di Franco Ferrari – Sarebbe un azzardo prevedere l’esito delle elezioni regionali in Emilia-Romagna a due settimane dal voto. Si può solo fare riferimento agli ultimi sondaggi che danno un certo vantaggio al presidente uscente Stefano Bonaccini. I sondaggisti hanno rilevato una difformità tra i dati di consenso delle varie liste dai quali emerge un vantaggio del centro-destra, con la Lega primo partito, e le preferenze per i candidati presidente.
Il sistema elettorale consente il voto disgiunto, ovvero la possibilità di votare per un partito e per un candidato presidente diverso da quello sostenuto da quel partito. Un meccanismo sul quale conta Bonaccini soprattutto per raccogliere voti tra gli elettori dei 5stelle visto che il loro partito è pressoché inesistente nella campagna elettorale. Ma si tratta di una scelta che riguarda in generi votanti ben informati e a conoscenza dell’esistenza di un meccanismo ignoto ai più. Probabile invece che possa contare su quella quota di elettori che optano per scegliere solo il Presidente senza esprimere il voto per un partito. Sono questi che potrebbero fare la differenza.
Bonaccini è considerato più popolare (o meno impopolare) del partito a cui appartiene. La ricerca del voto di opinione che apprezzi solo una “buona amministrazione” uscente a prescindere dalla sua caratterizzazione politica è una carta sul quale l’esponente PD ha puntato fin dall’inizio.
La campagna elettorale si presenta quindi come nettamente asimmetrica. A destra la Lega punta sui due registri, quello nazionale con un impegno diretto e spasmodico di Salvini per coprire tutto il territorio regionale ed in particolare i comuni piccoli e medi. E quello regionale con la Borgonzoni che cerca di incanalare tutto il malcontento che si è accumulato per i motivi più diversi. Per la destra lo scontro è tutto politico e vede di fronte la Lega e il PD.
E’ questo uno degli elementi caratterizzanti di questo confronto elettorale. La Lega stimola un voto di appartenenza, mentre il candidato PD cerca un voto amministrativo e locale. Sapremo il 26 gennaio quale strategia ha pagato di più, sicuramente in questo momento si può dire che la destra sia all’offensiva mentre il PD si trova decisamente in difesa.
Salvini, consapevole di trovarsi in una regione che ha un passato di sinistra, si muove con una certa accortezza per tentare di unire elettorati diversi e che, fino a non molto tempo fa, sarebbe stato impossibile sommare. Da un lato c’è tutta la tradizione anticomunista, anche quella più becera e anacronistica. Se si analizzano i commenti su facebook ai post sponsorizzati dalla Lega si possono leggere molti che vedono il voto del 26 gennaio come una liberazione dal “comunismo”. Questa reazione pavloviana è volutamente sollecitata dalla strategia leghista dove non mancano grafiche nelle quali la falce e martello viene sovrapposta alle facce dell’eterno democristiano Prodi e del renziano d’assalto Bonaccini.
Contemporaneamente il leader leghista strizza l’occhio a qualche simbolo della storia comunista, come Berlinguer o l’immaginario Peppone di Guareschi per intercettare quella parte di elettorato, soprattutto anziano, che un tempo votava a sinistra e che oggi non sente più alcune legame emotivo col PD che vede anzi sempre più come partito dell’establishment, lontano dalla realtà e dei bisogni dei ceti popolari.
Il tema della “liberazione” dell’Emilia-Romagna, dal punto di vista dell’elettorato, va letto come confluenza di più significati. Quello già richiamato di chi vi vede una rivincita sulla resistenza antifascista, o sul prevalere del Fronte popolare del ’48 (almeno in questa regione), ma anche come liberazione da un meccanismo di gestione del potere che, abbandonando l’ispirazione ideologica che lo aveva legittimato, attraverso una serie di abiure successive, sembra incapace di riconoscere condizioni di disagio e di incertezza che pesano su una parte importante della società emiliano-romagnola.
La campagna di Bonaccini punta sulla paura della destra, timore comprensibile per gli aspetti più reazionari che la animano, ma forse non sufficiente a conquistare elettori tentati da un generico bisogno di cambiamento. D’altra parte la continua esaltazione di una (a volte vera a volte presunta) superiorità dell’Emilia-Romagna diventa appiattimento sull’esistente. Un messaggio che trova consenso tra i ceti garantiti, ma non intercetta i molti malumori e le difficoltà che ci sono.
Il successo delle destre nazional-populiste si consolida proprio in parte dei settori popolari perché queste li nominano e li riconoscono (e in parte li deformano come è evidente nell’agitazione delle tematiche xenofobe e anti-immigrati) mentre la sinistra liberale sembra incapace anche di fare solo questo.
L’impostazione della campagna elettorale decisa da Bonaccini dà un impressione di solitudine ed anche di difficoltà a rispondere ad attacchi che la Lega porta contemporaneamente sui due livelli, nazionale e regionale. Il PD in quanto forza politica, a partire dal suo segretario è assente dallo scontro elettorale. Alcune mosse recenti come la previsione, da parte di Zingaretti, di un superamento o trasformazione del PD in qualcos’altro non ben definito, o lo stesso tentativo di Conte di ridurre l’impatto politico del voto, sembrano un mettere le mani avanti rispetto alla possibilità della sconfitta, piuttosto che un squillo di tromba per mobilitare i propri militanti.
In tutto questo, l’emergere delle sardine ha consentito, per un certo periodo di spostare l’attenzione mediatica dall’offensiva salviniana alla reazione polemica nei suoi confronti. Le indicazioni dei sondaggi non sembrano però segnalare un effetto reale sull’orientamento di voto degli elettori. La prossima iniziativa che terranno a Bologna, dal forte significato pre-elettorale, potrebbe forse aiutare a mobilitare gli elettori anti-salviniani, ma la scelta di non entrare nel merito dei contenuti politici che potrebbero caratterizzare una vera alternativa alla destra, rischiano di indebolire l’impatto del loro messaggio.
In questo contesto, la sinistra alternativa (in particolare l’Altra Emilia-Romagna) ha cercato di portare all’attenzione una serie di temi che prefigurano un modello di sviluppo alternativo a quello della destra, ma inevitabilmente anche a quello sul quale vuole continuare a marciare Bonaccini. Per altro, se si va al merito dei problemi (dall’autonomia differenziata alla logica della cementificazione e delle grandi opere e alla privatizzazione strisciante del sistema sanitario) le differenze tra PD e Lega sono assai meno significative di quanto appaia dal clamore mediatico e dall’enfasi delle rispettive tifoserie.
Il dibattito sui contenuti, in questa campagna elettorale, è quasi inesistente e questo rende difficile uscire dalla polarizzazione costruita attraverso il sistema elettorale maggioritario voluto dalla maggioranza PD. Anche questo ha reso contendibile l’Emilia-Romagna da parte di una destra particolarmente aggressiva. Bisognerà chiedersi come questo è stato possibile arrivando a disperdere un patrimonio di coscienza e di lotte democratiche che sono costate tanto a tanti.
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Ottima analisi.