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Frontiere mobili contro i migranti

di Filippo
Miraglia

di Filippo Miraglia

L’Unione Europea, non da sola purtroppo, da anni ha scelto un’identità costruita in prevalenza sulla negazione dei diritti delle persone d’origine straniera e dei rifugiati.

Le forze della destra xenofoba hanno fatto del razzismo la loro arma principale per raccogliere consenso e costruire un legame forte con le fasce di popolazione più colpite dalle crescenti diseguaglianze. Al contempo, partiti e movimenti democratici, conservatori o progressisti, hanno cercato di sottrargli elettori rincorrendole sul loro stesso terreno: un po’ perché pervasi da elementi della stessa cultura xenofoba, un po’ per mancanza di coraggio e visione che gli permettesse di contendere l’egemonia culturale alla destra sfidandola sul tema dei diritti.

Una strategia che, nonostante in questi ultimi anni abbia mostrato più volte, in più contesti e a più riprese, di essere perdente, una parte dei gruppi dirigenti, anche della famiglia europea dei socialisti e democratici, si ostina a riproporre, perseverando diabolicamente nell’errore.

Così i governi dell’UE, i consigli europei, la Commissione, si ritrovano sempre più di frequente a organizzare piani (i cosiddetti “compact”), summit e campagne che hanno come unico obiettivo rimpatriare o respingere le persone che cercano di attraversare le frontiere e bloccare i flussi lontano dall’UE, nei Paesi d’origine o di transito: in altre parole, esternalizzare le frontiere.

Una vera e propria resa ai trafficanti di esseri umani che organizzano il business dell’attraversamento irregolare delle frontiere. Per di più aggravata dalla progressiva chiusura di qualsiasi canale regolare d’ingresso, ossia la possibilità per le persone che vogliono lasciare il proprio Paese per ragioni economiche, alla ricerca di un lavoro o per avere protezione, di rivolgersi direttamente agli Stati.

La giustificazione addotta è che tale processo venga realizzato in nome della sicurezza (la lotta al terrorismo) o, addirittura, della solidarietà (aiutiamoli a casa loro): ma i fatti contraddicono palesemente queste intenzioni.

Nel 2015 l’UE sottoscrive l’accordo con la Turchia di Erdogan (6 miliardi di euro per chiudere la frontiera greco turca), per impedire a chi scappava da guerre e conflitti (l’80% degli arrivi in quella fase provenivano da Siria, Afghanistan e Iraq) di mettersi in salvo in Europa, consegnandoli nelle mani di un despota che chiude in galera o fa sparire oppositori e giornalisti e che, come molte inchieste indipendenti testimoniano, ha legami solidi proprio con i terroristi.

Sul fronte della solidarietà, poi, si pensi a come l’Italia abbia eroso progressivamente le risorse destinate alla cooperazione internazionale: il rapporto fra Aiuto Pubblico allo Sviluppo e ricchezza nazionale sarà nel 2020, con ogni probabilità, sotto la soglia dello 0,25%, ben lontano dall’obiettivo dello 0,70% da raggiungere entro il 2030.

Nel frattempo, però, si trovano risorse per finanziare la cosiddetta guardia costiera libica che riporta nei lager, usati per la compra vendita dei prigionieri stranieri, le persone che cercano di fuggire dopo aver pagato un caro prezzo: ciò nonostante siano molto ben documentati i suoi legami con le milizie che si contendono con ogni mezzo il controllo del territorio.

D’altra parte le discussioni in corso sul prossimo budget europeo (MFF 2021-2027) rendono evidente l’intenzione di investire sempre più proprio sull’esternalizzazione. Gli Stati puntano a recuperare risorse per il controllo delle frontiere in tutti i capitoli di spesa: dai fondi per lo sviluppo e la cooperazione internazionale (per cui si parla di un uso del 10% del NDICI sul tema delle migrazioni), ai fondi interni per integrazione ed accoglienza (distraendo una parte del fondo AMIF), fino al budget per la sicurezza e la difesa, in cui sempre più si prevedono spese per la ricerca e la produzione di materiale di controllo.

Questa disponibilità di nuove e crescenti risorse ha di fatto attratto l’interesse delle aziende che producono droni, sistemi biometrici, radar e mezzi attrezzati per il controllo di terra e di mare, aprendo un vero e proprio nuovo business che influenza, attraverso interessi privati e attività di lobby, le scelte politiche operate in questo campo.

Per cancellare questo ennesimo prodotto avvelenato delle politiche proibizioniste nel campo dell’immigrazione, è necessario agire immediatamente dal lato della “domanda”, introducendo canali d’accesso legali per la ricerca di lavoro e la richiesta di protezione: soltanto così si potrà stroncare questo “mercato del controllo”, che oggi rischia di essere l’unico elemento che accomuna i Paesi dell’UE, affidando nuovamente alla Politica la gestione dei flussi migratori.

immigrazione, migranti, richiedenti asilo
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