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FdI tra nuovo conservatorismo e vecchio neofascismo (1/2)

di Franco
Ferrari

I più recenti sondaggi collocano il consenso del partito guidato da Giorgia Meloni, “Fratelli d’Italia”, tra il 16,7 e il 18,0% dei potenziali suffragi in caso di votazioni. Un dato che si può considerare straordinario per un partito fondato alla fine del 2012 e che alle sue prime elezioni politiche aveva raccolto meno del 2%. Nelle europee del 2014 era cresciuto ma aveva comunque raccolto meno voti della lista della sinistra radicale “l’Altra Europa con Tsipras” e non aveva eletto parlamentari. Ma mentre la sinistra radicale si trova oggi a disporre di un consenso inferiore a quello di sette anni fa e per di più disperso in diverse formazioni politiche tra loro rivali, un partito che si può sicuramente collocare sul versante opposto, quello della destra radicale, è cresciuto progressivamente fino a poter sperare di diventare alle prossime elezioni politiche il primo partito italiano.

Naturalmente una forza politica di destra può disporre del favore di vento, mentre la sinistra autonoma dal centro-sinistra si trova a dover superare non pochi ostacoli per poter sperare di affermarsi o anche solo di far arrivare il proprio messaggio agli elettori. Va comunque preso atto che l’ascesa di un partito che si propone esplicitamente come erede della storia del neofascismo italiano è il frutto di una scommessa il cui esito non poteva essere dato per scontato.

Un politologo autorevole come Piero Ignazi, oltretutto conoscitore dell’Msi e di Alleanza Nazionale ai quali ha dedicato due libri[i] e diversi saggi, concludeva in questo modo il capitolo dedicato all’estrema destra nel suo libro su “I partiti in Italia dal 1945 al 2018” (Il Mulino, 2018, pp. 351): “Nemmeno quando la giovane Giorgia Meloni ex leader del movimento giovanile di An, Azione Giovani, si staccherà dal nuovo partito (ndr: il Popolo della Libertà) alla fine del 2012 fondando con Ignazio La Russa Fratelli d’Italia, riemergerà quella tradizione. Troppo lontani i tempi, i miti, i ricordi di quell’esperienza e troppo pochi i dirigenti legati a quel mondo (solo La Russa e la stessa Meloni avevano un profilo riconoscibile e legato alla storia del Movimento sociale). La storia del neo e postfascismo si chiude qui.” Fine della storia, quindi, eppure…

Sarebbe facile irridere questo errore di previsione ma dubito che qualcuno avrebbe scommesso sulla ripresa significativa di un partito che ripropone nel suo simbolo la vecchia fiamma tricolore. Va detto che, se guardiamo le vicende politiche italiane di questi trent’anni, a destra si sono trovati diversi “imprenditori politici” che hanno saputo giocare le proprie carte e entrare in sintonia con parti importanti dell’elettorato, anche quando la loro iniziativa sembrava destinata a finire su un “binario morto” (come titola il capitolo citato di Ignazi). Se nel caso di Berlusconi e Forza Italia alle spalle c’erano le ingenti risorse date dal controllo di un impero mediatico, assai più precarie sono state la partenza della Lega Lombarda di Umberto Bossi, la trasformazione operata da Salvini che ha capovolto le fortune di un partito che sembrava scivolare sulla china del declino e la stessa iniziativa di Giorgia Meloni appariva temeraria. Nell’altra metà del campo politico è invece più facile elencare i fallimenti che i successi.

Su “Fratelli d’Italia” al momento non mi pare si trovino ricerche basate su metodologie scientifiche. Si possono rintracciare un paio di libri scritti da autori d’area[ii]. Offrono informazioni utili, ma sono sempre sull’orlo dell’agiografia. Pur in questa mancanza di analisi e dati consolidati ci sono almeno quattro aspetti che andrebbero approfonditi per consentire di delineare un profilo attendibile del partito in questione. Innanzitutto la visione ideologica che non può essere semplicisticamente liquidata come la semplice riproposizione del tradizionale neofascismo. In secondo luogo le ragioni della crescita del consenso che cresce sia verso la formazione politica che verso la Meloni in quanto leader (e che ad oggi è più ampi di quello del partito). In terzo luogo la dimensione europea e internazionale dell’iniziativa di Fratelli d’Italia che ha un ruolo importante nel cercare di dare credibilità e peso politico al partito. Per ultimo, il programma politico e le priorità della sua agenda, dato che queste potranno avere un impatto significativo in un possibile futuro governo di destra in Italia, in caso di vittoria alle prossime elezioni.

