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Crimini contro l’umanità

di Stefano
Galieni

Il riemergere significativo, in numerose città italiane, di iniziative e mobilitazioni che vedono come protagonisti donne e uomini che vivono e lavorano qui ma che provengono da altri paesi, fa da contraltare ad un vero e proprio assalto repressivo che non è iniziato certo con questo governo e che non si esaurisce con questa maggioranza ma penetra anche nelle amministrazioni guidate dal centro sinistra. Da una parte aumentano i respingimenti, spesso illegali, i mancati soccorsi, le manovre di ostacolo alle azioni di salvataggio delle navi umanitarie delle ong, dall’altra si prepara, con la conversione in legge del “decreto Cutro”, di cui parleremo in maniera approfondita nei prossimi giorni, una stagione di ulteriore privazione di diritti, di eliminazione di forme protezione, di sviluppo dei Centri Permanenti per il Rimpatrio (di seguito CPR). Ma andiamo per ordine. Il 30 aprile scorso, tanto l’ong Sea Watch, quanto Mediterranea Saving Humans, hanno diramato comunicati in cui si afferma che all’alba, nel golfo della Sirte, una nave mercantile, la Grimstad, aveva riconsegnato alle milizie libiche 30 persone precedentemente soccorse in mare. Dalla nave hanno dichiarato che la consegna è avvenuta su richiesta dell’MRCC (Maritime Rescue Coordination Center) il Centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo, che gestisce l’intervento delle Capitanerie di porto e che ha sede a Pratica di Mare in provincia di Roma. La capitaneria ha smentito, affermando che il soccorso era avvenuto nella zona SAR di competenza libica e che quindi a questi spettava intervenire. Fatto sta che nonostante la documentata richiesta di soccorso inviata a Roma, le persone fuggite siano tornate nell’incubo dei lager libici. Il Mediterraneo Centrale, in questi giorni è in tempesta e navigare a lungo è complesso, infatti si sono ridotti sensibilmente gli arrivi a Lampedusa. Ma l’accanimento non si interrompe: 336 persone, molti i minori, tratti in salvo fra il primo e il 2 maggio dalla Geo Barents, dovranno attraccare a La Spezia, con 3 giorni in più di navigazione. All’alba del 2 maggio è attraccata a Civitavecchia l’Ocean Viking, con 168 persone a bordo (2 giorni in più in mare) mentre per i 35 salvati dalla Life Support sono stati spediti a Livorno, dove il 3 maggio hanno toccato terra. Il pretesto è quello di non intasare i porti siciliani, la realtà è diversa. Spostare chi arriva in Sicilia con pullman o aerei non solo tutela la vita e la salute dei naufraghi ma risulta meno dispendioso per le casse dello Stato e permetterebbe una gestione più oculata dei trasferimenti. Scegliere porti lontani, possibilmente situate in Comuni con amministrazioni di “centro-sinistra” serve contemporaneamente allo scopo di sottrarre consenso a tali maggioranze e a rallentare l’attività di salvataggio delle navi umanitarie. Del resto la strage premeditata di Steccato di Cutro e gli altri naufragi che sono seguiti dimostrano come limitare il soccorso in mare a qualsiasi costo sia fra gli obiettivi del governo attuale. Ma fa un po’ impressione, nonostante questo, sentire affermare nelle trasmissioni televisive da esponenti della sedicente “opposizione”, “Giorgia Meloni ha promesso il blocco dei porti ma quando governavamo noi arrivavano meno persone”. Per una manciata di voti il cinismo non conosce limiti.

