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La transizione africana, sull’orlo dell’abisso alla ricerca dell’autodeterminazione

di Roberto
Rosso

Probabilmente non esiste continente, regione del globo che ai nostri occhi, europei ed occidentali, che più del continente africano rappresenti il connettersi di tutte le crisi, l’incertezza del presente che si proietta sul futuro; questo intrecciarsi di crisi/trasformazione nel continente è connesso al procedere globale di questi processi, con continuità profonde e rotture radicali rispetto ai processi storici che hanno portato allo stato di cose presenti che esprime straordinarie potenzialità e drammatiche alternative nell’evoluzione futura delle formazioni sociali.

Quelle che seguono non sono altro che alcune note iniziali, redatte con lo scopo di aprire un focus, un dibattito permanente sulle pagine della nostra rivista sul continente africano, cercando di connettersi alle fondi, ai forum, ai luoghi di ricerca e confronto dove in questi anni si è sviluppata l’analisi.

Ricordiamo innanzitutto i caratteri salienti della fase storica che stiamo attraversando, posto che abbia senso l’uso del termine fase storica, essi fanno riferimento ai concetti di policrisi e di transizione, tra loro intimamente connessi; è importante descrivere in estrema sintesi i processi di crisi-transizione-trasformazione che investono la formazione sociale globale per riconoscerne le manifestazioni nello sterminato e complesso scenario del continente africano.

Ne abbiamo ampiamente parlato, la crisi climatica dovuta al riscaldamento globale fa sentire i suoi effetti in tutte le regioni del globo, peraltro in maniera differenziata senza che le conseguenze sulle varie regioni siano proporzionali ai rispettivi contributi; di questo il continente africano ne è plastica dimostrazione. [dati] I diversi gradi di sviluppo  e le dimensioni in termini di popolazione fanno sì che ci sia un uso delle fonti fossili, il carbone in particolare, in paesi come Cina ed India, in assenza di un quadro di cooperazione globale in grado di garantire la condivisione di risorse tecnologiche e finanziarie necessaria ad attuare una transizione radicale nella produzione e nell’uso dell’energia tale da porre un limite al riscaldamento globale, come quello posto dalla  COP 15 di Parigi, conferenza nella quale si pose come soglia da non superare 1,5 gradi centigradi della temperatura media globale, soglia  che di per sé è foriera di straordinari sconvolgimenti di cui abbiamo sin da ora evidenti e continue testimonianze. La transizione gemella, che caratterizza in modo profondo le trasformazioni dei rapporti sociali di produzione, è definibile come tecnologico-digitale, laddove le tecnologie digitali sono il motore e strumento dello sviluppo di ogni altra filiera tecnologica, penetrando in modo pervasivo in ogni forma di relazione umana, interpersonale e sociale, modificando la nozione di distanza spazio temporale nello spazio sociale, diventando componente essenziale dei dispositivi di potere.

Rispetto alla crisi climatica, al suo progredire differenziato nello spazio e nel tempo l’aumento vertiginoso della potenza di calcolo messa a disposizione di algoritmi e modelli previsionali, ha reso questi ultimi sempre più precisi benché, purtroppo – stante la complessità delle interazioni dei diversi processi- siano più numerosi e rilevanti fenomeni che si aggravano rispetto alle previsioni, come lo scioglimento dei ghiacci della Groenlandia. Lo sviluppo sinergico delle diverse filiere tecnologico costituisce di per sé lo strumento principe per interdire il riscaldamento globale, per intervenire sulle sue cause primarie.

Le due transizioni gemelle richiederebbero il massimo di collaborazione a livello globale per interdire il superamento di soglie che aprono ad esiti catastrofici, al contrario la tendenza è il crescere della competizione globale sulle macerie di quella che era l’ordine gerarchico della globalizzazione neoliberista trionfante nel passaggio tra i due secoli; competizione che si esprime in una tendenza generale alla guerra, potenziale o reale, nella crescita degli apparati militari, supportati dall’uso sempre più spinto dell’innovazione  tecnologica. Nei mercati finanziari nulla è cambiato rispetto al passato, per i diversi paesi il peso del debito è legato all’andamento dei tassi a sua volta determinato dalle politiche delle banche centrali Fed e BCE in particolare, rappresenta quindi un fattore di crisi fondamentale per molti paesi africani.

Processi di transizione globale si fanno strada in un contesto di crisi intrecciate, la cosiddetta policrisi, segnato da crescenti diseguaglianze dalla riconfigurazione progressiva delle alleanze più o meno esplicite e delle aree di influenza; dinamiche particolarmente evidenti nel continente africano.

Queste dinamiche sono in grado di trasformare radicalmente la composizione produttiva, sociale e politiche delle principali formazioni sociali, anche quelle egemoni nella competizione globale; pensiamo a ciò che accade in Europa con l’estrema difficoltà della Germania a tenere il passo della transizione non potendo più vivere di rendita sulla sua posizione nelle filiere produttive e commerciali a livello globale ed europeo, alla ‘crisi tedesca’ che investe tutti gli ambiti da quello economico-produttivo a quello politico – in stretta connessione tra loro- corrisponde quella dell’Unione che non sembra in grado di uscire da dispostivi di governo sostanzialmente recessivi.

Processi di transizione radicali, su cui si gioca la ridefinizione degli equilibri complessivi, ai vari livelli e nelle diverse dimensioni delle formazioni sociali, richiedono la mobilitazione di tutte le risorse disponibili, il loro dislocamento, il mutamento dei ruoli e delle condizioni di vita di una gran parte delle popolazioni, secondo una solidale, in altri termini si tratta di sganciare la costruzione del futuro nel presente dall’ipoteca del passato, riassunta in arbitrarie proporzioni finanziarie. Ritroviamo a livello europeo le stesse dinamiche che hanno reso impossibile nelle COP una collaborazione globale per interdire il riscaldamento globale. Questa crisi dell’Unione passa per la crescente instabilità politica dei due paesi di riferimento, che per decenni hanno retto l’Unione, Francia e Germania.

La crisi europea, la spaccatura dell’UE con l’ultima grande potenza coloniale la Gran Bretagna, riduce la capacità di influire sulle trasformazioni che investono gli stati africani, le tradizionali aree di influenza. Se l’intreccio crisi-transizioni scuote violentemente gli assetti europei possiamo immaginare che in modo diverso, ma seguendo le medesime faglie, le medesime linee di frattura, ciò avvenga nel continente africano che oramai da decenni vive fasi di transizione delle quali forze esterne determinano gli andamenti o quantomeno ne determinano i gradi di instabilità.

L’articolo di Alessandro Scassellati L’Africa subsahariana sta vivendo una rivoluzione guidata dalle proteste della Generazione Z? ha evidenziato il ruolo delle rivolte delle nuove generazioni in alcuni paesi africani, di fronte alle condizioni generate dalla trappola del debito, con una composizione demografica per lo più schiacciata verso il basso, con tassi di natalità diminuiti rispetto al passato, ma tali da concentrare l’incremento demografico globale nel continente africano. Le nuove generazioni non sono estranee al processo di acculturazione prodotto dall’innovazione tecnologico-digitale, entro una composizione sociale complessa e articolata, attraverso le mille specificità del continente, a fronte dell’instabilità di molti regimi politici. Anche in questo caso ci troviamo di fronte all’impossibilità di costruire un minimo comune denominatore tra la maggioranza dei governi, dei movimenti sociali e politici del continente, in grado di costruire processi di portata continentale o quantomeno regionale di autodeterminazione di autonomia dai processi di sfruttamento, di subordinazione alle strategie dei protagonisti della competizione globale.

