La distanza fra Lampedusa e il porto di Sfax in Tunisia è di meno di 100 miglia marittime. Da lì partono quelli che ancora chiamano i “barchini fantasma”, perché arrivano nell’isola maggiore delle Pelagie, spesso senza bisogno di alcun tipo di aiuto. Riescono sovente ad attraccare al molo Favarolo, a volte deve intervenire la Guardia costiera, quando durante il tratto, le piccole barche danno cenni di cedimento, ma più spesso, chi guida la nave, difficilmente quelli che i giornali chiamano scafisti o trafficanti, si lasciano intercettare. Dal molo le persone fermate vengono tenute per il tempo necessario al loro trasferimento nell’hotspot dell’isola, in contrada Imbriacola, ufficialmente adeguato per ospitare non più di 389 persone, ma che soprattutto quando inizia la buona stagione, arriva a trattenerne anche 2.400. Si dorme in condizioni promiscue sui materassi in terra, in attesa che arrivino traghetti ed aerei a smistare le persone, in gran parte in Sicilia e poi nel resto della penisola. Ci sono arrivi anche dalla Libia ma chi parte da quei porti prova a dirigersi direttamente sulla Sicilia, quindi resta la piccola isola di 22 km quadrati, ultima frontiera europea, ad essere la meta più vicina per chi invece riesce a partire da una rotta più sicura e meno costosa, i 3.000 dinari che molti dichiarano di aver pagato corrispondono a circa 900 euro Rotta sicura? Neanche questo è vero. Il maltempo di questi giorni ha visto affondare almeno due imbarcazioni, incerto il numero delle vittime, fra i 35 e i 52 ma è solo la classica punta dell’iceberg. A volte affondano quando sono ancora sulla costa per mancato soccorso, altre volte per guasti o imperizia o perché il mare in quel tratto è imprevedibile, difficile sapere quante persone vengono inghiottite fra i flutti. La fuga e la salvezza dal caos tunisino sembrano essere a portata di mano, bruciare la frontiera sembra un gioco da ragazzi, sono tante e tanti coloro che ricevono notizie positive, magari perché sono riusciti a fuggire in Francia, perché, essendo al primo tentativo, non avevano le impronte fotosegnalate e non sono incorse nel rimpatrio che gli accordi fra i governi rendono spesso rapido e veloce come una ghigliottina.
A Tunisi la situazione resta critica, Kais Saied, professore di diritto costituzionale, eletto democraticamente nel 2019 ha tenuto il potere in un complesso periodo di coabitazione con il partito islamico Ennahda, legato ai “Fratelli Musulmani che forte della maggioranza in parlamento, aveva iniziato un tentativo di islamizzazione del Paese, mettendo propri uomini nei posti chiave. Il 25 luglio del 2021, 64° anniversario della proclamazione della Repubblica tunisina, ha attuato un golpe istituzionale, assumendo i poteri esecutivi dopo aver destituito Primo Ministro, Hichem Mechichi, e sospendendo il Parlamento. Una svolta autoritaria a cui ha fatto seguito la revoca dell’immunità dei parlamentari e che lo ha portato ad assumere il controllo dell’ufficio del procuratore generale. Ci sono state condanne blande; Saied ha trovato l’appoggio UE e della stessa Italia, giustificando le misure prese come l’unica via per fermare gli islamici che avrebbero, se al potere, aumentato la destabilizzazione del Nord Africa. Il caos nelle cancellerie europee era legato al timore di ritrovarsi, come in Libia dopo il 2011, in una interminabile guerra civile nel paese che avrebbe potuto favorire un’ulteriore espansione del terrorismo islamista in tutta l’Africa Occidentale. Ma il caos si è creato comunque, la crisi economica ha portato la Tunisia a dover beneficiare di aiuti libici anche per avere generi di prima necessità. Nessuna misura economica è al momento adottata per sanare il paese. Al contrario Kaïs Saïed si concentra sul rafforzamento del suo potere indirizzandosi verso una dittatura. Nel luglio 2022 il presidente, che sembra somigliare sempre più alla versione tunisina del suo omologo egiziano Al Sisi, ha promosso un referendum per accentrare tutti i poteri Un referendum senza quorum cui ha partecipato meno del 20% degli aventi diritto. Nel dicembre 2022 e poi a gennaio del 2023 si sono tenute nel Paese elezioni farsa. Con la riforma voluta dal presidente, i candidati al parlamento dovevano essere tutti indipendenti e il sistema elettorale basato su caratteristiche fortemente maggioritarie (ricorda qualcosa?) col risultato che poco più dell’11% degli aventi diritto al voto si sono recati