Paesi chiave dell’Africa subsahariana – come Kenya, Uganda e Nigeria – sono investiti dalle rivolte dei movimenti della Generazione Z. Ispirati dal movimento democratico e popolare che ha portato all’elezione alla presidenza di Bassirou Diomaye Faye in Senegal in aprile, i nuovi movimenti, slegati da aggregazioni tribali e da politici tradizionali, protestano contro le politiche di austerity dei loro governi imposte dai programmi di ristrutturazione del debito del Fondo Monetario Internazionale, un ente finanziario che opera per rafforzare un regime estrattivo neocoloniale. Sono espressione di una nuova composizione sociale e chiedono maggior partecipazione democratica, più giustizia ed equità sociale, meno tasse e più lavoro. Finora hanno dovuto affrontare le brutali repressioni dei loro governi, ma la situazione è in rapida evoluzione.
Il 18 giugno, la capitale Nairobi è stata investita da una grande protesta non violenta mentre migliaia di persone hanno manifestato contro gli aumenti fiscali proposti dal governo e “suggeriti” dal Fondo Monetario Internazionale che da decenni impone fallimentari prescrizioni finanziarie ai paesi poveri indebitati1. L’ondata di proteste spontanee è stata in gran parte guidata da giovani – la Generazione Z (dagli 11 ai 26 anni) – di tutti i gruppi etnici appartenenti alla classe media che si sono organizzati sui social media (WhatsApp, X, TikTok, Instagram e Facebook, sotto hashtag come #RejectFinanceBill, #GenZ, #totalshutdown e #occupyparliament dove i giovani manifestanti hanno pubblicato i filmati delle manifestazioni e degli scontri con gli agenti di polizia), contro il controverso disegno di legge finanziaria contenente nuove tasse (IVA sul pane del 16%, sulle verdure, sull’olio da cucina del 25%; e una tassa annuale del 2,5% sulla proprietà di automobili; una tassa sulle transazioni finanziarie con carte di credito o applicazioni per lo scambio di denaro, che sono utilizzate massivamente dai giovani) che molti temevano potessero aumentare il già elevato costo della vita e causare perdite di posti di lavoro.
Due anni fa, gli stessi giovani vennero derisi e definiti “disimpegnati” perché non si erano registrati come elettori e non si erano presentati alle elezioni generali. Ora questi giovani chiedono maggior partecipazione democratica, più giustizia ed equità sociale, meno tasse e più lavoro. In un mix di inglese, swahili e sheng (lo slang di Nairobi) discutono anche di corruzione o dell’influenza del FMI sulla politica del presidente Ruto. La frustrazione tra i kenyani per lo stato dell’economia e la percepita insensibilità del governo alla difficile situazione dei cittadini covava da anni, ma l’improvvisa azione di piazza ha colto di sorpresa le autorità.
Il movimento della Generazione Z kenyana si è ispirato a quello della Generazione Z del Senegal che si era messo in moto nel 2021 e che ha portato alla clamorosa elezione a presidente di Bassirou Diomaye Faye (44 anni), che solo 10 giorni prima era in prigione (si veda il nostro articolo), insediatosi il 2 aprile. Diomaye Faye (come il suo mentore/amico/alleato Ousmane Sonko) ha un orientamento politico di sinistra (definito “populista di sinistra” dagli osservatori) e ha proposto un cambiamento radicale del sistema politico – una rottura totale con il sistema politico dell’ex presidente Macky Sall (per 12 anni al potere) – e una maggiore sovranità anti-francese e panafricana. Anche le proteste della Generazione Z kenyana hanno sottolineato un enorme cambiamento nella politica nazionale, scuotendola da decenni di predominio di uomini forti di partito e lealtà etniche. Nel giro di una sola settimana, quella che è iniziata come un’ondata di rabbia online da parte di giovani kenyani esperti di tecnologia digitale contro le tasse proposte su pane e pannolini si è trasformato in un movimento nazionale, capace di aggregare anche giovani disoccupati e poveri, slegato da aggregazioni tribali e da politici che tradizionalmente hanno radunato le masse: lo slogan gridato in piazza è ”senza tribù, senza paura e senza leader”.
Molti dimostranti hanno detto di averne abbastanza di un sistema politico in cui i grandi partiti si alternano al potere e incanalano lavori e opportunità verso sostenitori e persone dei loro gruppi etnici. “I nostri genitori ci hanno deluso. Hanno votato in base alle linee tribali“, ha detto a Reuters il 26enne Derick Kolito che ha conseguito un master in contabilità ma non è riuscito a trovare un lavoro. “Sono figlio di contadini. Devi avere un padrino per trovare un lavoro… Vorrei essere nato in un altro paese“. La divisione tra i principali gruppi etnici è stata tradizionalmente un fattore chiave della politica e delle proteste, con i membri di un gruppo che si sono schierati contro quello che vedono come favoritismo verso un altro. Ma alle dimostrazioni e nei forum online dove si sono riuniti per discutere e elaborare strategie, i dimostranti si sono attenuti a lamentele comuni, tra cui forti aumenti del costo della vita e corruzione diffusa2.
Gli alleati di Ruto hanno inizialmente liquidato le proteste come un impeto di rabbia da parte di ragazzi ricchi e privilegiati. “Arrivano alle proteste con Uber. Quando se ne vanno, vanno al KFC [Kentucky Fried Chicken] a mangiare pollo“, ha detto ai suoi sostenitori il leader della maggioranza parlamentare Kimani Ichung’wah. Il tentativo di silenziare la piazza impedendo nuove manifestazioni, è fallito. La Corte di giustizia ha detto no al “divieto” della polizia di scendere in piazza. E in brevissimo tempo le proteste si sono trasformate in un’ondata di rabbia molto più ampia che è diventata la crisi più seria della presidenza di Ruto, lasciandolo a bocca aperta nel tentativo di trovare una risposta.
Ruto ha vinto le elezioni quasi due anni fa (agosto 2022) con il 50,5% dei voti, con un programma populista di difesa dei lavoratori poveri e dei giovani emarginati del Kenya3. Aveva affermato di essere un “hustler” (“uno che si dà da fare per vivere”) e aveva promesso di alleviare le difficili condizioni di vita dei redditi bassi reprimendo la corruzione radicata che ha indebolito le istituzioni del Kenya. Aveva anche promesso di riformare una forza di polizia a lungo criticata per la brutalità, limitare gli sprechi governativi e liberare il paese dal suo enorme debito di 82 miliardi di dollari. La piattaforma della sua campagna ha abbracciato quello che lui ha definito un approccio bottom-up per dare priorità a milioni di persone che cercano di arrivare a fine mese. Il suo messaggio parlava a venditori ambulanti, riders e altri commercianti di piccola e media scala che credevano che li avrebbe sollevati economicamente. Da allora, però, le tasse sono aumentate, con conseguente aumento del costo della vita. Ruto si è trovato intrappolato tra le richieste contrastanti di creditori come l’FMI, che ha esortato il governo a tagliare il deficit per ottenere maggiori finanziamenti, e una popolazione in difficoltà. I keniani hanno dovuto far fronte a diversi shock economici causati dall’impatto persistente della pandemia di CoVid-19, dalla guerra in Ucraina, dalle azioni terroristiche del gruppo islamista salafita di al-Shabaab (“i ragazzi” in somalo) legato ad Al Qaeda4, da due anni consecutivi di siccità (che ha provocato milioni di profughi) e dal deprezzamento della valuta.
Già il 18 giugno, prima della seconda lettura del disegno di legge finanziaria 2024/25 in Parlamento, la polizia keniota, che ha una meritata reputazione di brutalità, ha arrestato decine di persone e ha usato gas lacrimogeni e idranti, colpendo diversi dimostranti. Lo stesso giorno, la Commissione parlamentare per le finanze ha annunciato che avrebbe eliminato alcune clausole, sebbene molte imposte controverse rimanessero, tra cui quelle sui trattamenti contro il cancro e sui prodotti sanitari femminili.
Il 20 giugno, nonostante l’ondata di opinione pubblica contraria alle misure, l’Assemblea nazionale ha votato per far passare la legislazione alla fase successiva, con 204 dei 349 membri del Parlamento che hanno votato sì e 115 no. Le proteste sono quindi riprese e si sono diffuse nelle città (da Nairobi a Mombasa, Kisumu e Garissa) e villaggi di tutto il Kenya, attraversando il panorama geografico, sociale ed etnico del paese5. Gli scontri con le forze di sicurezza hanno causato 200 feriti; a Nairobi, la polizia ha sparato e ucciso un dimostrante, mentre un altro è morto quando è stato colpito da un candelotto lacrimogeno. Il 23 giugno, Ruto ha accennato alla possibilità di colloqui, dicendo che i keniani erano stati ispirati dalle proteste pacifiche e “senza tribù” e promettendo che la sua amministrazione era desiderosa di ascoltare i giovani. Allo stesso tempo, tuttavia, individui non identificati, ampiamente ritenuti ufficiali di polizia, hanno rapito diversi degli individui più importanti che mobilitavano le proteste. La maggior parte è stata rilasciata entro 24 ore dopo un clamore sui social media.
