Padre Alex Zanotelli ha scritto una Lettera alla tribù bianca (Feltrinelli, Milano, 2022) – Europa, Usa, Canada, Australia, con popolazioni in prevalenza bianche e cristiane (circa il 15% della popolazione mondiale che consuma l’80% delle risorse globali) – per cercare di toccarle “il cuore e la mente […] in obbedienza ai baraccati di Korogocho che mi hanno rispedito in Italia a ‘convertirla’”, ad aiutarla “a cambiare rotta”. Korogocho è una baraccopoli di Nairobi, una delle mille dell’Africa dove oggi vivono oltre 200 milioni di africani. ”Il frutto amaro di un sistema economico-finanziario iniquo, che non fa che produrre ‘scarti’, come afferma papa Francesco”, per cui due miliardi di persone del Sud del mondo soffrono di insicurezza alimentare, una persona su tre non ha accesso all’acqua potabile e 4,2 miliardi non hanno accesso ai servizi sanitari e igienici.
Per troppo tempo ci sono state raccontate menzogne sul passato. Anche durante la decolonizzazione nella seconda metà del XX secolo, le potenze coloniali – tra le quali l’Italia – si sono affrettate a presentarsi come dei soggetti benevoli che hanno concesso l’indipendenza dopo secoli di dominio illuminato. Ma negli ultimi decenni sono emerse nuove narrazioni che sfidano i vecchi racconti monocromatici di coraggiose conquiste e missioni civilizzatrici. Rivelano la brutalità del passato e le cupe realtà del presente: continue discriminazioni, disuguaglianze, traumi e violenze (si veda il mio libro Suprematismo bianco. Alle radici di economia, cultura e ideologia della società occidentale, DeriveApprodi, Roma, 2023).
Zanotelli ricostruisce lucidamente la terribile storia del rapporto tra la tribù bianca e le tribù dei popoli colorati del mondo. Una “sordida e tragica storia” caratterizzata da egoismo (spoliazione e accumulazione di ricchezza), perdita di empatia, rifiuto dell’”altro” (concepito solo come dominato), violenza, schiavismo delle piantagioni e miniere, genocidi fisici e culturali, espropriazioni, saccheggi, sfruttamento brutale, estrattivismo, razzismo, suprematismo bianco, colonialismo, imperialismo e neocolonialismo che sono stati imposti dalla tribù bianca sugli altri popoli “perché riteneva di possedere la civiltà, la cultura e la religione” superiori che l’hanno fatta sentire in diritto di conquistare e spartirsi il mondo. Una storia che ha portato alla “nascita del grande capitale e [al]la ricchezza dell’Occidente”, con la conseguente formazione di un “nostro sistema economico-finanziario-militarizzato” che attualmente produce sempre più morti, migranti (“economici” e “climatici”), profughi (per l’86% accolti nelle nazioni impoverite), guerre, persecuzioni, fame, esclusione, disuguaglianza, mancato rispetto dei diritti umani, civili e sociali, e disastri climatici. Una storia che ha portato l’umanità al disastro ambientale che sta colpendo soprattutto le regioni del Sud globale, provocando desertificazione, ondate di calore estremo, precipitazioni e inondazioni catastrofiche, innalzamento del livello del mare, distruzioni degli habitat e della biodiversità. Ma anche una storia che ora porta la tribù bianca a sentirsi sotto attacco per le ondate migratorie che minacciano la purezza e la supremazia della razza bianca, spingendola a blindarsi – costruendo muri, respingendo imbarcazioni, approvando leggi contro l’immigrazione ed esternalizzando le frontiere – per tenere fuori dai propri confini coloro che per secoli ha massacrato, schiavizzato, impoverito e dominato.
Zanotelli si domanda: “Quand’è che ci sentiremo parte di una storia in cui [noi, tribù bianca] siamo stati e continuiamo a essere carnefici?”; “Quando il popolo italiano avrà il coraggio di ammettere i crimini commessi nel periodo coloniale in Africa?”; “Quali sono le “buone ragioni” che oggi giustificano l’inferiorizzazione dei non bianchi, lo sfruttamento selvaggio di una parte del mondo, il saccheggio delle risorse naturali?”; “Perché non si agisce all’origine del problema (la disuguaglianza) invece che sul suo sintomo (il terrorismo)?”. Domande che purtroppo per ora rimangono senza risposta perché manca la volontà politica di aprire un dibattito pubblico su queste questioni.