E’ evidente che per dare una risposta compiuta su tutti questi aspetti occorrerebbe un lavoro di ampie dimensioni e il presente articolo si propone obbiettivi molto più modesti: provare ad indicare qualche pista di riflessione in modo ancora inevitabilmente impressionistico. La sinistra si è fatta quasi sempre sorprendere in questi anni dall’emergere di nuovi soggetti politici e probabilmente non ha ancora formulato un’analisi adeguata del successo della destra nelle sue varie incarnazioni, così come del Movimento 5 stelle, che dal nulla è diventato primo partito in pochissimi anni. Forse per una volta si potrebbe provare ad anticipare gli eventi.

L’illuminismo: ecco il nemico!

Dal punto di vista ideologico il profilo di Fratelli d’Italia è più complesso di quanto possa apparire se visto da lontano. E’ fuor di dubbio che esso si ponga in continuità con il neofascismo, incarnato dal Movimento Sociale Italiano, il partito formato nell’immediato dopoguerra dai nostalgici del deposto regime da poco miseramente crollato. Lo attesta il richiamo della fiamma tricolore nel logo (fiamma che emerge da una bara stilizzata, simbolo sia del fascismo che del suo defunto capo) e l’esaltazione della figura di Giorgio Almirante che ancora alla fine degli anni ’80, pochi anni prima della morte poteva dichiarare in un congresso del suo partito “il fascismo è qui!”, sollevando l’entusiasmo dei presenti.

Spesso sulla stampa compaiono notizie sulle esternazioni nostalgiche di quadri intermedi o militanti di “Fratelli d’Italia” e tutto ciò non stupisce, dato che il partito si basa fondamentalmente su una struttura militante che proviene dal Movimento Sociale o da Alleanza Nazionale ed in particolare dal Fronte della Gioventù o da Azione Giovani, le organizzazioni giovanili dei due partiti.

Con la leadership di Fini, Alleanza Nazionale, era sembrata prendere le distanze in modo netto dalle nostalgie neofasciste e in Europa aveva cercato relazioni con i gollisti di Sarkozy e i Conservatori britannici. Ma le iniziative di maggior rottura portate avanti del leader di AN sono state il frutto di scelte personali sempre meno gradite dal resto del suo partito. Al punto che la confluenza nel Popolo della Libertà sotto la guida di Berlusconi è sembrata a molti esponenti di AN, il modo migliore per restare ancorati a destra.

La scissione che ha dato vita a Fratelli d’Italia alla fine del 2012, è stata motivata dal rifiuto di sostenere il governo Monti e dalla scelta di Berlusconi di cancellare le previste primarie, alle quali la Meloni sperava di partecipare. Dal punto di vista organizzativo, FdI, a differenza del PDL berlusconiano, ha ripreso una forma partito più tradizionale. Vedremo più avanti il percorso elettorale, perché qui interessa sottolineare un altro aspetto. Giorgia Meloni si è impegnata a ridefinire Fratelli d’Italia come una forza che si colloca nell’alveo conservatore e sovranista, pur senza dover rompere con la continuità storica della destra italiana e quindi con la sua anima neofascista.

