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Conflitto, competizione e pianificazione nella transizione

di Roberto
Rosso

Quando parliamo di transizione è difficile che si alluda alla transizione al socialismo, all’ordine del giorno è la transizione energetica ovvero tutti i processi di trasformazione, tutte le strategie necessarie ad interdire il riscaldamento globale e a mitigarne gli effetti. Ogni aspetto dei rapporti sociali, ogni filiera produttiva, commerciale e logistica è coinvolta nella sostituzione delle fonti, nella riduzione dei consumi energetica nell’incremento della produttività energetica. Il ciclo dell’auto che è stato trainante per lo sviluppo capitalistico dall’inizio del secolo scorso che ha informato di sé ogni assetto sociale, la configurazione dei territori e delle aree urbane; il ciclo produttivo, la natura dell’oggetto si sono trasformati attraverso il passaggio al post-fordismo, la diffusione dei cicli produttivi nel processo di globalizzazione, le varie fasi del processo sono state segnate, come ogni altra filiera, dalla digitalizzazione, nei veicoli, nelle unità produttive e nel coordinamento complessivo della filiera. Il passaggio all’elettrico investe il settore ogni suo minimo assetto ed articolazione ed oggi, in pieno sfaldamento delle architetture della globalizzazione, è uno dei punti nodali della competizione globale nella quale la Cina agisce come attore che destabilizza i precedenti rapporti di forza, la divisione del lavoro nei mercati su cui si fondava la globalizzazione neoliberista che aveva visto l’affermarsi della Cina come fabbrica del mondo.

A più riprese abbiamo evidenziato il fatto che la transizione energetico-climatica richiede per essere realizzata un livello di coordinamento globale, forte e pervasivo. Le problematiche di questa transizione attraversano tutta la complessità della formazione sociale, quando parliamo di coordinamento non intendiamo una semplice articolazione semplicemente complicata, la complessità della formazione sociale la sua integrazione totale con le reti ecologiche, il suo interagire con i processi di riproduzione della vita richiedono assieme un pianificazione dall’alto, una condivisione di obiettivi frutto di una cooperazione globale in termini di conoscenze, dispositivi di analisi e tecnologie, di una contemporanea capacità di produzione di conoscenze dal basso,  locali e regionali,  un doppio movimento. Una complessità che richiede l’abbandono di gerarchie a priore tra forme di società e culture, quel genocidio di culture e popolazioni con cui il capitalismo si è costruito e si è affermato sino ad arrivare a recidere il ramo sui siede trionfante.

Le conferenze delle parti le COP entro cui soglie da non superare, obiettivi, vincoli, strategie e linee guida si dovevano affermare e condividere hanno mostrato tutta l’incapacità di produrre il livello di cooperazione globale necessaria ad avviare la transizione nelle dimensioni, ritmi e proporzioni necessarie. La competizione sempre più accesa sul ciclo dell’auto elettrica, della produzione dei dispositivi di accumulazione necessarie per la tanto per la mobilità elettrica quanto per dare continuità alla fornitura di energia elettrica prodotta con le rinnovabili. Non si può compere l’errore di separare la competizione tra le grandi potenze sul mercato mondiale della filiera dell’elettrico nella sua più vasta accezione dalla crisi dei processi di cooperazione globale nell’affrontamento della crisi climatica.

A livello globale assistiamo alla più evidente manifestazione di anarchia del mercato, competizione crescente tra potenze -in termini di nazioni e poteri economici- a livello sempre più alto laddove le singole potenze, sia che si tratti di Big Tech, Cina Stati Uniti o Unione Europea, soggetti con capacità di concentrare e mobilitare risorse a livelli mai visti, di integrare filiere tecnologiche diverse -come accade per l’uso delle centrali nucleari per la produzione dell’energia elettrica necessaria ad alimentare i data center coi quali si realizza l’Intelligenza Artificiale; integrazione e pianificazione di processi a livelli mai visti, peraltro processi di centralizzazione, concentrazione capacità di programmazione e pianificazione che producono un livello superiore di competizione e conflitto. Peraltro lo sviluppo economico delle grandi potenze, che si tratti di Cina o Stat Uniti non sono certo esenti da contraddizioni. Nel caso della Cina, dove gli strumenti di pianificazione fanno parte della struttura politico-amministrativa di una tradizionale regolazione dei mercati, ciò non ha impedito che sia esplosa la crisi ed il fallimento dei giganti immobiliari, protagonisti del frenetico sviluppo urbano a cui ha corrisposto un indebitamento crescente delle amministrazioni locali e situazione critica delle banche locali. La potenza economica cinese è letteralmente esplosa con l’assunzione del ruolo di ‘fabbrica del mondo ’ il che ha permesso di diventare competitiva sul piano dell’innovazione tecnologica e di rilanciare il consumo interno come drive della propria crescita, tuttavia la pressione dei prodotti cinesi sul mercato mondiale costituisce uno dei maggiori problemi tanto per gli Stati Uniti che per l’Europa, in questo contesto la filiera dell’elettrico ne è una dimostrazione. La creazione di infrastrutture nei paesi cosiddetti ‘in via di sviluppo’, soprattutto in Africa, finanziate con un corrispondente flusso di prestiti costituisce uno strumento di penetrazione in mercati in crescita e di acquisizione di fonti di materie prime, in competizione con l’influenza delle potenze ex-coloniali e degli USA.  Come è evidente il continente africano è diventato un vero e proprio campo di battaglia, luogo di competizione acerrima con tutti i mezzi 1, sono pochi i paesi che riescono a mantenere una stabilità politica con forme di governo definibili come democratiche, tanto meno forme di reale autonomia economica.