Invece, Zanotelli questo dibattito vuole aprirlo perché l’idea di fondo su cui ha costruito il libro è che “o ci salviamo insieme o alla fine perderemo tutti”. Ritiene che la missione che abbiamo davanti è quella di realizzare una “umanità plurale” come alternativa al destino di continuare a “sbranarci a vicenda”. L’obiettivo deve essere quello di inverare il sogno di una “convivialità delle differenze”, auspicato da don Tonino Bello, che richiede la disponibilità da parte della tribù bianca ad “incontrare l’”altro” ricco per noi, perché diverso da noi”.
Un percorso di co-ricerca certamente impegnativo, irto di difficoltà, insidie e possibili sconfitte, che però Zanotelli, ricostruendo la sua storia di vita, dimostra che è possibile fare. “La mia vita è stata un susseguirsi di crisi che mi hanno aiutato a ripensare radicalmente tutto”, afferma. Per “uscire dal bozzolo” e dalla “bolla coloniale” – incontrare l’”altro” per capire cosa significa essere bianco e come l’”altro” ci vede – ha dovuto studiare, incontrare e vivere con l’”altro”, mettere in discussione lo stile di vita piccolo-borghese e borghese, ricostruire il suo sguardo e ripensare criticamente anche alla missione e al ruolo della Chiesa in Africa e nel Sud del mondo (con “una critica serrata della connessione fra colonialismo e missione”), pagando dei prezzi personali molto elevati per il suo impegno politico-culturale-religioso eterodosso.
Nato a Livo, un paesino della Val di Non, in Trentino, da adolescente viene toccato nel cuore dal racconto di un missionario comboniano e tra il 1956 e il 1964, grazie all’ordine, completa gli studi filosofici e teologici negli Stati Uniti. Nel 1965 viene mandato in Sudan dove per otto anni insegna in una scuola dell’ordine in un ambiente al 98% musulmano. Poi, il rientro in Italia per due anni per studiare a fondo l’arabo e l’islam, con l’idea di tornare in Sudan. Ma nel 1975 il governo sudanese gli nega il permesso di rientrare senza fornire una motivazione ufficiale, in realtà perché lo sospettava di collusione con i Nuba, i popoli neri del Sud-Sudan, in guerra civile contro il Nord, in larga parte arabo e islamico.
In alternativa, assume per nove anni la direzione di Nigrizia, la rivista dei comboniani specializzata sull’Africa, nel corso dei quali ha “sostenuto le Chiese africane nel loro sforzo di inculturazione, recuperando i valori della religione tradizionale, soprattutto in campo liturgico e teologico”. Negli anni della sua direzione, padre Alex ha combattuto “l’imperialismo culturale della Chiesa di Occidente che imponeva alle Chiese del Sud del mondo un’unica teologia, una sola liturgia, quella romana, e un unico diritto canonico”. Con entusiasmo si è battuto per una Chiesa plurale e ha appoggiato la teologia della liberazione, la teologia india dei popoli indigeni del Sud America, le teologie dell’Asia, la teologia dell’inculturazione e la black theology delle comunità nere Usa e africane in lotta contro l’apartheid in Sudafrica, arrivando ad uno scontro con il cardinale Ratzinger (allora a capo della Congregazione per la fede e poi papa Benedetto XVI), “il quale chiese una ritrattazione degli errori riguardo alla dottrina cattolica contenuti in un dossier di “Nigrizia” del teologo camerunense Meinrad Hegba”. Alla fine, nel 1985 è stato tradito dalla “propria Chiesa” ed è stato rimosso dalla direzione della rivista dopo aver denunciato le malefatte della cosiddetta “cooperazione italiana”, gli “aiuti allo sviluppo” a paesi dell’Africa (ufficialmente per combattere la fame), con l’intreccio tra affari e politica e tra fame e armi (per cui nel documento Beati i Costruttori di Pace, firmato in un primo tempo dai vescovi del Triveneto, si chiedeva l’obiezione fiscale alle spese militari). Giovanni Spadolini, ministro della Difesa, definito da Zanotelli in un editoriale “un piazzista di strumenti bellici”, e Giulio Andreotti fecero forti pressioni sul Vaticano e lo accusarono di “eccitamento alla delinquenza terroristica internazionale”, per cui padre Alex venne prontamente allontanato.
