Il carcere è stato al centro dell’attenzione nelle ultime settimane. Abbiamo assistito alle rivolte dei detenuti in alcuni istituti, a misure (insufficienti) per far scendere la popolazione detenuta e creare quel distanziamento sociale fondamentale per combattere i contagi, ad alcuni episodi di presunte violenze ai danni della popolazione detenuta.
Sappiamo, ad oggi, che sono oltre 100 i detenuti contagiati e circa 200 gli agenti penitenziari. Inoltre ci sono anche alcuni medici e operatori risultati positivi al coronavirus.
Come si vive in carcere questa situazione? Quali sono i provvedimenti che andrebbero ancora presi? Nella fase 2 della pandemia ci sarà la possibilità di riaprire alcune attività attualmente chiuse, come ad esempio i colloqui?
Di questo parlano Patrizio Gonnella (Presidente Antigone) e Mauro Palma (Garante nazionale per i diritti delle persone private della libertà personale) con Andrea Oleandri (Coalizione italiana libertà e diritti civili).
Si riporta di seguito l’interrogazione al Ministro della Giustizia della senatrice Paola Nugnes sul carcere di Santa Maria Capua Vetere
Premesso che:
la Procura di Santa Maria Capua Vetere, nel Casertano, sta indagando su quanto è avvenuto nei giorni scorsi nella casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere “F. Uccella”;
da quanto si è appreso da numerosi quotidiani, sembra che la vicenda oggetto di indagine abbia avuto inizio dopo che un detenuto è stato ricoverato presso la struttura ospedaliera napoletana del Cotugno, in seguito a esito positivo del tampone per covid-19;
la notizia del ricovero in breve tempo si è diffusa in carcere e, così, la tensione è salita fino a quando il 5 aprile è iniziata la protesta nella sezione Nilo del carcere di Santa Maria Capua Vetere, con una battitura e l’occupazione simbolica della sezione. A quanto risulta le proteste erano finalizzate od ottenere un colloquio in merito alle questioni igienico-sanitarie legate all’emergenza covid-19, ma sono rientrate nel corso della stessa serata di domenica, dopo un primo intervento della penitenziaria;
il giorno successivo, lunedì 6 aprile, in carcere è arrivata la magistratura di sorveglianza che ha incontrato i detenuti per i colloqui e ha constatato che gli atti di insubordinazione che si sono verificati non hanno assunto i connotati di una vera rivolta;
secondo le testimonianze raccolte dall’associazione Antigone e dall’ufficio del garante campano, appena la magistratura di sorveglianza ha concluso il suo lavoro si è verificata una fortissima rappresaglia da parte della polizia penitenziaria; quasi cento poliziotti a volto coperto e in tenuta antisommossa sono entrati in un padiglione e hanno cominciato i pestaggi all’interno delle “camere di pernottamento”. Sembra che siano intervenuti poliziotti diversi da quelli in servizio presso l’istituto, giacché questi hanno agito contro chi non aveva preso parte alle agitazioni del fine settimana, e addirittura contro qualche detenuto che dopo pochi giorni sarebbe uscito dal carcere con gli evidenti segni delle lesioni;
considerato che
in questi giorni sono stati presentati alcuni esposti alla Procura della Repubblica (solo l’associazione Antigone ne ha già depositai tre, in diversi penitenziari del paese) che dovrà accertare cosa è successo nel carcere casertano;
dai racconti che i detenuti hanno fatto ai loro familiari e che sono balzati sulle cronache, le azioni della polizia si sono svolte nei modi più violenti e in spregio della dignità umana: ad alcuni detenuti sono stati tagliati barba e capelli, altri sono stati spogliati e pestati con manganelli, pugni e calci su tutto il corpo. Il racconto di queste torture non sembra fermarsi, perché alcuni familiari sostengono che i pestaggi continuino anche ora. Nel corso di questa settimana, le famiglie, preoccupate per le violenze, hanno organizzano una manifestazione pacifica nei pressi del carcere;
i fatti, così come emersi dalle molteplici segnalazioni, sono stati altresì confermati dal Garante Regionale dei detenuti della Campania, Samuele Ciambriello;
tenuto conto altresì che
questo è il primo detenuto ammalato di Covid-19 della regione, la seconda dopo la Lombardia per indici di sovraffollamento carcerario;
il carcere non è un luogo impermeabile: il distanziamento sociale è impraticabile, guanti e mascherine non ci sono, in istituto entrano ed escono moltissime persone e ad oggi, i contagiati sono circa duecentotrenta (sessanta[1] detenuti e centosettanta poliziotti);
dal giorno successivo agli eventi di cui sopra, sono stati sospesi i colloqui, ovvero le videochiamate. Motivo per il quale nella giornata di giovedì c’è stata una protesta all’esterno della casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere.
