I lavori della conferenza COP26 ormai entrati nella seconda settimana, hanno prodotto una messe di incontri, report e documenti, se aggiungiamo i lavoratori preparatori alla conferenza il materiale è davvero imponente. Se ci limitiamo ai lavori ufficiali oltre alle sessioni della COP26 dobbiamo considerare anche gli incontri che derivano dagli impegni presi alla conferenza di Kyoto –Conference of the Parties serving as the Meeting of the Parties to the Kyoto Protocol (CMP)– e quelli derivanti dagli impegni, ben più cogenti, presi a Parigi nel 20151 – Conference of the Parties serving as the Meeting of the Parties to the Paris Agreement (CMA). Tra le funzioni sussidiarie permanenti c’è il Subsidiary Body for Scientific and Technological Advice (SBSTA), una delle due strutture permanenti stabilite dal COP/CMP, supporta le conferenze COP, CMP e CMA in campo scientifico e tecnologico per quanto attiene alla Convenzione sul Clima2, il protocollo di Kyoto3 e gli Accordi di Parigi4; dovrebbe anche essere elemento di raccordo- una interfaccia tra la convenzione come organismo politico e l’organismo della ricerca- con l’IPCC Iintergovermental Panel on Climate Change, a cui si devono i report scientifici che hanno prodotto con sempre maggior accuratezza i diversi scenari globali che si aprono per il riscaldamento globale e relativo cambiamento climatico, a seconda delle scelte messe in campo. Se dei lavori ufficiali abbiamo una traccia ben precisa, la produzione di contenuti attorno ai lavori della convenzione e della crisi climatica in generale è praticamente incommensurabile. La manifestazione di Glasgow ha reso plasticamente la mobilitazione che cresce attorno ai temi del riscaldamento globale e della crisi climatica in corso.
Nei lavori della COP si sono manifestate tutte le possibili aggregazioni tra paesi- si dispongono attorno alla crisi climatica. e configurazioni di interessi che emergono da essa. Una traccia sintetica dei lavori, assieme a una documentazione sulle aggregazioni che si creano per indirizzare i lavori e difendere specifici interessi e specifiche collocazione dei diversi paesi nella crisi climatica- si trova nei rapporti quotidiani5. Le cronache quotidiane di tutti i media hanno dato notizia della posizione dei principali paesi e delle principali coalizioni assieme ad i dati sintetici sulla produzione complessiva di gas climalteranti e sulla produzione pro-capite che rendono assai poco probabile il raggiungimento degli obiettivi fissati dagli accordi di Parigi; tuttavia se si guarda alle richieste ed ai programmi d finanziamento ci rendiamo conto che la finalità destinata ad assorbirne la gran parte non è finalizzata alla riduzione delle emissione nei paesi più poveri, semmai al cosiddetto adattamento alle condizioni che il cambiamento climatico produce nei diversi paesi, il termine più usato ed abusato è quello della ‘resilienza’6 ovvero la capacità di territori, città, regioni, comunità -da definire a seconda della scala dell’impatto specifico a cui è necessario adattarsi- di modificarsi riprodursi nonostante l’impatto locale del cambiamento climatico.
La consulenza tecnologica fornita da SBSTA è funzionale all’obiettivo di acquisire una maggior resilienza nei confronti del cambiamento climatico, più o meno drammatico; in realtà la portata del cambiamento in corso – con l’andamento inerziale del grado di riscaldamento già realizzato- con la sua estensione e complessità nelle varie regioni del globo va ben oltre l’azione di una qualunque agenzia, considerando ovviamente il fatto che le condizioni locali sono il frutto dei complessivi rapporti economici che caratterizzano la formazione sociale globale, in cui ogni regione si colloca. Ogni strategia di contenimento del riscaldamento globale e di adattamento alle sue conseguenze, non può non fare i conti con il modello di sviluppo nel suo complesso; il confronto tra l’orizzonte del cambiamento climatico e quello della trasformazione radicale del sistema, a partire dallo stato presente delle cose ci fa dire che la velocità con si impone il cambiamento climatico sopravanzano di gran lunga quelli di una possibile radicale trasformazione dell’attuale modello di sviluppo a cui allude la rivendicazione della ‘giustizia climatica’.
