L’inchiesta pubblicata da Fanpage ha risollevato il tema del rapporto tra Fratelli d’Italia e la tradizione neofascista e, conseguentemente col fascismo in generale. Non si tratta solo di contatti, che potrebbero essere solo strumentali, con gruppi e correnti, spesso informali, che rivendicano esplicitamente la loro identità fascista, ma di quanto quest’ultima sia ancora radicata nel gruppo dirigente e tra i quadri locali del partito guidato da Giorgia Meloni.
A questa questione, e in generale ad un primo tentativo di analisi di FdI, avevo dedicato due articoli pubblicati da Transform! Italia (rintracciabili qui e qui) e un articolo pubblicato sulla pagina web della Rivista Il Mulino. Come sintetizzavo nel titolo dei primi due interventi, FdI si trovava a cavallo tra la rivendicazione della continuità con il neofascismo e il tentativo di inserire questa continuità in un universo valoriale più genericamente conservatore.
Da parte di alcuni media (in particolare il Corriere della Sera) è venuta la sollecitazione alla leader di Fratelli d’Italia di prendere le distanze dai gruppi (interni ed esterni) dichiaratamente fascisti (più o meno “neo”) acquisendo un più chiaro profilo conservatore compatibile con la visione di un bipolarismo centripeto e non polarizzato, nel quale le due coalizioni contrapposte si muovano all’interno di un paradigma comune sulle questioni fondamentali (economia, alleanze internazionali, Europa). L’invito è venuto da alcuni editoriali di Galli della Loggia nei quali si sollecitava un ampliamento del quadro dirigente e un avvicinamento, anche per questa via, al mondo dell’establishment economico-finanziario. Contemporaneamente, nei giorni nei quali si è aperta la polemica per il video di Fanpage, il Corriere ha tenuto una linea molto morbida verso la Meloni, con una serie di articoli (presentati come “retroscena”) che davano enfasi alla sua presunta “arrabbiatura” nei confronti dell’europarlamentare Fidanza, protagonista della stretta contiguità con ambienti dell’estrema destra, e in sostanza ne facevano da portavoce acritico.
Che cosa ci dice in più di ciò che già potevamo sapere, il video di Fanpage, in merito al profilo di Fratelli d’Italia (al netto dell’eventuale ricorso a finanziamenti illeciti sui quali indagherà la magistratura) e del suo rapporto col fascismo? In realtà non molto. Certamente evidenzia un fatto che non risultava immediatamente evidente, ovvero il ritorno di gruppi neofascisti informali al sostegno primario (una sorta di entrismo) a Fratelli d’Italia, dopo un periodo di avvicinamento alla Lega di Salvini. Non è facile quantificare l’influenza di queste forze, ma si può rilevare che la loro candidata, la “camerata” Valcepina è stata eletta a Milano con circa 900 voti.
La Lega, anche nell’ottica di un allargamento nazionale, ha stretto consistenti rapporti con la galassia dell’estrema destra utilizzando fondamentalmente due canali. Da un lato l’azione di Mario Borghezio, che proviene dal neofascismo (e non se ne è mai allontanato molto), che ha permesso di interagire con Casa Pound e con altre realtà, mentre in un altro ambito, tramite l’ex sottosegretario Durigon ha potuto strappare l’UGL (ex Cisnal) al tradizionale collateralismo missino. L’ascesa l’elettorale del partito della Meloni ha evidentemente portato parte dell’area dichiaratamente neofascista a ricollocare le proprie relazioni politiche verso FdI, allentando i rapporti con la Lega, il cui leader si è dimostrato decisamente più ondivago, anche per le contraddizioni interne al proprio elettorato.
L’ambiguità di fondo nella strategia della Meloni, per cui il comportamento di Fidanza non risulta essere affatto contradditorio (se non nella sprovvedutezza dei suoi movimenti), consiste nel voler tenere insieme una rivendicata continuità con la storia della propria “comunità”, che risalire alla fondazione dell’MSI nel 1946 da alcuni reduci della “Repubblica di Salò” e del regime fascista. Fratelli d’Italia è nato dichiaratamente per il timore della scomparsa dalla scena politica italiana di quella storia.