Dopo questa bruciante sconfitta, padre Alex ha abbandonato il centro per tornare a ribattere il margine per vivere, incontrare, lavorare e lottare (lotta per diritti, terra, giustizia e servizi) con gli “scartati”. Così, nel 1988 è andato a Nairobi, in Kenya, volendo vivere e operare nella baraccopoli di Korogocho, considerata allora la più violenta di una città dove il 70% dei 4 milioni di abitanti viveva (e vive) nelle baracche. Ha dovuto superare l’opposizione del cardinale di Nairobi e furono necessari 2 anni di attesa. Padre Alex ha scelto di vivere insieme agli “impoveriti”, condividerne la realtà quotidiana (spesso drammatica e violenta), costruendo una relazione significativa anche con gli scavangers, le migliaia di raccoglitori dell’enorme discarica di rifiuti di Dandora. Soprattutto, era mosso dal “profondo bisogno di chiedere perdono per tutto il male che la mia tribù bianca ha fatto ai popoli neri”. Un’esperienza di vita durata 12 anni che lo ha profondamente segnato, portandolo a rileggere la Bibbia con altri occhi e a concludere che “Dio c’è, sta nell’inferno degli ultimi, però” e ci obbliga ad “imboccare la strada dell’impegno personale, sociale, economico, politico cui siamo chiamati” per liberare gli oppressi (seguendo l’esempio di Martin Luther King, Nelson Mandela, Desmond Tutu, Denis Hurley, Beyers Naudè, Pierre Calverie).
Rientrato in Italia, padre Alex ha deciso di vivere nel Rione Sanità, nella periferia interna di Napoli (nella “Napoli malamente”), la più grande metropoli del Mezzogiorno, “per ascoltare il grido di sofferenza degli “scarti” e leggere la realtà con i loro occhi”. Ha formato una piccola comunità missionaria che cerca di “dare una mano a questo quartiere con gravi problemi sociali ” e agli ultimi della metropoli (senza fissa dimora, migranti, rom). Perché il sistema economico-finanziario che crea impoveriti nel Sud del mondo, “nei Paesi ricchi crea “scarti”, “rifiuti”, come dice papa Francesco”.
Zanotelli è ben conscio che combattere il suprematismo bianco che sta emergendo con forza in Europa, Usa, Brasile e Australia non sarà facile, anche perché oggi tante Chiese sono investite da movimenti fondamentalisti e fanno “da supporto ideologico al “suprematismo bianco””, non occupandosi dell’ingiustizia e trasformando il razzismo in “un peccato personale, non strutturale”. Se l’Europa è attraversata dall’”estrema destra di Dio” (con il caso clamoroso della Conferenza episcopale polacca che celebra l’anniversario della Battaglia di Lepanto del 1571 per rimarcare la propria ostilità contro islam e migranti) che fa leva su una classe media che ha paura di perdere il proprio benessere e vuole preservarlo votando a destra e bloccando quella che considera “l’invasione” degli scarti del mondo, in relazione all’America Latina Zanotrelli parla di un movimento della tribù bianca che definisce l’“internazionale cristo-neo-fascista, neo-liberale e patriarcale” che utilizza il “Vangelo della prosperità” per legittimare il neoliberismo imperante. Il razzismo non è certamente una peculiarità della tribù bianca, ma questa si dimostra piuttosto refrattaria ad “imparare a vivere insieme”. Il razzismo, la paura e il rifiuto dell’”altro” sono un fenomeno che è in qualche misura comune a tutti i popoli, ma “il razzismo della superiorità della tribù bianca è un fenomeno ben più grave, radicato com’è in secoli di dominio sui popoli del mondo, con il pretesto della superiorità della propria civiltà, cultura e religione”.
Per questo non possiamo dimenticare la nostra storia di tribù bianca. A questo proposito, Zanotelli cita Lilian Thuram (Il pensiero bianco. Non si nasce bianchi, lo si diventa, ADD Editore, Torino, 2021): “Ci esortano a dimenticare. Ma è proprio questo oblio che ci impedisce di andare avanti. […] Per me, la cosa che conta è che le persone bianche di buona volontà capiscano ciò che è accaduto nel corso dei secoli e vedano che cosa resta di quel passato nei comportamenti di oggi”. La tribù bianca deve assumersi pubblicamente le sue gravissime responsabilità storiche per i massacri e i genocidi compiuti. Per costruire un futuro più giusto è necessario che capisca, che sia pienamente consapevole di quali sono stati i terribili meccanismi e le giustificazioni ideologiche della sua dominazione e di come si ripropongono nel presente (riflettere sui modi in cui razza ed etnia, classe, genere, religione, abilità ed età si intersecano). Senza comprendere la storia della schiavitù e del colonialismo, non possiamo comprendere fino a che punto le società odierne siano modellate dal razzismo sistemico, dall’ingiusta distribuzione dei beni, dalla disuguaglianza e dalla violenza – e come tutto ciò abbia portato alla disperazione, all’emarginazione e alla privazione dei diritti civili in alcune parti del mondo.