Alcuni dati sulla struttura demografica

Tra il 2000 e il 2020 la classe di età 20-40 anni, quella dove più intensa è la spinta a migrare, è aumentata in Africa di 167 milioni di unità, passando da 232 a 399 milioni, mentre in Europa è scesa da 211,5 milioni a 190, con un calo di 21,5 milioni (Fig. 1). Un andamento divergente, che da una situazione di sostanziale equilibrio ha portato in appena vent’anni gli africani ad essere il doppio degli europei in questa classe di età1.

Il quadro è variegato a partire dall’abisso in cui sono precipitate le popolazioni dei Sudan, che mette in gioco la sopravvivenza di milioni di persone. È giusto porsi l’interrogativo se la democrazia sia morta o sia sul punto di morire in Africa, certo essa generalmente parlando non gode di buona salute2. La questione giunge in un periodo critico per il secondo continente più grande del mondo. Diciannove elezioni presidenziali o generali sono previste per il 2024, che stanno rimodellando o rimodelleranno molte delle restanti democrazie africane nei prossimi mesi3.

Il Senegal e il Sudafrica hanno visto due dei risultati elettorali più sorprendenti di quest’anno4 . In marzo, gli elettori senegalesi hanno eletto il 44enne Bassirou Diomaye Faye come il più giovane presidente del paese. Solo 10 giorni prima, era prigioniero politico e la democrazia del Senegal appariva sull’orlo di un precipizio. In maggio, l’African National Congress (ANC) del Sudafrica ha perso la maggioranza in parlamento per la prima volta dalla fine dell’apartheid e dall’inizio delle libere elezioni nel 1994. Questo ha costretto il partito a negoziare la sua prima coalizione di governo mai con il partito dell’Alleanza democratica (DA), il suo opposto ideologico, che è arrivato secondo nei sondaggi. Si tratta di acque non ancora sperimentate per il sistema politico e la democrazia del paese.

Mesi prima delle elezioni, il Senegal stava vivendo una grave crisi politica in quanto il presidente uscente Macky Sall si era impegnato in manovre politiche, presumibilmente per prolungare il suo mandato o almeno influenzare l’esito dei sondaggi. In Sudafrica, dopo la votazione, almeno 20 partiti hanno denunciato il trucco e chiesto un riconteggio dei voti. Nel frattempo, l’ex presidente Jacob Zuma, leader del partito uMkhonto weSizwe (MK), ha minacciato di “porre problemi dove non ci sono problemi.

Come in Mali, Benin, Niger e persino in Kenya, la democrazia è stata spesso data per scontata in Senegal e Sudafrica. Questi casi mostrano i limiti del test “due volte” dello scienziato politico americano Samuel Huntington per valutare la stabilità di una democrazia politica – cioè avere due transizioni politiche consecutive senza che l’ordine costituzionale democratico crolli.  (…)

La stessa conclusione si può trarre anche dai risultati contestati nelle votazioni delle Comore e del Ciad. Il presidente delle Comore Azali Assoumani e il presidente del Ciad Mahamat Deby, entrambi con un passato militare, sono stati rieletti con accuse di frode. Violente manifestazioni contro i risultati nelle Comore hanno provocato almeno un morto e 25 feriti. In Ciad, almeno 12 persone sono state uccise nelle violenze pre-elettorali e post-elettorali, tra minacce e intimidazioni. (…)

Dato il loro ruolo e interesse personale nel processo, i presidenti in carica sono suscettibili di sfruttare a proprio vantaggio tutti i vantaggi della carica, quali le risorse statali e il meccanismo amministrativo. Questo – come dimostrano le elezioni in Ruanda – riduce le prospettive di una vittoria dell’opposizione. In linea teorica, Kagame non è mai stato senza opposizione. Eppure, una macchina statale strettamente controllata ha costantemente assicurato un campo di gioco ineguale che lo favorisce eliminando candidati che, senza dubbio, potrebbero rappresentare la più grande sfida al suo governo. Prima del voto del 15 luglio, per esempio, la commissione elettorale ha respinto la candidatura di Diane Rwigara – forse una delle principali voci critiche di Kagame oggi – con il pretesto di documentazioni irregolari. Durante la gara del 2017, è stata sottoposta a intimidazioni sistematiche e alla fine le è stato vietato di correre per presunte irregolarità delle firme. In aprile, un tribunale di Kigali ha anche bloccato la candidatura di un altro feroce critico Kagame, Victoire Ingabire, citando condanne passate per negazione del genocidio e accuse di terrorismo.

I leader militari del Mali e del Burkina Faso hanno congelato a tempo indeterminato le elezioni, inizialmente previste per febbraio e luglio di quest’anno, promettendo una data successiva ma non lasciando dubbi sulla loro intenzione di essere candidati ogni volta che si svolgono le elezioni. In Guinea, è molto probabile che il colonnello Mamady Doumbouya, che ha preso il potere con un colpo di stato nel 2021 e si è recentemente coniato come generale, sarà candidato alle elezioni di dicembre. In Niger e Gabon, i putschisti stanno anche facendo il gioco mentre il governo della Repubblica Democratica del Congo ha recentemente evitato un colpo di stato.

Analogamente la situazione della Tunisia -sul cui governo molto conta il governo italiano per ridurre il flusso dei migranti verso l’Italia ed il continente  europeo- è assolutamente problematica, benché ci siano alcune novità5.

Le ultime elezioni (legislative e locali, che si sono svolte tra il 2022 e il 2023) hanno visto una partecipazione bassissima, l’11% degli elettori. (…) Ma il tribunale amministrativo di Tunisi (con decisioni collegiali e anonime, per cui non si possono individuare i giudici a favore) ha ripescato tre candidati inizialmente scartati. L’ultimo, venerdì, è Imed Daimi, vicepresidente di Hizb el-Harak, il partito dell’ex presidente Moncef Marzouki. Ma prima, giovedì, era stata la volta di Abdellatif Mekki, ex ministro affiliato a Ennahda, il partito islamista moderato, e di Zenaidi. Questi ultimi due nomi sono assai conosciuti da parte del tunisino medio.

La partecipazione popolare a processi democratici in grado di riprodursi stabilmente, come dimostrano gli avvenimenti degli ultimi mesi, non è per un verso garantita né tanto meno prevedibile con certezza nelle sue dimensioni e nei suoi esiti.  La partecipazione giovanile, anche nei termini di rivolta sociale con comportamenti al limite dell’insurrezione, costituisce indubbiamente un elemento necessario e fondamentale, stante la composizione demografica dei paesi africani; tuttavia il consolidarsi in termini  organizzativi e condivisione di aspettative , se non di programmi, di esperienze di mobilitazione sociale, non si realizza dall’oggi al domani, tuttavia costituisce un passaggio necessario per poter pensare al consolidarsi di processi di autodeterminazione da parte dei singoli paesi e attraverso processi di aggregazione tra  paesi diversi.