L’incombere della crisi climatica, le sue manifestazioni sempre più drammatiche e diffuse non agisce come deterrente nei confronti di una crescente conflittualità economica, politica. finanziaria e militare, al contrario diventa terreno su cui si manifesta questa conflittualità della definizione delle strategie dei contendenti, diventa elemento di contesto nella definizione dei campi di battaglia, delle condizioni in cui i dispostivi militari operano. Tanto meno si realizza quel flusso di aiuti finanziari verso i paesi più poveri e contemporaneamente più colpiti dal cambiamento climatico, necessario per mitigarne gli effetti -non certo per invertirne le cause, di cui non sono responsabili, storicamente e attualmente- che si misurano nell’ordine dei 100 miliardi di dollari per anno; questo dato è la dimostrazione, se ancora fosse necessario, che la questione climatica è inscindibile dalla questione sociale, dalla logica generale che impronta i rapporti sociali di produzione. Se la transizione per essere tale ed efficace deve pervadere tutti i nessi, le relazioni più profonde delle formazioni sociali essa dovrebbe improntare di sé i mercati finanziari, ciò in tutta evidenza non accade, il livello crescente di indebitamente dei paesi africani ne mina l’autonomia e produce interventi infrastrutturali che nulla hanno a che vedere con il cambiamento climatico.

Emblematico è l’esempio della grande diga che l’Etiopia sta finendo di costruire sul Nilo azzurro, costruendo le premesse di una guerra regionale per l’acqua, che ha sua volta si correla con gli altri conflitti già presenti nella regione -dal Sudan alla Somalia- e a salire verso il sistema di alleanze di cui i vari paesi fanno parte. Non è certo questione che possa risolversi, essa costituisce un esempio eclatante come l’utilizzo di qualsiasi risorsa naturale oltre una certa soglia apre questioni drammatiche negli equilibri ecologici, ambientali, climatici e sociali.  Non possiamo che ri-citare le note contenute nel nostro ultimo articolo2

L’Etiopia, il Corno d’Africa sono luogo dove si verificano siccità poliennali, soggetto all’influenza delle oscillazioni climatiche legate al fenomeno del El Niño Southern Oscillation (ENSO3 , a sua volta l’Egitto vive concentrato, con gli insediamenti addensati lungo il corso Nilo. I grandi fiumi come il Nilo, il Rio delle Amazzoni, le grandi foreste pluviali del Congo -che in realtà copre una parte importante dell’Africa Centrale4- e dell’Amazzonia, costituiscono beni comuni dell’ umanità, ma come tali non sono gestiti e governati e sono sempre più a rischio per l’azione antropica diretta e le conseguenze del cambiamento climatico, vedi da ultimo la siccità che sta colpendo  parti della foresta pluviale amazzonica.