E’ un’iniziativa che cerca di portare il partito fuori dal ghetto dell’estrema destra senza rinnegarne gran parte dell’impianto valoriale e del discorso ideologico. L’operazione è relativamente facilitata dal fatto che il fascismo è stato, ideologicamente, un fenomeno eclettico e che lo stesso MSI è stato continuamente attraversato da divisioni che si sono incarnate in correnti diverse. Il punto di frattura più frequente ha visto da un lato quella componente (soprattutto meridionale) che si ispirava al “fascismo-regime”, anticomunista, conservatrice, alla ricerca continua di inserimento nel sistema, in genere a supporto della DC, mentre l’altra anima guardava soprattutto al “fascismo-movimento” ma in particolare alla Repubblica Sociale Italiana. Erano questi i reduci che vantavano l’ispirazione “socializzatrice” di Salò, un profilo “anticapitalista” (largamente demagogico in verità) che rifiutava di collocare l’MSI tra le forze di destra e conservatrici. I rapporti tra le due parti erano spesso turbolenti, e i secondi rivolgevano frequentemente ai primi l’accusa di essere dei “venticinqueluglisti”, ovvero continuatori di quella parte del regime che il 25 luglio del 1943, nella fatale riunione del Gran Consiglio, decretò la caduta di Mussolini. La riconversione ideologica di Fratelli d’Italia tenta di inserire il neofascismo nella più ampia storia della destra italiana, archiviando decisamente le velleità antisistema che pure nell’MSI erano presenti.

Resta da determinare quale genere di “conservatorismo” abbia adottato il partito della Meloni. Da questo punto di vista le tesi approvate al secondo congresso, che si è svolto a Trieste nel 2017, offrono un riferimento preciso (le tesi sono reperibili sul sito del partito).  E’ scritto nel documento: “La nostra civiltà è ormai aggredita nelle sue strutture costitutive da un attacco concentrico, portato avanti nel nome della lotta ai pregiudizi, con lo stesso schema ideologico che l’illuminismo per primo inaugurò nella sua crociata in nome della ragione contro l’autorità della tradizione.”

La lotta a cui ci si accinge è pertanto epocale, al punto che procede almeno dalla seconda metà del ‘700, e la prima incarnazione del nemico si ritrova nell’illuminismo. Qual è la sua colpa? Di avere elevato la “ragione” contrapponendola “all’autorità della tradizione”. La tradizione a sua volta si integra con l’identità. I sostenitori della “società aperta” (auspicata del liberale Popper) e della “modernità liquida” (di cui ha parlato il sociologo Zygmunt Bauman) ci vogliono imporre “politiche sociali e culturali che in nome del progresso cercano di sradicare dalle fondamenta il modello di civiltà che i popoli europei hanno creato nei millenni”. Che si possa parlare di un unico “modello di civiltà” creato nei “millenni” è storicamente discutibile. Che poi in questo modello sia stato attraversato da fenomeni diversi come le guerre di religioni, due guerre mondiali, il colonialismo, ecc. non sembra essere considerato rilevante.

Lo scontro è quindi da un lato tra l’illuminismo, la ragione e il progresso (il comunismo resta nemico assoluto perché interpretato come l’elemento più avanzato di questa triade) e dall’altra l’identità che deriva dalla tradizione e che si deve incarnare nell’autorità. La Meloni ha inventato la festa annuale di Atreju che prende il nome dal protagonista della “Storia Infinita”, una narrazione fantasy nella quale l’eroe, secondo l’interpretazione che circola in FdI si batte contro il nulla che avanza. L’interpretazione del conflitto tende ad uscire dall’ambito politico-programmatico per trasformarsi in scontro assoluto tra il bene e il male. Tra coloro che sono portatori di valori (considerati eterni e immutabili) e chi invece li vuole dissolvere. In questa visione non è contemplato che vi possano essere diverse scale di valori che si confrontano. Già accettare questo vorrebbe dire scivolare nel “relativismo etico”.

La tradizione e quindi l’identità devono essere necessariamente identificati con una specifica nazione e tendenzialmente (qui il discorso si fa più ambiguo per non incorrere nell’accusa di razzismo) con una determinata appartenenza etnica. La retorica patriottica, che abbonda nelle tesi di Trieste, si basa sull’idea della nazione come “organismo vivente”. La vera nascita dell’identità italiana si sarebbe registrata dopo Caporetto, nel vivo di quella grande e insensata carneficina che fu il primo conflitto mondiale (ma questo le tesi di FdI non lo scrivono per ovvi motivi). Come conclusione di questa lettura biologista della nazione, sorta dalla guerra più che dal Risorgimento (il sangue cementa assai più delle idee), il partito della Meloni si propone di riunire nelle sue fila tutti i “patrioti” d’Italia.