Poi, il 25 giugno, proprio il giorno in cui la missione di polizia multinazionale guidata da Nairobi è arrivata ad Haiti dopo ritardi6, un gruppo di dimostranti (accusati di essere degli infiltrati dal movimento) ha preso d’assalto il Parlamento dopo che i legislatori avevano approvato il controverso disegno di legge (con delle concessioni che avrebbero creato un buco di 200 miliardi di scellini kenioti, pari a 1,56 miliardi di dollari, nel bilancio 2024/25, costringendo il governo a tagliare la spesa o ad aumentare le tasse altrove), dando fuoco a parti dell’edificio. Gli slogan per le strade e sui social media sono passati dalle tasse alle richieste di una completa revisione politica. “Ruto deve andarsene!“, scandiva la folla. La Kenya Medical Association ha affermato che almeno 23 persone sono state uccise e decine ferite mentre la polizia ha sparato proiettili veri per disperdere i dimostranti7. Anche l’attivista, sociologa e giornalista keniota Auma Obama, sorellastra dell’ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama, era tra i dimostranti colpiti dai gas lacrimogeni durante la dimostrazione. I servizi Internet in tutto il paese hanno subito gravi interruzioni durante la repressione della polizia8. Secondo Iringu Houghton, direttore di Amnesty Kenya, alcuni noti influencer e blogger presenti alla dimostrazione sarebbero stati rapiti da agenti o collaboratori della polizia. La Croce Rossa ha denunciato le azioni violente delle forze dell’ordine nei confronti del suo personale e dei volontari.
La costituzione keniota, una delle più progressiste in Africa, afferma che la legislazione dovrebbe arrivare all’aula del Parlamento solo dopo una significativa “partecipazione pubblica“. Prima che la legislazione venga discussa, la legge stabilisce che inserzioni informative pubblicitarie debbano essere pubblicate sui media invitando il pubblico a commentare la proposta in questione. Sebbene il Parlamento generalmente rispetti tecnicamente questi requisiti, i critici affermano che lo fa in modo superficiale e che i parlamentari raramente prendono in considerazione le opinioni del pubblico. Nel caso del disegno di legge sulle finanze, solo dopo un’importante protesta pubblica e il primo giro di proteste i parlamentari del partito al governo hanno rimosso le disposizioni più impopolari, tra cui la tassa sul pane e la “tassa ecologica“. Ma data la portata delle proteste e l’opposizione al disegno di legge nella sua interezza, la decisione di farlo passare a forza in Parlamento anziché consentire ulteriori consultazioni è stata chiaramente una forzatura.
Il giorno dopo, il presidente Ruto ha dichiarato che non avrebbe firmato la legge e che avrebbe avviato un dialogo con i giovani che però ormai lo consideravano inaffidabile. Le proteste sono continuate il 27 giugno, anche se su scala ridotta, con alcuni membri delle forze di difesa schierati a Nairobi per garantire la calma. In un discorso alla nazione il 30 giugno, Ruto ha detto di aver ascoltato “con attenzione il popolo del Kenya, che ha detto ad alta voce che non vuole avere nulla a che fare con questa legge finanziaria”, che quindi sarebbe stata ritirata. Il Presidente si è detto pronto a tagliare i costi della politica, a cominciare da quelli della Presidenza e anche di voler concentrare la sua azione sui più deboli. Ha anche affermato che le autorità prenderanno in considerazione l’idea di vietare le raccolte pubbliche di fondi (note in Kenya come harambees), in cui i politici effettuano ingenti donazioni in denaro apparentemente per sostenere cause sociali. I critici vedono questi eventi come occasioni in cui i politici distribuiscono fondi acquisiti in modo discutibile, come forma di clientelismo politico.
L’11 luglio Ruto ha licenziato gran parte del suo governo (lo scioglimento del governo era diventata una delle richieste chiave dei manifestanti), ma le manifestazioni contro il suo governo e la corruzione sistemica sono continuate. Anche vescovi e parroci cattolici di diverse diocesi si sono ufficialmente schierati con le nuove generazioni e soprattutto hanno preso parola contro la violenza della polizia in strada9.
I manifestanti hanno respinto gli appelli al dialogo lanciati dal presidente Ruto anche tramite le reti social e dai primi di luglio le proteste si sono allargate ai giovani delle classi popolari e delle bidonville, anche in seguito alle violenze perpetuate dalla polizia durante le manifestazioni dell’ultima settimana di giugno. Il 16 luglio è stato di almeno tre morti (uno a Nairobi e due a Kibwezi), e di decine di feriti, il bilancio delle vittime delle nuove manifestazioni di protesta tenutesi in diverse città. A migliaia sono di nuovo scesi in piazza per quello che è stato chiamato “martedì di chiusura totale”, una giornata di protesta organizzata per chiedere le dimissioni del presidente Ruto che i manifestanti hanno accusato di essere il burattino del FMI che ha imposto le radicali misure di austerity, privatizzazione e pressione fiscale in cambio di un prestito complessivo di circa 3,6 miliardi di dollari. I disordini sono scoppiati nelle principali città sempre quando la tensione si è alzata e i manifestanti sono entrati in contatto con le forze di sicurezza, che inizialmente per tenerli alla larga hanno utilizzato gas lacrimogeni e cariche di alleggerimento. In diverse città però si sono anche sentiti degli spari, durante gli intensi scontri.
Il 25 luglio, la polizia keniota ha arrestato diverse persone che hanno tentato di presentare una petizione all’ufficio del presidente e di deporre fiori in onore di coloro che sono stati uccisi nelle manifestazioni del 25 giugno, il giorno più violento delle proteste antigovernative. Tra gli arrestati c’era Boniface Mwangi, un importante attivista coinvolto nelle proteste, e alcuni dei genitori delle persone uccise il 25 giugno, come Caroline Nduku Mutisya, il cui figlio Erickson Mutisya è stato ucciso a colpi di arma da fuoco. I video pubblicati sui social media dagli attivisti mostrano i manifestanti, poco prima di essere arrestati, mentre portano croci bianche macchiate di rosso e scandiscono: “Siamo pacifici!” “Non permetteremo che la loro morte sia vana“, hanno detto gli attivisti. “Non permetteremo che il nostro Paese torni mai più alla realtà per cui non puoi uscire a protestare per paura che un proiettile possa toglierti la vita“.
Ruto ha intensificato le sue critiche al movimento di protesta e ha giurato di fermare le dimostrazioni, dicendo che stavano causando “caos e anarchia“. Gli attivisti antigovernativi hanno attribuito gli episodi di violenza e saccheggio a teppisti assoldati dai politici per screditare il movimento e promuovere i propri programmi. Il fatto che non ci sia una struttura del movimento rende facile che questo venga infiltrato da bande criminali, come si è visto nelle più recenti proteste caratterizzate da violenze e saccheggi di negozi e supermercati che hanno portato paura. Il movimento sta cercando di organizzarsi per proteggersi. Per molti giovani manifestanti, che sono per lo più pacifici e portano con sé solo bandiere, bottiglie d’acqua e smartphone, scendere in piazza è diventato molto pericoloso soprattutto per l’uso eccessivo della forza da parte della polizia e dell’esercito.
Molti manifestanti chiedono le dimissioni di Ruto e sono arrabbiati per le sue nomine nel nuovo governo. La maggior parte (cinque) sono gli stessi del governo precedente e alcuni (quattro) sono membri del principale partito di opposizione. I manifestanti hanno condannato questo accordo come “corrotto” perché perpetua la tradizione di leader che cooptano l’opposizione a spese della popolazione10.
Ruto afferma che il nuovo governo riflette l’unità nazionale e affronterà le richieste del movimento di protesta. In un discorso dalla sua residenza ufficiale, ha definito il nuovo governo “una partnership visionaria per la trasformazione radicale del Kenya” e ha ringraziato coloro che si erano consultati sulla sua formazione per lo “storico gesto del loro patriottismo“. Ha promesso che avrebbe proposto emendamenti alle leggi anticorruzione e sugli appalti pubblici11 e ha chiesto alla polizia di rilasciare le persone innocenti che potrebbero essere state arrestate durante le dimostrazioni. Ha anche promesso di indagare sui presunti abusi da parte delle forze di polizia durante le dimostrazioni, ma ha ampiamente difeso la loro condotta. Ha nominato Douglas Kanja a capo del servizio di polizia nazionale. Kanja ha svolto di fatto quel ruolo dal 12 luglio, quando il suo predecessore si è dimesso in seguito alla condanna della risposta della polizia alle proteste. Kanja è un agente di polizia di carriera con quasi quattro decenni di esperienza e ha ricoperto il ruolo di vice ispettore generale delle forze di polizia.