E sembra avere poco senso appellarsi al diritto internazionale, alle convenzioni ratificate, ad un’idea ormai affogata nel Mediterraneo, di Europa. In un recente ed interessante convegno che si è tenuto a Roma, il 22 aprile, promosso da Giuristi Democratici e dal Centro di Ricerca ed Elaborazione per la Democrazia (CRED), personalità di altissimo livello, per quanto riguarda le normative giuridiche inerenti le migrazioni, attivisti della società civile, esponenti politici e delle forze sociali, hanno ragionato attorno all’idea della definizione di un nuovo reato, quello del “migranticidio”. Ad alcune/i è apparso più giusto partire dal fatto che, non solo nel Mediterraneo, si perpetrano crimini contro l’umanità, per alcune/i quello che si consuma è letteralmente ascrivibile all’idea di genocidio. Non si tratta solo di questioni terminologiche. Laddove un giorno si riesca quantomeno tanto a colpire Stati e persone fisiche responsabili di tali morti, quanto a dissuadere dal continuare ad operare con simili modalità, già si farà un passo in avanti. Per giungere a questo è necessario tanto il lavoro di denuncia dei giuristi e di chi si attiva in maniera solidale, quanto il protagonismo di chi è testimone oculare se non persona colpita direttamente dall’applicazione, in chiave repressiva e proibizionista, delle già restrittive leggi che definiscono la circolazione degli esseri umani nel pianeta. Ma nel frattempo, come accennato all’inizio, il “decreto Cutro”, al di là degli emendamenti che potrebbero mutarne, probabilmente in peggio, i contenuti e magari di qualche auspicata timida riserva da parte del Capo dello Stato, si prepara a divenire legge. I simboli hanno un loro valore, nella logica meloniana di riscrivere il presente e, per quanto rozze siano le maniere, la nuova normativa di fatto è una istituzionalizzazione dell’eccidio come data e luogo da cui far partire (in realtà si tratta di una escalation nella continuità), il “nuovo approccio”, alla necessità di fermare gli arrivi.

Ma si tratta di una strategia destinata ad avere il fiato corto, utile al massimo a illudere chi è già illuso. Il mare calmo farà riprendere gli arrivi, che ormai dovremmo definire fisiologici; le scelte del governo stanno portando i Paesi confinanti a misure di blindatura dei confini, si veda la gendarmerie schierata a Ventimiglia al confine francese e la manifesta indisponibilità ad accettare ingressi di Svizzera e Austria. Anche i rimpatri non saranno certo facilitati dalle congiunture internazionali. Il caos tunisino difficilmente riuscirà a consentire di mantenere elevato il numero delle persone che verranno rimandate in tale Paese e poi chi arriva giunge ormai da altri Paesi. Dalle prime indiscrezioni relative all’approdo a Civitavecchia, molte delle persone provengono dalla Siria (colpita dal terremoto e in cui è impossibile procedere a rimpatri) e dall’Egitto, con cui gli accordi di riammissione risultano farraginosi nella loro applicazione. Molti poi erano i minori – una ventina non accompagnati – gli altri con famiglie e per loro l’espulsione è ad oggi un atto di crudeltà a cui non ci si azzarda. Complessi e costosi i rimpatri (meglio chiamarle deportazioni), verso i paesi dell’Africa Sub Sahariana e dell’Asia e, da ultimo, recenti sentenze di rimpatrio e di trattenimento illegale hanno chiesto il risarcimento da parte dello Stato italiano verso le persone che ne sono state vittime.

