di Franco Ferrari – Si attende la prossima riunione dei capi di governo o di Stato dell’Unione Europea del 23 aprile per capire quale direzione verrà presa di fronte alla pesante crisi economica scatenata dall’epidemia di coronavirus. Le previsioni del Fondo Monetario Internazionale misurano la caduta del PIL in cifre che vanno dal 7 al 10%, collocando nella prima fascia Francia e Germania, nella seconda Italia e Grecia.
Si tratta di un arretramento che replica le dimensioni della crisi del 2008-2010 ma che si registra in tempi molto più raccorciati e con un impatto più diffuso e quindi più devastante. Se va bene, sempre secondo le previsioni dell’FMI, l’Italia potrà recuperare nel 2021 circa la metà del PIL perduto quest’anno. Si tratta per altro di valutazioni emesse in un momento in cui ancora non sono chiare le modalità di ripresa dell’attività economica. Alcuni settori saranno colpiti duramente, a partire dal turismo, e altri potranno riprendersi pienamente solo quando ci sarà la certezza che il virus non rappresenta più un pericolo significativo.
Conterà sulla ripresa quanto verrà deciso a livello europeo. L’eurogruppo, che riunisce i ministri delle finanze del paesi della zona euro, ha formulato una proposta non priva di ambiguità. Sul Sure, il meccanismo gestito dalla Commissione Europea per il supporto agli strumenti nazionali di cassa integrazione già esistenti, non ci sono grandi discussioni ma se ne ammette la modesta incidenza, vista la dimensione della crisi. Anche l’espansione quantitativa del ruolo della BEI, che potrà intervenire a sostegno delle imprese con prestiti agevolati, trova la condivisione dei vari governi.
Restano invece due punti rilevanti di divisione tra gli Stati dell’UE ma anche all’interno delle stesse realtà nazionali. In questi giorni si è attivato in Italia con particolare virulenza, il partito del MES il meccanismo salva-Stati per il quale l’Eurogruppo ha proposto una limitata correzione di rotta, ipotizzando di sottrarre a particolari “condizionalità” (ovvero l’adozione di politiche restrittive di austerità) il contributo specificamente destinato all’emergenza sanitaria.
La cifra eventualmente messa a disposizione dal MES (circa 36 miliardi al massimo per l’Italia) in realtà è modesta rispetto ad un impatto economico dell’epidemia che potrebbe aggirarsi sui 180 miliardi. Inoltre resta un prestito non una donazione, quindi il vantaggio economico sarebbe limitato ad una minore incidenza degli interessi che per ora restano abbordabili per l’Italia anche sul mercato finanziario.
A fronte di un beneficio limitati restano tutti i dubbi legati all’attivazione di un meccanismo che solo in misura limitata e in una fase emergenziale è stato privato delle condizionalità. Arriverà il momento della restituzione del prestito o del suo rinnovo ed in quel caso il rischio è alto di accorgersi allora di essersi infilati in una trappola che si traduca nell’imposizione di pesanti politiche restrittive.
Anche il vicepresidente della Commissione UE, Valdis Dombrovskis, ammette che nessun paese sembra intenzionato ad attivare il MES. Il partito pro-MES italiano (PD, Renzi, Confindustria, Berlusconi) sembra al momento piuttosto isolato, a livello europeo, ma è possibile che in questo caso pesi, più che il merito, il desiderio di indebolire Conte e la componente 5 Stelle all’interno della compagine governativa e di aprire lo spazio per scenari politici alternativi.
L’altro elemento di scontro all’interno dell’Eurogruppo consiste nella richiesta di Italia, Spagna e di altri Paesi di attivazione dei bond europei. Si creerebbe un debito con alle spalle l’intera Unione Europea sottraendo quindi i paesi finanziariamente più deboli ai possibili ricatti e speculazioni del mercato finanziario. Si determinerebbe anche un vincolo attraverso il quale ci sarebbe un maggiore interesse comune di tutte le economie nazionali europee a crescere in modo equilibrato anziché a farsi concorrenza, anche con politiche fiscali scorrette (pratica in cui l’Olanda è maestra).
