editoriali

Settembre

di Roberto
Musacchio

Agosto finisce mentre i contagi del Covid aumentano.

L’industria turistica si è dimostrata rischiosa come tutto il resto dei modi di “fare economia” di questa nostra società capitalistica.

Certo i comportamenti contano.

Ma è difficile sostenere che quel 10-15% di Pil che viene dal turismo all’economia europea abbia trovato le forme adeguate di messa in sicurezza.

Grande fretta nel riaprire frontiere, porti ed areoporti e la Commissione Europea che già a contagi riesplosi intima di non chiudere.

Ma niente che faccia pensare ad un piano adeguato di norme e, perché no, di dispositivi concreti e sul campo per la messa in sicurezza.

La UE ha fatto la vergogna di Frontex contro i migranti.

Ma per il Covid di regole per porti, areoporti e stazioni ferroviarie o di autobus non se ne vedono di adeguate.

Tanto meno presidi europei sul campo con personale sanitario e tamponi magari pagati recuperando ad una causa comune e comunitaria i soldi del Mes che potrebbe essere tranquillamente sciolto con buona pace di Zingaretti, Bonaccini, Zaia e Fontana.

Così ognuno ha continuato col suo fardasè, controllando o no, facendo liste di lascia passare o di fermi in quarantena.

Cosa che ritroviamo anche in Italia con areoporti con tamponi e senza e passaggeri tamponati in partenza o in arrivo o mai. E regioni che si rimpallano il “lo fai te?”

Con lo stato di emergenza confermato, unico caso in Europa, il governo ha fatto prima a prorogare (in deroga) gli incarichi dei vertici dei servizi segreti che a chiudere le discoteche.

E ha anche prorogato, ma con deroghe, il blocco dei licenziamenti. Peccato che le deroghe siano così larghe che il giornale di Confindustria parli di sblocco.

Con ragione visto che si potrà licenziare dopo aver esaurito il monte ore di cassa integrazione trasformandola così in un viatico al ben servito. E si può licenziare se si dichiara di voler/dover ristrutturare la propria attività.

Certo è che a settembre di cambiamenti nei modelli economici e sociali non se ne troveranno.

Con più di 100 miliardi di sforamento del patto di Stabilità e del pareggio di bilancio (sospesi ma non cancellati) non c’è traccia di cambiamenti.

Magari Draghi ci spiegherà che si tratta di debito buono perché fatto per le imprese. D’altronde lui alla Bce ne ha fatto (fare agli Stati) altrettanto per le banche.

E dopo tanto, giusto, scandalo, per i “furbetti” dei 600 euro magari sarebbe il caso di escludere dal Sure (fondi europei per le imprese) chi ha preso soldi per casse integrazioni fittizie.

Certo non serviranno le parole di Draghi a quei giovani che sono evocati da 30 anni per dire che soffrono per colpa dei “privilegi” dei vecchi. 

Ma in questi 30 anni i giovani sono stati ridotti in precarietà e esclusi dal lavoro pubblico mentre ai vecchi si allunga a dismisura l’età per la pensione a cui i giovani non arriveranno mai.

Si vuole risarcire i giovani? Li si assuma massicciamente in quei lavori pubblici come la sanità e la scuola che sono fondamentali contro il Covid e per il futuro. E dove l’Italia ha addetti in percentuale sul totale degli occupati due punti sotto la media europea e pari alla metà di quelli di Paesi nordici come la Svezia.

E con una età media assurdamente alta, ben oltre i 50 anni, diversi anni più alta di quella dell’Ocse e della UE.

Frutto avvelenato e voluto di 30 anni di sistematica svalorizzazione del lavoro pubblico per favorire privatizzazioni e privato.

Con i risultati disastrosi che conosciamo. Una economia in ripetute crisi e una società in grande difficoltà a difendersi dal Covid.

Come fosse attrezzata l’Italia ad affrontare una pandemia così prevista che c’era un piano antipandemico dal 2003 e che dunque dovremmo sapere come è stato seguito è materia che richiede una commissione d’indagine parlamentare.

Non solo per fare verità e giustizia nella sede propria, quella parlamentare (che naturalmente non preclude le funzioni proprie della magistratura) ma per capire se e come ci si è attrezzati alla recrudescenza del virus.

Le scuole che riaprono in che condizioni sono? E i luoghi di lavoro? I trasporti, le città? Come si ricostruisce un servizio sanitario nazionale mentre continua il delirio dell’autonomia differenziata che qualcuno pensa di sostenere con i soldi (a prestito) del Mes?

Domande che attraversano, o dovrebbero attraversare, anche la campagna delle elezioni regionali e comunali in corso.

Che invece vede “sfidarsi” a colpi di “tu sei peggio di me” gente dai programmi quasi fotocopia.

Per fortuna quasi ovunque c’è chi propone di non votare contro ma per. Ci permettiamo di suggerire che quel per si sostanzi con forza dell’idea che la lotta al Covid e la ripartenza poggino sul pubblico, i servizi e il lavoro e non su impresa, privato e mercato.

E che per farlo si tolga a Regioni e Comuni il cappio del patto di Stabilità e del pareggio di bilancio che è rimasto loro addosso. Altro che autonomia differenziata.

Intanto è nato un nuovo “centrosinistra” dopo il via libera di Rosseau agli accordi tra pentastellati e Pd (ad ora).

Come si sa il frutto più velenoso di questo nuovo centrosinistra liberalpopulista è il taglio del Parlamento che siamo chiamati a confermare o rigettare col referendum.

Zingaretti ha parlato di situazione pericolosa in assenza del previsto bilanciamento proporzionale. Ma poi si è affrettato ad iscrivere il PD al si in nome del centrosinistra liberalpopulista.

Il taglio del Parlamento è oggi puro cedimento alle campagne populiste. Rende incapace la rappresentanza di fare il proprio lavoro seguendo sul serio le materie di competenza.

Se pensiamo solo a ciò che arriva dall’Europa un Parlamento a ranghi ridotti non è in grado di nessun lavoro rielaborativo di tale quantità di materiali.

Certo il Parlamento oggi è già svilito. Esautorato dagli eccessi di decretazione. E nella qualità dell’esercizio del suo ruolo.

E sono 30 anni, da Maastricht in poi, che si succedono strappi costituzionali come in nessun altro Paese occidentale.

Col risultato che ormai l’unico fattore determinante che procede dall’alto al basso è il vincolo esterno del mercatismo di Maastricht, mentre il Parlamento è svuotato e il regionalismo è trasformato in terre di cacicchi.

Parlare di democrazia diretta quando al contrario è stata svuotata quella socialmente connotata costituzionale è francamente una presa in giro che copre la saldatura tra il craxismo e l’antipolitica realizzato dai soggetti della Seconda Repubblica.

Ma come si sa se si vuole uccidere un bambino lo si immerge nell’acqua sporca.

E sporca è l’acqua di questa Seconda Repubblica figlia della rottura con la democrazia voluta dal capitalismo finanziario globalizzato. Lo scioglimento/degradazione dei corpi intermedi, delle identità politiche e sociali, sostituite dal teatrino del trasformismo di una sotto clase servente trasversalmente  gli interessi dominanti ha avvelenato i pozzi.

Ma un pozzo avvelenato si può disinquinare. Uno essiccato diventa parte del deserto.

Votare no al referendum costituzionale serve a questo: a purificare l’acqua, a fermare il deserto.

giovani, Pandemia, referendum, SURE
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