Come scrive Di.Re., la rete italiana dei Centri antiviolenza “il 2020 sarà ricordato per sempre come l’anno del Covid19, del lockdown, del distanziamento sociale, delle mascherine. E della crisi economica, che ha esposto – in maniera inequivocabile – la condizione di ineguaglianza tra uomini e donne che persiste in Italia. E, connessa al gender gap ed esacerbata dal lockdown, la persistenza della violenza contro le donne, che gli sforzi fin qui attuati – a livello legislativo, istituzionale e delle organizzazioni e movimenti delle donne – non sono ancora riusciti a mitigare, contenere, ridurre.”
Credo sia bene sottolineare la connessione fra condizione economica e persistenza delle violenze domestiche perché tale connessione rende più complicato, per molte donne, trovare una via di fuga.
Aggiungo che occorrerà prestare attenzione anche ai possibili effetti a lungo termine della pandemia sull’equilibrio tra vita professionale e familiare e sull’indipendenza economica delle donne perché la situazione attuale, se protratta nel tempo, potrebbe costringere molte donne ad abbandonare l’attività lavorativa retribuita per passare al lavoro domestico non retribuito.
La violenza maschile contro le donne è dunque sempre più un fattore strutturale e non emergenziale delle nostre società. E come tale andrebbe affrontato.
Come abbiamo ripetuto fino allo sfinimento e come i dati Istat evidenziano, in Italia il 31,5% delle donne ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale.
Le forme più gravi di violenza sono esercitate da partner, parenti o amici.
Il 43,9% degli omicidi di donne sono commessi da un maschio conosciuto.
Secondo i dati forniti da “In quando Donna. Osservatorio per i femminicidi” dal primo gennaio 2020 ad oggi ne sono state assassinate 69 donne. Tutte ad opera di maschi conosciuti!
Nel nostro paese dall’inizio del lockdown è molto aumentato il numero di telefonate ricevute dal 1522, il numero verde contro la violenza di genere e lo stalking. Come riporta l’Istat, le telefonate valide sono state il 73% in più rispetto allo stesso periodo del 2019 e le donne che hanno chiesto aiuto sono aumentate del 59%.
Purtroppo malgrado l’aumento delle chiamate di aiuto al 1522, non corrisponde invece un aumento delle denunce alle forze dell’ordine.Le denunce vere e proprie sono state 695, mentre 4.738 hanno preferito non farlo, e 164 hanno denunciato e poi ritirato la denuncia (fonte: www.infodata.ilsole24ore.com) A dire di quanto sia ancora difficile per le donne che subiscono violenza rendere pubblica la loro situazione.
Le donne che si sono rivolte ai centri antiviolenza della rete Di.Re, Donne in Rete contro la violenza sono state il 74,5% in più rispetto alla media mensile registrata due anni fa. Le maggiori richieste di aiuto sono arrivate dalla Lombardia e dalla Toscana.
Nel mondo il discorso non cambia.
In questo tragica 2020 dentro la pandemia e con 90 Paesi in stato di confinamento sociale, oltre quattro miliardi di persone sono rimaste bloccate a casa. Per alcune donne questo ha significato essere maggiormente esposte alle violenze maschili.
“È una situazione catastrofica”, ha dichiarato a Euronews Natalia Kanem, direttrice esecutiva dell’Agenzia delle Nazioni Unite focalizzata sulla salute sessuale e riproduttiva (UNFPA).
Come scrivevo sempre su questa rivista, secondo gli ultimi dati dell’ONU la violenza domestica, nella pandemia, è aumentata in media del 30%; in particolare in Francia più del 30%, in Argentina più del 25% e a Singapore più del 35%, mentre in Cina i casi di violenza sono triplicati rispetto al numero dello scorso anno.
I dati globali dimostrano dunque che la politica di isolamento e reclusione porta a un aumento dei livelli di violenza domestica in ogni parte del mondo. Dallo scoppio della pandemia da COVID-19, i dati forniti da coloro che sono in prima linea hanno dimostrato che tutti i tipi di violenza contro donne e ragazze, in particolare fra le mura domestiche, si sono intensificati. È ciò che viene chiamano pandemia-ombra, per sottolinearne le dimensioni e la gravità (fonte: www.unwomen.org).
Il Segretario generale dell’Onu, in video-messaggio, ha dichiarato:” Invito tutti i governi a far sì che la protezione delle donne che subiscono violenze divenga una parte fondamentale dei loro piani di nazionali di contrasto al Covid-19. Bisogna aumentare gli investimenti nei servizi online e nelle associazioni e garantire che i tribunali continuino a perseguire coloro che commettono gli abusi. I centri anti-violenza ed alloggio devono essere aperti e considerati essenziali come le farmacie e i generi alimentari. Per proteggere le donne bisogna dar loro la possibilità di fuggire dai loro aguzzini.”
Eppure anche di fronte a tutto ciò vi è ancora una buona parte della stampa che non informa correttamente né racconta in modo giusto violenza e femminicidi. Contribuendo in tal modo a sminuire la portata del fenomeno per derubricarlo a mero fatto di cronaca, a gesto folle o d’amore malato.
“Basta parlare di raptus; basta giustificare gli assassini; basta ai facili moventi come la depressione e la gelosia. Basta far ricadere sulle donne la responsabilità della loro morte”. È l’accorato appello che Mimma Caligaris (presidente CPO Fnsi), Paola Dalle Molle (coordinatrice Cpo Cnog), Silvia Garambois (presidente GiULiA giornaliste); Monica Pietrangeli (coordinatrice CPO Usigrai) lanciano attraverso una lettera aperta ai giornalisti e alle giornaliste.
L’informazione è importante perché fa cultura e costruisce senso comune, quando diventa tossica è una forma di violenza. Per le donne violentate ed uccise finisce per essere un’ulteriore forma di violenza.
Per questo anche quest’anno, nonostante la pandemia, le donne si organizzano e manifestano nelle modalità consentite.
“Non Una Di Meno” lancia per 25 e il 28 novembre 2020 due giornate di lotta contro la violenza maschile sulle donne e la violenza di genere. “Saremo nelle piazze di molte città italiane, online e offline, con azioni, presidi e flashmob perché la posta in gioco non è soltanto la gestione dell’emergenza, ma la riorganizzazione della società che ci aspetta dopo la pandemia” scrive giustamente il movimento femminista.
E la riorganizzazione della società non può che assumere come priorità il contrasto ad ogni forma di violenza contro le donne per costruire, come propone il percorso di convergenza che ha dato vita sabato scorso ad una partecipata mobilitazione nazionale, la “società della cura”. La cura di sé, delle e degli altri e del pianeta.
IFE Italia