La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS), detta anche Convenzione sul diritto del mare o Trattato sul diritto del mare, è un trattato internazionale che stabilisce un quadro giuridico per tutte le attività marittime e marine. Nell’ottobre 2024,169 Stati sovrani e l’Unione europea hanno firmato la convenzione, comprese tutte le maggiori potenze ad eccezione degli Stati Uniti. La convenzione è il risultato della terza conferenza delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS III), svoltasi tra il 1973 e il 1982. UNCLOS ha sostituito i quattro trattati della Convenzione sull’alto mare del 1958.
UNCLOS è entrata in vigore nel 1994, un anno dopo che la Guyana è diventata la sessantesima nazione a ratificare il trattato. Nel 2023 è stato raggiunto un accordo su un trattato sull’alto mare da aggiungere come strumento della convenzione, per proteggere la vita marina nelle acque internazionali. Ciò comporterebbe misure che includono le aree marine protette e le valutazioni di impatto ambientale.
Mari e oceani coprono all’incirca i tre quarti della superficie del globo se ne può facilmente dedurre che dallo stato dei mari e degli oceani dipendano in larga misura la riproduzione della vita e gli equilibri climatici globali. Nel contesto della crisi climatica, del riscaldamento globale provocato dalle emissioni di gas serra, dello stato di salute degli oceani occupano al contrario uno spazio ridottissimo nel dibattito pubblico. Alle conferenze mondiali sul clima i media dedicano ogni anno una attenzione costante; l’ultima conferenza delle parti sul cambiamento climatico, organizzata dall’ONU, la COP29 si è tenuta dall’ 11 al 22 novembre 2024 a Baku1. Le conferenze mondiali sulla biodiversità sono arrivate alla 16sima sessione la COP162 si è tenuta a Calì in Colombia.
Mari ed oceani svolgono una funzione centrale nell’evoluzione del cambiamento climatico e ne sono profondamente influenzati, larga parte della biodiversità vi trova ospitalità; tuttavia le conferenze sullo stato dei mari sono arrivate solo alla terza tappa3, con la terza Conferenza sugli Oceani che sì è tenuta a Nizza dal 9 al 13 giugno. La documentazione preparatoria della conferenza4 rende conto della complessità delle trasformazioni in corso nell’ambiente marino. Tuttavia Il vertice non ha il peso della conferenza annuale dell’ONU sul cambiamento climatico in cui i governi e le altre parti interessate si riuniscono per discutere e negoziare sull’azione climatica, né è giuridicamente vincolante. Ma è arrivato in un momento critico per le minacce che incombono sui mari.
“Il risultato più importante è che un numero sufficiente di paesi ha ratificato o si è formalmente impegnato a ratificare il trattato sull’alto mare. Una volta ratificato, questo accordo contribuirà a raggiungere un obiettivo globale concordato di proteggere il 30% dei mari del mondo entro il 2030. Fornirà il primo meccanismo legale per la creazione di aree protette in alto mare, acque internazionali che coprono quasi due terzi dell’oceano. Il trattato dovrebbe ora entrare in vigore entro il 1o gennaio 2026, ha detto Macron. Questo da solo è un risultato: le prime fasi del trattato sull’alto mare hanno richiesto 20 anni di negoziati prima che l’accordo fosse raggiunto nel 2023. Ora potrebbe essere mesi lontani dal diventare una realtà”5.
L’Alleanza per l’alto mare (High Seas Alliance HSA) a volte si usa il termine “trattato per l’alto mare” (“High Seas Treaty”) come abbreviazione dell’accordo High Seas Treaty & Biodiversity Beyond National Jurisdiction (BBNJ). HSA riconosce che l’ambito di applicazione dell’accordo BBNJ comprende tutte le zone al di fuori della giurisdizione nazionale, compresi il fondo marino e la colonna d’acqua sovrastante. (…)
Il 4 marzo 2023, dopo quasi due decenni di discussioni, compresi 5 anni di negoziati, i governi del mondo hanno raggiunto un accordo su questioni sostanziali chiave per un nuovo trattato per proteggere la vita marina in alto mare. Il nuovo trattato sull’alto mare affronta molte delle lacune di governance che hanno afflitto l’oceano, definendo modalità più chiare per conservare la biodiversità in alto mare. Ora, per garantire che questo progresso conquistato con fatica non vada perduto, la HSA invita gli Stati membri del l’ONU ad adottare rapidamente il nuovo trattato sul l’alto mare e a ratificarlo nel quadro della loro legislazione nazionale in modo che possa entrare in vigore al più presto6.