Secondo la Commissione nazionale per i diritti umani del Kenya (KNCHR), finanziata dal governo, da metà giugno, quando i manifestanti hanno iniziato a scendere in piazza per opporsi all’aumento delle tasse proposto dal presidente William Ruto, sono state uccise più di 50 persone, mentre circa 500 sono state ferite. KNCHR ha inoltre affermato che circa 700 persone sono state arrestate arbitrariamente e 59 sono state rapite o risultano scomparse in relazione alle proteste. Ma il numero delle persone uccise è destinato ad aumentare anche in relazione al ritrovamento di una decina di corpi di donne in una discarica12.
Decolonizzare l’economia kenyana
Ciò che la crisi kenyana ha finora dimostrato è che il paese può avere la democrazia o l’estrazione neocoloniale, ma non entrambe le cose, perché la democrazia significa rispondere alle richieste del popolo keniota in termini di creazione di posti di lavoro, assistenza sanitaria, istruzione, alloggi, trasporti e protezioni sociali di base sotto un regime fiscale giusto ed equo, mentre l’estrazione coloniale significa la distruzione della sovranità economica e monetaria, austerità per i poveri, stili di vita stravaganti e “brillanti” per le élite, corruzione, ingiustizia ed esclusione socioeconomica sotto un regime fiscale che accelera i motori dell’intrappolamento economico.
Come ha argomentato Fadhel Kaboub, consulente senior presso Power Shift Africa, sul Guardian, non si può democratizzare un sistema che non è stato ancora strutturalmente ed economicamente decolonizzato. Nonostante le istituzioni democratiche del Kenya, le elezioni trasparenti, la magistratura indipendente, la libertà di parola e gli spazi vivaci della società civile, i suoi governi eletti minano sistematicamente le richieste sociali ed economiche della popolazione del Kenya, non tanto perché quei governi desiderino ignorare il mandato loro conferito dall’elettorato, quanto perché devono affrontare pressioni finanziarie dall’estero che li costringono a dare priorità al servizio del debito estero e alle esigenze finanziarie dei creditori e degli investitori stranieri13.
Nel 2019, il Kenya ha utilizzato il 19% dei suoi ricavi dalle esportazioni per pagare il debito estero; oggi quel numero è balzato fino a quasi il 50%. Quando un paese utilizza metà dei suoi ricavi dalle esportazioni per pagare gli interessi sul suo debito estero invece di investire nei pilastri fondamentali dello sviluppo e della prosperità, non sorprende vedere il tipo di rivolta che abbiamo visto a Nairobi contro la legge finanziaria del 2024/25. Il fatto che il Kenya sia in una “trappola del debito” dopo decenni di osservanza delle prescrizioni politiche del FMI significa che o il FMI è incompetente o sta intenzionalmente tentando di intrappolarlo economicamente. È il debito la fonte di potere del FMI. È il debito che costringe i paesi a rivolgersi al FMI come prestatore di ultima istanza. È il debito che costringe i paesi ad accettare le dure condizioni di prestito del FMI e i consigli coercitivi sull’austerità, minando i loro stessi obiettivi di sviluppo14. Sarebbe tempo di porre fine all’intrappolamento neocoloniale – attraverso l’istituzione di un nuovo meccanismo alternativo di risoluzione del debito nell’ambito delle Nazioni Unite, creando un quadro trasparente, vincolante e multilaterale per la risoluzione delle crisi del debito – e di decolonizzare l’economia keniota.
Decolonizzare l’economia keniota significa sfuggire ai ruoli coloniali che sono stati imposti al Kenya per fungere da: 1) fonte di materie prime a basso costo; 2) consumatore di produzione industriale e tecnologie dal nord del mondo; 3) destinatario di tecnologie obsolete e di produzione esternalizzata su catena di montaggio o ad alta intensità di lavoro (come il settore tessile/abbigliamento) che non è più necessaria e profittevole nei paesi industrializzati, bloccando così il Kenya in modo permanente in fondo alla catena del valore globale.
In effetti, la crisi del debito estero del Kenya è il sintomo di trappole strutturali neocoloniali che includono deficit alimentari, energetici e manifatturieri. In primo luogo, le maggiori esportazioni agricole del Kenya sono tè15, fiori recisi16, tabacco e caffè (colture commerciali coloniali), mentre le sue importazioni includono colture principali come grano, riso e mais. In secondo luogo, i maggiori articoli di importazione del Kenya sono prodotti petroliferi raffinati. E in terzo luogo, il tipo di produzione per le quali è stato consentito al Kenya di importare macchinari, carburante per alimentare le sue fabbriche, componenti intermedi da assemblare con manodopera a basso costo e persino per l’imballaggio, sono tutte a basso valore aggiunto. Di conseguenza, le esportazioni del Kenya hanno un basso contenuto di valore aggiunto, mentre le importazioni hanno un alto contenuto di valore aggiunto, motivo per cui il Kenya è bloccato in fondo alla catena del valore globale come buona parte del resto del Sud del mondo.
I deficit commerciali strutturali indeboliscono costantemente lo scellino keniota rispetto al dollaro statunitense e, con una valuta più debole, tutto ciò che il Kenya importa (cibo, carburante, medicine) diventa più costoso. Pertanto, il Kenya importa inflazione con i beni di consumo più sensibili, il che costringe il governo keniota a proteggere le persone più vulnerabili con politiche tampone difensive come sussidi per cibo e carburante e politiche di gestione del tasso di cambio che richiedono più prestiti esterni per stabilizzare il valore dello scellino, accelerando così la crisi del debito estero.
Negli ultimi 20 anni la Cina ha stretto profondi legami economici con il Kenya e gli altri paesi dell’Africa subsahariana, diventando il più grande partner commerciale della regione. La Cina acquista un quinto delle esportazioni della regione (metalli, minerali e carburante) e ora fornisce la maggior parte dei beni manifatturieri e dei macchinari importati dai paesi africani. Tuttavia, la ripresa della Cina dalla pandemia ha subito un rallentamento di recente a causa di una crisi immobiliare e di una domanda in calo per i suoi beni manifatturieri, mentre anche la crescita globale è rallentata. Questo è importante per il Kenya e, più in generale, per l’Africa. Un calo di un punto percentuale nel tasso di crescita della Cina potrebbe ridurre la crescita media nella regione di circa 0,25 punti percentuali entro un anno, secondo il FMI. Gli effetti a catena del rallentamento dell’economia cinese si estendono ai prestiti sovrani all’Africa subsahariana, scesi sotto 1 miliardo di dollari l’anno scorso, il livello più basso in quasi due decenni. Il taglio segna un allontanamento dai grandi finanziamenti infrastrutturali, poiché Kenya e diversi paesi africani lottano contro il crescente debito pubblico17. Neanche i nuovi intensi rapporti commerciali e di cooperazione con la Cina, quindi, hanno modificato la natura strutturale di una relazione fondata su un regime estrattivo neocoloniale18.
La vera crisi politica che il Kenya affronta oggi è la stessa che ha avuto fin dall’indipendenza. La sua élite politica è stata forgiata nel fuoco del saccheggio coloniale e, fin dalla sua nascita, il paese ha dovuto sopportarlo come un’afflizione, come il prezzo della stabilità. Decolonizzare l’economia keniota richiede investimenti strategici nella sovranità alimentare, nell’agroecologia, nella sovranità delle energie rinnovabili e nelle politiche industriali regionali e panafricane. Questi sono esattamente i punti all’ordine del giorno che non vengono mai discussi con le controparti del G7, del G20, dell’UE della Cina e degli Stati Uniti quando stendono il tappeto rosso per il presidente Ruto. Nonostante sia consapevole di queste trappole strutturali, Ruto ha scelto di ascoltare i consigli politici delle istituzioni del Nord globale piuttosto che degli esperti indipendenti, dei think tank e delle organizzazioni della società civile kenioti e panafricani. Invece di limitare le sue richieste di riforma dell’architettura finanziaria globale a tassi di prestito più bassi (ossia che i partner occidentali e le istituzioni finanziarie internazionali dovrebbero mostrare più “generosità”), Ruto dovrebbe chiedere il trasferimento di tecnologie salvavita per decolonizzare le economie africane, la cancellazione del debito (non la ristrutturazione) e sovvenzioni (non prestiti) per l’azione per il clima. Questa sarebbe la base per una legge finanziaria che possa soddisfare le esigenze e le aspirazioni democratiche della Generazione Z e del popolo keniota.