Esemplare è la parabola In Algeria del movimento Hirak, il movimento algerino nato nel febbraio 2019 contro la candidatura per il quinto mandato del presidente Abdelaziz Bouteflika, poi costretto a dimettersi. Dopo un anno di totale lockdown, i giovani della “rivoluzione del sorriso” o della “primavera algerina”, come la stampa locale ha battezzato la protesta, avevano ripreso a manifestare già da febbraio, chiedendo un radicale cambiamento del sistema politico e il rinvio delle elezioni anticipate annunciate dal presidente Abdelmadjid Tebboune6. E oggi, esiste ancora il movimento? Il Covid-19 ha di fatto cancellato le tradizionali marce del venerdì. Si sono fermate a marzo 2020. Dopo quasi un anno di interruzione, nel febbraio 2021 è avvenuto un tentativo di ripresa: le manifestazioni sono state represse nella capitale Algeri, come in altre città del paese. Lo scorso maggio il governo algerino ha imposto nuove regole; tutti gli eventi devono ora essere oggetto di una dichiarazione preventiva, sulla quale devono essere specificati in particolare il percorso, gli orari di inizio e di fine, nonché l’identità degli organizzatori.

Tebboune, appena eletto, aveva promesso una revisione della Costituzione, con la quale il potere algerino intendeva soddisfare le aspettative di Hirak per la costruzione di una “nuova Algeria”. Tentativo fallito. Il referendum organizzato nel novembre 2020 ha registrato il più basso tasso di partecipazione popolare (23%), e anche le successive elezioni legislative sono state boicottate dalle opposizioni. Repressione7, pandemia e nuove regole hanno spento un po’ la fiamma della protesta. Anche perché molti leader, e non solo loro, sono finiti in carcere e ancora lì giacciono8.

Queste dinamiche politiche mostrano esiti diversi,  in molti casi continuano ad avere come posta in gioco le condizioni di sfruttamento di materie prime strategiche di cui il continente africano è ricco, ma in gioco c’è la trasformazione della struttura economica complessiva, indotta dalle transizioni globali in atto, con la possibile conquista di autonomia da parte delle nazioni africane in base al ruolo giocato nei settori strategici della transizione: una posta in gioco che richiede una trasformazione radicale della loro composizione sociale e  politica, in un processo dialettico che solo grandi movimenti capaci di strutturarsi possono promuovere. Riprendendo l’argomentazione dell’articolo di Alessandro Scassellati, la gerontocrazia che governa molti paesi africani, a cui si contrappone la rivolta sociale di cui sono protagonisti i giovani, pone la questione della stabilità strutturale dei regimi politici, di quanto siano in grado di dare stabilità o meno alle formazioni sociali ed eventualmente quale tipo di stabilità, in un situazioni caratterizzate da crescenti diseguaglianze sociali e variamente coinvolte dal variare dei rapporti di forza e delle alleanze.

Per realizzare, attivare effettivamente questa possibile transizione, acquisizione di una reale capacità di autodeterminazione sono necessarie risorse economiche, tecnologiche, finanziarie assieme ad un coinvolgimento delle popolazioni, in particolare di quella fascia giovanile, dominante nella composizione demografica di tutti i paesi del continente. L’acquisizione di risorse da parte di singoli paesi, che prestano o investono in settori specifici o di organismi sovranazionali, costituisce un fattore strategico, determinante per gli elementi che introduce nella struttura economica, nel livello di indebitamento e nella composizione sociale. Il giudizio che se  ne può dare, analizzando l’intervento dei principali investitori -dalla Cina, agli USA ai paesi europei ed alla Russia- quindi va riferito al grado complessivo di autonomia che il paese raggiunge con i contributi provenienti dall’estero, all’indirizzo che viene prodotto nel modello di sviluppo, al grado di partecipazione delle popolazioni, in termini di acquisizione di competenze  oltre che di miglioramento della qualità della vita, all’estensione del lavoro salariato e ed al miglioramento del suo trattamento, alla possibilità di realizzare servizi essenziali per la popolazione. Quanto di tutto questo, quando di questo miglioramento organico e complesso della condizione di vita, del protagonismo sociale, economico e politico delle popolazioni è stato realizzato o è in corso di realizzazione?

Lo sviluppo infrastrutturale è indubbiamente  uno dei nodi dello sviluppo economico del continente, un vettore per la commercializzazione delle materie prime, per l’integrazione del complesso delle attività economiche, tuttavia viene a mancare lo  sviluppo di una propria, autonoma e adeguata capacità di realizzazione delle infrastrutture in termini di rete di imprese e manodopera specializzata, risorse tecnologiche e finanziarie: questo dato contrasta drammaticamente con la disponibilità crescente di forza lavoro giovanile scolarizzata. In generale ciò denota l’incapacità di gran parte dei governi africani di dare un indirizzo strategico, di governare il proprio modello di sviluppo, di operare investimenti pubblici in settori strategici, garantendo investimenti nella transizione energetica e digitale.

La trasformazione del mercato del lavoro

Gli investimenti diretti delle grandi potenze giocano un ruolo centrale nella trasformazione della composizione sociale dei diversi paesi, in particolare nella struttura del mercato del lavoro.

Tra il 2010 e il 2019, i progetti di investimento esteri cinesi hanno creato ogni anno circa 18.600 nuovi posti di lavoro in Africa. Il paese asiatico è stato quindi il primo investitore del continente in termini di creazione di posti di lavoro. Seguono gli Stati Uniti, con una media di 12.100 nuovi posti di lavoro generati ogni anno nello stesso periodo. Per quanto riguarda i progetti francesi in Africa, ogni anno sono stati aperti circa 7.800 nuovi posti nel continente9.

Le cifre sul mercato del lavoro segnalano il ruolo crescente della Cina nel continente e si pone quindi la questione della logica che guida questo intervento e le sue conseguenze nel medio e lungo periodo.

Esemplare è il caso di Gibuti, dove la Cina ha costruito la sua prima base militare oltreoceano e ha investito in modo significativo nei porti e nelle infrastrutture, i livelli di debito sono aumentati in modo sostanziale, il che porta a preoccupazioni che, Alla fine, la Cina potrebbe aumentare la sua influenza nel paese e influenzare la sua sovranità. In Kenya, gli investimenti sempre più consistenti della Cina nelle infrastrutture, in particolare la Standard Gauge Railway, sono stati oggetto di critiche a causa degli alti costi e delle tasse di corruzione, e potrebbero portare il paese al default. Lo Zambia ha ricevuto anche investimenti cinesi per grandi progetti infrastrutturali, energia e trasporti. A causa della caduta dei prezzi nel settore del rame, uno dei settori più importanti dello Zambia, la possibilità di default potrebbe portare alla presa di possesso cinese delle risorse strategiche del paese 10. Nell’articolo citato si afferma “Nonostante le accuse occidentali di indebitamento, la Cina non dovrebbe essere incolpata per le sfide affrontate da questi paesi, dove la cattiva gestione economica, associata alle attuali condizioni geopolitiche instabili a seguito della pandemia COVID-19 e la guerra in Ucraina, possono essere state le cause più probabili di difficoltà finanziarie.”

