Scriviamo questo articolo da un luogo che vogliono demolire, eliminare, cancellare. Un luogo che ha accolto, incluso e rigenerato centinaia di donne maltrattate e indifese, impoverite e disorientate. Un luogo che ha offerto solidarietà, condivisione e comunanza. Un luogo che ha coltivato e agito sentimenti sociali e culture politiche.
Un luogo femminista.
Si chiama Casa delle donne Lucha y Siesta e da undici anni ospita gratuitamente donne che chiedono di essere aiutate, perché vittime di violenza o perché private dei loro diritti o perché in difficoltà o in disagio. Si trova nella periferia sud-est di Roma.
Era un deposito di materiale tramviario, uno stabile inutilizzato e abbandonato da decenni. È stato occupato da un collettivo di donne l’8 marzo del 2008 e subito riconvertito a uso sociale e messo generosamente a disposizione del territorio. Sono attualmente presenti al suo interno quattordici donne e sei bambini.
Succede ora che questa magnifica esperienza autogestita corra il concreto rischio di essere liquidata. Ha formalmente ricevuto un avviso di sgombero. Invece di ricevere un ringraziamento, un plauso per il ruolo sociale che ha svolto e ancora svolge, sostituendosi con efficacia e sensibilità a una funzione che dovrebbe essere doverosamente pubblica e che invece è del tutto manchevole, Lucha y Siesta viene minacciata e perseguita ed è in serio pericolo di estinzione.
Si sono succeduti tre sindaci lungo questi undici anni: nessuno dei tre ha voluto regolarizzare le sue attività e anzi l’ultimo dei tre, che è poi la prima donna che a Roma rivesta tale ruolo, ha deciso addirittura di procedere al suo definitivo smantellamento.
Noi non ce ne andremo, non abbandoneremo questo luogo che abbiamo custodito e gestito con tutte le nostre energie e tutta la nostra passione. Abbiamo avviato una campagna in difesa di Lucha y Siesta, chiedendo alla città sostegno e solidarietà e all’amministrazione di fermare la procedura di sfratto. E non intendiamo scendere a compressi che mettano in discussione la libertà e l’autonomia che abbiamo costruito in questi anni.
Non siamo sole, ci sentiamo parte di un movimento di lotta con cui condividiamo una postura, la postura del femminismo e della resistenza femminista e transfemminista. Siamo partecipi di quel largo tessuto sociale che, parlando di antiviolenza, contrasta il sessismo, il razzismo e, diciamocelo, tutte le forme del fascismo moderno.
Fascismo moderno che sui corpi dei soggetti marginalizzati (i migranti) riversa la rabbia dovuta all’impoverimento sociale e al venir meno delle aspettative sul futuro, e che sui corpi delle donne vulnerabilizzati riversa il rancore dovuto all’erosione del potere economico e al venire meno del potere maschile e machista, in casa e fuori casa.
È purtroppo vero che i femminicidi e le violenze aumentano nei periodi di non lavoro e di maggiori difficoltà socio-culturali, quando le frustrazioni identitarie si scatenano nell’ambito domestico, quando nel tempo sospeso le relazioni stridono e gli equilibri, seppur lenti, cambiano sotto i colpi, i litigi e le messe all’angolo. Ed è altrettanto vero che le misure di limitazione delle libertà e di erosione dei diritti acquisiti si sviluppano quando il sistema di potere stringe i ranghi intorno a un’unica identità: che oggi possiamo individuare intorno a un soggetto che è uomo, bianco, eterosessuale. Ed è per questo che si colpisce chi uomo, bianco ed etero non è, e si colpiscono gli spazi di agibilità che le identità insorgenti cercano di conquistare e di difendere: donne, migranti, gay, trans, famiglie non tradizionali.
Difendere Lucha y Siesta significa per noi rimettere al centro le donne e le soggettività spinte fuori dalla centrifuga della politica, significa attivare la forza centripeta della pratica femminista e transfemminista. Significa difendere e continuare a far crescere questo luogo e quanto rappresenta, come riserva di energia politica inesauribile, capace di rigenerare il panorama del presente. Perché trova freschezza ogni volta che viene vissuto e ogni volta che un progetto prende qui vita.
Lucha y Siesta non è l’unica a rischio in questo momento. Lo sono tutti gli spazi materiali e simbolici conquistati dalle donne negli anni, come la Casa internazionale, come i consultori come i centri antiviolenza e le case rifugio. Difenderli e farli crescere significa tornare al centro del conflitto. Il movimento femminista in questi ultimi anni è rinato, dandoci forza e capacità di coinvolgere tante e diversi. Nonunadimeno e il piano antiviolenza femminista ci ha dato l’opportunità di vederci unite, ma crediamo che il tempo del ragionamento sia finito.
Siamo competenti, abbiamo capito cosa non va e cosa si deve cambiare. Ora è necessario dotarci di una strategia che da un lato impedisca i tentativi in atto di chiusura degli spazi di libertà e dall’altra rilanci le nostre proposte e gli avanzamenti culturali e di diritti che abbiamo conquistato. Una strategia ampia e di lungo respiro, che non ci faccia sentire sole né all’angolo, ma che al contrario sovverta il presente e vada oltre lo sciopero globale delle donne dell’8 marzo.