Il movimento keniano è un’ispirazione per le Generazioni Z di Uganda e Nigeria
Traendo ispirazione dalle trasformazioni politiche del Senegal e dalle settimane di proteste guidate dai giovani nel vicino Kenya che hanno costretto il presidente a ritirare gli aumenti delle tasse proposti, la Generazione Z ugandese ha iniziato a manifestare nelle ultime due settimane contro la presunta corruzione da parte di leader eletti, mentre gli attivisti della Generazione Z in Nigeria hanno indetto manifestazioni pacifiche di protesta dal 1° agosto contro la corruzione e l’alto costo della vita. Gli attivisti ugandesi e nigeriani, così come quelli senegalesi e kenioti, hanno utilizzato i forum audio e video su X come piattaforma principale per organizzare le loro proteste. I manifestanti ugandesi hanno preso in prestito slogan dai loro omologhi in Kenya, definendosi “senza paura” e “senza leader“.
A partire dal 23 luglio, si sono tenute piccole dimostrazioni anti-corruzione in Uganda (un paese di oltre 47 milioni di abitanti), con la polizia che ha rapidamente bloccato una marcia programmata verso il Parlamento, facendo decine di arresti. Il giorno prima la polizia aveva sigillato gli uffici del più grande partito di opposizione ugandese, il National Unity Platform (NUP), accusandolo di essersi mobilitato per le proteste, e ha arrestato alcuni funzionari del partito, tra cui i suoi legislatori. Il partito ha negato di aver organizzato la marcia, ma ha affermato di sostenerla. I leader dell’opposizione e gli attivisti per i diritti umani affermano che l’appropriazione indebita e l’uso improprio di fondi governativi sono diffusi in Uganda19. Hanno a lungo accusato il presidente Museveni di non aver perseguito gli alti funzionari corrotti che sono politicamente leali o imparentati con lui. Museveni ha ripetutamente negato di tollerare la corruzione e afferma che ogni volta che ci sono prove sufficienti, i colpevoli, tra cui legislatori e persino ministri, vengono perseguiti. Inoltre, durante il weekend Museveni aveva messo in guardia i manifestanti dal “giocare col fuoco“, mentre il 25 luglio li ha accusati di aver ricevuto finanziamenti esteri. “I soggetti coinvolti dovrebbero sapere che l’Uganda non è una neo-colonia“, ha affermato. “La lotta alla corruzione è nelle mie mani. Ho solo bisogno di prove e verranno prese misure“.
Il 25 luglio, durante il secondo giorno di proteste anti-corruzione che chiedono le dimissioni della presidente del parlamento Anita Among, che quest’anno è stata sanzionata dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna per presunto coinvolgimento in casi di corruzione20, la polizia ha arrestato almeno 73 giovani dimostranti nella capitale Kampala, secondo Chapter Four Uganda, un’organizzazione che fornisce servizi legali ai detenuti. Un video pubblicato su X dal quotidiano Daily Monitor mostrava la polizia in tenuta antisommossa che costringeva diversi giovani adulti a salire sul retro di un camion mentre urlavano slogan di protesta21. I filmati trasmessi da NTV Uganda hanno mostrato alcune decine di persone marciare con cartelli che recitavano: “I corrotti stanno prendendo in giro la generazione sbagliata” e “Questo è il nostro 1986“, un riferimento all’anno in cui il presidente Yoweri Museveni rovesciò un governo repressivo.
Le autorità hanno vietato ogni protesta, citando dati di intelligence che, a loro dire, avrebbero mostrato che giovani criminali avrebbero potuto dirottarla per saccheggiare e vandalizzare. Soldati e polizia sono stati schierati attorno al palazzo del Parlamento e nel centro della capitale ugandese con l’obiettivo di scoraggiare eventuali manifestanti. Tutte le strade per il Parlamento sono state bloccate, e solo i legislatori e altro personale parlamentare ha avuto accesso, e le immagini di NTV Uganda mostravano mezzi corazzati militari che pattugliavano la zona. Gli ugandesi con attività commerciali vicino al parlamento avevano difficoltà a raggiungere i loro negozi.
Il presidente Yoweri Museveni ha elogiato le forze di sicurezza per aver “sventato” le proteste anti-corruzione a Kampala e in altre parti dell’Uganda della scorsa settimana, mentre alcuni degli arrestati per aver sfidato il divieto di manifestazione del governo hanno dichiarato di essere stati sodomizzati dagli agenti di polizia durante la detenzione. La polizia ha negato le accuse. Museveni ha anche detto questo: “Quella manifestazione aveva due elementi negativi: finanziamenti da fonti straniere che si intromettono sempre negli affari interni dell’Africa negli ultimi 600 anni: tratta degli schiavi, colonialismo, neocolonialismo, genocidio, sfruttamento economico… Il secondo elemento era che alcuni degli autori e dei partecipanti alle manifestazioni stavano pianificando cose molto brutte contro il popolo dell’Uganda“.
I critici dell’opposizione e gli attivisti per i diritti umani hanno a lungo accusato il governo di Museveni di usare accuse inventate per reprimere i suoi oppositori. Lunedì 29 luglio, un tribunale ugandese ha accusato 36 sostenitori dell’opposizione di reati legati al terrorismo dopo che erano stati deportati dal vicino Kenya, dove si erano recati per frequentare un corso di formazione. Le 36 persone, che sono membri del Forum for Democratic Change (FDC), uno dei maggiori partiti di opposizione dell’Uganda, negano le accuse. Il loro avvocato, Erias Lukwago, ha detto ai giornalisti fuori dal tribunale dei magistrati di Kampala che le accuse erano “ridicole“. Da notare che le 36 persone erano state arrestate e poi deportate dalle autorità keniote dopo che si erano recate nella città di Kisumu, nel Kenya occidentale, il 23 luglio per partecipare a un corso di formazione sulla leadership e la governance. Durante la loro detenzione in Kenya “le loro proprietà sono state confiscate, tra cui computer e telefoni. Sono stati torturati e diversi sono rimasti feriti“, ha affermato Kiiza Besigye, un leader veterano del FDC e oppositore del presidente Museveni. Il tribunale ugandese, invece, sostiene che si erano recate in Kenya “allo scopo di fornire o ricevere addestramento terroristico“.
Anche gli attivisti nigeriani della Generazione Z stanno cercando di emulare le proteste in Senegal e Kenya e hanno indetto delle manifestazioni il mese prossimo in risposta alla crisi del costo della vita. Il capo della polizia nigeriana ha messo in guardia contro le proteste in stile kenyano il 23 luglio dopo che cittadini frustrati hanno utilizzato piattaforme online per indire manifestazioni contro la cattiva amministrazione e la crisi del costo della vita. In quella che potrebbe essere la sfida più grande del presidente Bola Tinubu, entrato in carica nel maggio dell’anno scorso, i nigeriani hanno preso ispirazione dai giovani kenyani, le cui proteste hanno costretto il governo a fare marcia indietro sugli aumenti delle tasse, e stanno utilizzando le piattaforme X e Instagram per indire proteste pacifiche da giovedì 1° agosto.
Il 26 luglio i servizi segreti hanno dichiarato di aver identificato “le linee di finanziamento, gli sponsor e i collaboratori” di un complotto per rovesciare il governo attraverso le manifestazioni. Ma non hanno fornito alcun dettaglio. Kayode Egbetokun, ispettore generale della polizia nigeriana, ha affermato che le proteste sono sconsiderate: “Alcuni gruppi di persone, crociati autoproclamati e influenti, hanno elaborato strategie e mobilitato potenziali manifestanti per scatenare il terrore nel paese con il pretesto di replicare le recenti proteste in Kenya. Pertanto, non resteremo con le mani in mano ad assistere a come attività violente scatenano la violenza nelle nostre pacifiche comunità o distruggono di nuovo le nostre infrastrutture e risorse nazionali critiche”. Egbetokun ha affermato che le proteste pacifiche erano consentite dalla legge, ma che l’azione pianificata dagli attivisti è progettata per creare problemi. Ha pubblicato le linee guida per la protesta nazionale programmata per il 1° agosto, affermando che i manifestanti devono fornire dettagli sul percorso proposto, il punto di ritrovo, la durata della protesta e i nomi e i contatti dei leader e degli organizzatori della protesta. Il commissario di polizia responsabile dello Stato in cui è prevista la protesta deve anche essere informato delle misure adottate per impedire il dirottamento della protesta da parte di elementi criminali. “Fornendo queste informazioni, la polizia sarà in grado di schierare personale e risorse adeguati per garantire la sicurezza pubblica”. Ha detto anche che: “Il timore che i nemici del paese possano manipolare il processo è una preoccupazione autentica condivisa. Abbiamo informazioni credibili sul coinvolgimento di meccanismi stranieri nella protesta pianificata“.