Se i flussi di capitali non son certo orientati a sostenere interventi  in grado -se non di invertire- almeno rallentare il riscaldamento globale e mitigare le sue conseguenze, il processo di concentrazione delle ricchezze procede inesorabilmente, come si ricordava in nostro articolo5, «Imposte più elevate sulla ricchezza e sul reddito dei più facoltosi potrebbero generare cospicue risorse, indispensabili – sostiene Misha Maslennikov, policy advisor sulla giustizia fiscale di Oxfam Italia – Negli ultimi decenni la progressività e il potenziale redistributivo del sistema di imposte e trasferimenti si sono notevolmente ridotti. Contestualmente si è ridimensionato il prelievo in capo alle persone più facoltose. Su questo oggi abbiamo bisogno di un’inversione di tendenza. L’iniziativa della presidenza brasiliana del G20 va in questa direzione. I dati mostrano come nel 2022 l’1% più ricco, in termini reddituali, nei paesi del G20 ha percepito 18.000 miliardi di dollari. Un ammontare superiore al pil della Cina. Nei G20, in media, per ogni dollaro di gettito fiscale, meno di 8 centesimi provengono oggi dalle imposte sul patrimonio, mentre più di 32 centesimi (oltre quattro volte tanto) arrivano dalle imposte su beni e servizi che gravano in modo sproporzionato sulle famiglie a basso reddito» Si citava la proposta del ministro delle finanze brasiliano6 Il ministro delle Finanze brasiliano, Fernando Haddad, ha dichiarato che la presidenza brasiliana del G20 vuole trovare “modi efficaci” per tassare i cosiddetti super-ricchi e ha affermato che la dichiarazione a conclusione della ministeriale a Rio de Janeiro sarà “storica”. Nel suo intervento alla sessione sulla cooperazione fiscale internazionale, durante la riunione dei ministri delle Finanze e dei presidenti delle banche centrali del G20, Haddad ha commentato che il vertice (18-19 novembre 2024) segnerà l’inizio di un “nuovo dialogo globale sulla giustizia fiscale. Trovare modi efficaci per tassare i super-ricchi è una priorità per la presidenza brasiliana del G20.”

I mercati finanziari, i cui scambi sono determinati e decisi in percentuale crescente da algoritmi digitali, sono dominati da un numero ridotto di soggetti ed attratti dalle filiere dominati e emergenti della trasformazione tecnologica capitalistica, oltre a giocare sulle oscillazioni delle quotazioni di titoli, monete ed ogni sorta di beni finanziarizzati. Si gioca sulle transizioni gemelle quelle climatico-energetica e quella tecnologico-digitale, intimamente connesse laddove l’una è stretta dal vincolo delle conseguenze del modo di produzione in termini di riscaldamento globale/mutamento climatico, l’altra opera come forza trasformativa fondamentale interna al modo di produzione stesso. Una massa crescente di capitali -prodotto della finanziarizzazione di ogni attività economica e delle crescenti diseguaglianze- è quindi alla ricerca forsennata di valorizzazione, mentre paradossalmente, ma inevitabilmente proprio in conseguenza delle logiche dell’accumulazione e delle forme di governo e regolazione dell’economia crescono i livelli di indebitamento pubblici e privati. Del mercato dei capitali e del debito si tratta e si tratterà in modo più specifico.

Le grandi corporations del digitale le Big Tech, accrescono esponenzialmente il proprio valore borsistico grazie da ultimo allo sviluppo delle tecnologie dell’Intelligenza Artificiale, un ciclo di sviluppo tecnologico e di investimento finanziario  che ha creato nuovi protagonisti nel mercato dell’I.A. che è destinato a proseguire ed ha pervadere coi suoi dispositivi  sempre nuove attività umane, ma di cui non è allo stato realmente prevedibile la traiettoria di sviluppo, per cui già si parla di una bolla e comunque le dinamiche sono tutto meno che lineari ed esenti da contraddizioni.

L’impatto possibile dell’I.A. sulla composizione del mercato del lavoro, sulla struttura dei processi produttivi comincia ad essere rilevante e potrà essere devastante rispetto agli equilibri e composizione attuali; al di là di previsioni oracolari, ci possiamo aspettare quindi nei prossimi anni forti instabilità e rideterminazione dei rapporti di forza ovvero processi di trasformazione nei quali si esprimeranno in pieno competizioni e conflitti, ben oltre il tentativo di regolarne lo svolgimento con gli ordini esecutivi della presidenza Biden o le direttive dell’UE.

Le dinamiche dei mercati finanziari, sempre più gonfiati da diseguaglianze sociali e dallo sviluppo oligopolistico dei settori trainanti dell’economia, oscillano tra la ricerca di linee di investimento strategiche e la valorizzazione nel breve e nel brevissimo periodo dove comunque gioca la concentrazione dei capitali stessi nelle mani di un numero di soggetti ridotto, soprattutto rispetto alla massa dei capitali governata.

Il conflitto  e la competizione si producono e si trasmettono dall’alto del livello finanziario al ‘basso’ dei processi economici concreti, sociali e produttivi, e viceversa; la massa dei processi, prodotti e servizi che concretamente compongono le relazioni economiche -in tutte le loro determinazioni anche di merci virtuali- alla fine trovano la possibilità di riprodursi in base alla loro finale resa finanziaria, ai loro rendimenti in tutto il ciclo nel quale il denaro inziale torna ad essere denaro.