Per rimanere sul tema dei finanziamenti richiesti per rendere le diverse regioni del globo ‘resilienti nei confronti del cambiamento climatico, Tanguy Gahouma-Bekale, presidente del gruppo dei negoziatori africani, i finanziamenti complessivi necessari per sostenere il processo di adattamento dei paesi in via di sviluppo ammontano a 750 miliardi di dollari/anno dal 20257. Nonostante molti paesi africani devolvano una parte importante del proprio PNL per ‘adattarsi’ alle conseguenze del cambiamento climatico come dimostra uno studio recente delle Nazioni Unite8 lo studio evidenzia un gap di circa 80% tra rispetto alle necessità. Il problema dell’adattamento ai cambiamenti climatici è cruciale per il futuro del continente9, ormai in corso e per larga parte inevitabili La quota dell’Africa nello storico delle emissioni vale il 4% contro il 25% degli USA, il 22% dell’UE ed il 13% della Cina, parliamo dello stock accumulato non dei flussi presenti, in cui comunque la quota africana è risibile. Le necessità dei paesi africani stimate oggi a 70 miliardi di euro/anno, dovrebbero salire a 300 dal 2030 e 550 dal 205010. Il presidente del gruppo dei negoziatori africani afferma che il finanziamento globale promesso di 100 miliardi di dollari/anno definito negli accordi di Parigi e promesso nel 2009 dal G7, oltre a non essere stato rispettato, costituiva non un tetto, ma la cifra minima necessaria: ora il grafico si impenna verso l’alto.
Nel momento in cui si tratta di flussi finanziari legati al cambiamento climatico questi vanno integrati nel quadro del livello di indebitamento dei diversi paesi e del loro ruolo nella divisione internazionale del lavoro. L’obiettivo del Net Zero che si colloca nelle dichiarazioni tra il 2050 ed il 2070, oltre a non essere suffragato da effettive pianificazioni, richiede una collaborazione a tutti i livelli e fra tutti i soggetti. La retorica del multilateralismo che dal G20 alla COP29 nasconde la parzialità degli accordi, la profondità dei disaccordi ed il livello di competizione e conflitto strategico tra i principali attori dello scenario globale.
Il riscaldamento globale per definizione richiede un governo del cambiamento altrettanto globale e – vale la pena ribadirlo- rapporti sostanzialmente solidali tra tutti i soggetti in campo assieme ad una articolazione a grana fine degli interventi. Il livello di competizione e conflitto al contrario è in crescita, l’innovazione tecnologica necessaria a garantire quella che viene definita ‘transizione ecologica’ è terreno di competizione come il complesso delle tecnologie dall’intelligenza artificiale alla manipolazione del codice genetico alle nanotecnologie. Il contesto ad oggi e nei prossimi anni è quello della scarsità di risorse strategiche legate in particolare alla biodiversità ed alla fertilità dei suoli. Ogni nazione e regione del mondo meno sviluppato diventa terreno di scontro, posta in gioco nella competizione tra le potenze mondiali, essenzialmente Cina e Stati Uniti, atri come Russia ed Unione Europea a far di contorno.
Del resto il cambiamento climatico è considerato un fattore sempre più rilevante se non determinate nella dedizione delle strategie militari11 oltre alla necessità di considerare il contributo delle strutture militari alle emissioni climalteranti12.
Una valutazione sintetica della credibilità delle promesse per il 2030-2050 è proposta del Climate Action Tracker13 secondo cui solo il 6% delle emissioni globali è coperto da politiche di riduzione delle emissioni credibili; le proiezioni verso il futuro in generale non sono comunque sostenute da misure adeguate nel breve periodo, il che inficia la credibilità di qualsiasi proiezione.
La pubblicazione della bozza delle conclusioni conferma questa valutazione, sui punti principali come la rinuncia al carbone ed i sussidi ai combustibili fossili vi sono solo vaghi impegni, altrettanto vale per il limite all’aumento della temperatura “Contenere l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto di 2 °C rispetto ai livelli preindustriali”, si legge nella bozza, “e perseguire gli sforzi per limitare l’aumento della temperatura a 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali“. Sui finanziamenti ai paesi in via di sviluppo nessun impegno vincolante, quanto alla riduzione delle emissioni “…sono richieste riduzioni delle emissioni globali di gas serra, compresa la riduzione globale emissioni di anidride carbonica del 45 per cento entro il 2030 rispetto al livello del 2010 e allo zero netto intorno alla metà del secolo“. Vedremo le conclusioni, d’altra parte l’assenza del capo di stato cinese14 e la mancanza di impegni stringenti, soprattutto a breve termine, da parte di molti paesi aveva già indebolito la capacità della conferenza di prendere decisioni vincolanti sui temi principali. Vedremo come il prossimo summit virtuale tra Biden e Xi Jinping15 interverrà sul confronto geopolitico, che attraversa tutto lo spettro delle relazioni tra le due principali potenze- un intreccio di conflitto e reciproca dipendenza- e delle questioni globali tra cui non ultima il cambiamento climatico.