Mentre sembra difficile rompere il fronte dell’opposizione agli eurobond, guidato dalla Germania, è in corso un tentativo di elaborare una formula di compromesso, che operi attraverso l’espansione del bilancio gestito dalla Commissione Europea. In questo caso non ci sarebbe un finanziamento comune di una parte dei debiti nazionali (quello che non vogliono alcuni paesi nordici)ma un debito comune gestito da una strutture comune, nel quale il peso di questi stessi paesi (Germania in primo luogo) resta determinante.
Una strada che presenta diversi ostacoli politici, tecnici ma anche giuridici per come è costruita l’Unione Europea. Va detto però che in queste settimane si è visto come vincoli che sembravano inaggirabili sono stati accantonati nel giro di pochi giorni. La dimensione europea resta fondata, nonostante le apparenze, assai più sui rapporti di forza tra gli Stati e le rispettive strutture capitalistiche, che non sulla montagna di norme barocche costruite nei decenni.
In questo quadro, che vede l’UE impegnata in un passaggio decisivo che potrebbe metterne in discussione la stessa sopravvivenza, si collocano le prese di posizione delle diverse forze di sinistra.
Abbiamo già richiamato in un precedente articolo quanto espresso dal GUE/NGL e dal Partito della Sinistra Europea. Vorremmo ora segnalare con una rassegna necessariamente sintetica l’articolazione di posizioni espressa da alcuni dei principali partiti, pur in un quadro comune di netta opposizione alla riproposizione di politiche di austerità.
Ovviamente si guarda con grande attenzione a quanto viene dalla Germania, paese chiave dell’Unione e sede, più che in altri momenti, di un ampio dibattito. Sono emerse posizioni autorevoli che hanno preso posizione a favore degli eurobond, ma finora non sembrano avere scalfito la rigidità del governo della signora Merkel. Nemmeno l’ala socialdemocratica della coalizione, benché l’SPD in quanto partito abbia preso posizioni più aperte, si è smossa dalla linea del no alla mutualizzazione del debito.
In proposito il giudizio di Andreas Thomsen, capo dell’ufficio di Bruxelles della Fondazione Rosa Luxemburg è particolarmente netto: è l’ostinazione della Germania a mettere in crisi l’Unione Europea[1]. Il rifiuto dei coronabond è considerato un errore, non solo dal punto di vista della solidarietà, ma anche degli stessi interessi di paesi come la Germania. Misure nazionali, come quelle annunciate dallo stesso governo tedesco che ha rotto con il dogma del pareggio di bilancio, non saranno sufficienti per uscire dalla crisi.
Thomsen ricorda che in Germania i Verdi e la Linke hanno preso posizione a favore dei coronabond. In tal senso si è pronunciato il Comitato esecutivo del partito di sinistra il 4 aprile scorso e nella stessa direzione si sono mossi sia il gruppo della Linke al Bundestag che gli europarlamentari.
In particolare il membro del Bundestag, vice capo gruppo della Linke, ex europarlamentare ed esperto di questioni finanziarie e fiscali Fabio De Masi (che ha origini italiane) si sta battendo con molta forza a favore di bond comuni europei[2]. La sua proposta, in particolare, prevede che questi siano emessi dalla BEI (la Banca Europea degli Investimenti) e acquistati dalla Banca Centrale Europea che sarebbe così chiamata a svolgere la funzione propria delle banche centrali, di prestatrice di ultima istanza agli Stati.
Sul ruolo della Banca Centrale Europea punta in particolare il leader di France Insoumise, Jean Luc Melenchon, che considera insufficienti le misure finora previste da Christine Lagarde[3]. Per il politico francese la chiave della soluzione è cancellare il debito, il quale non sarà mai ripagato, e solo attraverso questa opzione (in fondo non molto diversa da quella messa in campo dalle banche centrali degli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna) è possibile ridare fiato agli Stati ed evitare il rischio di “clochardizzazione” di alcuni paesi.
L’europarlamentare comunista spagnolo Manu Pineda (eletto nelle liste di Izquierda Unida che fa parte del governo Sanchez) pone l’accento sulla necessità di dar vita ad un “grande piano di ricostruzione europeo” accompagnato dall’emissione di eurobond per evitare di strozzare i singoli paesi con il debito[4]. La BCE deve intervenire direttamente con un ambizioso progetto di aiuti. Nell’ambito di questo piano è necessario prevedere l’introduzione di un “reddito minimo” che permetta la sussistenza dei settori sociali meno protetti.