Nel nuovo pantheon intellettuale di Fratelli d’Italia sono entrati tre pensatori di diversa provenienza. Fianco a fianco si trovano il filosofo conservatore britannico Roger Scruton (da poco scomparso) per il quale l’obbiettivo principale è quello di difendere l’attuale ordinamento sociale; il polacco Ryszard Legutko, filosofo ed esponente del partito di governo polacco Diritto e Giustizia, e in tale veste co-presidente del gruppo dei conservatori al Parlamento europeo, autore di un libro, “Il demone della democrazia”, nel quale si afferma che vi sono due totalitarismi analoghi, il comunismo e la liberaldemocrazia; infine Yoram Hazony, filosofo israeliano, autore del libro “Le virtù del nazionalismo”, il quale sostiene tesi che un think tank di destra (ma del filone “libertario”) come il Cato Institute ha definito “ridicole”[iii].

Riprenderemo nella seconda parte dell’articolo alcune di queste premesse teoriche per collegarle all’agenda programmatica del partito e per provarne a definirne la sua natura.

Contro Soros, “l’usuraio”

Nel tentativo di ridefinire il profilo ideologico di Fratelli d’Italia, così come emerge dalle Tesi di Trieste e da altri interventi, non manca qualche concessione alle teorie cospirazioniste, che molto peso hanno soprattutto nella destra americana (si pensi al successo di QAnon, a cui è dedicato l’ultimo libro di Wu Ming 1). Alcune di queste tesi sono condivise con la Lega di Salvini e in una prima fase circolavano ampiamente anche nel Movimento 5 Stelle che è poi andato via via perdendo l’amore per i complotti, assieme alla fuoriuscita dei principali sostenitori delle diverse e spesso bizzarre teorie cospirative.

Benché Fratelli d’Italia rifiuti di considerarsi un partito populista, nei quali spesso l’avversione verso le élite si trasforma in cospirazionismo, non è alieno dal cedere alla tentazione dell’evocazione del nemico potente e a volte invisibile o fin troppo individuabile.

Una delle principali teorie cospirative in circolazione di cui si è appropriata la destra etno-nazionalista è quella – espressamente citata dalle tesi triestine di Fratelli d’Italia – della “sostituzione etnica (peraltro, auspicata sin dal 2001 dal Dipartimento Affari Sociali ed economici – Direzione Popolazione dell’ONU con la teoria del remplacement migration per rimpiazzare il calo demografico europeo) e con scenari che somigliano all’inquietante profezia del Campo dei Santi di Jean Raspail”.

Questa citazione del documento ufficiale di Fratelli d’Italia è particolarmente istruttiva. Il partito della Meloni ci risparmia il riferimento al fantomatico Piano Kalergi (al quale non ha mancato invece di richiamarsi Salvini), ma lascia intendere che dietro alle migrazioni ci sia la volontà di qualcuno di sostituire le popolazioni bianche con quelle di altri paesi e soprattutto di altre “razze”. Il documento dell’ONU citato è uno studio il quale segnala che con l’attuale andamento demografico, nell’arco di alcuni decenni le popolazioni di diversi paesi europei (tra cui l’Italia) rischiano pesanti effetti economici e sociali per effetto della progressiva riduzione della popolazione e del conseguente invecchiamento al punto da poter invertire tale tendenza solo con l’apporto di immigrati.

Significativo anche il riferimento al romanzo di Raspail scritto negli anni ’70, “Il Campo dei Santi”, nel quale si immaginava l’invasione della Francia da parte di immigrati provenienti dall’India. L’edizione italiana è stata pubblicata dalla casa editrice di estrema destra AR. Una studiosa americana, Chelsea Stieber,  ha spiegato che tutti dovrebbero leggere questo libro ”per comprendere come una ideologia razzista possa fare presa nel linguaggio e nella narrativa”, avendo presente che il testo è “una finzione basata su premesse errate”[iv].