Condivisione della conoscenza e giustizia climatica
Come osservato all’inizio di questo scritto siamo di fronte ad una produzione straordinaria di contributi istituzionali e non, scientifici e divulgativi sul cambiamento climatico, è in atto uno straordinario processo di condivisione della conoscenza, tuttavia per quanto straordinario questo processo è soltanto all’inizio, in quanto motore dello sviluppo di un movimento per la giustizia climatica capace di sortire effetti concreti sulle politiche dei governi; un movimento per la giustizia climatica che non può che riassumere in sé le ragioni di un cambiamento radicale del modello di sviluppo dominante. Abbiamo già osservato come l’esperienza degli effetti di fenomeni climatici estremi, che si ripetono già oggi con sempre maggiore frequenza, non si trasforma in un movimento reale, all’altezza della posta in gioco, di cui peraltro discute su tutti i media, che apparentemente entra nell’agenda di gran parte delle forze politiche. È necessario che ogni comunità territoriale prenda consapevolezza degli effetti del riscaldamento globale sulle proprie condizioni, questa si leghi alla comprensione del nesso con cambiamento climatico globale e di quest’ultimo con il modello di sviluppo; il cammino è ancora lungo.
La necessità di condivisione delle conoscenze si scontra col fatto che esse costituiscono l’oggetto fondamentale della competizione strategica e oggetto della appropriazione privata nell’organizzazione oligopolistica dei mercati. I flussi di finanziamenti dovrebbero veicolare i flussi di trasferimento tecnologico, facendo di questi il motore di una riorganizzazione sociale senza la quale l’effetto di questo trasferimento sarebbe limitato se non controproducente, in presenza di una loro applicazione meccanica; condizione necessarie è la ridefinizione delle catene di approvvigionamento che oggi sanciscono la subordinazione agli interessi dominanti i produttori di materie prime, ed i detentori dei maggiori patrimoni di biodiversità e terreni fertili.
Lo sviluppo scientifico e tecnologico ovviamente non è un dato neutro né un processo ‘naturale’; la tanto invocata resilienza nei confronti di cambiamenti climatici drastici -nei fatti vissuti come inevitabili- non è definibile né tanto meno realizzabile al di fuori di cambiamento radicale dei rapporti sociali di produzione, della formazione sociale in tutti gli aspetti. La definizione dei tempi e delle risorse assegnate al contrasto del cambiamento climatico non vanno commisurate con un andamento continuo e graduale degli effetti sulle diverse società, il rischio reale è definito dal possibile raggiungimento di soglie che determinano cambiamenti radicali poiché i processi non sono lineari, da queste soglie si deve restare lontani, quando ci si avvicina il loro potere di attrazione è formidabile ed allora la realtà ci sta già presenta il conto.
La debolezza delle forme di governo delle nazioni, l’instabilità politica, lo sviluppo di guerre civili, di conflitti sul controllo delle risorse naturali -in primo luogo l’acqua- sono il panorama che il cambiamento climatico contribuisce a determinare, con una rete complessa di relazioni che si innescano e si incrementano reciprocamente. Succede allora che il principale trasferimento tecnologico che si afferma è quello delle tecnologie militari, dove la mobilità, la capacità distruttiva e la capacità ricognitiva permettono di colpire obiettivi strategici su territori, campi di battaglia che le ‘grandi potenze’ non sono in grado di controllare, mentre riforniscono di armi le fazioni e le milizie che invece si scontrano sul terreno, contribuendo a devastare le società. Anche di questo parliamo in questo numero della rivista16.
È questo il contesto che alimenta il flusso dei migranti, in particolare verso l’Europa, dal Bangladesh, dal Medio oriente e dall’Africa, non è un dato nuovo, ma è destinato a crescere ulteriormente; esso oltre a determinare l’ulteriore spoliazione dei paesi di origine, alimenta le contraddizioni del continente europeo sino a diventare materia prima del confronto che in questi giorni si gioca ai confini tra Polonia e Bielorussia17, al limite del conflitto diretto, laddove gli attori del confronto strategico sono la Russia da una parte, l’ Unione Europea e Stati Uniti dall’altra, nel quale i migranti sono l’ultimo anello di una catena di cause ed effetti, la posta in gioco -oltre ai rapporti di forza nel continente europeo- è il controllo su tutte le regioni, variamente in crisi, del globo per cui si confrontano e le logiche di intervento dei paesi dominanti.
