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Meno di un topolino

di Maria Pia
Calemme

Il ministro Nordio sembra ossessionato dall’idea della resa: ogni ipotesi di deflazione del sovraffollamento carcerario viene bollata come “resa dello Stato” e perciò respinta con vigore, sia che si tratti di commentare suggerimenti sulla necessità e l’urgenza di promulgare un’amnistia e un indulto1, sia che si tratti di scarcerazione leggermente anticipata di detenuti condannati che abbiano tenuto una “buona condotta”2.
Il guardasigilli è convinto, quindi, di essere in guerra, dimenticando però di spiegare chi sia il nemico, come intenda sconfiggerlo e cosa significhi vincerla. Essendo parte di un governo e di una maggioranza parlamentare che hanno introdotto molti nuovi reati nel codice penale e inasprito le pene per una quantità di altre condotte già sanzionate 3 e che si propongono di continuare su questa strada, però, sembra abbastanza chiaro che il ministro rifiuti la “resa” per condividere la postura machista e securitaria del governo e cercar di far dimenticare di essersi autodefinito e di essere stato in passato considerato un giurista garantista.
Non rinuncia, però, ai toni roboanti che usava da magistrato e con i quali negli ultimi mesi ha più volte annunciato un importante provvedimento per affrontare i numerosi problemi del carcere che, dalla sua relazione al Parlamento a gennaio a oggi4, sono diventati ancora più gravi: oltre 61.000 detenuti a fronte di una capienza inferiore ai 50.000 posti, 53 suicidi dall’inizio dell’anno5, circa 4.000 persone con una pena (o un residuo) inferiore ai 2 anni, 15% circa di persone in attesa di primo giudizio, per fermarsi solo ad alcuni numeri, senza entrare nei “dettagli” delle condizioni materiali di detenzione e della deprivazione affettiva.
Dopo i numerosi annunci, la sera del 3 luglio ha visto la luce il decreto-legge n. 92, “Misure urgenti in materia penitenziaria, di giustizia civile e penale e di personale del Ministero della giustizia”.

Se Nordio fosse la proverbiale montagna, il decreto non sarebbe nemmeno un topolino: com’è stato ampiamente osservato in questi giorni, le misure previste non sono in grado di influire positivamente su nessuno degli aspetti della detenzione, né nel breve né nel lungo termine, ragion per cui non si spiega la decretazione d’urgenza, con la quale si sarebbe dovuto e potuto, al contrario, introdurre norme in grado di fare qualcosa per migliorare la vita delle persone detenute e allentare la pressione sul personale. Se il carcere è un’emergenza sociale servono misure emergenziali, oltre che strutturali.
Ma il decreto non si limita a essere inefficace: contiene anche una misura peggiorativa per i detenuti sottoposti al regime dell’art. 41 bis dell’ordinamento penitenziario, escludendoli dall’accesso ai programmi di giustizia riparativa6 e un’altra che rischia di ingolfare ulteriormente i Tribunali di sorveglianza7.
Terrorizzato dall’idea che il decreto potesse essere considerato “svuota carceri”, prima ancora di “partorirlo”, il ministro ha voluto precisare che avrebbe avuto l’obiettivo di umanizzare il carcere e, una volta approvato, ha scelto, tanto per cambiare, la chiave della sicurezza, suggerendo ai media di riferirvisi come al “decreto carcere sicuro”. Sicuro per chi? E come si realizza questa sicurezza?
Non con l’assunzione nel 2025 di 500 nuovi agenti di polizia penitenzia e di altrettanti l’anno successivo (per i quali dovrà essere bandito il concorso), né con la riduzione della durata della loro formazione: ne serve di più, non di meno.
Non con l’entrata in ruolo di 20 dirigenti, che coprirebbero solo in parte i vuoti di organico.
Non con la previsione di 2 telefonate in più al mese a discrezione dei direttori (che avrebbero potuto comunque autorizzarle anche senza questo decreto), in attesa di una modifica della norma dell’ordinamento penitenziario che ne dispone 4, a spese dei detenuti, in sostituzione dei colloqui visivi, solo dirette a numeri fissi, dopo aver ricevuto l’autorizzazione del magistrato8.
Non con la modifica integrale della procedura per accedere alla liberazione anticipata, con la previsione che possa essere richiesta non più semestre per semestre ma solo se serve ad anticipare la scarcerazione o ad accedere a una misura alternativa9.
Non con la previsione che in sentenza debba essere indicata l’ipotetica durata della pena ridotta per effetto della liberazione anticipata insieme a quella senza riduzioni per incentivare il condannato a comportarsi bene (cosa che, soprattutto per effetto delle norme del “pacchetto sicurezza”, significa obbedir tacendo piuttosto che partecipare al trattamento rieducativo, come stabilisce l’ordinamento penitenziario in vigore).
Non con l’ulteriore estensione dell’area penale esterna (nella quale ci sono già moltissime persone che potrebbero essere rimesse in libertà o che non sarebbero nemmeno dovute entrare nel circuito detentivo) che si realizzerebbe con l’affidamento a organizzazioni private di detenuti senza fissa dimora o “con problematiche derivanti da dipendenze o disagio psichico, che non richiedono il trattamento in apposite strutture riabilitative” (misura con lunghi tempi di realizzazione, scarsa copertura economica e che fa sorgere dubbi sulla possibilità di far convivere funzioni di cura e di detenzione10). Come ha detto il ministro, si tratterebbe sempre di detenzione, ma meno brutale (sic!) di quella in carcere.