La frequenza delle conferenze, solo tre sino ad ora e i tempi lunghi che sono stati necessari per arrivare ad una trattato sull’alto mare, trattato che deve essere ratificato e poi incorporato nelle legislazioni nazionali, dimostrano in buona sostanza la ritrosia degli stati a cedere sovranità su una così ampia parte della superfice del globo, sulle sue risorse rilevanti dal punto di vista dell’alimentazione, delle materie prime celate nei fondali più profondi ed in quelli liberati dai ghiacci in superfice. La logistica globale, le catene di approvvigionamento come le linee di forze degli schieramenti militari dipendono in larga parte dalle rotte marine. Lo scioglimento dei ghiacci polari apre a nuove rotte su cui si è aperta una competizione accanita. La Cina stessa si è definita come uno ‘stato quasi artico’. “Dall’inizio degli anni 2000, l’interesse di Pechino per l’Artico è aumentato. Nel 2013, la Repubblica Popolare Cinese (RPC) è stata ammessa tra gli osservatori permanenti del Consiglio Artico, il principale forum regionale. Nel 2018 la Cina ha poi pubblicato un White Paper sulla sua politica ed i suoi obiettivi nella regione. Nel documento, Pechino si è definita come uno “Stato quasi artico” e ha espresso l’ambizione di lanciare una Via della Seta Polare. Tali intenzioni, sostenute da specifiche strategie, potrebbero avere un impatto sulla governance regionale e contribuire a rendere l’Artico un ambiente più globale7.” Glia Stati Uniti a loro volta cercano di tenere sotto controllo le mosse della Cina.
Il cambiamento climatico sta accelerando il ritmo del cambiamento nella regione. “Il cambiamento climatico è ancora un fattore nella regione, dove la regione si riscalda a circa quattro volte il tasso del resto del mondo,” ha detto [Iris A. Ferguson, deputy assistant secretary of defense for Arctic and Global Resilience]. Ciò significa più accesso per gli insediamenti nel l’alto Nord e più possibilità per quella che lei chiama “attività concorrente.” “[Cina] è uno dei nuovi entrati in scena,” ha detto Ferguson.8.
Nel mese di aprile, Donald Trump ha fatto una mossa per accelerare l’attività di sfruttamento minerario dei fondali marini in alto mare sotto la legge degli Stati Uniti, eludendo gli sforzi internazionali per regolamentare il settore. La conferenza ha visto quattro nuovi paesi – ora 37 – che si sono uniti alla Francia per chiedere una moratoria, una pausa o un divieto sulle attività minerarie in alto mare, avvertendo di danni “irreversibili” agli ecosistemi se si dovesse andare avanti.
“L’ordine esecutivo di Trump giovedì ha imposto alla National Oceanic and Atmospheric Administration di accelerare i permessi per le aziende a scavare il fondo dell’oceano sia in acque statunitensi che internazionali. La mossa arriva in quanto la Cina controlla molti minerali critici come nichel, cobalto e manganese utilizzati nella produzione di alta tecnologia, anche per usi militari. Trump ha detto che il suo ordine “stabilisce gli Stati Uniti come leader globale nell’esplorazione e nello sviluppo minerario dei fondali marini sia all’interno che al di fuori della giurisdizione nazionale9.”
