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Quando l’UE si dà le martellate sui piedi

di Francis
Wurtz

Ci voleva un sacco di coraggio per farlo e i ministri delle finanze europei lo hanno avuto! Il 6 ottobre hanno rimosso le Isole Cayman dalla loro “lista nera” dei paradisi fiscali!

La ragione addotta per giustificare il riciclaggio (sic) di questo vero prototipo di paradiso fiscale è che questo territorio britannico d’oltremare “ha adottato le riforme necessarie per migliorare la (sua) normativa fiscale”. Questo per dire quanto i criteri adottati dall’UE per definire le “giurisdizioni fiscali non cooperative” hanno perso   senso e devono essere completamente rivisti.

Le Isole Cayman offrono, oggi come ieri, a circa … 100.000 aziende registrate nel loro minuscolo territorio (popolato da 62.000 abitanti) un’aliquota zero sui “profitti acquisiti al di fuori della giurisdizione e reddito da capitale come interessi e dividendi “(1).

Prendendo questa decisione contro le aspettative dei cittadini, i governi dell’UE stanno letteralmente prendendosi a martellate sui piedi.
Ricordate: “Paradisi fiscali, segreto bancario, è finita!” ha strombazzato Nicolas Sarkozy nel 2009, orgoglioso della sua azione sin dal G20 di Londra, lo stesso anno.

In realtà, ci sono voluti altri otto anni e la valanga di rivelazioni del “LuxLeax” e di altri “Panama Papers” – rivelando al mondo intero la portata di questi osceni inganni – perché gli Stati dell’Unione Europea riuscissero a mettersi d’accordo sulle prime misure: cioè l’istituzione di una doppia lista di questi “paradisi”.

La prima si chiama “grigioa”. Indica i territori che si impegnano a realizzare le riforme. La seconda, denominata “nera”, comprende i paesi ritenuti non sufficientemente “trasparenti” o “cooperativi”.

Questo elenco, aggiornato regolarmente secondo le “riforme” concordate dai suoi membri, comprende oggi dodici lontani micro-stati: Samoa americane; Figi; Guam; Palau; Panama; Samoa; Seychelles; Trinidad e Tobago; le Isole Vergini americane; Vanuatu, a cui si sono appena aggiunte Anguilla e Barbados.

Problema: come dimostra la decisione appena presa di rimuovere da questa lista un territorio che resta comunque un paradiso fiscale dichiarato, le “riforme” necessarie per poter uscire da questa lista non sono chiaramente al livello richiesto! Quanto alle sanzioni applicate ai territori “inseriti nella lista nera” – il congelamento di eventuali aiuti finanziari europei – ovviamente non sono sufficientemente dissuasive.

Fino ad ora, di fronte chi rimproverava gli Stati membri dell’UE di limitarsi a ruggire, si è incolpata “l’intransigenza di Londra” che (di fatto) ha bloccato ogni progetto più ardito. Con la Brexit, questo argomento va in pezzi. Adesso è il momento di mettere gli altri “padrini” degli imbroglioni davanti alle loro responsabilità, a cominciare dai paradisi fiscali all’interno della stessa UE: Lussemburgo; Paesi Bassi, Irlanda e Malta! Una quota di quasi … 1000 miliardi di euro per la sola UE.

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