Tuttavia si può affermare che quella tipologia di investimenti, non solo quelli cinesi, non hanno l’obiettivo di stabilizzare i regimi politici e una qualche forma di democrazia, e di garantire un orizzonte di sviluppo alle società locali,  si aumenta l’articolazione dell’economia, soprattutto in termini di infrastrutture logistiche, estrattive ed energetiche, senza con questo aumentandone la complessità sociale  o adeguandone le capacità amministrative e di gestione strategica; nel caso della Cina è assolutamente irrilevante la tipologia del regime politico del paese in cui via ad investire.

(…) Gli IDE cinesi in Africa sono passati da 74,8 milioni di dollari nel 2003 a 5,4 miliardi di dollari nel 2018. Gli afflussi, tuttavia, sono diminuiti a 2,7 miliardi di dollari nel 2019. Tuttavia, il livello di investimenti è aumentato a $ 4,2 miliardi nonostante la pandemia COVID-19. Il capitale di FDI cinese in Africa è cresciuto di circa cento volte, da 490 milioni di dollari nel 2003, raggiungendo un picco nel 2018 a 46,1 miliardi di dollari e scendendo a 43,4 miliardi di dollari nel 2020. Nel 2021, al Forum sulla cooperazione Cina-Africa (FOCAC), la Cina ha impegnato $ 10 miliardi di FDI privati per 2022-2025.

Nel 2020, il flusso totale di investimenti diretti esteri (IDE o FDI – Foreign Direct Investment) cinesi nel continente africano era al suo massimo in Kenya, a circa 630 milioni di dollari USA. La Repubblica democratica del Congo e il Sudafrica hanno seguito con un flusso totale di circa 612 milioni e 400 milioni di dollari USA, rispettivamente. Nello stesso anno, il flusso di IDE dalla Cina all’Africa ha raggiunto circa 4,23 miliardi di dollari USA. La Cina ha ricevuto circa 1,5 miliardi di dollari USA11.

Negli ultimi 20 anni, la Cina è diventata il più grande partner commerciale bilaterale dell’Africa sub-sahariana. Secondo il Fondo monetario internazionale (FMI), circa il 20% delle esportazioni della regione va ora alla Cina e circa il 16% delle importazioni africane proviene dalla Cina. Ciò ha rappresentato un record di 282 miliardi di dollari in volume totale di scambi nel 2023. Le materie prime – metalli, prodotti minerali e combustibili – rappresentano circa i tre quinti delle esportazioni africane verso la Cina, mentre in genere importa manufatti cinesi, elettronica e macchinari. Allo stesso tempo, la Cina è anche emersa come il più grande creditore bilaterale per l’Africa, fornendo ai paesi africani una nuova fonte di finanziamento per infrastrutture, miniere ed energia. La quota della Cina del debito pubblico sub-sahariano era inferiore al 2% prima del 2005, ma è cresciuta a circa il 17%, o 134 miliardi di dollari, entro il 202112 (…)

La Cina ha creato 25 zone di cooperazione economica e commerciale in 16 paesi africani e ha continuato a investire pesantemente in tutto il continente durante la pandemia COVID-19, secondo una relazione governativa sui legami economici e commerciali tra Cina e Africa. Le zone, registrate presso il Ministero del Commercio cinese, hanno attirato 623 imprese con un investimento totale di 7,35 miliardi di dollari alla fine del 2020, secondo la relazione annuale sulle relazioni economiche e commerciali tra Cina e Africa (2021). (…) Nel prossimo decennio, il settore privato cinese, piuttosto che le sue imprese statali, sarà probabilmente in testa nel commercio e negli investimenti in Africa. Delle 3.000 imprese cinesi che sono investite in Africa, più del 70% sono aziende del settore privato. La Free Trade Area Continentale Africana (AfCFTA) è probabile che acceleri questa tendenza promuovendo la crescita delle catene di valore regionali, offrendo alle imprese cinesi l’accesso a un più ampio mercato africano unificato. Un risultato simile è stato raggiunto con il mercato unico del l’UE – la Cina è ora il più grande partner di importazione esterna dell’UE.

Ufficialmente lanciato nel 2021, l’AfCFTA crea un mercato unico che si prevede crescerà a 1,7 miliardi di persone e 6,7 trilioni di dollari in spesa per i consumatori e le imprese entro il 2030. L’accordo commerciale preferenziale aumenterà le esportazioni internazionali e il commercio intra-africano, in particolare nell’agricoltura e nella tecnologia verde dei minerali. Ciò consentirà alle imprese locali e globali di entrare ed espandersi in nuovi mercati in tutto il continente. Il primo piano d’azione del settore privato per l’AfCFTA è stato lanciato in occasione dell’incontro annuale del Forum economico mondiale nel gennaio 202413.

I bisogni di investimenti in infrastrutture del settore energetiche nel continente sono enormi. In tutto il continente, il 43% della popolazione non ha accesso all’elettricità e 670 milioni di persone non hanno accesso a fonti energetiche pulite per cucinare. Le persone che hanno accesso all’energia dipendono in larga misura dai combustibili fossili per la produzione di elettricità. Sebbene i paesi africani dispongano di alcune delle fonti energetiche verdi più alte al mondo per affrontare l’accesso all’energia e la transizione, gran parte di questo potenziale energetico è rimasto inutilizzato fino ad oggi. (…)

Dal punto di vista commerciale, il commercio Africa-Cina è caratterizzato da espansione, deficit commerciali ed estrazione delle risorse. Dal 2000 al 2022, il commercio totale di beni dell’Africa con la Cina è aumentato da 11,67 miliardi di dollari a 257,67 miliardi di dollari, in quanto la Cina è diventata il principale partner commerciale di molti paesi africani.  Tuttavia, l’Africa ha registrato un deficit commerciale sostenuto a causa della fluttuazione dei prezzi delle materie prime e degli shock esterni globali. Circa l’89% delle esportazioni africane verso la Cina includeva petrolio, rame, ferro e prodotti di alluminio, provenienti principalmente da Angola, Sud Africa, Sudan, Congo e Repubblica Democratica del Congo.

Al contrario, il 94% delle importazioni era costituito da prodotti manufatti, indicando che gli scambi tra l’Africa e la Cina erano uno scambio di risorse naturali per prodotti finiti. Le importazioni principali dalla Cina non includevano tecnologie per l’energia rinnovabile che beneficiano degli input di risorse primarie della Cina, rivelando la natura in gran parte estrattiva del commercio cinese con i paesi africani. Non sorprende che queste tendenze commerciali si allineino con le priorità della Cina per garantire importazioni di petrolio per alimentare la crescita economica e gli input per le tecnologie energetiche verdi, come batterie per veicoli elettrici, moduli solari fotovoltaici e turbine eoliche.

