“Parresiasta” è una parole tanto bella quanto difficile, che deriva dal greco “parresìa”, una parola composta di “pan” (= tutto) e “rhema” (= parola, discorso). Il parresiasta è dunque colui che dice tutto, dove tutto sta per tutta la verità. Pagando per questa sua scelta il prezzo altissimo che le società degli uomini fanno sempre pagare a chi dice la verità, da Socrate in poi. Fino ad Assange.
Io sono a conoscenza di un solo parresiasta oggi in Italia: Daniele Luttazzi. “Amici, Romani, compagni, prestatemi orecchio; io vengo a parlare di Luttazzi, non a lodarlo”. D’altronde credo che sarebbe anche ora di finirla di lodare i nostri grandi, i geni, solo post mortem, come è stato fatto vergognosamente con Gianni Minà, da tutti escluso in vita, da tutti lodato in morte.
Sì, intendo parlare proprio quel Daniele Luttazzi che – dicono – è un comico. Ma, anche se molte sue battute sono esilaranti, Luttazzi non è un comico, o non è solo un comico. Prescindendo per un momento dalle sue performances comiche teatrali o letterarie, basti leggere le pagine che da molto tempo scrive sul “Fatto quotidiano” per capire che abbiamo a che fare con un conoscitore profondo, un vero specialista, della semiologia testuale e della retorica, certo fra i primi nel nostro paese. A questo si aggiunge una profonda conoscenza del mestiere, e un’altrettanto profonda padronanza di precedenti ed esempi contemporanei (americani, in specie).
Il fatto è che nelle società prive di libertà, cioè in tutte, la parresìa si deve nascondere, e il nascondiglio più efficace e tradizionale è la comicità. Lo usarono già i grandi drammaturghi e poeti greci e latini, e poi nel medioevo, quando – attesta Foucault – la parola stessa “parresìa” scomparve a fronte dell’insediarsi totalitario del nuovo potere ecclesiastico, i parresiasti si travestirono da buffoni di corte e da clown, fino al nostro Dario Fo. E così la parresìa sopravvisse.
Il parresiasta Luttazzi è stato censurato e perseguitato in ogni modo, cacciato dalle TV, fatto oggetto di richieste di risarcimento intimidatorie (41 miliardi gli chiese Mediaset, e non fu il solo caso: sempre assolto, ma quelle cause costarono, e durarono anni, e misero paura), e contro di lui i servi dei servi si esercitarono, anche curando un apposito sito anonimo, nella più sciocca e vile delle accuse, quella di copiare battute altrui.
Ora il parresiasta Luttazzi non arretra di fronte al più grande dei tabù, la guerra, sostenuta da tutti i media oscenamente (queste sono le vere oscenità, non le battute di Luttazzi sugli organi genitali) e fa parte del sostegno alla guerra la bastonatura mediatica di chiunque osi parlare di pace (“putiniano!”, “c’è un aggressore e un aggredito”, e così via). Ma perfino della guerra il parresiasta osa parlare, con parole di verità, cioè di opposizione alla guerra.
Ora Luttazzi ha aperto un altro fronte di verità riguardo un problema cruciale, forse il più importante del nostro tempo: ha rivelato che i social e la stessa rete internet, ben lungi da essere uno spazio di libertà sono invece ferreamente controllati dalla CIA e dalle sue emanazioni. Rinvio ad alcuni degli articoli di Luttazzi sull’argomento, comparsi sul “Fatto” nella rubrica “Non c’è di che” il 22 marzo, il 31 marzo, il 4 aprile, il 6 aprile, etc.
Tutti i social media sono controllati dalle “manone della CIA” (come Luttazzi scrive), o direttamente oppure indirettamente tramite la presenza di ex-agenti CIA, FBI e NSA nei vertici del monopolio globale del web (o un oligopolio strettissimo: GAFAM, l’acronimo di Google, Amazon, Facebook, Apple, Microsoft), con il solito sistema delle “porte girevoli” (dalle aziende alla CIA e dalla CIA alle aziende).
Inoltre, per paradosso, sono del tutto embedded anche le agenzie di fact-checking (come l’italiana Open di Enrico Mentana) che proclamano di avere il ruolo di controllare obiettivamente e di smentire le false notizie, ma che in realtà sono dirette emanazioni del più grande apparato di false notizie e menzogne che la storia abbia mai conosciuto, l’imperialismo americano, essendo tali agenzie “certificate” dall’IFCN ovvero dal Poynter Institute, entrambi finanziati dal NED, cioè dalla CIA. Un po’ come se il compito di certificare la moralità pubblica e la pubblica onestà fosse affidato a Berlusconi o a Messina Denaro.
Per capire cosa tale controllo totalitario e capillare significhi proviamo a pensare cosa significherebbe se questo si verificasse nel mondo della stampa, anziché nel web: sarebbe come se nel mondo intero ci fosse un solo editore, e questo editore fosse di un solo paese, e questo editore avesse il potere di pubblicare o non pubblicare ciò che vuole, di decidere lui, attraverso i suoi mitici e misteriosi “algoritmi”, quali e quante notizie debbono arrivare e a chi e in quale quantità, di costruirsi una immensa mole di dati anche personali dei lettori (di valore anche commerciale inestimabile e alla faccia della privacy) in totale autonomia e senza alcun controllo, infine di decidere lui a suo totale arbitrio quali notizie, quali lettori, perfino quali parole escludere (“bannare”) dal “grande gioco” della comunicazione universale. (Provate a vedere cosa vi succede se osate digitare in Facebook il nome del leader kurdo attualmente in carcere: io evito di scrivere qui quel nome).
Ma il paragone zoppica per difetto, perché la stampa non ha mai invaso le nostre vite in modo pervasivo, mentre tramite gli smartphone noi siamo collegati ai social molte ore al giorno, e i giovani ancora di più. Io stesso che scrivo queste righe e tu che le leggi non possiamo prescinderne.
Ora notizie come queste che Luzzatti riporta dovrebbero aprire i telegiornali e le prime pagine dei quotidiani a nove colonne, ed essere fatte oggetto di allarmi e continui dibattiti; ma questo accadrebbe se esistesse la libertà di informazione, che invece non esiste, e dunque di queste notizie davvero fondamentali che riguardano direttamente la sopravvivenza stessa della democrazia nessuno parla, nessuno deve sapere, nessuno sa. Fa eccezione il parresiasta Daniele Luttazzi.
Io (che non lo conosco personalmente) non so come Luttazzi voti, e non so neanche se voti comunista oppure no. So però (con Gramsci) che la verità è una componente essenziale della rivoluzione, e dunque sento il bisogno di ringraziare pubblicamente il parresiasta Daniele Luttazzi.
Raul Mordenti, 17 aprile 2023