alle urne. Per comprendere qualcosa in più di questa crisi profonda nel Paese mediterraneo più vicino e con cui sono più forti le relazioni politiche e commerciali, dove spesso si recano i ministri italiani che, a vario titolo, tentano di fermare le partenze dei migranti utilizzando ogni mezzo, ma di cui poco si parla, abbiamo raggiunto Majdi Karbai, deputato tunisino eletto in Italia e sospeso col golpe di Saied: «Secondo la Costituzione del 2014 – ci tiene a precisare – io sono ancora un deputato del mio Paese – secondo Saied no. In realtà dopo il golpe, sostenuto da polizia ed esercito, in Tunisia non c’è più la legittimità di uno stato democratico. Con la nuova legge elettorale era impossibile presentarsi alle elezioni se appoggiati da gruppi o partiti, in pratica il parlamento viene riservato a persone che rispondono solo a se stesse e al presidente. Quando sono stato eletto io, di residenti all’estero ci eravamo presentati in 50, questa volta lo hanno fatto in 2». Diversi i fattori che rendono la situazione tunisina esplosiva racconta il parlamentare, che vive a Milano. «La legge di bilancio è stata presentata con un buco di 14 mld di dinari, circa 4 mld di dollari. Lo stato ha chiesto prima un prestito al Fondo Monetario Internazionale, ma quando si è capito che non era credibile, si attendeva la prima rata di 1,9 mld di dollari per 48 mesi, Saied non ha voluto firmare dicendo di non accettare il diktat con le riforme economiche che avrebbe imposto il Fmi». La richiesta di prestito per evitare il default è sponsorizzata da Italia e UE, ma l’istituzione di Washington chiede ingenti tagli alla spesa pubblica, l’eliminazione del complesso sistema di sovvenzioni statali e una progressiva riduzione delle imprese di Stato. Saied ha risposto che i tunisini, con un’inflazione alle stelle, la disoccupazione oltre il 15% ufficiale, generi di prima necessità il cui prezzo è cresciuto in pochi mesi del 30% mentre il potere di acquisto dei salari si riduceva, se la sarebbero cavati da soli. Il ricatto del Fondo da una parte, lo strapotere presidenziale dall’altra, rischiano di far esplodere un caos di cui ancora non si è vista la portata. Il rifiuto del prestito ha fatto crollare il valore dei titoli di Stato, ma a questo si aggiungono altri elementi di problematicità che racconta Karbai: « Il numero di tunisini che fuggono non è cambiato rispetto allo scorso anno. Solo che adesso stanno fuggendo gli impiegati statali, una parte di ceto medio con le loro famiglie che non intravede più un futuro nel Paese. A questo si aggiungano i tentativi di Saied di affrontare i problemi con lo stesso linguaggio e gli stessi strumenti della destra sovranista in Europa. La prima dichiarazione del “Presidente” risale al 21 febbraio scorso e ha già prodotto danni notevoli. Saied ha accusato i lavoratori sub sahariani, presenti in Tunisia, di essere parte di un complotto internazionale per realizzare la sostituzione etnica in Tunisia modificandone la composizione demografica». Presiedendo una riunione del Consiglio di sicurezza nazionale “dedicata alle misure urgenti che devono essere prese per far fronte all’arrivo in Tunisia di un gran numero di migranti irregolari dall’Africa sub-sahariana”, Saied ha parlato con estrema durezza dell’arrivo di flussi di “migranti clandestini” la cui presenza in Tunisia è, a suo avviso, fonte di “violenze, crimini e atti inaccettabili, oltre che illegali”, insistendo sulla “necessità di porre rapidamente fine a questa immigrazione. Soffiando sul malcontento, ha parlato di un “piano criminale ordito all’alba di questo secolo per modificare la composizione demografica della Tunisia”, al fine di trasformarla in un Paese “solo africano” e offuscare il suo carattere “arabo-musulmano”. «Alcuni soggetti hanno ricevuto ingenti somme di denaro dopo il 2011, per l’insediamento di immigrati irregolari sub-sahariani in Tunisia», si legge nel comunicato, secondo cui «l’obiettivo non annunciato delle successive ondate migratorie clandestine è quello di fare della Tunisia un Paese solo africano con nessun collegamento con le nazioni arabe e islamiche». Il presidente ha invitato le autorità ad agire «a tutti i livelli, diplomatico, di sicurezza e militare» per affrontare questa immigrazione ed ha chiesto «l’applicazione rigorosa della legge sullo status degli stranieri in Tunisia e sull’attraversamento illegale delle frontiere». «Coloro che sono alla base