anche la Camera Penale di Santa Maria Capua Vetere è intervenuta per chiedere il ripristino dei colloqui telefonici con i detenuti, giacché la sospensione del servizio inficia, evidentemente, l’esercizio del diritto di difesa;
la tensione, anche quella della polizia penitenziaria, si trasforma di continuo in atti di forza, che non vorremmo diventasse una strategia di contenimento della paura o una risposta alle legittime richieste dei detenuti. Il virus viaggia velocemente e la direzione sanitaria cerca di stargli dietro. È tuttavia difficile contenere tali situazioni, perché i detenuti sono tanti e in alcune sezioni sono ammassati in clamoroso sovrannumero. Oggi i contagi nel carcere di Santa Maria sono arrivati a quattro e un intero piano di una sezione è stato isolato;
se il sistema sta svelando un’altra falla, dopo gli ospedali e le case di cura, è anche vero che esiste una differenza tra il carcere e gli altri ambienti. Nei nosocomi e nelle RSA, finanche in alcune fabbriche (tutto pur di non interrompere le linee di produzione) si stanno predisponendo – dopo centinaia di morti tra pazienti, medici, infermieri e vigili del fuoco – misure di sicurezza per arginare il contagio. Nelle carceri si guarda il sistema implodere senza prendere alcuna decisione;
l’interrogante ha già depositato in data 10 marzo 2020 un’interrogazione a questo stesso Ministro per avere chiarimenti sulle rivolte avvenute nelle carceri di tutta Italia non appena è scoppiata l’epidemia covid-19, chiedendo quali azioni e provvedimenti intendesse assumere per rendere effettivamente garantito il diritto alla salute dei detenuti, giacché è palese che non è solo chiudendo ai colloqui, alle attività esterne o alle misure alternative che si può fronteggiare il rischio di epidemia in carcere;
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza dei fatti di cui sopra e come intenda intervenire perché si faccia chiarezza su quanto realmente accaduto nelle 24 ore tra domenica 5 e lunedì 6 aprile;
se il Ministro in indirizzo intenda intervenire, nei limiti delle sue competenze, affinché venga garantita la salute e la sicurezza nelle carceri italiane, giacché gli articoli 123 e 124 del Cura Italia non hanno modificano granché le normative esistenti e nella pratica anche quando viene concessa la detenzione domiciliare si richiede come vincolo la sorveglianza con braccialetti elettronici, la cui disponibilità in questo momento è limitata e, con ogni probabilità, insufficiente per ridurre il sovraffollamento;
se il Ministro voglia
intervenire per indirizzare l’azione di questo governo al fine di limitare il sovraffollamento
e il conseguente pericolo dei contagi nelle carceri italiane per tutelare i detenuti
e, naturalmente, anche il personale che lavora nelle carceri, poliziotti e civili,
attraverso la predisposizione obbligatoria di dei dispositivi di protezione individuali
quali mascherine e igienizzanti, la sanificazione dei locali, dei luoghi comuni,
uffici, celle, mense e l’acquisto di braccialetti elettronici al fine di far scontare
la pensa residua, a chi e ha diritto, presso la propria abitazione.
[1] Il numero di detenuti contagiati qui riportato differisce da quello comunicato dal Garante nazionale Mauro Palma nell’incontro organizzato da Cild, poiché l’interrograzione è stata presentata precedentemente alla diffusione dei nuovi dati.