La tribù bianca deve riconoscere le proprie colpe per aver commesso crimini contro l’umanità (genocidi, schiavismo, espropriazioni, saccheggi, colonialismo e imperialismo) e chiedere perdono, prevedendo una giustizia riparativa sia simbolica sia materiale. Al centro delle richieste di riparazione (che comunque i governi europei e nordamericani del XXI secolo hanno finora resistito a discutere) c’è la consapevolezza che il passato non può essere cancellato e non deve essere ignorato. Le ex potenze coloniali non possono annullare il danno che hanno inflitto alle persone schiavizzate e colonizzate, ma possono impegnarsi in buona fede con i discendenti di quelle persone e lavorare per affrontare le disuguaglianze sistemiche che esistono oggi.
Il rifiuto di riflettere in modo critico sulla propria storia e di riconoscere il razzismo e la xenofobia di oggi come eredità del colonialismo e dell’imperialismo sarebbe una scelta politica e morale miope. Senza affrontare la responsabilità diretta di questa storia, non sarà possibile pacificare l’odierna società globale; senza una radicale messa in discussione del pensiero occidentale ereditato dal passato, non sarà possibile affrontare i problemi esistenziali del futuro come la crisi climatico-ambientale. Tra l’altro un eventuale rifiuto da parte della tribù bianca offrirebbe l’opportunità ai governi dei paesi del sud del mondo (molti dei quali effettivamente violano i diritti umani e le libertà fondamentali dei loro cittadini) di accusare i paesi occidentali di ipocrisia e di utilizzare la retorica dei diritti umani come mero pretesto per intervenire nei loro affari interni, diffamarli e ricattarli di fronte alle opinioni pubbliche nazionali e globali.
Oltre al passato da riparare, c’è anche il presente da cambiare (le “strutture economico-finanziarie-militarizzate che uccidono per fame, guerra e avvelenano l’ambiente”) per costruire un mondo più umano e plurale, un’umanità plurale basata su società concentrate sull’istruzione, fraternità e partecipazione civica in modo che le generazioni attuali e future possano affrontare le sfide del cambiamento climatico, delle disuguaglianze sanitarie, del razzismo sistemico, della violenza di genere e della povertà. Una umanità plurale che potrebbe incoraggiarci a ripensare la nozione di felicità, che non sia basata sulla gratificazione istantanea e individuale, ma sul successo collettivo. Aiutarci a costruire una memoria collettiva riconciliata (che vada oltre l’autoreferenzialità delle singole tribù).
Zanotelli cita una frase di Tiziano Terzani che sollecita ad andare oltre il proprio punto di vista: “il problema è che fino a quando penseremo di avere il monopolio del bene, fino a che parleremo della nostra civiltà, ignorando le altre, non saremo sulla buona strada”. Seguendo poi le proposte contenute nelle encicliche di papa Francesco, padre Alex parla della necessità di cambiare il paradigma umano, di fare una rivoluzione culturale per passare da una società di soci a una comunità di fratelli e per praticare la carità non solo individuale, ma soprattutto quella politica che dà vita a processi sociali di fraternità e di giustizia per tutti. Di mettere in discussione tre tabù dell’attuale sistema: la proprietà privata, la “guerra giusta” e la pena di morte. Secondo Zanotelli, “è la Chiesa stessa che deve convertirsi, deve cambiare rotta” con una riforma radicale delle strutture centrali del Vaticano.
Solo affrontando il passato possiamo reinventare il nostro futuro. Il riconoscimento del male compiuto deve spingere la tribù bianca “ad abbandonare una strada di morte per intraprenderne un’altra che porti frutti di giustizia per tutti”. Da questo punto di vista Zanotelli pensa che “la più efficace riparazione che la tribù bianca possa fare sia quella dell’accoglienza dei migranti”. D’altra parte, solo l’immigrazione può salvare l’Europa, gli Usa, il Canada e l’Australia dal declino catastrofico del tasso di crescita demografica. Un processo di giustizia riparativa quello dell’”accoglienza degli impoveriti” che, secondo Zanotelli, “forzerà la tribù bianca a un altro passo fondamentale: riconoscere l’”altro” come ricco per me perché diverso da me, a livello sia culturale sia religioso”.
Alessandro Scassellati