di questo fenomeno sono trafficanti di esseri umani, con il pretesto di essere invece difensori dei diritti umani», ha detto Saied, secondo il comunicato della presidenza. Già in precedenza, alcune ong, una ventina, per la precisione, avevano denunciato una crescita dell’ “incitamento all’odio” a cui lo Stato tunisino non reagisce, anche se i messaggi arrivano dai social e da alcuni media. Secondo le ong, a lanciare la campagna sono state alcune forze politiche che svolgono azioni di propaganda, agevolate dalle autorità regionali. «Il risultato – riprende Karbai – è che a tentare la fuga sono oggi soprattutto ivoriani, gambiani, camerunensi, burkinabè, senegalesi, guineani, congolesi, persone che lavoravano o che studiavano regolarmente in Tunisia, che sono state licenziate, cacciate dalle case in cui vivevano in affitto, che hanno subito violenze e minacce e vivono nel terrore unicamente per il passaporto e per il colore della pelle». Le autorità ivoriane e della Guinea Conakry stanno facilitando i rimpatri volontari ma i mezzi sono pochi quindi la sola soluzione possibile è quella di tentare di raggiungere l’Europa. Ci sono state anche manifestazioni di solidarietà a Tunisi ma non bastano di fronte ad una narrazione tossica che viene guardata con estremo favore anche dall’Italia. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani, quello che dovrebbe rappresentare il volto presentabile del governo più a destra della storia repubblicana, si era già recato a Tunisi, accompagnato dal ministro Piantedosi, un mese prima delle dichiarazioni che di fatto istituzionalizzavano la “caccia al nero”, proseguendo il lavoro iniziato già in anni passati e mai interrotto, i due hanno promesso alle autorità tunisine un maggior numero di ingressi regolari in Italia di lavoratori in cambio di un maggior controllo per fermare la partenza di “clandestini”, sia tunisini che sub sahariani”. E dopo l’allarme lanciato da Saied, sempre il nostro “moderato” ministro degli Esteri, ha manifestato la propria solidarietà e quella del governo, per la difficile situazione in Tunisia, garantendo l’appoggio italiano. “Il Governo italiano è in prima linea nel sostenere la Tunisia nelle attività di controllo delle frontiere, nella lotta al traffico di esseri umani, nonché nella creazione di percorsi legali verso l’Italia per i lavoratori tunisini e nella creazione di opportunità di formazione alternative alle migrazioni”. È stato il commento ufficiale giunto dalla Farnesina.
Sempre secondo Karbai, ma le notizie scarne che giungono dal Paese confermano quanto segue: «La situazione è resa ancor più peggiore dalla stretta repressiva. Giornalisti e avvocati, sono indagati semplicemente per aver criticato il Presidente. Gli ultimi due operatori dell’informazione di cui sono venuto a conoscenza, stavano indagando sulla corruzione dilagante all’interno del ministero per gli Affari Religiosi e sono stati fermati. Anche i consigli municipali sono stati sciolti e siamo in una vera e propria deriva della democrazia, le istituzioni semplicemente non ci sono più. Saied ha apertamente detto, in merito alle prossime elezioni presidenziali, che non è disposto a lasciare il Paese a chi non dimostra di essere un “patriota”». Inutile dire che l’opposizione politica è fuori gioco, gli stessi dirigenti del partito Ennahda, dopo essere stati estromessi da incarichi nell’esercito e nella polizia, oggi sono in parte in carcere Ed è ancora Karbai, parlamentare laico, ha fornirci un quadro della situazione: «Le opposizioni politiche hanno cercato di unirsi ma sono in galera, i leader sono accusati di cospirazione per aver incontrato ambasciatori occidentali. Sono accusati di far parte di un organigramma criminale che coinvolge anche i diplomatici, da un cosiddetto pool antiterrorismo. Persino il direttore di Radio Mosaïque, una delle più seguite, è oggi in carcere perché la sua linea editoriale non è compatibile con quella del Presidente. Bisognerebbe costruire un’alternativa, magari partendo da una road map per evitare che la Tunisia precipiti, ma chi ci prova è accusato di cospirazione. C’è anche una diversità di vedute fra Unione Europea e Italia. L’UE ha dimostrato di non essere d’accordo con Saied e ha bloccato gli aiuti promessi al ministero dell’Interno e a quello della Giustizia. L’Italia invece sta aiutando il regime per fermare le partenze. Per loro il Presidente è un alleato politico con cui c’è