pennsylvania, un uomo sul tetto di un magazzino ha sparato otto volte all’ex presidente. Un proiettile ha sfiorato l’orecchio di Trump; un partecipante al comizio, un ex capo dei vigili del fuoco volontari, è stato ucciso; altri due sono rimasti feriti. Poi, il 15 settembre, mentre l’ex presidente stava giocando a golf nel suo club di West Palm Beach, un agente dei Servizi Segreti che pattugliava il campo ha notato la canna di un fucile spuntare tra i cespugli lungo una rete metallica. L’agente ha aperto il fuoco e l’uomo armato è fuggito. Dopo essere stato arrestato, le autorità hanno scoperto che stava sorvegliando il campo da ore.[]
  6. Sebbene la marcia dell’esercito si sia svolta senza intoppi, l’evento pubblico più ampio sembrava mal pianificato. I bidoni della spazzatura, pochi e distanti tra loro, traboccavano. Non c’erano abbastanza uscite. L’unica fonte di cibo per migliaia di persone era una manciata di camioncini con code di 40 o 50 persone in attesa ciascuno. Poiché la parata aveva chiuso interi isolati e c’era una carenza di cartelli con indicazioni chiare, era anche straordinariamente difficile orientarsi. Una tenda gestita da un’azienda di bevande distribuiva bottiglie a temperatura ambiente di una bevanda energetica, Phorm. Il gusto, chiamato Screamin’ Freedom, aveva il sapore di caramelle dure sciolte in acqua, e un avviso sulle lattine ne sconsigliava il consumo a minori o donne incinte.[]
  7. Molto al di sotto delle 200 mila persone che si aspettavano. La stragrande maggioranza dei partecipanti sembrava essere composta da sostenitori di Trump, famiglie di militari o per lo più turisti apolitici che volevano solo assistere a una parata. I partecipanti alla parata sembravano essere persone provenienti dalla Virginia suburbana o dal Maryland, o anche da luoghi più lontani. Non era proprio una sorta di Maga Woodstock, ma ci andava vicino. Comunque, la folla era piuttosto esigua, data la portata dell’evento.[]
  8. Sebbene l’esercito abbia accettato di coprire il costo stimato della parata, tra i 25 e i 45 milioni di dollari, inclusi i costi di rinforzo delle strade per proteggerle da così tanti macchinari pesanti, gli abitanti di Washington non sono stati entusiasti.[]
  9. Alcuni numeri nelle principali città degli Stati Uniti sono stati impressionanti: 80.000 a Philadelphia; fino a 75.000 a Chicago; 50.000 a New York, San Francisco e nella molto più piccola Portland, dove la marcia si è estesa per dodici isolati; almeno 70.000 a Seattle, una delle più grandi proteste nella storia della città; diecimila o più in città come Los Angeles, Milwaukee e Spokane. Migliaia di persone si sono presentate nelle città più grandi e progressiste di Stati altrimenti repubblicani, come le almeno quattromila persone che hanno protestato a Nashville; le diecimila o più persone che hanno partecipato alle proteste di Austin, Dallas e Houston; le tremila a Fargo, nel Dakota del Nord; le altre migliaia a Topeka, Boise e Little Rock, o le quasi mille persone che si sono presentate a Charleston, nella Carolina del Sud. Le proteste hanno raggiunto un’ampia area del Paese che ha votato Trump, e non solo nelle grandi città popolose. Migliaia di persone si sono radunate in 35 diversi comuni dell’Iowa, tra cui diverse migliaia a Cedar Rapids e settemila al Campidoglio dello Stato a Des Moines. In Nebraska, diecimila persone si sono radunate a Omaha, mentre duemila persone hanno riempito la strada principale di Lincoln e altre centinaia hanno protestato in città rurali come Hastings e North Platte. Queste scene sono state replicate da molte altre migliaia di manifestanti in numerosi Stati che hanno votato Trump: in 30 città del Missouri, decine di altre città del Texas, almeno 24 comunità in Alaska, più di una dozzina in Kentucky e Indiana ciascuna, e più di 70 città in Florida, uno Stato in continua evoluzione che l’anno scorso ha visto persino metropoli tradizionalmente più progressiste come la contea di Miami-Dade spostarsi nettamente verso Trump. Per alcune di queste località, le recenti controverse azioni di Trump, tra cui l’invio dell’esercito contro i manifestanti, avevano chiaramente stimolato una maggiore opposizione dal basso: a Mobile, in Alabama, ad esempio, i duemila manifestanti che si sono presentati hanno rappresentato un importante passo avanti rispetto alle centinaia che erano scese in piazza due mesi prima, durante la prima serie di proteste nazionali “No Kings”.[]