Anche i vertici dell’esercito nigeriano hanno avvertito che interverranno per fermare la violenza durante le imminenti proteste. Il portavoce della difesa, il generale di divisione Edward Buba ha detto che i nigeriani hanno il diritto di protestare pacificamente, ma le dimostrazioni programmate dal 1° agosto potrebbero trasformarsi in violenze, in quanto ispirate dagli eventi in Kenya, dove i giovani sono scesi in piazza e hanno costretto il loro governo a cancellare 2,7 miliardi di dollari di aumenti delle tasse. “Il livello di violenza previsto è meglio descritto come uno stato di anarchia. È per questo motivo che le forze armate non staranno a guardare e non permetteranno alla nazione di precipitare fuori controllo a livelli così bassi“, ha detto Buba. “È per questo motivo che le truppe agiranno diligentemente per impedire che tali brutti eventi accadano nella nostra nazione“.
I dimostranti hanno affermato di avere diritto a dimostrazioni pacifiche, definendo gli avvertimenti del governo in merito a possibili violenze una cortina fumogena per una potenziale repressione. Le ultime grandi proteste in Nigeria sono state le manifestazioni di Occupy Nigeria contro la fine dei sussidi per il carburante nel 2012, in cui Tinubu ha avuto un ruolo chiave, e la campagna End Sars (la Squadra Speciale Anti-Rapina) contro la brutalità della polizia nell’ottobre 2020. Quest’ultima si concluse con uno spargimento di sangue (quasi 60 morti), che i dimostranti hanno attribuito a soldati e polizia, che hanno negato di aver usato proiettili veri.
Il paese più popoloso dell’Africa (oltre 218 milioni) sta lottando con le sue peggiori difficoltà economiche in una generazione, segnate da prezzi alle stelle dopo che il presidente Bola Tinubu ha rimosso alcuni sussidi per benzina ed elettricità e ha fortemente svalutato la naira per cercare di aumentare gli investimenti e incrementare la produzione. Ma l’economia sta crescendo ben al di sotto dell’espansione annuale del 6% prevista da Tinubu, mentre le riforme hanno portato l’inflazione al livello più alto degli ultimi 28 anni (raggiungendo il 34,2% anno su anno), aggravando la crisi del costo della vita. Gli analisti affermano che le difficoltà economiche alimentano anche la criminalità, che a sua volta danneggia i mezzi di sostentamento delle persone. La Nigeria è diventata anche la capitale mondiale della malnutrizione, con oltre 31,8 milioni di bambini colpiti, secondo i dati delle ONG.
La fine del sussidio per il carburante, che per decenni ha reso benzina e diesel molto economica per i nigeriani, ha colpito le persone in modo particolarmente duro. I prezzi della benzina nelle stazioni di servizio sono saliti a oltre 800 naira (0,5063 $) da circa 617 naira al litro a maggio 2023, quando il governo ha annunciato che avrebbe posto fine ai sussidi alla benzina. Benzina e diesel sono ampiamente utilizzate nel paese per alimentare non solo le auto, ma anche i generatori per piccole attività commerciali e abitazioni. L’elettricità ininterrotta è diventato un sogno lontano e le code per il carburante rimangono una caratteristica comune della vita nel paese, nonostante la Nigeria sia uno dei principali produttori di petrolio e gas al mondo, dato che la compagnia petrolifera statale Nigerian National Petroleum Corp. ha continui problemi nella fornitura di benzina ai commercianti e ai depositi locali.
Il governo sostiene che la situazione della sicurezza sta migliorando, affermando di aver eliminato migliaia di membri di bande armate e combattenti islamici. La Nigeria ha lottato a lungo contro insurrezioni e attacchi da parte di bande armate (come l’islamista Boko Haram) che rapivano a scopo di estorsione nel nord, dove i livelli di povertà sono più alti. Ma i dati dell’Armed Conflict Location & Event Data Project mostrano che il numero di rapimenti è raddoppiato a 7.086 nel primo anno di mandato di Tinubu. La diffusa insicurezza nelle aree rurali ha costretto molti agricoltori ad abbandonare le proprie case, contribuendo all’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari.
Con il tema “Basta con la cattiva governance in Nigeria“, i manifestanti cercano di costringere il governo a revocare l’aumento dei prezzi della benzina e dell’elettricità, a offrire istruzione gratuita, a dichiarare lo stato di emergenza per l’inflazione e a rivelare gli stipendi dei legislatori, tra le altre richieste.
Il 23 luglio, i legislatori hanno approvato una legge per più che raddoppiare il salario minimo a 70.000 naira (44,16 $) al mese, ponendo fine a mesi di contrapposizioni tra governo e sindacati. Pochi giorni prima della protesta nazionale contro la cattiva amministrazione e l’alto costo della vita, inoltre il governo ha offerto ai giovani posti di lavoro nella compagnia petrolifera statale e miliardi di naira di sovvenzioni, tra gli altri incentivi, per scoraggiare l’azione22. Tinubu ha anche incontrato i governanti tradizionali in tutto il Paese per esortarli a convincere i loro sudditi ad essere pazienti con la sua amministrazione. I religiosi, i governanti tradizionali e altri nigeriani di spicco si sono uniti al governo per scoraggiare i giovani dall’intraprendere le proteste programmate dal 1° agosto, temendo che le proteste possano creare scompiglio nell’economia.
Intanto, il 29 luglio centinaia di manifestanti, molti dei quali giovani, si sono radunati con cartelli che criticavano le politiche del governo nella città di Suleja, a 30 miglia dalla capitale federale, Abuja, nella Nigeria centrale, quattro giorni prima delle manifestazioni nazionali programmate per le difficoltà economiche e l’inflazione record. Mentre la protesta a Suleja iniziava, ci sono state contro-proteste in alcune parti di Lagos, la capitale commerciale della Nigeria e roccaforte di Tinubu, con grandi striscioni con la scritta “Dì no alla protesta“, a solo un paio di miglia di distanza dalle code per il carburante in città.
Alessandro Scassellati
- Il disegno di legge finanziario mirava a raccogliere altri 2,7 miliardi di dollari in tasse come parte di uno sforzo per alleggerire il pesante debito del Kenya, un paese di 54 milioni di abitanti, considerando che il pagamento degli interessi assorbe da solo il 37% delle entrate annuali. Il Kenya è uno dei 54 paesi che sono ora in crisi debitoria, ben 22 dei quali sono Paesi africani, e molti spendono di più per ripagare il debito che per finanziare istruzione o sanità. Il debito pubblico è pari al 68% del PIL (a circa 82 miliardi di dollari), superiore al 55% del PIL raccomandato da Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale. All’inizio di giugno il Kenya aveva raggiunto un accordo preliminare con il FMI per l’erogazione di circa 976 milioni di dollari che prevedeva un adeguamento del bilancio 2024/25 con l’inclusione di più misure di aumento delle entrate, di austerità e di riduzione degli sprechi pubblici (termine in codice per la privatizzazione delle imprese statali). L’impressione data dal FMI è che le sue raccomandazioni riguardino la riduzione di una dispendiosa burocrazia governativa, ma i gruppi più numerosi sulla busta paga sono insegnanti e operatori sanitari. Il Kenya, come la maggior parte dei paesi a basso e medio reddito che sono costretti ad accettare i consigli del FMI, ha carenze di insegnanti e operatori sanitari, e ha urgente bisogno di reclutarne di più e anche di pagare loro un salario dignitoso. L’attuale accordo del Kenya con il FMI, che ammonta prestiti per un totale di 3,6 miliardi di dollari, è stato concordato nell’aprile 2021 e a giugno è arrivato alla settima revisione periodica del programma, un sistema progettato per verificare che Nairobi stia effettivamente facendo ciò che il FMI vuole. Nonostante il Kenya stia affrontando problemi di liquidità dal 2022, è riuscito a vendere un nuovo Eurobond da 1,5 miliardi di dollari sui mercati internazionali a febbraio, sebbene a un prezzo elevato, per riacquistare in parte un altro Eurobond in scadenza a giugno. L’emissione ha placato le preoccupazioni degli investitori su un potenziale default, ha ripristinato la fiducia degli investitori stranieri nell’economia e ha fatto sì che la valuta keniota si rafforzasse rispetto al dollaro. Il governatore della banca centrale aveva dichiarato all’inizio di giugno che il Kenya avrebbe utilizzato parte di un prestito di sostegno al bilancio della Banca Mondiale pari a 1,2 miliardi di dollari per effettuare un pagamento di circa 500 milioni di dollari su un Eurobond in scadenza a fine mese. I cartelli nelle manifestazioni di protesta recitavano “FMI, tieni le mani lontane dal Kenya” e “Non siamo le stronze del FMI“.[↩]