Nel tema della “sostituzione etnica” c’è l’idea che le migrazioni di massa, di cui gli italiani per altro sono stati per decenni tra i maggiori protagonisti, non avvengano per la convergenza di ragioni economiche, sociali o legate allo scoppio di conflitti militari e civili, ma per l’azione volontaria di un qualche potere “mondialista” e “globalista”, il quale vuole programmatica cancellare l’identità cristiana dei popoli (bianchi) europei per meri interessi materiali.

Per molti sostenitori di queste tesi, l’uomo che rappresenta in massimo grado questi poteri è il finanziere americano ed ebreo di origine ungherese, George Soros.  Ha ricordato la politologa Sofia Ventura, in un recente articolo pubblicato da Linkiesta, che in un twitter di qualche anno fa la Meloni ha definito Soros come “usuraio”[v]. Il ricorso a questa definizione è carica di significati storici e non è certo innocente. Potrebbe essere un lapsus freudiano o quello che in inglese viene definito uno “slip of the tongue”, uno scivolamento della lingua che produce una dichiarazione che lascia emergere il pensiero profondo di una persona.

Ora, di Soros si può certamente dire che sia uno speculatore e in quanto tale anche piuttosto cinico, ma la definizione di “usuraio” (colui che presta soldi a strozzo) non gli si applica. Politicamente è un anticomunista, vicino all’ala liberal del Partito Democratico americano, sostenitore della “società aperta” popperiana (che a Fratelli d’Italia, come visto, non piace). E’ discutibile che un miliardario possa utilizzare ingenti risorse per sostenere cause politiche anche in paesi diversi dal suo, favorendo determinate forze politiche contro altre che magari non possono disporre di analoghi sostegni. Ma sono attività che svolgono abitualmente anche altri miliardari che foraggiano sistematicamente la destra, anche quella “patriottica”, come i fratelli Koch.

Ma la definizione di “usuraio” riferita ad un finanziere ebreo, come rileva la Ventura, non può che far emergere quantomeno un residuo di spirito antisemita. Forse un retaggio non ancora del tutto rimosso nel pensiero neoconservatore della Meloni.

FdI non è un partito per giovani

La ricostruzione del profilo ideologico di Fratelli d’Italia è necessario se si vuole avere idea della natura e delle finalità di questo partito ma non è sufficiente per identificare le ragioni di chi lo vota, spesso senza avere alcuna conoscenza o interesse per quanto sta scritto nei documenti o emerge nei convegni a sfondo teorico. Per individuare queste motivazioni occorrono altri strumenti non facilmente disponibili.

Nelle elezioni politiche del 2013, presentandosi per la prima volta a pochi mesi dalla fuoriuscita dal Popolo delle Libertà, Fratelli d’Italia otteneva 666.000 voti pari all’1,96% alla Camera e poco meno al Senato. Grazie all’alleanza col centro-destra poteva conquistare 9 deputati.

Nelle elezioni europee del 2014, incrementava i propri voti che salivano a 1.006.000, corrispondenti al 3,67%. Non raggiungendo il quorum però non poteva eleggere europarlamentari.

Nelle elezioni politiche del 2018 è riuscito a compiere un ulteriore piccolo passo in avanti, raccogliendo 1.429.000 voti, pari al 4,35%. La sua possibilità di espansione è risultata limitata dalla competizione in atto in quel momento tra un Berlusconi declinante e un Salvini in ascesa per la conquista della leadership del centrodestra. Per questa tornata elettorale disponiamo di qualche dato, tratto dal libro dell’Istituto Cattaneo dedicato all’analisi del voto[vi].

Il risultato di Fratelli d’Italia sembra ancora legato prevalentemente ad un elettorato di appartenenza che ha seguito il percorso dell’Msi prima, di Alleanza Nazionale poi, in gran parte è confluito nel PDL per poi separarsi nuovamente. Quando si va a verificare la composizione sociale e demografica del voto si notano che in generale le differenze rispetto al dato nazionale (4,3) non sono molte ma alcune sono significative.