  10. Stephen Miller è originario di Santa Monica e fa parte di una minoranza conservatrice nello Stato della California, disillusa dalla diversità. La sua campagna per riconquistare Los Angeles e pacificare gli Stati Uniti dovrebbe essere presa sul serio, poiché è vice capo di gabinetto per le politiche e consigliere per la sicurezza interna, ma è anche difficile prenderlo sul serio, perché ha le qualità di un cattivo dei fumetti, così come il suo padrone, Trump.[]
  11. Secondo le stime più recenti del Costs of War Project della Brown University, almeno 897 mila persone in tutto il mondo sono morte in violenze che possono essere classificate come parte della guerra al terrorismo; almeno 38 milioni di persone sono state sfollate a causa di queste guerre; e lo sforzo è costato agli Stati Uniti almeno 5,8 trilioni di dollari, esclusi i circa 2 trilioni di dollari in più necessari per l’assistenza sanitaria e la copertura dell’invalidità per i veterani nei decenni a venire.[]
  12. L’incapacità del Congresso di ritenere Trump responsabile dell’insurrezione del 6 gennaio 2021 e la decisione della Corte Suprema di concedere ai presidenti l’immunità totale nel 2024 hanno distrutto i vincoli rimanenti. La presidenza americana è stata a lungo imperiale. Ma solo durante il secondo mandato di Trump un presidente ha veramente cercato di co mportarsi da imperatore.[]
  13. Césaire cercò di dare un senso a un Occidente che emergeva dalla spettacolare violenza della Germania nazista con alcune comode amnesie. Originario della colonia francese caraibica della Martinica, Césaire trovava ridicolo che un’Europa in frantumi non collegasse – o, più precisamente, non volesse – le atrocità naziste a quelle commesse dalle grandi potenze europee contro le popolazioni native dei loro possedimenti d’oltremare. Césaire lo definì un “terribile effetto boomerang”. Con qualche perfezionamento, il suo concetto è oggi noto come “Boomerang Imperiale”.[]
  14. Lewis era stato ispirato anche dal romanzo distopico di Jack London “Il tallone di ferro” (1913), che raffigura l’ascesa di un’oligarchia spietata negli Stati Uniti.[]
  15. Dai due tomi De la démocratie en Amérique (1836, 1840) traspare la preoccupazione che una composizione sociale atomistica, principale frutto di quella che Tocqueville considera una eguaglianza di condizioni, favorisca irrimediabilmente, attraverso un conformismo di massa, il sorgere di un governo dispotico – la «tirannide della maggioranza» – e il progressivo svuotamento del concetto e della pratica della libertà politica. Tocqueville viene considerato l’inventore dell’«eccezionalismo americano», ossia dell’idea che gli Stati Uniti siano intrinsecamente diversi dagli altri paesi occidentali per valori, sistema politico e sviluppo storico. Per una versione contemporanea della stessa teoria vedi S. P. Huntington, Who are we? The challenges to America’s national identity, Simon & Schuster, New York 2004.[]
  16. Gli studiosi hanno da tempo riconosciuto che affinché vi sia una sana democrazia sono necessarie divisioni trasversali. Nel suo classico studio sui requisiti sociali della democrazia, Seymour Martin Lipset ha osservato che «le prove disponibili suggeriscono che le possibilità di una democrazia stabile sono aumentate nella misura in cui gruppi e individui hanno una serie di trasversali, politicamente rilevanti affiliazioni». S. M. Lipset, Some social requisites of democracy: economic development and political legitimacy, «The American Political Science Review», Vol. 53 (1), 1959:69-105.[]
  17. I fascisti di Mussolini e i nazionalsocialisti di Hitler hanno preso il potere in maniera «costituzionale», tramite le elezioni e il supporto dei liberali e dei conservatori, rispettivamente, di Giovanni Giolitti e Antonio Salandra nel 1920-22 e di Franz von Papen e Paul von Hindenburg nel 1932-33 (insieme alla complicità di membri dell’establishment: magistrati, ufficiali della polizia e delle forze armate, imprenditori), che pensavano di poterli addomesticare ed utilizzare in funzione anti movimento operaio, antisocialista e anticomunista, e invece finirono presto per essere fagocitati e messi da parte.[]
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