- Un caso clamoroso, emblematico della diffusa corruzione nel Paese, è quello relativo a due grandi progetti di dighe che sono costati al governo keniota 80 milioni di sterline nonostante non siano mai stati realizzati. Le dighe di Arror e Kimwarer erano state progettate per portare energia e acqua a mezzo milione di persone. Erano state incaricate due imprese edili italiane (CMC di Ravenna e Itinera). Soldi sono stati destinati alla rimozione degli alberi e circa 800 persone hanno ricevuto la notizia che sarebbero state trasferite fuori dall’area allagata. Sette anni dopo, le dighe proposte sono emblematiche della discesa del Kenya nel debito, con solo benefici limitati dalle nuove infrastrutture.[↩]
- In effetti, durante la sua campagna elettorale, l’ex vicepresidente di Uhuru Kenyatta si è dipinto come un estraneo alla matrice di potere che era stata a lungo un pilastro della politica keniota, dove una manciata di famiglie politicamente influenti controllava il potere. Ruto è uno dei più ricchi produttori di mais del Kenya. Nato nell’isolato villaggio di Sambut, Ruto è cresciuto allevando pecore e mucche, senza potersi nemmeno permettere un paio di scarpe per andare a scuola, ma oggi possiede vasti appezzamenti di terreno in tutto il paese. BBC News ricorda però come diversi sospetti sono stati sollevati sull’annessione di alcuni di questi lotti. Nel 2013, infatti, una corte gli intimò di cedere 40 ettari come compensazione a un altro agricoltore che l’aveva accusato di avergli rubato la terra durante le violenze elettorali del 2007.[↩]
- Gli attacchi con il marchio di fabbrica di al-Shabaab continuano nel nord-est del paese. Il 2 giugno, uomini armati hanno ucciso un anziano del villaggio di Malamande nella contea di Lamu, mentre il 5 giugno la polizia ha scoperto un ordigno esplosivo al confine con la Somalia nella contea di Mandera e il 7 giugno degli aggressori hanno ucciso quattro operai edili vicino al confine nella contea di Garissa. al-Shabaab, originariamente una milizia giovanile che difendeva i tribunali islamici, si è trasformata in una violenta organizzazione jihadista che ha ottenuto rapidamente il sostegno di al-Qaeda e preso il controllo di vaste aree della Somalia centrale e meridionale nel 2007. ONU e Unione Africana sono intervenuti, ma al-Shabaab ha esteso la sua attività ai Paesi vicini. Tra il 2002 e il 2018, il governo degli Stati Uniti ha fornito training ed equipaggiamento militare per 290 milioni di dollari all’esercito ugandese (una cifra importante per un esercito il cui budget totale era di 317 milioni di dollari nel 2016). L’Uganda, governato da Yoweri Museweni dal 1986, è visto dagli USA come un partner chiave nella battaglia contro al-Shabaab, in quanto contribuisce con oltre 6 mila soldati – il più grande contingente – alla Missione dell’Unione Africana in Somalia. Oggi, il governo somalo è debole, con uno scarso supporto interno, mentre al-Shabaab continua a creare scompiglio nel Paese (con autobombe, uccisioni e rapimenti) e nell’intera regione. Centinaia di migliaia di persone sono fuggite a Mogadiscio dalle aree rurali, mentre parte del Paese è stata trasformata in una sorta di poligono di tiro per droni, missili e forze speciali americane (circa 700) ed africane che dovrebbero contrastare ribelli jihadisti di al Shabaab, ma hanno ucciso anche migliaia di civili innocenti. Emirati Arabi Uniti e Turchia competono per influenzare il futuro del Paese attraverso aiuti finanziari e progetti economici e militari. Nel 2017, la Turchia ha aperto la sua più grande base militare all’estero a Mogadiscio per “marcare” stretto gli EAU che avevano aperto basi militari a Gibuti e Berbera.[↩]
- Il quotidiano The Nation ha documentato proteste in almeno 35 delle 47 contee del Kenya, dalle grandi città alle aree rurali, persino nella città natale di Ruto, Eldoret, nel suo cuore etnico Kalenjin. Westen Shilaho, uno studioso che ha studiato i movimenti di protesta kenioti, ha affermato che l’élite politica ha tradizionalmente utilizzato “la carta etnica” per aumentare il proprio potere. “Ora che quella non funziona in questo contesto, cercheranno di inserire la carta di classe“, ha affermato.[↩]
- Il 25 giugno la missione di polizia multinazionale guidata da Nairobi è arrivata ad Haiti dopo ritardi (sulla vicenda vedi il nostro articolo su Haiti). Il Kenya si era candidato per la missione nel luglio del 2023, ma l’invio è rimasto a lungo bloccato per l’opposizione dell’Alta Corte del Kenya. In mezzo all’opposizione interna che contesta la legalità dell’invio di 1.000 poliziotti kenioti per guidare la missione sostenuta dall’ONU ad Haiti, il 18 giugno il capo della polizia keniota ha incontrato la controparte haitiana per assicurargli il suo sostegno, mentre lo stesso giorno gli Stati Uniti hanno autorizzato oltre 100 milioni di dollari per sostenere la missione; il primo gruppo di diverse centinaia di ufficiali kenioti è arrivato ad Haiti il 25 giugno. Molti esperti sono scettici sul fatto che una forza relativamente piccola guidata dal Kenya, i cui poliziotti parlano inglese e non creolo haitiano o francese, possa contribuire a ridurre lo spargimento di sangue. Temono anche che le forze keniane possano commettere abusi ad Haiti, date le accuse contro di loro di aver ucciso e torturato civili kenyani. Il 17 e il 27 luglio i poliziotti kenyani sono stati ingaggiati nei primi scontri a fuoco con membri delle gang haitiane che controllano gran parte del territorio. Ruto è un presidente intransigente amato dall’Occidente, in particolare dagli Stati Uniti, nonostante una lunga storia di presunto coinvolgimento in violenze elettorali che aveva portato la Corte penale internazionale a indagare su di lui per crimini contro l’umanità (tali accuse sono state ritirate nel 2016 per mancanza di prove). A maggio, il presidente Biden ha ospitato Ruto per una visita di Stato, la prima del genere effettuata a Washington da un leader africano dal 2008. Nuove manifestazioni di protesta sono iniziate poche ore dopo l’annuncio fatto da Biden il 24 giugno che ha designato il Kenya come “importante alleato non NATO”, rendendolo la prima nazione dell’Africa sub-sahariana a ricevere la designazione. Una mossa con cui Washington cerca di respingere la crescente influenza russa e cinese in Africa. Ruto si è rifiutato di unirsi alla maggior parte dei paesi africani nella loro aperta condanna di Israele per la guerra a Gaza, professando invece una posizione più neutrale. Non a caso è stato accolto con tutti gli onori al recente G7 in Puglia. D’altra parte, gli Stati Uniti sono gli azionisti principali del FMI (detengono essenzialmente un potere di veto sui suoi programmi). L’Unione Europea, da parte sua, ha stanziato 20 milioni di euro al Kenya per il sostegno al settore della sicurezza attraverso il Fondo europeo per la pace.[↩]
- La polizia di Nairobi ha aperto il fuoco dopo che i gas lacrimogeni e gli idranti non sono riusciti a disperdere la folla. Alla fine sono riusciti a cacciare i dimostranti dal palazzo del Parlamento e i legislatori sono stati evacuati attraverso un tunnel sotterraneo. Alcuni esponenti dell’opposizione si sono invece uniti alla protesta. Più tardi, il ministro della Difesa Aden Duale ha affermato che l’esercito era stato schierato per aiutare la polizia a gestire un'”emergenza di sicurezza” che aveva portato alla “distruzione e violazione di infrastrutture critiche“.[↩]
- Il principale operatore di rete del Kenya, Safaricom, ha affermato che le interruzioni hanno interessato due dei suoi cavi sottomarini, ma la causa principale delle interruzioni è rimasta poco chiara.[↩]
- Mentre la polizia caricava i giovani del movimento di protesta, questi hanno cercato rifugio nella Cattedrale di Nairobi, ma quelli della Cattedrale si sono rifiutati di farli entrare. La chiesa cattolica, allora, ha capito che rischiava di diventare impopolare: per rimediare, la domenica successiva è stata costretta a concedere a una delegazione di giovani di lanciare un messaggio dopo la messa in Cattedrale. Una messa speciale è stata organizzata anche nelle parrocchie, sia dentro che attorno Nairobi, per “onorare coloro che sono stati ammazzati dalla polizia durante le proteste contro l’aumento delle tasse in finanziaria”. La BBC ha pubblicato un articolo di approfondimento dal titolo “We are the Church”, ossia “noi siamo la Chiesa, le proteste contro le tasse si scagliano contro i leader cristiani”. “Non vogliamo perdervi, non vogliamo perdere i nostri giovani“, ha detto con notevole candore il vescovo Simon Kamomoe. “I vescovi cattolici sono così preoccupati di perdere questa generazione“, ha detto, esortandoli a rimanere pacifici e a proteggere le loro vite.[↩]