In diverse occasioni la Meloni e il suo partito hanno rivendicano questa lunga continuità, seppure ricorrendo a volte ad espressioni ambigue. Nel suo libro la leader di Fratelli d’Italia commenta l’adesione di Ignazio La Russa (figlio di un dirigente del Partito fascista nel ventennio) come la garanzia della provenienza da una “stirpe di sicura fede”. Di Teodoro Buontempo, storico leader del neofascismo romano, esponente dell’MSI, per un periodo confluito in Alleanza Nazionale, dalla quale poi era uscito in contrasto con Fini per aderire alla Destra, il partito di Storace, si celebra in occasione dell’anniversario della morte, la “fedeltà all’idea”. Una fede e un’idea che vengono sempre richiamate senza mai nominarle esplicitamente, ma che sono ben riconoscibili da parte del quadro dirigente e militante del partito.
In questo senso, il modello politico di riferimento per la Meloni è Almirante e non Fini. Quest’ultimo è considerato poco meno che un “traditore”, perché avrebbe cercato di rendere snaturare la destra per renderla accettabile secondo i parametri della sinistra. Il tentativo dell’ex leader di Alleanza Nazionale era di ricollocare la corrente neofascista in un ambito di destra conservatrice relativamente modernizzat, analoga a quella presente in altri contesti europei, introducendo anche qualche rottura simbolica (con non poche contraddizioni e ambiguità) che lo hanno portato alla rottura totale con la sua “comunità”.
Almirante si mosse secondo un’altra direzione strategica, che cercava di tenere dentro la continuità storica e identitaria (“il fascismo è qui” esclamò ad un Congresso del suo partito) con il tentativo di creare attorno alla corrente neofascista un più ampio fronte conservatore-reazionario. L’operazione più consistente fu quella di dar vita alla Destra Nazionale. Ma Almirante cercava anche di tenere insieme il desiderio di “legge e ordine” della media o grande borghesia del nord, contro il “sovversivismo comunista” (la maggioranza silenziosa di Milano), con il tentativo di prendere la guida di movimenti popolari “neo-qualunquisti” nei quali convergevano piccola borghesia e sottoproletariato del sud (le “rivolte” di Reggio Calabria e dell’Aquila dei primi anni ‘70).
Questa ambiguità subì un colpo molto duro quando, nel corso di una manifestazione non autorizzata tenuta a Milano nell’Aprile del ’73 dall’MSI, venne lanciata una granata contro le forze dell’ordine e rimase ucciso l’agente Antonio Marino. Per questa azione vennero condannati Maurizio Murelli e Vittorio Loi. Murelli, che nel frattempo ha scontato la sua pena carceraria, ricompare nel video di Fanpage come parte del gruppo di Longhi Javarini e organizzatore di incontri con l’intellettuale russo di estrema destra Alexander Dugin (presunto consigliere di Putin, titolo che gli viene attribuito più in Italia che a Mosca).
Fatto salvo, e non è poco, che il contesto politico non rende più praticabili metodi violenti e squadristici che pure furono parte rilevante dell’azione del Movimento Sociale Italiano (e in particolare del Fronte della Gioventù) negli anni ’60 e ’70, né le speranze golpiste che circolavano nel mondo neofascista dentro e fuori l’MSI (“Ankara, Atene, adesso Roma viene”) resta l’ambiguità di fondo che già fece fallire la strategia di Almirante.
Oggi Fratelli d’Italia – come si è visto in tutta la vicenda Covid – cerca di tenere insieme un certo ribellismo individualista che ha sempre avuto una diffusione di massa in Italia (un antistatalismo di destra insofferente dell’imposizione di regole sanitarie, come delle tasse, del catasto e così via), tenendola insieme alla rivendicazione di partito dell’ordine e della gerarchia sociale. Si tratta di una contraddizione storica e non, come mi pare interpreti Alessandro Campi nel suo articolo sull’ultimo numero del “Mulino”, di una derivazione degenerativa dell’egemonia berlusconiana (A. Campi, La destra dopo Berlusconi, Il Mulino, 3/21).