Tutto qui: solo un po’ meno brutalità, forse.

Maria Pia Calemme

  1. Per esempio quello di Bernardo Petralia, magistrato, ex capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, in un’intervista a La Stampa dei giorni scorsi.[]
  2. Per la quale esiste una proposta parlamentare, a firma Roberto Giachetti, la cui discussione è calendarizzata per il 17 luglio, che aumenterebbe di 30 giorni all’anno di pena espiata la riduzione del residuo da scontare (120 invece di 90).[]
  3. “rave”, gestazione per altri, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, evasione dell’obbligo scolastico, occupazione di immobili, “rivolte” in carcere e nei centri di detenzione per immigrati, blocchi stradali, danneggiamento di beni pubblici e induzione all’accattonaggio, tanto per fare alcuni esempi tra “decreto Cutro”, “decreto Caivano”, “pacchetto sicurezza” (di cui scrive Giovanni Russo Spena) ecc.[]
  4. Qui il mio articolo sulla relazione sullo stato della giustizia alle Camere.[]
  5. Qui il focus del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale aggiornato al 5 luglio, quando i suicidi erano 50.[]
  6. Non sono una giurista ma mi pare che in questo caso si capovolga la gerarchia delle fonti normative, subordinando l’accesso a una misura prevista da una legge a una misura amministrativa com’è il provvedimento con il quale viene disposto dal Ministero della giustizia il 41 bis.[]
  7. È quanto sostiene per esempio Giovanni Pavarini, ex presidente del Tribunale di sorveglianza di Trieste, intervistato da Riccardo Arena per Radio carcere (Radio radicale).[]
  8. La nuova norma dovrà essere emanata entro 180 giorni, il che vuol dire che almeno fino a dopo Natale non entrerà in vigore.[]
  9. La tematica è piuttosto complessa e si rinvia per approfondimenti e commento, tra gli altri, a https://www.giustiziainsieme.it/it/giustizia-pene/3200-d-l-92-2024-carcere-sicuro-note-sparse-ad-una-prima-lettura-ezio-romano.[]
  10. Si veda, per esempio, la conferenza stampa del Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza quando la stessa proposta è stata avanzata dal sottosegretario Delmastro lo scorso anno.[]
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