Ma l’ultimo tassello con cui si vorrebbe riaffermare l’idea di un governo che realizza ordine, sicurezza e deportazioni degli indesiderati è nel finanziamento (42,5 milioni di euro in 3 anni) per l’ampliamento dei CPR già esistenti e la realizzazione di nuovi. Un altro specchietto per le allodole. Intanto sia la denominazione CPR, sia l’idea di averne almeno uno per regione è ripresa di pari passo dalle “geniali intuizioni” del governo Gentiloni (ministro dell’Interno Marco Minniti), promesse nel 2017 e per fortuna ad oggi non realizzate. Laddove il governo Meloni riuscisse in questa impresa, i CPR potrebbero trattenere in totale 1.600 persone. Di queste, dati rimasti immutabili dal 1998 (quando si chiamavano CPTA), meno del 50% sono rimandati a casa. Costo medio per detenuto, 7.000 euro. Una goccia, per chi proclama di voler rimandare a casa tutti e 600 mila i “clandestini”, persone a cui, data la spada di Damocle della Bossi Fini, ancora in vigore, è impedita la regolarizzazione. E se la maggioranza di governo spinge per una rapida apertura dei nuovi CPR, la realtà porta a dire che difficilmente si riuscirà ad aprirne di nuovi prima del 2025. Se sta riprendendo vita l’ipotesi di fare a meno di simili crudeli e costose strutture di contenzione – gli ultimi video ripresi di nascosto all’interno del CPR di Gradisca D’Isonzo (Go) ne sono ennesima riprova – sono grottesche le prese di posizione che giungono da esponenti del centro sinistra che continuano a credere non solo nella loro efficacia ma di cui sembrano ignorare le ragioni che ne motivano l’esistenza. Alcune paiono superare i limiti del grottesco. La Toscana sarà uno dei laboratori in cui, dopo decenni di rifiuto da parte delle amministrazioni regionali e locali, si vorrebbe aprire un CPR. Le altre regioni carenti di simili istituti ancora nicchiano o non si è individuato il sito adeguato: vale per Veneto, Emilia Romagna, che dopo le esperienze di tanti anni fa sembra non volerne sapere, Liguria, Calabria, Campania, Marche, Abruzzo, Molise, Umbria, In Toscana potrebbe sorgere a Firenze, dove il sindaco PD, Nardella lo auspica, per rinchiudervi i delinquenti da espellere, facendo credere di non sapere – ci auguriamo per il ruolo ricoperto che non si tratti di ignoranza pura – che nei CPR si entra non perché si sconta una pena ma perché non si hanno i titoli per restare sul “sacro suolo”. Oppure, ancora più probabile a Pescia, provincia di Pistoia, dove c’è un carcere mai utilizzato che viene indicato come “adeguato a tale uso”. Il presidente della Regione Giani (PD) dichiara di non avere voce in capitolo in merito. In parte è vero in parte la sua è una posizione pilatesca. Ancora più assurde le dichiarazioni a Milano dell’assessore alla Sicurezza Marco Gramelli (PD, of course). Il capoluogo lombardo è da tempo al centro di reiterati episodi di violenza sessuale commessi tanto da italiani quanto da stranieri, di maschi si tratta. Dopo aver rimosso gli scempi commessi nella Milano “bene”, dove la cocaina regna sovrana, lo zelante assessore ha avuto il coraggio di affermare in una trasmissione radiofonica molto seguita: “Ci vogliono i rimpatri e ci vogliono i CPR, perché tanti stranieri lavorano nel nostro Paese e di quelli ne abbiamo bisogno. Ma se uno delinque deve pagare la pena e deve andare nel CPR o deve tornare al suo Paese o deve andare in carcere. E questo va fatto subito. Quando uno commette un reato, che faccia una violenza sessuale come in questi ultimi casi o una violenza o rubi, deve andare al CPR o in carcere o fare tutti i percorsi penali, perché non commetta più reati. Altrimenti inutile presidiare le città o lavorare con Polizia e Carabinieri e Polizia municipale se poi chi commette un reato non è perseguito, siamo da capo e così non risolviamo il problema”. Eppure a Milano il CPR lo hanno già riaperto da tempo e non sembra aver sortito alcun effetto. Ma cosa importa invocare la realtà o appellarsi al diritto. Del resto una dirigente nazionale dello stesso partito ebbe a dire, si era nel febbraio 2017, che uno stupro commesso da un profugo è più odioso di quello commesso da un italiano, perché il primo, compiendo tale crimine, rompe anche un patto, legato all’accoglienza che ha ricevuto. Niente male come idea di diritto. La signora Serracchiani, questo il nome dell’esponente del PD, stralcia con una sola frase ogni idea di giustizia, offende anche le tante donne che subiscono il più vile e squallido dei crimini. Ci auguriamo che la nuova segretaria di tale partito ribadisca presto di pensarla in maniera radicalmente diversa dalla signora Serracchiani. Ma il dato di fatto è che per respingere, criminalizzare e ostacolare la solidarietà, reprimere l’immigrazione che non consente funzionale sfruttamento, beh, le differenze fra Meloni e predecessori sono più di stile che di sostanza.

Stefano Galieni

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