Il paradosso, se ancora lo si considera come tale, è che la straordinaria capacità di produrre, e gestire informazione, di modellizzare il mondo il suo procedere in tutti i suoi più minuti aspetti, non sta producendo un nuovo socialismo digitale -antico ideale cibernetico del socialismo reale- ma il suo esatto contrario. L’ipotesi di intervenire sui monopoli del digitale, Google ovvero la società madre Alphabet in primis, potrà avere qualche effetto separando qualche ramo d’azienda, qualche social network, ma non è in grado di trasformare la realtà del mercato dei servizi e dei dispositivi digitali, il suo connettersi intimamente ad ogni relazione sociale ed interpersonale, innervando ogni processo economico, produttivo e riproduttivo. Questo mondo delle ‘merci digitali’ costituisce il cuore del capitalismo attuale, è alla base dei rapporti sociali di produzione ed è contemporaneamente il motore delle contraddizioni più radicali.

Roberto Rosso

  1. https://transform-italia.it/la-transizione-africana-sullorlo-dellabisso-alla-ricerca-dellautodeterminazione/ https://transform-italia.it/africa-interrogativi-e-riflessioni/ []
  2. https://transform-italia.it/africa-interrogativi-e-riflessioni/

    L’Egitto si è anche impegnato a sostenere una nuova missione di mantenimento della pace dell’Unione Africana in Somalia che, nel 2025, prenderà il posto dell’attuale African Union Transition Mission in Somalia (Atmis). Il piano prevede il dispiegamento di 5mila militari egiziani, a cui si aggiungeranno altri 5mila che saranno schierati separatamente lungo la linea di confine con l’Etiopia e il Somaliland (accusato da Mogadiscio di aver ricevuto armi da Addis Abeba). Il nuovo asse Cairo-Mogadiscio servirebbe così come monito alla regione separatista del Somaliland che, com’è noto, si è autoproclamata indipendente.

    L’Etiopia ha siglato un patto preliminare con il governo di Hargheisa che ha provocato durissime reazioni da parte di Mogadiscio. L’intesa non solo contempla il riconoscimento da parte del governo di Addis Abeba del Somaliland, ma anche la concessione, in cambio, di alcuni terreni costieri su cui realizzare una base navale, garantendosi così il suo primo sbocco sul mare, direttamente nel Golfo di Aden. La tensione è comunque alle stelle se si considera che il 16 settembre scorso è stata diramata la notizia del rinvio sine die dei colloqui previsti a Istanbul (Turchia) per il giorno seguente tra Etiopia e Somalia per via della crescente tensione nel Corno d’Africa, in seguito alla cooperazione militare tra il Cairo e Mogadiscio. In questo contesto, come era prevedibile, si stanno delineando gli schieramenti. L’Eritrea del dittatore Isais Afewerki, ad esempio, ha confermato l’appoggio al Cairo, attraverso il proprio ministro degli esteri, Yemane Meskel, manifestando così l’antica rivalità, di fatto mai sopita, con l’Etiopia.

    Il Sudan, direttamente coinvolto nel conflitto sulla gestione delle acque del Nilo, è sconvolto da una guerra civile che provoca milioni di rifugiati nella quale Egitto, Eritrea, Sud Sudan e Somalia sostengono il generale Al Burhan mentre l’Etiopia e gli Emirati Arabi Uniti stanno sostenendo il suo rivale Hemedti. La guerra civile di inaudita ferocia vede per l’ennesima volta non solo i protagonisti interni, ma tutti i soggetti che operano per rafforzare la propria influenza, ogni conflitto implica una rideterminazione degli equilibri e dei rapporti di forza no solo sul piano interno, ma anche su quello globale, in base al ruolo che la regione gioca in essi.[]

  3.    https://www.agensir.it/quotidiano/2024/5/24/etiopia-medici-con-lafrica-cuamm-el-nino-mette-in-ginocchio-il-sud-del-paese-aumentano-i-casi-di-malnutrizione-e-cresce-il-rischio-epidemie/ []
  4. https://it.wikipedia.org/wiki/Foresta_del_Congo  []
  5. https://transform-italia.it/cibo-guerra-clima-e-tecnologia-crisi-e-transizione-senza-liberazione/ []
  6. https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/americalatina/2024/07/25/brasile-dal-summit-g20-finanze-di-rio-una-dichiarazione-storica_5310e0cd-ab60-4a5b-98e8-9affacac6259.html  []
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