Sulla crisi è intervenuto anche Alexis Tsipras con un articolo sul quotidiano francese Le Monde[5]. Ha ricordato di avere a suo tempo citato il libro di Hemingway, “Per chi suona la campana”, agli altri leader europei, quando il governo di sinistra greco venne lasciato solo nel tentativo di cambiare regole che palesemente non funzionavano. Ora la campana suona per tutti, ma il rischio è che nemmeno stavolta venga ascoltata, in particolare da Angela Merkel che deve scegliere se essere un leader europeo o farsi condizionare dal “virus dello sciovinismo” che è stato inoculato in questi anni nell’opinione pubblica tedesca.
Tsipras non escludeva l’utilizzo del MES per un prestito di un ammontare equivalente a quello deciso negli Stati Uniti, per poi aprire una linea di credito agli Stati europei senz’altra condizione che quella di far fronte alla crisi economica e sanitaria. Una soluzione che non ha trovato spazio nell’Eurogruppo. L’ex primo ministro greco invitava anche a cercare una soluzione comune ma se le rigidità di alcuni paesi non fossero state superate invitava il gruppo dei nove che hanno chiesto di attivare gli eurobond di procedere egualmente insieme anche senza la Germania.
Possiamo confrontare una voce del “sud” che è stata in prima linea nella lotta contro l’austerità, ad una voce del “nord” il cui governo è spesso il più oltranzista nella difesa di politiche di austerità, segnalando l’intervento di due esponenti del Partito Socialista olandese, Renske Leijten e Bastiaan van Apeldoorn, portavoce per gli Affari Europei dei loro gruppi nei due rami del parlamento dei Paesi Bassi[6].
La posizione dei socialisti olandesi, che fino alle elezioni del maggio 2019 sono stati rappresentati nel Parlamento europeo e aderivano al GUE/NGL, è sempre stata piuttosto scettica verso il processo di integrazione europea e quindi il loro intervento va considerato alla luce di questo orientamento di fondo.
Se da un lato difendono convintamente la necessità di una risposta solidale all’epidemia e alle sue conseguenze economiche come vera e propria “scelta di civiltà”, e riconoscono che paesi come l’Olanda hanno beneficiato dell’euro, non ritengono però opportuna la mutualizzazione del debito. Questa infatti rappresenterebbe un significativo spostamento di sovranità verso il livello europeo. Ritengono quindi che la risposta comune debba trovare strade diverse.
Sono molto determinati invece nel proporre forme di tassazione della finanza dalle quali trarre risorse per fronteggiare la crisi, tassando gli investimenti a breve termine che hanno carattere speculativo e i ricchi dividendi distribuiti dalle grandi imprese.
Se l’ispirazione di fondo di queste prese di posizione è comune restano differenze per quando riguarda la forma concreta che può assumere in questa fase la risposta alla crisi.
Una prima convergenza è stata realizzata
attraverso le strutture comuni della sinistra come il GUE/NGL e il Partito
della Sinistra Europea. In questa direzione va anche la petizione
internazionale che chiede un intervento diretto della BCE per l’immediata
creazione di un Fondo Sanitario Europeo che sia coperto con titoli a 100 anni
non negoziabili sui mercati. La proposta è stata sottoscritta dal presidente
del Partito della Sinistra Europea Heinz Bierbaum, dai suoi vice Paolo Ferrero
e Maite Mola, e da esponenti politici ed economisti di vari paesi europei[7].
[1] https://www.transform-network.net/blog/article/german-obstinacy-and-the-end-of-the-european-union/.
[2] https://www.linksfraktion.de/presse/pressemitteilungen/detail/corona-bonds-merkel-und-scholz-riskieren-neue-euro-krise/.
[3] https://melenchon.fr/2020/04/11/video-coronavirus-il-faut-annuler-la-dette/.
[4] https://www.mundoobrero.es/pl.php?id=8931.
[5]Alexis Tsipras, “L’intransigeance de certains dirigents porrait etre fatale à l’Union européenne”, Le Monde, 2 aprile 2020.
[6] https://international.sp.nl/nieuws/2020/04/international-solidarity-in-times-of-corona-crisis.
[7] https://www.openpetition.eu/petition/blog/usiamo-il-denaro-della-bce-per-la-salute-e-non-per-la-finanza-petizione-internazionale.