Risultano sopra la media gli uomini (4,6), le fasce di età 35-44 (4,7), 45-54 (5,3), 55-64 (4,5), 64 e oltre (4,5) i laureati (4,7), i diplomati (4,9), coloro che hanno la licenza elementare o nessun titolo (4,6)  i dirigenti, imprenditori, liberi professionisti (5,0), gli autonomi, commercianti, artigiani (5,2), gli impiegati, insegnanti (4,7), gli operai (5,4), i pensionati (4,5), i dipendenti pubblici (7,0), i dipendenti privati (5,0), quelli che vanno a messa una volta al mese (6,2), quelli che ci vanno ma meno di una volta al mese (5,1).

Si riscontra invece un dato inferiore alla media tra le donne (4,1), le fasce di età 18-24 (1,1), coloro che hanno la licenza media (3,6), i disoccupati o inoccupati (2,6), gli studenti (2,1), le casalinghe (3,5), coloro che vanno a messa tutte le settimane (3,9) o che non ci vanno mai (2,9).

Questi dati derivano da un sondaggio Ipsos e, considerato che sono applicati al risultato di un partito con un limitato numero di voti, vanno presi con un certo beneficio di inventario, trattandosi spesso di variazioni di pochi decimali, ben al di sotto del margine di errore statistico. Significativo in ogni caso lo scarso consenso nella fascia degli elettori più giovani, l’elevato sostegno tra i dipendenti pubblici e un profilo nel complesso maschile, di età matura, di ceto medio alto o di occupati stabili, questi soprattutto nel pubblico impiego. Una forte presenza di cattolici ma non di coloro che sono più assidui nel frequentare le funzioni religiose.

Nelle elezioni europee del 2019, Fratelli d’Italia è salito a 1.726.000 voti pari al 6,44%, tallonando Forza Italia, che era invece in rapida discesa. Nonostante il successo di Salvini che si era collocato su un profilo ideologico e programmatico molto simile, il partito della Meloni è riuscito comunque a consolidare e ad allargare il proprio spazio.

Un’analisi post-voto dell’Ipsos ci consente di valutare il profilo degli elettori di FdI[vii].  Dal punto di vista del genere l’elettorato si è riequilibrato, vedendo anzi una leggerissima prevalenza femminile (6,5 contro 6,4 tra i maschi). Quanto all’età resta un partito fortemente sottorappresentato nella fascia 18-34 (4,9) e anche in quella 35-49 (5,6) mentre cresce decisamente nelle due fasce che vanno dai 50 ai 64 e dai 65 e oltre (7,4). A differenza della ricerca relativa alle elezioni del 2018, l’Ipsos non separa la fascia di voto che va dai 18 ai 24 che risultava decisamente poco attratta dall’estrema destra neo o post-fascista.

Per quanto riguarda il titolo di studio, l’elettorato di FdI resta mediamente acculturato con l’8,1 tra i laureati, a differenza della Lega di Salvini che in questa fascia è fortemente sottorappresentata (circa dieci punti in meno rispetto al voto complessivo).

Nel voto suddiviso per professione, resta forte il consenso tra i “ceti elevati” (definizione Ipsos), ovvero imprenditori e dirigenti, tra i quali il partito raccoglie il 7,8%. Si tratta della categoria nella quale il partito è più forte. Ma è significativo anche il dato relativo agli operai che con il 7,0% risulta comunque più alto di quello complessivo. Decisamente cresciuto il consenso tra i pensionati (7,4), mentre resta molto debole tra gli studenti (3,7), a conferma dello scarso appeal della Meloni tra i giovani, nonostante si possa presentare come la leader anagraficamente più vicina a loro. E’ cresciuto il consenso tra i disoccupati (6,3), ma resta un po’ sotto la media complessiva. Fra i dipendenti rimane sovrarappresentato il pubblico impiego (7,3), il che sembra in continuità con la tradizione missina.