una forte affinità anche ideologica. La Tunisia è spaccata e il Presidente promette di incentivare i rimpatri e di bloccare le partenze ma, al momento giusto, molti continueranno a partire. Ed è anche un problema di risorse. Saied vuole più soldi, vuole che si spenda in Tunisia, per fermare le persone, come si è speso in Turchia, altrimenti dichiarerà di non avere mezzi». Ma secondo molti osservatori non è solo questione di mezzi. È almeno dal 2022 che viene discretamente favorita l’immigrazione, legale o illegale che sia, dei giovani tunisini verso l’Italia, per diminuire numericamente la quantità di giovani istruiti che non hanno prospettive e che potrebbero voler invece alimentare opposizione e sommosse. L’aumento di migranti tunisini approdati a Lampedusa è la più palese prova di questa politica conosciuta e taciuta dal governo italiano, forse anche in precedenza. Meglio accendere i riflettori sul soccorso prestato dalle navi umanitarie per chi fugge dalla Libia e fingere di ignorare la quantità di imbarcazioni che giungono quotidianamente a Lampedusa. Difficile sapere cosa realmente si sono detti a gennaio governanti italiani e tunisini, ma nel Memorandum con la Tunisia, che potrebbe essere simile a quello stipulato nel febbraio 2017 con la Libia, ci potrebbero essere, in cambio di maggior tolleranza verso le migrazioni tunisine, la promessa di fermare, con ogni mezzo, compresi centri di detenzione finanziati, come in Libia, da Roma, chi giunge dai paesi dell’Africa Sub Sahariana. Tutto sarebbe in linea con le esplicite politiche messe in campo da questo più che da altri governi in cui si definiscono limiti razziali anche all’immigrazione.
E non possiamo prendercela solo col governo attuale. Durante i primi 10 mesi del 2022, a confermarlo è stato il Forum tunisino per i diritti economici e sociali (Ftdes), sono state intercettate in mare dalle motovedette di Tunisi, oltre 29 mila persone e 544 sono stati i morti accertati. Già dal 2020 si erano moltiplicate le operazioni di intercettazione in mare. L’MRCC di Tunisi, il centro marittimo che coordina le operazioni di ricerca e soccorso è operativo anche se la Tunisia non ha ancora comunicato una propria zona SAR (Search And Rescue) come ha fatto la Libia, all’IMO (Organizzazione Marittima Internazionale) un passaggio necessario per rendere le autorità del Paese effettivamente responsabili delle operazioni di salvataggio in un area specifica di mare. Le frequenti visite a Tunisi dell’allora ministro degli Affari Esteri Luigi Di Maio, degli Interni, Luciana Lamorgese, spesso insieme ai dai commissari europei Ylva Johansson (Affari interni) e Oliver Varhelyi (Vicinato e allargamento), che dal 2020 stringevano la mano a Saied, avevano lo scopo sia di rendere più efficaci i rimpatri sia di fornire risorse per l’esternalizzazione delle frontiere. Già nell’estate del 2020, Lamorgese aveva potuto promettere 11 milioni di euro di aiuti che sono stati allocati nel cd “Fondo di premialità per il rimpatrio”, uno strumento predisposto nel 2019 che allora aveva una dotazione di soli 2 milioni di euro. Nel 2020 otto milioni risultano essere stati assegnati al progetto “Sostegno al controllo delle frontiere e alla gestione dei flussi migratori, gli altri sette sono giunti nell’anno successivo. Il Ministero degli esteri il 20 novembre 2020 aveva inviato a Tunisi una comunicazione di questo tenore: «L’acquisto effettivo e la successiva consegna del materiale, saranno legati ai risultati raggiunti dalle autorità tunisine in materia di riammissioni dei cittadini tunisini che si trovano in una situazione di irregolarità in Italia, così come alla gestione efficace dei flussi migratori irregolari in partenza dalla Tunisia». Nel biennio indicato sono stati approvati 5 progetti sulla Tunisia, su 24 milioni di euro, 19 sono stati impiegati sul controllo delle frontiere, rafforzando il Fondo di premialità. Una parte di queste risorse è stata utilizzata per provvedere alla manutenzione di 6 pattugliatori italiani P350, donate già nel 2014, a gestire i fondi è intervenuto persino l’Ufficio delle Nazioni Unite per i Servizi e i Progetti (UNOPS), con cui il ministero degli Affari Esteri nostrano aveva siglato un’intesa il 9 dicembre 2020. La sede regionale dell’UNOPS, che gestisce le gare di appalto per le varie spese ha sede proprio a Tunisi. E pensare che detto Ufficio solitamente si occupa di progetti di “sviluppo sostenibile”.
