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Se 62 anni vi sembran pochi…

di Roberto
Musacchio

di Roberto Musacchio – È bastato il solo annuncio fatto da Macron a luglio di voler mettere mano alle pensioni e in Francia è già scattata la mobilitazione.
Il testo effettivo sarà presentato a luglio del 2020 ma già in questi giorni Parigi è stata praticamente bloccata da uno sciopero di lavoratrici e lavoratori dell’azienda pubblica di trasporto. Poi manifestazioni in tutta la Francia di infermieri, avvocati, medici, piloti che hanno dato un primo saggio di quella che si annuncia come una battaglia caldissima.
In Francia si va in pensione a 62 anni con una legge fatta da Sarkozy. Ci sono 42 regimi pensionistici che segnalano maggiori tutele per lavoratori usurati come macchinisti di treni o dipendenti dei metro.
Molte categorie sono ancora, per fortuna, dentro un sistema retributivo che garantisce una maggiore copertura. Nonostante questo il rendimento pensionistico sta intorno al 60% dell’ultima retribuzione percepita e le donne, laddove non riescono ad essere protette dalla legge generale sull’età e dal retributivo, pagano un gap dovuto ai lavori più precari, saltuari e meno retribuiti (nonostante vi siano alcuni correttivi di genere che rivalutano i contributi).
Proprio le sofferenze già presenti nel sistema di quelli più esposti al contributivo (in un sistema lavorativo sempre più precario e meno pagato) dicono che la “riforma” di cui Macron ha preannunciato solo alcune linee accentuerebbe molto i guasti.
L’idea è alzare a 64 anni l’età con un sistema di incentivi, disincentivi basata sul passaggio al contributivo e ai “punti” che si misurerebbero attraverso esso.
L’idea già nel suo abbozzo non piace alla maggioranza dei francesi tanto che l’importante istituto statistico IFOP ha sondato un dissenso pari ai due terzi e fortissimo nelle categorie popolari.
Il punto è quello che da 30 anni vede impegnate in prima linea le forze della controriforma in tutta Europa. Fare delle pensioni, ma in realtà del welfare, il principale settore di mercato finanziario in Europa. Fare nel sociale quello che si è fatto con la memoria storica: stravolgere l’Europa sociale e farne un avamposto neoliberista.
Questo passa innanzitutto dall’aver escluso dall’azione europea l’armonizzazione verso l’alto del welfare come atto fondamentale di costruzione dell’integrazione.
Nella UE si è agito come si propone di fare ora in Italia con l’autonomia differenziata. Ciascuno per sé e ci pensa il mercato. Ma questo non solo ha mantenuto le differenze storiche, quantitative e qualitative, tra i vari Paesi ma le ha accresciute e ne ha create di nuove proprio per l’azione del mercato che ha esasperato le differenze.
L’austerity poi ha dato un ulteriore colpo.
Ecco che l’azione fondamentale è stata quella dei tagli quantitativi e qualitativi, meno rendimenti pensionistici ad una età sempre più elevata.
D’altronde se vuoi far spazio al privato, a quelle pensioni integrative lanciate in tutta Europa e votate da quasi tutti i gruppi al PE in fine legislatura passata, devi crearne la necessità.
Ci si mette dietro motivazioni “tecniche” che in realtà sono scelte politiche. Si calcola l’incremento della aspettativa di vita (che per altro in molte aree europee non c’è più a causa del liberismo) ma non non si calcola l’aumento enorme della produttività.
Non si persegue più la piena occupazione che anzi nei fatti è bandita perché l’esercito di riserva è sempre più largo e interno alla stessa precarizzazione del lavoro.
La svalorizzazione quantitativa (retributiva e nel welfare dovuto e esigibile) e qualitativa del lavoro è sistematica e funzionale alla promozione delle rendite finanziarie (che viaggiano a rendimenti abnormi e abbisognano di nuovi “mercati” come quelli del welfare).
Questa la realtà che sta dietro i cosiddetti conti tecnici e le “compatibilità” che in realtà mistificano la grande controriforma. Le pensioni non sono più un portato del welfare, garantito dalla solidarietà intergenerazionale e dalla piena occupazione ma in una società a lavoro precario e svalorizzato sono una merce da comprare al mercato finanziario. L’effetto del sistema contributivo non può che essere la capitalizzazione (e la fine della ripartizione solidaristica) che va nelle grinfie della finanza.
In Italia il sistema pensionistico dopo varie controriforme che vanno dalla Dini alla Fornero è ormai in una condizione di assoluto allarme. L’età è tra le più alte in Europa (si veda lo studio Cgil che alleghiamo). I rendimenti decrescono e infatti le pensioni minime sono milioni. Per giovani e donne la Fornero è una condanna “a morte”, a rendimenti bassissimi, ad età assurde, se non al non raggiungimento addirittura dei requisiti.
Quota 100 del governo giallo verde è stato meno che un palliativo. Ma ora si rischia di lasciar morire anche questa.
Il segretario della Cgil Landini ha avanzato giustamente una proposta che è quella di riportare l’età pensionabile a 62 anni. Una proposta importante sia per ridare vita a lavoratrici e lavoratori sfibrati sia per riaprire uno spazio lavorativo ai giovani.
È ben curioso che si discuta di dare ai giovani sedicenni il diritto di voto ma non si faccia nulla per dare loro lavoro e riaprire una prospettiva pensionistica ora uccisa dalla Fornero.
Colpisce il silenzio assordante del nuovo governo italiano alle proposte di Landini. Bene fa il sindacato a chiamare la lotta sulle pensioni.
Noi dobbiamo riuscire a far sì che nell’Italia e nell’Europa del revisionismo storico e delle controriformi sociali permanenti torni ad esplodere proprio la questione sociale.
62 anni è il numero su cui si lotta in Francia. È lo stesso obbiettivo che ci dà Landini in Italia. Mettiamo insieme le lotte, facciamone una lotta grande, europea, per il lavoro e per la civiltà.

Vedi il documento della Cgil “La pensione di vecchiaia nei sistemi previdenziali europei” con tabelle che illustrano l’età della pensione in Europa e i valori previsionali 2021-2050 per l’Italia

pensioni, politiche del lavoro, welfare
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