Questa presa di posizione della presidenza USA -entro una strategia che non riconosce legittimità ad alcuna istituzione sovranazionale e ad alcun trattato, rivendicando una assoluta libertà di manovra in qualsiasi campo e regione del globo- evidenzia in modo drammatico la debolezza di questi accordi internazionali ed il prevalere di un clima di competizione globale rispetto ad una logica di cooperazione assolutamente necessaria quantomeno per mitigare gli effetti del cambiamento climatico e della distruzione degli ecosistemi. Ciò non vuol dire che non si diffondano pratiche che mirano a preservare gli ecosistemi e a difendere l’integrità di una molteplicità di territori in superfice e sotto i mari, ciò che si evidenzia è che episodi di resistenza al degrado ambientale e climatico non sono in grado di sorreggere un’azione globale in grado di invertire la tendenza dominante. Un ambito di coordinamento di queste iniziative è la UN Decade of Ocean Science for Sustainable Development 2021-2030 (‘Ocean Decade’)10
La crescita straordinaria delle conoscenze sulle dinamiche del clima e degli ecosistemi, sulla complessità delle relazioni che intercorrono a livello locale, regionale e globale stabilisce un contrasto sempre più stridente con l’incapacità di instaurare un regime di collaborazione globale che si faccia forte dello sviluppo di queste conoscenze che sono in grado di descrivere sempre più finemente i cambiamenti catastrofici in atto e definire le strategie necessarie per interdirli realizzare dispostivi tecnologici pe realizzarle.
Il secondo Ocean Action Panel della conferenza di Nizza aveva come tema “Increasing ocean-related scientific cooperation, knowledge, capacity-building, marine technology and education to strengthen the science-policy interface for ocean health” a questo tema era dedicato come per gli altri panel un concept paper.
Significativo è il seguente passaggio nel capitolo dedicato alla cooperazione Scientifica inclusiva. “Il riconoscimento crescente dell’importanza del l’inclusività nella cooperazione scientifica si riflette nella maggiore attenzione prestata alle conoscenze indigene e locali come fonte altrettanto preziosa di informazioni e intuizioni. Una forte attenzione è stata rivolta al maggiore coinvolgimento dei popoli indigeni e delle comunità locali nelle iniziative scientifiche; tuttavia, è necessario un ulteriore sostegno alla ricerca guidata dagli indigeni.” Questo passaggio sottolinea il ruolo centrale e non marginale o sussidiario dei saperi accumulati dalle comunità indigene -come nel caso delle foreste pluviali- e dalle comunità locali che sperimentano sulla propria pelle le conseguenze del riscaldamento globale, della rottura degli ecosistemi e della contaminazione delle matrici ambientali, di quelle comunità che per generazioni hanno preservato gli equilibri di territori che marginalizzati ora vengono abbandonati.
Del resto proprio l’esperienza del nostro paese, con il suo profilo orografico ed i suoi precari equilibri idrogeologici dimostra come il destino di ogni territorio sia legato agli altri, come il destino delle valli e delle pianure sia legato a quelle colline e delle montagne, mentre il riscaldamento di quella pozzanghera che è il mar mediterraneo – che si riscalda ad un ritmo almeno doppio rispetto alla media globale- alimenti fenomeni metereologici estremi sempre più frequenti, assieme all’erosione delle coste. Antiche conoscenze vengono disperse e le nuove non vengono condivise, non diventano strategie di governo del territorio e trasformazione del cosiddetto ‘modello di sviluppo’.
Un capitolo del documento è dedicato alla tecnologia marina. “La tecnologia marina offre opportunità per migliorare la cooperazione, lo sviluppo delle capacità e l’istruzione. Innovazione nelle tecnologie, in particolare nello sviluppo di attrezzature a basso costo e ampiamente utilizzabili, l’espansione e la condivisione delle osservazioni satellitari e strumenti pronti per l’analisi e piattaforme di modellizzazione, contribuisce a dare agli Stati membri meno serviti la possibilità di costruire e mantenere le proprie infrastrutture.”
In assenza di una cooperazione globale le diseguaglianze in termini di risorse scientifiche, tecnologiche incidono sempre più profondamente, assieme alla mancanza di disponibilità finanziarie a cui è dedicato un altro panel con relativo documento preparatorio. Lo straordinario sviluppo delle tecnologie digitali, con l’integrazione di dispositivi e metodologie legate all’intelligenza artificiale, permette di creare i cosiddetti ‘gemelli digitali ‘ che riproducono perfettamente i fenomeni da analizzare, incrementando la capacità di prevedere il loro sviluppo e di individuare le soglie critiche nel loro andamento non lineare.