La transizione digitale in Africa

La transizione digitale è cruciale per la trasformazione delle società africane -per la lor competitività, come direbbe Mario Draghi- cruciali sono quindi gli investimenti per questa transizione che oepra poi pervasivamente in tutte le articolazioni delle formazioni sociali.

Come scrive Jeune Afriqu14, Amazon sta aumentando la sua presenza nel cloud africano; Ll filiale cloud investirà 1,7 miliardi di dollari per espandere le attività nell’Africa sub-sahariana. Un investimento che conferma il rinnovato interesse delle grandi aziende del settore tecnologico per i dati sul continente. (…)

La corsa al cloud africano è iniziata. Al summit AWS di Johannesburg del 29 agosto, Amazon ha annunciato che avrebbe sbloccato 1,7 miliardi di dollari per potenziare il segmento cloud. Chris Erasmus, direttore generale di Amazon Web Services (AWS) in Sud Africa, ha precisato che questo investimento è giustificato dall’espansione della “comunità […] nell’Africa subsahariana”. ” Oggi abbiamo migliaia di clienti [in Africa] e consideriamo questo un settore di crescita incredibilmente strategico per noi”, afferma. Questo nuovo pacchetto di finanziamento è destinato a sviluppare i servizi cloud e l’intelligenza artificiale di Amazon sul continente. AWS, che celebra i suoi vent’anni di presenza sul continente, è attualmente presente in Sud Africa e in Egitto. La filiale vanta circa 300.000 clienti in Africa, dove ha inaugurato i suoi primi data center (escluso l’Egitto) nel 2020. In quattro anni, AWS è passato da due data center ultra-sicuri a 160 nella regione ” – termine utilizzato per un sito che raggruppa più data center – di Città del Capo. Le sue installazioni sono autonome in termini di consumo energetico grazie alla sua centrale solare che produce 28.000 megawattora di energia all’anno.

Il Cloud costituisce una infrastruttura indispensabile per lo sviluppo tecnologico di una qualsiasi formazione sociale ed economica, l’infrastruttura digitale nel suo complesso, le cui tecnologie sono pervasive rispetto a tutte le filiere, si fonda ormai sui data center dove si concentrano le attività le attività di elaborazione, distribuite poi tramite la rete. Le applicazioni di punta, che richiedono una pesante attività di elaborazione sono quelle dell’Intelligenza Artificiale.

Kenya, Nigeria e Sudafrica sono in cima alla lista dei paesi africani che impiegano l’intelligenza artificiale, secondo un nuovo rapporto. Delle 90 applicazioni identificate nei tre paesi, 40-49 provengono dal Kenya, 30-39 dalla Nigeria e 20-29 dal Sudafrica, afferma la relazione AI per l’Africa: casi d’uso che producono un impatto. Il rapporto, sviluppato sulla base di ricerche e interviste con leader della società civile, organizzazioni non governative (ONG), accademici e del settore privato, si concentra su Kenya, Nigeria e Sudafrica. Fornisce inoltre informazioni e tendenze regionali.  Quasi la metà (49%) delle applicazioni AI sono nel settore agricolo, seguito da azioni per il clima e energia con rispettivamente il 26% e il 24%. Ciò, secondo la relazione, corrisponde al ruolo significativo che l’agricoltura continua a svolgere in Kenya e Nigeria. L’attuale contributo del continente al mercato globale dell’intelligenza artificiale, valutato a 16,5 trilioni di dollari, è solo di 0,4 trilioni (2,5%). AI è previsto per aumentare il prodotto interno lordo dell’Africa di $ 2,9 trilioni a oltre $ 5 trilioni. Tuttavia, non sarà facile se le sfide principali restano insolute. Uno dei principali ostacoli in Africa è che i dati di alta qualità e rilevanti a livello locale rimangono limitati o difficili da accedere15.

Un caso significativo è quello del  Rwanda di intervento pubblico sullo sviluppo della digitalizzazione è quello del Rwanda16.

Gli USA intervengono sul tema cruciale della digitalizzazione17. Nel dicembre 2022, il presidente Biden ha lanciato la trasformazione digitale con l’Africa (DTA) iniziativa per espandere l’accesso digitale e l’alfabetizzazione e rafforzare gli ambienti digitali abilitanti in tutto il continente, per investire oltre 350 milioni di dollari e contribuire a mobilitare oltre 450 milioni di dollari in finanziamenti per l’Africa.  DTA è un’iniziativa a livello di governo, e l’interagenzia sta lavorando congiuntamente per sviluppare programmi in risposta al DTA. È stato istituito il Consiglio africano per le politiche digitali, co-presieduto dal NSC e dal Commercio, per coordinare il lavoro interistituzionale sul DTA. I progetti e la programmazione sostenuti dal finanziamento DTA saranno sviluppati attraverso un gruppo di lavoro inter-agenzia assegnato a ciascuna delle tre aree chiave (Economia digitale e infrastruttura, Sviluppo del capitale umano e Ambiente digitale abilitante) e approvato dal Consiglio per le politiche digitali in Africa.

Diversificazione economica

Il tema è quindi quello della diversificazione della struttura economica del continente, il grado di avanzamento, ma anche la logica che lo guida in termini di equità sociale, di adesione dei caratteri locali delle comunità e dell’ambiente, cosa che richiede una condivisione di risorse e conoscenze in grado di valorizzare i caratteri locali, di consolidare l’insediamento delle comunità nei propri territori di origine, evitando innanzitutto i processi di migrazioni interne che hanno gonfiato le megalopoli, distrutto i legami sociali, sotto i colpi per sovrappiù delle manifestazioni catastrofiche del climatico: non è ciò che in gran  parte è accaduto sino ad  ora.

“Sul continente africano, le sfide associate alla mancanza di diversificazione economica si combinano tra loro, rendendo i paesi particolarmente vulnerabili agli shock esterni. In generale, l’Africa ospita otto dei quindici paesi meno diversificati del mondo, secondo l’indice di diversificazione delle esportazioni del Fondo monetario internazionale (2020). In ragione delle persistenti sfide legate alla trasformazione economica strutturale, tra cui la lenta crescita della produttività e i limitati progressi nella tecnologia e nell’industrializzazione, la quota dell’Africa continentale nelle esportazioni mondiali di merci è rimasta praticamente invariata dal 1998 (1,9 per cento) e 2018 (2,5 per cento). Inoltre, l’Africa ha livelli di scambi intraregionali relativamente bassi (17%), rispetto al l’Europa (69%), al l’Asia (59%) e al Nord America (31%); solo il Medio Oriente ottiene punteggi inferiori. A causa di vari fattori quali le barriere tariffarie e non tariffarie, molti paesi africani commerciano più con i paesi lontani, comprese le ex potenze coloniali, che con i loro vicini”18. Un testo di riferimento è il report dell’OCSE del 202119. Lo scarso sviluppo degli scambi intra-regionali nel continente sono uno degli indici più rilevanti per misurare il grado di diversificazione e conquista di autonomia ed indipendenza delle singole economie e di quella continentale nel suo complesso.