- I membri dell’opposizione, tra cui il nuovo ministro delle finanze, John Mbadi Ngo’ongo e James Opiyo Wandayi, nuovo ministro dell’energia, sono alleati del leader dell’opposizione Raila Odinga, sconfitto da Ruto alle elezioni del 2022. “Zakayo ha nominato persone corrotte per combattere la corruzione“, ha scritto su X Boniface Mwangi, un importante attivista antigovernativo. Zakayo è il nome swahili del biblico Zaccheo, il corrotto e avido capo esattore delle tasse di Gerico, che i manifestanti hanno usato come soprannome per Ruto. “È importante notare che @RailaOdinga è un traditore. Ha tradito il popolo e ha formato un governo di saccheggio nazionale con Zakayo“, ha detto Mwangi. Il 22 luglio l’Orange Democratic Movement (ODM) di Odinga aveva detto di non essere in trattative con il governo “per alcuna coalizione o accordo politico“. L’ODM avrebbe dovuto tenere una conferenza stampa poco dopo il discorso di Ruto. Poi, due giorni dopo, 4 membri dell’ODM sono entrati nella coalizione di governo. Inoltre, il 29 luglio Nairobi ha annunciato di aver ufficialmente presentato la candidatura di Odinga a succedere al ciadiano Moussa Faki Mahamat, nella corsa alla presidenza dell’Unione Africana nelle elezioni che si dovrebbero svolgere nel febbraio 2025.[↩]
- Il 30 luglio un ex capo della principale società commerciale statale del Kenya è stato accusato in tribunale di abuso d’ufficio e altri reati per un piano del 2022 per importare olio commestibile (principalmente dall’Asia) che, secondo i media locali, è costato più di 120 milioni di dollari. L’incriminazione di Pamela Mutua è il primo tentativo degno di nota del governo del presidente Ruto di frenare la corruzione dilagante in Kenya dall’inizio delle manifestazioni di protesta. Mutua, che era amministratore delegato della Kenya National Trading Corporation (KNTC), è stata accusata presso un tribunale anticorruzione della capitale di aver violato le leggi sugli appalti pubblici nell’assegnazione di un contratto a una società denominata Purma Holdings Limited. Il programma di importazione di olio da cucina è stato messo in atto dal governo di Ruto dopo il suo insediamento alla fine del 2022, per abbassare il prezzo della merce, ma è stato criticato dall’opinione pubblica e dai media locali perché avvantaggia solo gli importatori ben informati e connessi politicamente.[↩]
- È stata aperta un’indagine sul possibile coinvolgimento della polizia nella morte di almeno nove persone dopo che nella notte tra il 12 e il 13 luglio sono stati trovati resti umani smembrati vicino a una caserma della polizia a Mukuru, uno dei vasti e tentacolari “insediamenti informali” di Nairobi. I nove corpi, tutti di donne tra i 18 e i 30 anni, sono stati scoperti in sacchetti chiusi con fili di nylon, mutilati e con segni di tortura. Erano in una cava abbandonata usata come discarica, a meno di un centinaio di metri dalla caserma di Mukuru. Proprio il 12 luglio il capo della polizia, Japhet Koome, si era dimesso su pressione di Ruto. La polizia ha cercato di puntare l’attenzione lontano da se stessa e dalla sua azione di repressione delle proteste: “Abbiamo a che fare con una setta associata ad attività criminali, o con dei serial killer?“, ha detto durante l’incontro con la stampa il nuovo capo della polizia nazionale, Douglas Kanja. “Potrebbe anche trattarsi di medici disonesti coinvolti in attività criminali“. L’anno scorso il Kenya è stato sconvolto dalla scoperta di fosse comuni in una foresta vicino alla costa dell’Oceano Indiano, contenenti i corpi di oltre 400 membri di una setta del giorno del giudizio, uno dei peggiori massacri al mondo legati a una setta. Il pastore Paul Nthenge Mackenzie viene processato con l’accusa di terrorismo insieme a 94 coimputati per le morti, con l’accusa di aver incitato i suoi seguaci a morire di fame per incontrare Gesù. Lui e gli altri imputati devono affrontare anche accuse di omicidio, omicidio colposo e crudeltà verso i bambini in casi separati per quello che è stato soprannominato il “massacro della foresta di Shakahola“. Al momento i rapporti della polizia affermano che gli omicidi di Murkuru sono collegati all’operato di un presunto serial killer che avrebbe confessato di aver ucciso 42 donne e di averle gettate nella stessa discarica. Però, alla cava abbandonata è scoppiato un incendio che potrebbe ostacolare le indagini complete e approfondite.[↩]
- Tra il 1952 e il 1960 migliaia di patrioti kenioti insorsero contro la dominazione coloniale britannica sotto la bandiera del Kenya Land and Freedom Army, un movimento armato nato tra le popolazioni Kikuyu degli altopiani che erano state costrette ad abbandonare le loro terre da coloni bianchi, principalmente britannici che avevano impiantato piantagioni di tè e caffè. Chiamati dispregiativamente “Mau Mau” dai colonialisti, i combattenti antimperialisti riuscirono a mettere in seria difficoltà l’occupante e i suoi servitori collaborazionisti. Per questo la Corona britannica reagì intensificando la repressione, facendo leva sulla superiorità aerea, sulla guerra psicologica e sulla deportazione di massa. Almeno 90mila kenyani sono stati giustiziati, torturati o mutilati. Più di centomila morirono nei campi di concentramento allestiti dagli inglesi per confinare circa 1,5 milioni (quasi l’intera popolazione Kikuyu) e privare il movimento di liberazione del supporto materiale della popolazione locale. Nel 2011, il «trattamento» subito dai kenioti è divenuto un caso giudiziario durato quattro anni che ha portato a un accordo senza precedenti di 20 milioni di sterline e alle scuse ufficiali del governo britannico alle vittime (Cfr, C. Elkins, Britain’s gulag. The brutal end of empire in Kenya, Jonathan Cape, London 2005 e Legacy of violence. A history of the British empire, Knopf, New York 2022; D. Anderson, Histories of the hanged. Britain’s dirty war in Kenya and the end of empire, Weidenfeld & Nicholson, London 2006). La rivolta del KLFA fu quindi soppressa, e per il Kenya, nonostante l’acquisizione formale dell’indipendenza, si aprirono decenni di sfruttamento neocoloniale. Un caso emblematico in questo senso è quello della multinazionale agroalimentare Del Monte attiva in Kenya dal 1965, la cui impunità va oltre i casi di presunto omicidio da parte dei suoi guardiani di una piantagione di ananas. L’influenza esercitata sullo Stato africano le ha permesso di appropriarsi di terra (Del Monte dice di possedere 22.500 acri; il governo stima le sue partecipazioni a 32.240) e lavoro sottopagato, alla ricerca del profitto. Di recente, è emerso che nella lussureggiante regione di Thika, appena a nord di Nairobi, rubare ananas è di fatto un reato da pena capitale. Almeno nove uomini sarebbero stati uccisi in modo brutale dalle guardie di sicurezza impiegate dalla Del Monte, il più grande produttore mondiale di ananas, dal 2013. Sono anche accusate di “oltre cinque stupri e di lesioni gravi, tra cui ferite alla testa, ossa rotte e tagli da lame che richiedono punti di sutura”. Del Monte impiega direttamente circa settemila keniani, li relega per lo più al lavoro manuale e poco retribuito. La terra nel sud-ovest semitropicale del Kenya è una risorsa preziosa, ma Del Monte non coltiva nemmeno la metà della terra delle sue enormi proprietà. Del Monte è il più grande datore di lavoro del settore privato in Kenya, con una spesa annua in termini di entrate che supera i 100 milioni di dollari. Ancora più importante per un paese nella morsa del debito denominato in dollari, Del Monte genera circa 62 milioni di dollari in valuta estera. Tutto ciò è sufficiente per far guadagnare a Del Monte la protezione dello Stato kenyano: l’azienda è considerata “un motore economico fondamentale sia nella contea di Murang’a che a livello nazionale”. Dal 2021, il governo keniota si è impegnato a sostenere la Del Monte sotto forma di sgravi fiscali, nebulosi «incentivi politici» e indagini fondiarie gratuite. In cambio, Del Monte ha promesso di continuare a pagare le tasse e, secondo le parole del governo, “promuovere programmi più trasformativi di responsabilità sociale d’impresa”.[↩]