D’altra parte la complessità dei fenomeni da analizzare, conoscere e prevedere, la quantità di dati e consocenze da integre richiede uno straordinario grado di cooperazione e quindi un adeguato livello di risorse a tutti i livelli. Infatti al punto 20 nel capitolo Ocean observations and data underpinning scientific knowledge si afferma quanto segue.
“L’accesso a dati, informazioni e conoscenze è fondamentale per un approccio integrato e basato sulla scienza alla gestione delle attività umane nelle zone costiere e in alto mare. Una mancanza di controllo della qualità nei set di dati, mancanza di interoperabilità delle diverse piattaforme di dati, set di dati “nascosti” o non sfruttabili, La mancanza di serie di dati su misura per le dimensioni regionali o nazionali e la mancanza di competenze nell’accesso e nel l’analisi dei dati sono tra le sfide nella comprensione dei processi oceanici.”
A fronte delle necessità, della ricchezza di conoscenze acquisite e delle metodologie di ricerca, della dimensione della posta in gioco -le condizioni di vita di gran parte dell’umanità, potremmo dire la salvezza dell’umanità intera- nel pieno sviluppo delle guerre ai quattro angoli del pianeta, stridente ancora una volta appare la quantità di risorse dedicato alla conduzione delle guerre, allo sviluppo delle tecnologie militari, all’accumulo e rinnovamento degli arsenali militari. Consapevoli della non neutralità delle scienze e delle tecnologie, del loro possibile uso duale, ci rendiamo conto di quanto poco delle conoscenze possedute siano destinate alla salvaguardia della vita in tutte le sue manifestazioni, alle vite e quanto alla sua/loro distruzione. Nella traiettoria di produzione di conoscenza si presentano a più riprese punti di biforcazione nei quali si presentano alternative nel loro utilizzo in una direzione o in un’altra e in questi nodi si operano delle scelte nel privilegiare l’una o l’altra.
Estraiamo dalla complessa trattazione del documento, che non possiamo esaurire in poche note, alcuni passaggi che ci sembrano particolarmente significativi.
“Persistono lacune nella conoscenza e nella comprensione dell’oceano, nonché lacune emergenti nelle conoscenze derivanti dalla rapida accelerazione delle minacce per l’oceano, compresi i cambiamenti climatici, le nuove tecnologie e le attività economiche emergenti. (…)
L’osservazione degli oceani fornisce un chiaro esempio delle molteplici sfide interconnesse che esistono nella capacità di ricerca e nel trasferimento della tecnologia marina. Sviluppare la capacità di ricerca e il trasferimento della tecnologia marina per le osservazioni oceaniche sostenibili richiede investimenti nelle persone e nelle loro istituzioni, in modo che possano costruire infrastrutture e reti di supporto a lungo termine con un migliore accesso ai dati, agli strumenti e alle tecnologie. (…)
Il successo delle iniziative di alfabetizzazione oceanica (ocean literacy ) dipenderà anche dalla generazione, condivisione e uso di set di dati prioritari, compresi i set di dati sulla relazione uomo-oceano e sui valori umani-oceano; metodologie pro-oceano di cambiamento del comportamento, studi di casi e pratiche efficaci; mappatura dell’impatto delle iniziative regionali e globali chiave di alfabetizzazione oceanica; e la mappatura della cultura oceanica che include un corpo globale di prove (conoscenze contestuali e locali) che dimostra e sostiene l’impegno culturale come abilitatore della salute umana e degli oceani. (…)
Nonostante il crescente riconoscimento della necessità di processi sistematici per identificare e smantellare le barriere per garantire diversità, equità e inclusività nella cooperazione e nello sviluppo delle capacità nelle scienze oceaniche, le lacune persistono, anche per le donne e i giovani. Gli ultimi dati disponibili del Global Ocean Science Report indicano che, nel 2020, le donne rappresentavano il 38% degli scienziati nel settore marino e che le donne rimangono sottorappresentate nei campi scientifici e nelle professioni.”
Ci siamo soffermati sul tema dello sviluppo delle conoscenze e delle forme di cooperazione per realizzarle poiché ci sembra che si manifesti in questo il cuore delle contraddizioni dell’attuale modello di sviluppo, a fronte dell’attuale congiuntura che vede il prevalere delle logiche di competizione in lugo di quelle di cooperazione ed in questo la loro militarizzazione a tutti i livelli.