A proposito di autonomia e diversificazione possiamo ricordare gli effetti del conflitto russo-ucraino sugli approvvigionamenti alimentati nel continente in base alla dipendenza dalle importazioni di materie prime alimentari20. “Solo nel 2020, il valore combinato dei prodotti alimentari e agricoli esportati dalla Russia e dall’Ucraina è stato stimato a 6,9 miliardi di dollari. La loro produzione di grano è più notevole e rappresenta, rispettivamente, il 10% e il 4% della produzione mondiale. Insieme, rappresentano più di un quarto delle esportazioni mondiali di grano (la Russia 18% e l’Ucraina 8%). I paesi africani hanno importato circa 4 miliardi di dollari di grano dalla Russia nel 2020. L’Egitto è stato il principale importatore, rappresentando quasi la metà del totale. Altri importanti importatori sono la Nigeria, la Tanzania, l’Algeria, il Kenya, il Sudan e il Sudafrica. Questi paesi stanno certamente affrontando un deficit fiscale e commerciale, con l’inflazione che si gonfierà nel prossimo futuro.”

La salute pubblica in Africa

Dal 2000, l’Africa ha fatto progressi storici nel migliorare le metriche di salute in tutti i gruppi di età. L’OMS stima che la regione abbia ridotto con successo il numero di decessi attribuibili alla malaria, all’HIV-1 e alle malattie diarroiche del 66%, 57% e 52%, rispettivamente, e ha ottenuto forti diminuzioni dei tassi di mortalità per i minori di 5 anni. Nel contempo, la speranza di vita in buona salute complessiva è aumentata di 3 anni, il più elevato aumento significativo di qualsiasi regione globale, e il divario tra i paesi africani con la più alta e la più bassa aspettativa di vita in buona salute ridotto da 27,5 a 22,0 anni. Mentre l’Africa ha la struttura demografica più giovane del mondo, entro il 2050, 163 milioni di persone sul continente raggiungeranno l’età di 60 anni, rispetto ai 43 milioni del 2010, e si prevede che la popolazione raggiungerà i 2,8 miliardi. Questi successi hanno contribuito in modo significativo alla sua crescita economica dal 2000, poiché un numero sempre maggiore di persone raggiunge l’età lavorativa e un maggior numero di donne ha iniziato a lavorare21.

La situazione sanitaria attuale in Africa è complessa. La regione ha alcuni dei più alti tassi di mortalità neonatale e materne prevenibili, e decessi per malattie infettive, infezioni resistenti agli antibiotici e malnutrizione. Tuttavia, i recenti successi economici hanno portato a cambiamenti di stile di vita, tra cui una rapida urbanizzazione non pianificata, un aumento del consumo di alcol e del tabagismo e un’epidemia di malattie non trasmissibili che rappresentano attualmente oltre il 37% di tutti i decessi nel continente. Con l’aumento della speranza di vita tra le popolazioni africane, il numero di individui che vivono con molteplici condizioni di salute croniche (multi morbilità) è in aumento.

I dati sulla diffusione della pandemia Covid -aggiornati a febbraio 202222 – danno un’idea parziale della sua diffusione.

Il Weekly bulletin on outbreaks and other emergencies pubblicato il 16 gennaio 2022 dall’Ufficio regionale per l’Africa dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) [1] riporta che il numero totale di casi confermati di COVID-19 nel continente africano supera i 10 milioni (10.480.163), il numero totale dei decessi riportati è 234.380 (letalità 2,4%) e oltre 9 milioni di persone sono guarite. Le cifre attuali in Africa (che comprende circa il 17% della popolazione mondiale), mostrano che le infezioni, se confrontate con il resto del mondo, sono relativamente poche: il 3,3% dei casi globali e il 4,2% delle morti globali. Ma, come in precedenti indagini, una recente analisi dell’OMS sostiene che la stragrande maggioranza dei casi di COVID-19 in Africa non siano rilevati. L’OMS ha stimato che il vero numero di infezioni possa essere sette volte superiore a quanto riportato e che due su tre morti per COVID-19 in Africa non vengono registrati [2].

A metà gennaio il numero di casi settimanali di COVID-19 nella Regione africana dell’OMS è diminuita dopo cinque settimane di forte aumento. Questo segna l’ondata pandemica più breve del continente finora. Cinque Paesi rappresentano più della metà dei nuovi casi settimanali: Sudafrica, Zambia, Etiopia, Mozambico e Kenya.

La pandemia ha imposto una ripresa di iniziativa -o quanto meno di attenzione- sullo stato di salute delle popolazioni africano e l’adeguatezza delle strutture sanitarie23.

Rispetto alle problematiche relative alla salute delle popolazioni e dell’ambiente non va dimenticato il problema delle contaminazioni delle matrici ambientali, cosa che richiederebbe una trattazione a parte solo per iniziare. Vale la pena citare il caso dell’inquinamento da materie plastiche. 

Mentre molti paesi dell’Africa sub-sahariana hanno generalmente bassi livelli di inquinamento da plastica, diventano punti caldi se considerati su base pro capite con una media di 12 kg di inquinamento da plastica per persona all’anno, equivalente a oltre 400 bottiglie di plastica. Per fare un confronto, il Regno Unito attualmente ha l’equivalente pro capite di meno di tre bottiglie di plastica per persona all’anno. I ricercatori sono preoccupati che l’Africa sub-sahariana potrebbe diventare la più grande fonte di inquinamento da plastica nel mondo nei prossimi decenni, perché molti dei suoi paesi hanno una cattiva gestione dei rifiuti e si prevede che la popolazione crescerà rapidamente 24. Non solo. L’inquinamento da rifiuti plastici è attualmente uno dei principali argomenti nelle agende internazionali. Provoca sempre più perdite e costituisce una minaccia pericolosa per gli esseri viventi e l’ecosistema (sostanze tossiche).A livello globale, solo il 9% dei rifiuti plastici viene riciclato, mentre il 22% è gestito in modo inadeguato. Una gran parte di questi rifiuti finisce legalmente o illegalmente in Africa25.

Conflitti e guerre civili

La  situazione attuale di molte parti del continente africano è caratterizzata da guerre civili, guerre e conflitti potenziali la cui posta in gioco sono materie prime e una risorsa primaria l’acqua.

Un caso è il conflitto tra Egitto ed Etiopia che riguarda il controllo sulle acque del Nilo a partire dalla costruzione della grande diga in Etiopia, per cui l’Egitto a sua volta interviene sul conflitto tra Etiopia e Somalia26.