Ma gli interessi italiani a Tunisi non sono unicamente connessi al “fermate i neri”. Tajani a gennaio ha promesso di rafforzare ulteriormente la presenza delle imprese italiane in Tunisia, 800 società a detta di InfoMercati Esteri del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI). Si tratta di quasi un terzo di tutte le imprese a partecipazione straniera che impiegano circa 70 mila persone ma che non hanno mai portato benessere per il popolo tunisino. Quello che è aumentato è lo sfruttamento della mano d’opera e contribuendo allo squilibrio strutturale della bilancia commerciale tunisina. L’Italia è divenuto il primo fornitore del Paese con il 14,2% delle importazioni ufficialmente registrate. Fuori conteggio è poi il commercio illegale garantito dalla criminalità organizzata italiana ad esempio nel campo dei rifiuti. Ci sono aree della Tunisia infestate da questi rifiuti che e trasformati in una immensa discarica. Si tratta di rifiuti industriali, domestici ma anche tossici che stanno causando un forte aumento dei tumori fra la popolazione esposta. È basato su questo il “Piano Mattei” per l’Africa spesso declamato dal Presidente Giorgia Meloni e che dovrebbe convincere gli africani a non emigrare? Definirlo colonialismo criminale è forse solo un eufemismo: rifiuti, lager, armi, navi e premi ai regimi che controllano le frontiere e briciole di cooperazione di cui beneficiano soltanto le nostre italiche imprese.
Ora è anche difficile avanzare proposte significative per reagire. Una delegazione del parlamento tunisino sospeso sta girando in questi giorni in Svizzera, Francia, Belgio e altri paesi UE per lanciare il proprio allarme. Dall’Italia pochi contatti con pochi parlamentari di opposizione. Secondo Karbai lo stesso Partito Democratico, ha organizzato un incontro in Italia, recentemente, senza neanche invitare rappresentanti tunisini: «Ne sono venuto a conoscenza quando l’incontro si era già svolto. Ma le sinistre devono ascoltare le nostre voci, prima che tacciano a causa di altri arresti».
Continua a parlare Antonio Tajani, lanciando la proposta di un compromesso per «favorire la stabilità della Tunisia. Le riforme chieste dal FMI vanno attuate ma la Tunisia va “incoraggiata “con una prima tranche di finanziamenti. A cui se funziona, deve seguire una seconda e una terza tranche». Il timore non è più l’islamismo, ma quanto quello dell’arrivo dei russi anche in quest’area del Mediterraneo, dopo che la loro presenza militare e a seguire anche economica, si va consolidando in Cirenaica e nel Sahel. La prossima settimana il ministro tunisino degli Esteri Nabil Ammar incontrerà a Roma il suo omologo italiano. Annuncerà che 501 tentativi di partenze di migranti sono stati bloccati in questi 3 mesi del 2023. Delle persone partite meno di un decimo risulta essere di nazionalità tunisina. Secondo la fonte governativa, nell’ambito delle operazioni di prevenzione e della lotta al fenomeno dell’immigrazione irregolare, 63 persone coinvolte nell’organizzazione di traversate illegali sono state arrestate mentre 135 imbarcazioni e 12 veicoli sono stati sequestrati. Ma in tutto questo nessuna parola sui naufragi, sui soccorsi non prestati, sulle vite spezzate anche di donne e bambini. Mentre andiamo in pagina apprendiamo che, nel complesso, dalla Turchia verso lo Jonio, da Tripoli verso la Sicilia, da Sfax verso Lampedusa, con certezza oltre 1.000 sono le vittime di questa guerra silenziosa. Morti ignorati dai governanti europei, di destra o di centro sinistra comunque siano collocati.
Stefano Galieni