- Il 29 luglio il governo dell’Etiopia, il secondo paese più popoloso in Africa (116,5 milioni) e il FMI hanno raggiunto un accordo per l’erogazione di un finanziamento quadriennale del valore complessivo di 3,4 miliardi di dollari, con 1 miliardo immediatamente sbloccato. In cambio, il governo etiope ha avviato una serie di drastiche misure economico-finanziarie, tra cui il passaggio a un tasso di cambio determinato dal mercato. In quest’ottica la banca centrale ha consentito la fluttuazione della valuta locale, una mossa che ha subito portato a una svalutazione del 30% del birr, rispetto al dollaro statunitense. Così il birr viene scambiato a 74,73 per dollaro, rispetto ai 57,48 del 26 luglio. Le misure imposte dal FMI comprendono anche l’apertura del mercato immobiliare e azionario agli investitori stranieri, l’introduzione di uffici di cambio non bancari per acquistare e vendere valuta estera, l’allentamento delle restrizioni sulla quantità di valuta estera detenuta da banche commerciali ed esportatori, e la rimozione delle restrizioni sulla quantità di dollari che i viaggiatori possono portare dentro e fuori dal paese. In cambio di queste misure, si prevede che l’Etiopia riceverà un pacchetto di prestiti da 10,7 miliardi di dollari dal FMI, dalla Banca Mondiale e da altri creditori. Un primo finanziamento della Banca Mondiale di 1,5 miliardi è stato già approvato nelle scorse ore. L’Etiopia, alle prese con un’inflazione elevata – al 23,3% su base annua lo scorso maggio – e con una cronica carenza di valuta estera, è diventata la terza economia del continente in pochi anni a dichiarare inadempienza nel pagare il proprio debito estero (circa 28 miliardi di dollari) alla fine dell’anno scorso. Seppur considerate fondamentali per il parziale risanamento delle finanze statali, logorate dal peso del debito e dai costi dei conflitti interni, le misure imposte sono destinare a pesare ulteriormente sulla popolazione che già sopravvive con un salario minimo che si aggira attorno ai 420 birr mensili (meno di 7 dollari) e che fatica ormai anche a procurarsi il cibo e i beni di prima necessità. Nel paese il tasso di disoccupazione lo scorso anno sfiorava il 19%, con un punteggio nell’ultimo Indice globale della fame (Global Hunger Index) che lo colloca con “livelli di fame gravi”, al 101° posto su 125 paesi. Una vera e propria emergenza umanitaria alla quale, finora, il governo del primo ministro Abiy Ahmed non ha fatto fronte, essendo essenzialmente impegnato a condurre brutali guerre militari contro tigrini e altri gruppi etnici del paese.[↩]
- Più di mille raccoglitori di tè kenioti che lavorano in una piantagione di 10.117 ettari a Kericho della multinazionale scozzese James Finlay Kenya Ltd – uno dei maggiori fornitori di tè e caffè al mondo che ha tra i suoi clienti marchi alla moda come Tesco, Sainsbury’s e Starbucks – affermano che le condizioni di lavoro dure e di sfruttamento oppressivo hanno causato loro gravi problemi di salute (di tipo muscolo-scheletrico) e hanno avviato un’azione collettiva in un tribunale di Edimburgo. Sostengono che dovevano lavorare fino a 12 ore al giorno per sei giorni alla settimana, trasportando fino a 26 libbre (circa 12 kg) di foglie di tè raccolte sulla schiena su pendii accidentati e in alcuni casi raggiungere un obiettivo di peso di 66 libbre (circa 30 kg) di tè al giorno o non essere pagati. Questo lavoro, così come le prolungate flessioni, torsioni e allungamenti necessari per raccogliere le foglie di tè, avrebbe accelerato l’invecchiamento delle schiene dei raccoglitori di ben 20 anni. L’azienda scozzese difende il suo record sulla salute e sicurezza e porta il marchio Fairtrade sui suoi prodotti, oltre alle certificazioni della Soil Association e della Rainforest Alliance.[↩]
- Il governo del Kenya lascia i piccoli produttori agricoli senza terre mentre garantisce concessioni terriere vantaggiose alle grandi fattorie commerciali che producono colture – come la floricoltura industriale (ad alto consumo d’acqua, fertilizzanti, antiparassitari e forza lavoro a basso costo) messa in piedi da grandi imprese olandesi in Kenya (come in Etiopia) – destinate principalmente all’esportazione nei mercati dei Paesi ricchi. Intorno al lago keniota Naivasha le coltivazioni di fiori in serra – quasi esclusivamente di rose – si estendono su 2.100 ettari e producono 6,4 miliardi di pezzi all’anno. Per il Kenya Flower Council oggi l’industria vale 823 milioni di dollari, ossia l’1% del PIL del Kenya, che indica nei fiori il secondo prodotto di esportazione dopo il tè. L’87% della produzione finisce in Europa (la metà in Olanda) dove arriva per via aerea. Le piantagioni di rose danno lavoro a 150 mila africani pagati mediamente 89 dollari al mese. Un processo di progressiva espropriazione che spesso si combina con la realizzazione di grandi opere infrastrutturali ad alto impatto ambientale negativo, se non addirittura catastrofico. Nella Great Rift Valley del Kenya, una diga costruita illegalmente in una fattoria di fiori di 3.500 acri è collassata dopo settimane di piogge torrenziali il 9 maggio 2018, scatenando un “mare di acqua” che ha scalato una collina e distrutto due villaggi, uccidendo almeno 47 persone e provocando migliaia di sfollati. Per produrre una rosa occorrono, oltre a pesticidi e fertilizzanti, circa 9 litri di acqua e il livello del lago Naivasha si è abbassato di 3,5 metri negli ultimi due decenni.[↩]
- La realizzazione della ferrovia tra Nairobi e il porto di Mombasa in Kenya di 470 km è costata 3,2 miliardi di dollari ed è stata fatta con prestiti e aziende cinesi.[↩]
- Per un’analisi della storia e ideologia di questo regime estrattivo neocoloniale si veda il mio libro: Suprematismo bianco. Alle origini di economia, cultura e ideologia della società occidentale, DeriveApprodi, Roma 2023.[↩]
- Da mesi i leader dell’opposizione e gli attivisti per i diritti umani denunciano l’appropriazione indebita e l’uso improprio dei fondi governativi da parte di vari deputati e funzionari governativi vicini al presidente Yoweri Museveni, un 79enne al potere dal 1986. Una campagna lanciata a febbraio sui social media, #UgandaParliamentExhibition, ha messo a nudo appropriazione di fondi pubblici, spese irregolari, nepotismo e corruzione in Parlamento. Ma dai vertici del potere non è arrivata nemmeno una parola di condanna.[↩]
- Among ha negato tutte le accuse di corruzione e afferma di essere stata presa di mira dai governi occidentali per il suo ruolo nell’approvazione di una dura legislazione anti-LGBTQ+ lo scorso anno. Vittima di una sorta di “complotto organizzato dagli omosessuali”. L’Anti-Homosexuality Act del marzo 2023 prevede fino a 20 anni di carcere per “promozione dell’omosessualità“, l’ergastolo per “atti omosessuali” e la pena di morte per “omosessualità aggravata“. Quest’ultimo reato include i “recidivi“, lo stupro tra persone dello stesso sesso, il sesso in una posizione di autorità o procurato tramite intimidazione, il sesso con persone di età superiore ai settantacinque anni, il sesso con disabili e malati mentali e gli atti omosessuali commessi da una persona con una precedente condanna per omosessualità. Inoltre, in base alle sue disposizioni, la promozione (inclusa la normalizzazione) dell’omosessualità è punibile con la reclusione fino a 20 anni e multe. Questa legge ha reso l’Uganda l’unico paese a maggioranza cristiana a punire alcuni tipi di atti consensuali tra persone dello stesso sesso con la pena di morte. Il 3 aprile 2024, la Corte costituzionale dell’Uganda ha confermato buona parte delle disposizioni più radicali dell’Anti-Homosexuality Act.[↩]
- La polizia ha affermato di aver arrestato 104 persone durante le proteste anti-corruzione della scorsa settimana e quasi tutte sono state accusate di reati contro l’ordine pubblico. La risposta del governo alle proteste di piazza ha attirato critiche da parte degli attivisti per i diritti umani e degli Stati Uniti, che hanno affermato di essere “preoccupati” per gli arresti di decine di dimostranti che stavano “manifestando pacificamente“.[↩]
- La compagnia petrolifera statale nigeriana, che sette anni fa aveva messo in guardia i candidati dal cadere preda di messaggi fraudolenti sui collocamenti in azienda, il 25 luglio ha pubblicato offerte di lavoro a livello nazionale in un post su X per la prima volta in quasi un decennio. Un portavoce della NNPC Ltd ha affermato che un’ondata di candidature ha fatto crollare il sito web dell’azienda. Inoltre, lo stesso giorno il ministero nigeriano per lo sviluppo ha anche rilanciato un fondo di investimento per i giovani da 110 miliardi di naira (70 milioni di $) avviato nel 2020, finalizzato a fornire sovvenzioni ai giovani nigeriani per generare posti di lavoro.[↩]