Il consenso nel mondo cattolico viene valutato attraverso la partecipazione alla messa e alle funzioni religiose in generale. Il profilo resta simile a quello del 2018, pur con valori più alti. Il partito è più forte nelle due fasce centrali (chi frequenta mensilmente o occasionalmente la messa) e sottorappresentato in quelle estreme (chi va sempre a messa e chi non ci va mai). Si può notare che i due partiti che sono sovrarappresentati nella categoria dei cattolici più praticanti sono il PD e Forza Italia, ma non la Lega.

Può essere utile rilevare che, benché Fratelli d’Italia si presenti apertamente come un partito di destra, solo il 12,7% dei suoi elettori accettano la stessa etichetta. Un numero maggiore (13,7) preferisce una più sfumata collocazione nel “centrodestra”. La Meloni pesca poco nel campo avverso. Solo lo 0,1% dei suoi elettori si definisce di sinistra, a fronte del 7,6% degli elettori della Lega che si autocollocano in tale settore. In termini assoluti significa che solo 1.700 elettori di sinistra hanno votato FdI, a fronte di 697.000 elettori che si considerano di sinistra e hanno votato Lega.

Dal punto di vista geografico, Fratelli d’Italia sembra recuperare solo in parte la ripartizione geografica che caratterizzava il Movimento Sociale come partito del centro-sud. Il suo consenso è più equamente distribuito in tutta la penisola anche se resta sottodimensionato in quelle che erano un tempo le regioni rosse. Alcuni picchi di voto in zone meridionali (ad esempio in Calabria) potrebbero non essere estranei a qualche contiguità con settori di criminalità organizzata, se stiamo a quanto riportato dai giornali in diverse occasioni. FdI è riuscito a crescere anche in alcune zone del nord come nel Veneto che in teoria dovrebbero essere zona di caccia riservata alla Lega.

Le elezioni regionali che si sono tenute nel 2020 hanno confermato la fase di espansione elettorale del partito della Meloni anche in zone tradizionalmente ostiche come l’Emilia-Romagna (8,59%) mentre in Calabria ha ottenuto il 10,85%. Il partito può contare su due presidenti di Regione (Marche e Abruzzo) anche se è fallito il tentativo di conquistare la Puglia con la candidatura di Fitto, che avrebbe consentito di realizzare il progetto di un “asse adriatico” omogeneo (Molise a parte) tutto nelle mani di Presidenti di FdI.

Il partito ha recentemente annunciato di aver triplicato gli iscritti da 44.000 a 130.000. FdI mantiene una struttura organizzativa più simile ai vecchi partiti della “prima repubblica”, anziché a quelli assai più liquidi come sono Forza Italia o la Lega di Salvini (non quella di Bossi) per non parlare di 5 stelle. Il numero delle adesioni è simile a quello dell’MSI nel 1990, ma molto inferiore al livello raggiunto da Alleanza Nazionale[viii].

L’analisi dell’Ipsos sul voto delle europee del 2019 ci offre qualche indicazione anche sulle motivazioni del voto a FdI. Fra i problemi che angustiano questo elettorato figurano quelli che interessano a tutti gli elettori come il lavoro e l’occupazione ma un po’ meno che all’elettorato in generale (73% contro il 76%). Pesa il tema dell’immigrazione ma molto meno di quanto non influisca sull’elettorato della Lega e anche di Forza Italia ed è poco sopra il dato medio (34% contro il 32%). Più elevata la preoccupazione per la criminalità in generale (37% contro 26%) come si conviene ad un tradizionale “partito d’ordine”. Per il resto pesano in misura maggiore che sull’elettorato in generale il tema delle tasse e dello scarso sviluppo economico (17% e 19% contro il 13% e il 12%). Viene rilevata anche una accentuata sensibilità sul tema istruzione e su quello pensioni.

Non vengono però considerate, nell’indagine dell’Ipsos, alcune tematiche di particolare interesse proprio per Fratelli d’Italia (ad esempio la questione della natalità o quella che si può generalmente identificare come attenzione all’identità etnica e nazionale) e questo probabilmente non consente di capire quanto questi contenuti influiscano sull’adesione al partito della Meloni.