I documenti preparatori della conferenza rappresentano un patrimonio di conoscenze ricchissimo a cui avremo mod di attingere poiché illuminano la crisi profonda dei meccanismi di riproduzione della vita sul nostro pianeta, la crescita esponenziale delle diseguaglianze sociali a partire dall’accesso alle basi della vita stessa, in cui il ciclo dell’acqua gioca un ruolo primario messo sempre più in crisi, dagli ecosistemi marini alla disponibilità di acqua non contaminata per le popolazioni di grandi regioni del globo.
I diversi temi trattati sono fortemente correlati tra loro, dal destino delle comunità costiere, all’organizzazione delle attività pesca, all’inquinamento dei mari a partire dalle materie plastiche, che nella forma delle micro e nano-plastiche ormai pervadono tutti gli ecosistemi, le matrici ambientali, le catene alimentari sino a penetrare i processi cellulari delle forme di vita. Il destino di intere comunità che vivono di attività di pesca su scala locale è messo in pericolo dalla pesca si larga scala, assieme alla possibilità di riproduzione delle specie pescate, la cui riproduzione è sempre più influenzata dal riscaldamento globale e dalle conseguenti trasformazioni dei loro habitat.
Nella settimana che porta alla grande manifestazione contro il riarmo europeo di sabato 21 giugno, nel contesto di una mobilitazione europea, è assolutamente mettere all’ordine del giorno le minacce che incombono sulla riproduzione della vita sul nostro pianeta, in tutte le sue manifestazioni, quella di gran parte dell’umanità in particolare, se così si può dire.
La tendenza alla guerra non solo distrugge vite direttamente, ma sottrae risorse fondamentali alla sopravvivenza di gran parte dell’umanità, è necessarie descrivere e comprendere il senso più profondo della tendenza alla guerra, che è poi la manifestazione estrema della contraddizione tra gli attuali rapporti sociali di produzione e la vita stessa.
Roberto Rosso
- https://unfccc.int/cop29 [↩]
- https://www.unep.org/news-and-stories/story/crisis-facing-nature-takes-centre-stage-un-summit [↩]
- https://sdgs.un.org/conferences/ocean2025 [↩]
- https://sdgs.un.org/sites/default/files/2025-05/UNOC3%20Ocean%20Action%20Panels%20links.pdf [↩]
- https://www.theguardian.com/environment/2025/jun/14/is-the-ocean-having-a-moment-this-was-the-un-summit-where-the-world-woke-up-to-the-decline-of-the-seas [↩]
- https://highseasalliance.org/treaty-negotiations/ [↩]
- https://www.affarinternazionali.it/la-strategia-cinese-di-push-in-nell-artico-e-il-suo-impatto-sulla-governance-regionale/ vedi anche China’s Arctic Turn https://www.swp-berlin.org/10.18449/2025C08/ [↩]
- https://www.defense.gov/News/News-Stories/Article/Article/3986308/china-increasing-interest-in-strategic-arctic-region/ [↩]
- https://www.theguardian.com/environment/2025/apr/26/trump-deep-sea-mining [↩]
- https://oceandecade.org/news/shaping-the-future-of-ocean-science-ocean-decade-annual-progress-report-tells-story-of-growth-and-impact/ Proclamato nel 2017 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il Decennio della scienza oceanica per lo sviluppo sostenibile (2021-2030) (‘Decade of the Ocean’) mira a stimolare la scienza oceanica e la generazione di conoscenze per invertire il declino dello stato del sistema oceanico e catalizzare nuove opportunità per lo sviluppo sostenibile di questo enorme ecosistema marino. La visione del Decennio oceanico è ‘la scienza di cui abbiamo bisogno per l’oceano che vogliamo’. Il Decennio oceanico fornisce un quadro di riferimento per gli scienziati e le parti interessate dei diversi settori per sviluppare le conoscenze scientifiche e i partenariati necessari ad accelerare e sfruttare i progressi in scienze oceaniche per una migliore comprensione del sistema oceanico, e fornire soluzioni basate sulla scienza per realizzare l’Agenda 2030.[↩]