Egitto e Somalia hanno sottoscritto un importante patto di difesa che prevede, tra le altre cose, l’invio di soldati de Il Cairo in territorio somalo e l’inizio di esercitazioni congiunte. Un modo per Al Sisi per iniziare a ritagliarsi un ruolo di primo piano in un’area essenziale, quella a cavallo tra Oceano Indiano e Mar Rosso. Ma questo è solo uno dei possibili obiettivi egiziani: il grande vicino della Somalia, l’Etiopia, ha visto nella mossa de Il Cairo un modo per controllare da vicino Addis Abeba. E il premier etiope Abiy Ahmed, non l’ha presa bene. Tanto da inviare subito militari e rinforzi lungo le frontiere somale. (…)

Egitto ed Etiopia, è bene specificare, sono ai ferri corti da anni. Al centro della contesa la famigerata Gerd, acronimo di “Grande Diga della Rinascita Etiope“. Una mega struttura, alla cui costruzione hanno partecipato anche imprese italiane, in grado di dare a regioni etiopi storicamente aride un grande quantitativo di acqua per scongiurare la siccità e far rinascere, per l’appunto, l’economia. Il problema però, almeno dal punto di vista de Il Cairo, è che quell’acqua viene presa dal punto in cui il Nilo inizia a scavare i suoi meandri. (…)

L’Etiopia, dal canto suo, dopo aver perso l’Eritrea e dopo aver appurato che i rapporti con Gibuti non saranno mai nel segno della stabilità, ha bisogno di uno sbocco a mare. Da qui le intese con i secessionisti somali (Somaliland), in grado di fornire ad Addis Abeba un porto sicuro sul Golfo di Aden e una base militare. Ma la mossa del premier Abiy Ahmed non è piaciuta al governo somalo, a sua volta messosi a “caccia” di alleati per frenare le ambizioni etiopi e rivendicare la sovranità sul Somaliland.

La diga idroelettrica – lunga più di un miglio e alta 145 metri – potrebbe generare oltre 6.000 megawatt27. Ciò raddoppierebbe la produzione di elettricità dell’Etiopia, a cui solo metà della popolazione del paese, che conta 120 milioni di abitanti, ha attualmente accesso. In teoria, è progettato per fornire elettricità non solo all’Etiopia ma anche al Sudan, all’Egitto e alla regione. Tuttavia, l’Egitto teme che il progetto comprometterà la sua fornitura di acqua, da cui dipende il 90 per cento degli egiziani. La natura internazionale del bacino fluviale implica che l’estrazione o la ritenzione di acqua in una parte influisce sull’uso in un’altra.

Allo stato attuale delle cose, l’ambizione non corrisponde alla realtà. La rete dell’Etiopia è in nessun luogo sufficientemente sviluppata per assorbire la capacità supplementare. Le reti di trasmissione e distribuzione sono inesistenti nella maggior parte del paese, e mancano collegamenti ad alta tensione adeguati con i suoi vicini per sostenere le esportazioni di elettricità. Al di là delle componenti tecniche, il progetto richiederebbe cooperazione e integrazione tra le economie confinanti. La situazione attuale è tutt’altro che cooperativa.

L’Egitto sta corteggiando i suoi vicini e ha ottenuto con successo una base militare in Somalia. Etiopia ha appena concluso un memorandum d’intesa con il Somaliland (un attore non statale) per dargli accesso portuale e navale nel Golfo di Aden in violazione della carta africana del 1964 che santificava i confini coloniali, immergendo la regione in una profonda crisi diplomatica.  Il Somaliland fa ancora ufficialmente parte della Repubblica di Somalia, anche se il governo centrale di Mogadiscio ha poco controllo su ciò che accade in Somaliland dal 1991. La proposta di riconoscimento del Somaliland da parte dell’Etiopia in cambio di un contratto di locazione per 20 chilometri della costa del Somaliland aggiunge carburante a una regione già divisa. Nella guerra civile sudanese in corso, Egitto, Eritrea, Sud Sudan e Somalia sostengono il generale Al Burhan mentre l’Etiopia e gli Emirati Arabi Uniti stanno sostenendo il suo rivale Hemedti. (…)

L’Etiopia ritiene che il riempimento della diga ha raggiunto una fase in cui gli attacchi per danneggiarlo si tradurrà in inondazioni del Sudan. Tuttavia, l’obiettivo iniziale di utilizzare la GERD per esportare energia nella regione potrebbe essere diventato impraticabile con il crescente deterioramento della sicurezza in Sudan e Etiopia. La GERD potrebbe essere semplicemente un progetto di elefante bianco, come le dighe INGA I, II e III nella RDC. Il GERD viene costruito in un momento in cui tali mega progetti si sono dimostrati pericolosi per i bacini idrografici come il Nilo, che è fragile, soprattutto alla luce del crescente impatto dei cambiamenti climatici. Non è mai stato effettuato uno studio attendibile sull’impatto ambientale della diga

Il bacino del Nilo orientale è di importanza geopolitica critica per il regime idropolitico generale del Nilo 28. Il Nilo Blu è il fiume più grande dell’Etiopia, con un elevato potenziale per l’energia idroelettrica e l’irrigazione. L’Etiopia sostiene che lo sviluppo di questa risorsa è cruciale per il suo sviluppo economico e per superare la povertà e la carestia, che hanno afflitto il paese in passato. L’Etiopia ha i siti più adatti per la produzione di energia idroelettrica del bacino, e la sua diga del Nilo Blu aumenterebbe significativamente il potenziale del Sudan per l’agricoltura irrigata. L’Etiopia non ha mai ‘consumato’ una parte significativa dell’acqua del Nilo, poiché la sua precedente fragilità politica ed economica, unita alla mancanza di sostegno finanziario esterno, dovuta al persistente rifiuto egiziano ai progetti a monte, le ha impedito di attuare grandi progetti di scala. La situazione è ora cambiata a causa del consolidamento politico degli ultimi due decenni e dell’avvento di fonti alternative di finanziamento esterno (alle tradizionali banche multilaterali per lo sviluppo), non da ultimo dalla Cina.

Nell’intreccio di conflitti attuali e potenziali si colloca poi lo scontro in Somalia, a cui l’Italia fornisce assistenza militare, con la formazione fondamentalista degli Shabab29.

Un altro conflitto esemplare è quello che riguarda la repubblica Democratica del Congo, con l’intervento più o meno esplicito del Ruanda, la cui posta in gioco è il controllo delle miniere di Koltan, minerale essenziale per la produzione di cellulari ed altri dispositivi elettronici.

La guerra per il coltan nella Repubblica democratica del Congo ha provocato 6,5 milioni di sfollati interni, tragedia seconda solo a quella del Sudan. Si calcola che nel 2024 più di 25.4 milioni di persone, un quarto della popolazione congolese, avrà bisogno di assistenza umanitaria. Anche i missionari nel nord Kivu faticano ad aiutare i profughi in fuga. Kinshasa chiede sanzioni per il Ruanda e non esclude di scatenare un Dopoconflitto armato con Kigali, il quale a sua volta nega ogni coinvolgimento. Ma la comunità internazionale, con Francia e Stati Uniti, in testa, ritiene che il paese dei Grandi laghi sostenga invece il gruppo M23 e abbia impegnato forze nel Kivu30.