Se consideriamo l’attuale livello di consenso registrato dai sondaggi (17-18%) risulta evidente che siamo in presenza di una platea molto più ampia di quella verificabile al momento del voto nelle elezioni europee del 2019. Quindi l’interrogativo conseguente riguarda la provenienza di queste preferenze (per ora solo virtuali). Non mi risultano studi specifici ma confrontando sondaggi e voti sembra abbastanza evidente che Fratelli d’Italia stia beneficiando del forte calo di consensi che registra la Lega, dato che si riscontrano dimensione comparabili. Ciò indica che l’elettorato del centro-destra tende a spostarsi all’interno del proprio campo, ma sembrerebbe anche confermare che forse la Meloni non raccoglie facilmente intenzioni di voto nell’area che va dal centro alla sinistra. Ma si tratta evidentemente di una ipotesi tutta da verificare.

Fratelli d’Italia beneficia di due fattori politici che le danno in questo momento un certo vantaggio sulla Lega. Questo partito prima ha fatto cadere un governo nel quale aveva un peso rilevante per ragioni che forse una parte del suo elettorato non ha facilmente compreso. Poi ha deciso di entrare nella vasta maggioranza che sostiene Draghi. Finora il nuovo Governo non ha impresso una svolta significativa proprio sulla gestione della pandemia, favorendo lo spostamento di consensi in particolare in tutto il mondo delle piccole imprese e del lavoro autonomo verso il partito alleato ma anche rivale. Quest’ultimo cerca di dare voce in particolare alle lamentele e insoddisfazioni di queste categorie.

L’altro fattore riguarda la scelta comunicativa della Meloni che ha cercato di presentarsi come più coerente e concreta di Salvini, spesso oscillante e improvvido nell’uso della comunicazione sui social, dopo una fase in cui sembrava che questa potesse garantirgli un consenso sempre più ampio. Sui temi sui quali vi è sovrapposizione tra i messaggi dei due partiti, la Meloni sembra più affidabile del leader leghista. Ma questo è evidentemente favorito dall’avere mantenuto una collocazione di opposizione dalla formazione del partito ad oggi.

Nel secondo articolo cercherò di riprendere alcuni dei temi sopra accennati e di affrontare gli altri due tasselli della costruzione del profilo: 1) la dimensione europea ed internazionale; 2) le proposte programmatiche e l’agenda politica più immediata del partito guidato da Giorgia Meloni.

 

[i] Piero Ignazi, Il Polo Escluso. Profilo del Movimento Sociale Italiano, Il Mulino, Bologna, 1989, pp. 414 e Postfascisti? Dal Movimento Sociale ad Alleanza Nazionale, Il Mulino, Bologna, 1994, pp. 128.

[ii] Francesco Boezi, Fenomeno Meloni. Viaggio nella “generazione Atreju”, Edizioni Gondolin, 2020, 178 pp. e Francesco Giubilei, Giorgia Meloni. La rivoluzione dei conservatori, Giubilei Regnani, 2020, 164 pp.

[iii] https://www.cato.org/blog/ridiculous-claims-yoram-hazonys-virtue-nationalism

 

[iv] https://www.npr.org/2019/11/19/780552636/stephen-miller-and-the-camp-of-the-saints-a-white-nationalist-reference?t=1618246483876

[v] https://www.linkiesta.it/2021/03/giorgia-meloni-destra-leader/

[vi] Istituto Carlo Cattaneo, Il vicolo cieco, il Mulino, Bologna, 2018, 288 pp.

[vii] https://www.ipsos.com/it-it/elezioni-europee-2019-analisi-post-voto

[viii] Mara Morini, Movimento Sociale Italiano – Alleanza Nazionale, pp. 149-174, in Luciano Bardi, Piero Ignazi, Oreste Massari, I partiti italiani. Iscritti, dirigenti, eletti. Università Bocconi Editore, Milano, 2007.

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