Essendo innominabile l’idea a cui pure si vanta la propria fedeltà, la Meloni ha cercato di rinominare il suo partito come il “movimento dei patrioti”. “Patrioti” sono stati definiti i suoi candidati nelle recenti elezioni amministrative. Nel video di Fanpage Longhi Javarini strizza l’occhio agli astanti, facendo capire che la parola “patrioti” sta per qualcos’altro che, ancora, non si può nominare apertamente. La “patria” è soprattutto intesa in senso etno-nazionalista, nativista e differenzialista (l’italianità è in essenza diversa e storicamente immutabile dall’appartenenza ad un’altra “patria”) ed escludente non solo nei confronti degli immigrati, ma anche di tutta quella parte di società che non si riconosce in questa idea di “patria”. Di ciò che definisce questa identità (”immaginata” secondo la definizione di Benedict Anderson) sul piano storico si esalta l’elemento militare (la “vittoria” nella prima guerra mondiale), sul piano dei valori un conservatorismo tinto di clericalismo.
Ma non si valuterebbe appieno la strategia di Fratelli d’Italia se non si tenesse conto che non tutto è continuità col neofascismo del dopoguerra. Non solo per mascheramento comunicativo, quanto per l’effettivo desiderio politico di inserire questa continuità in un contesto più vasto. L’FdI cerca di non farsi rinchiudere nel ghetto (il “polo escluso” di cui parlava Piero Ignazi nel suo libro sull’MSI) ma in questo momento ha ambizioni più ampie. Tutto sommato, come parte del centro-destra a guida berlusconiana, l’estrema destra è stata ampiamente legittimata come forza di governo già da molti anni, a differenza del Front National della Le Pen. Il passaggio più complicato, il salto di qualità, è di diventarne la guida.
In genere finora le, ancora scarse, analisi di Fratelli d’Italia hanno posto poco l’attenzione sulla visione economica di questo partito. L’MSI fu attraversato per molti anni da correnti che si consideravano critiche del capitalismo (anche se da posizioni reazionarie). Molti dibattito accalorati contrapponevano i “socializzatori” ai “corporativisti”. Dibattiti che non vanno però separati dal fatto che l’MSI è stato spesso strumento della parte più reazionaria del mondo agrario (ostile a qualsiasi ipotesi di riforma negli anni ‘50) e di settori del mondo imprenditoriale che elargirono importanti finanziamenti (Confindustria, Pesenti o anche Enrico Mattei che pure era di tutt’altro orientamento politico). Oggi “socializzatori” e “corporativisti” si sono evaporati, mentre i riferimenti ideologici sul piano economico sono diventati Reagan e Thatcher, ovvero coloro che hanno guidato l’affermazione politica del neoliberismo tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80. Violentemente ostile al “reddito di cittadinanza” (paragonato al metadone), ancorato alla centralità del pareggio di bilancio (nelle “Tesi di Trieste”), difensore dell’impresa (nel Parlamento europeo si è opposto alla rimozione dei brevetti sui vaccini), FdI si presenta come una forza tutto sommato compatibile con il paradigma liberista dominante, anche se non sono mancate proposte bizzarre come quella di sostituire i finanziamenti europei con i “diritti speciali di prelievo” emessi dal Fondo Monetario Internazionale e destinati ad aiutare quei paesi che restino senza valuta internazionale, rischiando la bancarotta. Una proposta a cui il Corriere della Sera ha dato largo spazio senza battere ciglio.
È presumibile che Fratelli d’Italia resti un soggetto politico importante della scena politica italiana, proprio perché espressione di una presenza che ha una dimensione storica e non occasionale. E’ più difficile che la sua leader riesca ad ottenere l’obbiettivo che aveva perseguito anche Fini (sprecando malamente le sue chance): diventare il primo Presidente del Consiglio espresso dalla “comunità” dei perdenti della seconda guerra mondiale. Per questo esiste un problema “in alto” e un problema “in basso”. In alto perché il governo Draghi è anche strumento di ridefinizione del sistema politico con una forte spinta a rientrare nello schema di un bipolarismo non polarizzato e questo solleva contraddizioni che a mio parere la Meloni può difficilmente risolvere. In basso perché un conto è raccogliere consenso popolare puntando su questioni che creano un facile consenso in determinati settori di società (contro gli immigrati, o per i disagi determinati dalle misure anti-covid) altra cosa è governare l’Italia con le ricette economiche di un liberismo decisamente in crisi.