Anche su altri fronti la Repubblica Democratica del Congo continua a essere un territorio estremamente difficile: secondo la Banca Mondiale, nel 2022 il 70% dei congolesi vive sotto la soglia di povertà, una persona su tre soffre di fame acuta e l’aspettativa di vita si aggira intorno a 59 anni per gli uomini e 61 per le donne. C’è poi la questione crescita demografica: le stime dicono che entro il 2050 la popolazione aumenterà del 121%. Un ulteriore stress test per il Paese31. Per quanto riguarda il governo del paese: Liberatosi della zavorra kabilista, al termine del primo Consiglio dei Ministri del nuovo Governo (tenutosi nella notte fra il 30 aprile e il primo maggio 2021), Tshisekedi ha annunciato una decisione inedita: proclamare lo stato d’assedio delle due Province più insicure del Paese, Ituri e Nord Kivu. Nonostante il tentativo di utilizzare per la prima volta l’Articolo 85 della Costituzione, che consente lo stato d’assedio quando “gravi circostanze minacciano l’indipendenza o l’integrità del territorio nazionale”, la situazione nelle due Regioni non è migliorata.

La RDC è talvolta chiamata “l’Arabia Saudita dell’era dei veicoli elettrici”32 perché produce circa il 70% del cobalto mondiale, che è una componente chiave nella produzione di batterie agli ioni di litio che alimentano telefoni, computer e veicoli elettriciSi prevede che le vendite di veicoli elettrici cresceranno da 6,5 milioni nel 2021 a 66 milioni nel 2040. La RDC è anche il più grande produttore di rame dell’Africa con alcune delle miniere che si stima contengano gradi superiori al 3%, significativamente superiori alla media globale dello 0,6-0,8%. Ha il 70% del coltan mondiale, che è fondamentale per la produzione di telefoni cellulari e computer. In totale, si stima che la RDC abbia 24 trilioni di dollari di risorse minerarie non sfruttate. (…)

Il Financial Times, citando una previsione di Goldman Sachs, ha riferito a novembre che gli Stati Uniti e l’Europa potrebbero ridurre la loro dipendenza dalla Cina per le batterie dei veicoli elettrici entro il 2030 grazie a oltre 160 miliardi di dollari di nuovi investimenti. Sembra che l’Occidente stia cercando di recuperare il terreno perduto e di erigere ostacoli alla linea di approvvigionamento cinese dall’Africa. (…)

Il caso delle acque del Nilo e delle risorse minerarie del Congo mostrano come lo stato attuale dei regimi politici, economici e sociali dei singoli paesi e dei loro rapporti li renda dipendenti dalla competizione tra le potenze che si contendono la supremazia nello scenario globale ed incapaci di collaborare allo sfruttamento delle risorse di cui dispongono.

Queste prime note vogliono essere solo un primo sollecito per realizzare e coordinare un lavoro collettivo su un continente ai cui destini l’Europa è sempre più legata.

Roberto Rosso

  1. https://www.neodemos.info/2023/05/23/la-banca-mondiale-e-le-migrazioni-internazionali/.[]
  2. https://www.theguardian.com/global-development/2024/feb/25/democracy-africa-senegal-macky-sall-coups-key-elections-south-africa.[]
  3. https://africanarguments.org/2024/08/africa-elections-all-upcoming-votes/   https://nimd.org/africas-2024-elections-landscape-a-mid-year-stocktake/.[]
  4. https://www.aljazeera.com/opinions/2024/7/18/african-elections-show-democracy-should-not-be-taken-for-granted.[]
  5. https://www.repubblica.it/esteri/2024/08/31/news/tunisia_il_tribunale_ripesca_i_candidati_anti-saied_ora_per_il_presidente_elezioni_in_salita-423472113/?ref=RHLF-BG-P18-S1-T1.[]
  6. https://www.repubblica.it/esteri/2021/05/25/news/algeria_il_regime_disarma_la_protesta_dell_hirak_il_movimento_dei_giovani-302726945/. []
  7. https://www.hrw.org/fr/news/2022/02/21/algerie-trois-ans-apres-le-debut-du-mouvement-du-hirak-la-repression-se-durcit.[]
  8. https://www.nigrizia.it/notizia/algeria-hirak-compleanno-repressione-22-febbraio-2022.[]
  9. https://www.statista.com/statistics/1270217/leading-investors-in-africa-by-number-of-new-jobs-created/.[]
  10. https://www.policycenter.ma/publications/impact-chinese-investments-africa-neocolonialism-or-cooperation.[]
  11. https://www.statista.com/statistics/1259613/chinese-fdi-flow-to-africa-by-country/;

    https://www.iisd.org/articles/chinese-investment-africa-bilateral-trade-decline (OCT. 2021).[]

  12. https://www.weforum.org/agenda/2024/06/why-strong-regional-value-chains-will-be-vital-to-the-next-chapter-of-china-and-africas-economic-relationship/.[]
  13. https://chinaglobalsouth.com/analysis/what-22-years-of-china-africa-trade-development-finance-and-fdi-reveals-about-renewable-energy-support-for-african-countries/.[]
  14. https://www.jeuneafrique.com/1604672/economie-entreprises/pourquoi-amazon-accentue-sa-presence-dans-le-cloud-africain/.[]
  15. https://www.downtoearth.org.in/africa/ai-in-africa-deployment-highest-in-3-countries-limited-datasets-computing-power-data-centres-key-barriers-report.[]
  16. https://www.itu.int/hub/2022/06/kigali-rwanda-digital-development-milestones/.[]
  17. https://www.state.gov/digital-transformation-with-africa/. []
  18. https://carnegieendowment.org/research/2021/04/economic-diversification-in-africa-how-and-why-it-matters?lang=en.[]
  19. https://www.oecd-ilibrary.org/development/economic-diversification-in-africa_9789264096233-en.[]
  20. https://aspeniaonline.it/how-the-ukranian-conflict-is-affecting-africa/.[]
  21. https://www.nature.com/articles/s41467-024-45268-1 .[]
  22. https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/sars-cov-2-africa-punto-della-situazione-febbraio-2022.[]
  23. https://africacdc.org/news-item/africa-calls-for-new-public-health-order/https://www.nature.com/articles/d41586-023-02749-5https://www.thinkglobalhealth.org/article/africas-new-public-health-order-and-us-global-health-policy.[]
  24. https://www.afro.who.int/news/tackling-health-impacts-plastic-pollution-africa.[]
  25. An Imported Environmental Crisis: Plastic Mismanagement in Africa: https://www.mdpi.com/2071-1050/16/2/672.[]
  26. https://it.insideover.com/guerra/egitto-ed-etiopia-ai-ferri-corti-passa-dalla-somalia-la-guerra-del-nilo.html.[]
  27. https://climate-diplomacy.org/magazine/conflict/politics-grand-ethiopian-renaissance-dam.[]
  28. https://climate-diplomacy.org/case-studies/disputes-over-grand-ethiopian-renaissance-dam-gerd.[]
  29. https://it.insideover.com/difesa/quegli-elicotteri-dallitalia-alla-somalia-ancora-in-guerra-con-gli-al-shabaab.html.[]
  30. https://www.avvenire.it/mondo/pagine/congo.[]
  31. https://www.atlanteguerre.it/conflict/repubblica-democratica-del-congo/.[]
  32. https://www.focsiv.it/la-corsa-ai-minerali-critici-nella-rep-democratica-del-congo-e-i-conflitti-per-il-loro-controllo/.[]
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