In queste note sulla crisi climatica si è fatta una sommaria descrizione dei livelli in cui questa si articola e della rete complessa in cui essa dispiega i suoi effetti che a loro volta ne diventano concause in dinamiche circolari che si autoalimentano; questo è il terreno su cui deve costruirsi la piattaforma per un’altra agenda prodotto della rete di movimenti che lottano per una reale giustizia climatica, quindi sociale.
Roberto Rosso
- Disponibile una sintesi https://unfccc.int/sites/default/files/resource/cma2021_08_adv.pdf.[↩]
- https://unfccc.int/process-and-meetings/the-convention/what-is-the-united-nations-framework-convention-on-climate-change.[↩]
- https://unfccc.int/kyoto_protocol.[↩]
- https://unfccc.int/process-and-meetings/the-paris-agreement/the-paris-agreement; agenda e documenti https://unfccc.int/event/cma-3.[↩]
- https://enb.iisd.org/Glasgow-Climate-Change-Conference-COP26-daily-report-31Oct2021.[↩]
- https://unfccc.int/topics/adaptation-and-resilience/workstreams/the-nairobi-work-programme-the-unfccc-knowledge-to-action-hub-for-climate-adaptation-and-resilience https://racetozero.unfccc.int/join-the-race-to-resilience/.[↩]
- https://www.theguardian.com/environment/2021/nov/08/cop2n6-african-nations-seek-talks-climate-finance-deal.[↩]
- https://archive.uneca.org/stories/africa-spending-more-its-fair-share-climate-adaptation-new-study-reveals#:~:text=EconomicCommissionForAfrica-,Africa%20spending%20more%20than%20its%20fair%20share,adaptation%2C%20a%20new%20study%20reveals&text=It%20shows%20that%20public%20expenditure,of%20their%20total%20needs%20presently.[↩]
- https://reliefweb.int/report/world/state-and-trends-adaptation-report-2021-how-adaptation-can-make-africa-safer-greener https://www.sei.org/about-sei/press-room/lack-of-climate-adaptation-finance-africa/.[↩]
- https://www.un.org/africarenewal/magazine/july-2021/cop26-climate-top-priorities-africa [↩]
- “National Intelligence Estimate – Climate Change and International Responses – Increasing Challenges to US National Security Through 2040″ dni,gov 21 ott 2021 — “Department of Defense Climate Risk Analysis October 2021” defense,gov 21 ott 2021 — “Climate change is highlighted as a security issue as NATO leader visits COP26” Washington Post 03 nov 2021 — “The military’s contribution to climate change” Conflict and Environment Observatory ceobs,org 16 giu 2021. https://www.usrenewnews.org/2021/10/30/climate-change-poses-a-national-security-threat-says-2-new-u-s-government-reports/ “In dual reports, the U.S. Department of Defense and the National Intelligence Council reached the same conclusion: Climate change poses an exacerbating, adverse effect on national security. “To keep the nation secure, we must tackle the existential threat of climate change,” the DoD Climate Risk Analysis (DCRA) report said.”[↩]
- https://www.reuters.com/business/environment/with-trump-gone-nato-wages-war-climate-threat-2021-06-13/ https://www.reuters.com/business/environment/nato-chief-armies-must-keep-pace-with-global-climate-efforts-2021-11-02/.[↩]
- https://climateactiontracker.org/publications/glasgows-2030-credibility-gap-net-zeros-lip-service-to-climate-action/ https://climateactiontracker.org/global/cat-net-zero-target-evaluations/ [↩]
- https://transform-italia.it/il-cambiamento-climatico-visto-dalla-cina/ [↩]
- https://www.politico.com/newsletters/politico-china-watcher/2021/11/04/all-eyes-on-the-biden-xi-virtual-summit-494973 [↩]
- https://transform-italia.it/le-guerre-dei-droni-e-necessario-aprire-un-dibattito-pubblico-in-italia-e-unione-europea/ [↩]
- https://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Migliaia-di-migranti-al-confine-tra-Bielorussia-e-Polonia.-Varsavia-temiamo-escalation-armata-b8bb4f5b-9090-4fc1-b7eb-441b1c0fde29.html.[↩]